La Tragedia Scozzese
Avete presente la Tragedia Scozzese?
Quella cosa shakespeariana che si rappresenta – facendo i debiti scongiuri – ma non si nomina mai? Mai sul palco – all’infuori di quel che richiede il copione durante prove o spettacolo. Mai, mai, mai dietro le quinte. Ma in platea o in tutto il teatro – almeno non quando attori, regista e tecnici possono sentire.
E tutto perché, a seconda della versione, Shakespeare avrebbe inserito nel testo dei veri incantesimi stregoneschi*, oppure il trovarobe, in mancanza di un calderone adatto, ne avrebbe sottratto uno a delle streghe vere. In either case, per niente divertite, le streghe avrebbero maledetto la tragedia… quando si dice una pessima recensione! E doveva essere anche una maledizione a effetto rapido, perché narrasi che Hal Berridge, primo interprete di Lady M. nel 1606**, sia morto durante la prima rappresentazione.
Dopodiché bisogna dire che la storia del teatro shakespeariano sia piena di pronunciatori sconsiderati e di increduli puniti, perché alla tragedia scozzese è associato tutto un catalogo di disastri, a partire dalla rappresentazione datata 1672, ad Amsterdam, in cui il protagonista avrebbe accoltellato il Buon Re Duncan per davvero. O della spaventosa tempesta che infuriò per tutta la durata di una rappresentazione nel 1703. E che dire dei venti morti nei disordini che scoppiarono a New York tra i fan dell’inglesissimo Macready e dell’indigeno Forrest – che recitavano lo stesso ruolo in due teatri diversi? A Laurence Olivier andò abbastanza bene, e il peso di piombo che precipitò dall’impianto luci dell’Old Vic lo mancò di un soffio – ma il Re Duncan e due streghe su tre di una produzione bellica diretta da John Gielgud morirono durante il Blitz. Dopodiché la maledizione si considerò sazia di vite umane, si vede, perché a Charlton Heston non capitò nulla di peggio di una calzamaglia andata a fuoco – con lui dentro – e Sean Connery se la cavò con un’influenza micidiale…
Pittoresco. Un filo macabro, se vogliamo, ma pittoresco.
È quasi un peccato che non sia vero nulla…
Nessun ragazzino di nome Hal Berridge risulta nella compagnia di Shakespeare – né in nessun’altra compagnia contemporanea, e la storia non risulta in nessuna fonte dell’epoca. A volte è attribuita a John Aubrey – e in questo caso sappiamo quanto la si possa prendere sul serio. Oserei dire che, se fosse successa una cosa del genere, se ne troverebbe traccia nell’opera di qualche polemista puritano teatrofobo… Per quanto riguarda l’assassinio in scena del 1672, in realtà non c’è nessun M. documentato ad Amsterdam per quell’anno. Ce ne fu una a Londra, una specie di… er, versione musicale con tanto di streghe volanti, in perfetto gusto Restoration. Quindi, magari, rimaneggiamento per rimaneggiamento, è anche possibile che il regicidio avvenisse in scena. E tuttavia, fra gli altri spettatori, c’era anche il pettegolissimo diarista Samuel Pepys: vogliamo pensare che, se un attore avesse usato un pugnale vero per far fuori un rivale in amore nel più pubblico dei modi, Pepys non ce l’avrebbe raccontato? La tempesta del 1703… be’, che dire? La Tragedia Scozzese va in scena da quattro secoli abbondanti: semmai, c’è da stupirsi che abbia incrociato una tempesta sola. I sanguinosi disordini a New York ci furono veramente, ma qualcosa di analogo era successo, per esempio, a Londra a metà Settecento, quando Garrick e Barry si sfidarono a colpi di Re Lear – e a nessuno salta in mente di dire per questo che il Re Lear porti sfortuna. E in quante produzioni cade qualcosa dall’altro, con o senza conseguenze letali? E quanta gente è morta nel Blitz? O prende l’influenza durante uno spettacolo? E la calzamaglia di Heston non prese fuoco per davvero: è solo che per qualche motivo finì impregnata di kerosene, e il kerosene… yes, well.
E quindi signori della giuria, credo che la Tragedia Scozzese si possa senz’altro assolvere da ogni accusa di iettatura – e anzi, che si possa ascrivere la nomea in questione a una combinazione di amore del pittoresco, malignità e al carattere naturale della gente di teatro, cui non pare sano raccontare una storia senza abbellirla almeno un pochino.
Il che non impedisce che in molti teatri, soprattutto nel mondo anglosassone, sia proibitissimo pronunciare il nome che comincia per M., o citare le battute della tragedia in questione al di fuori delle prove e dello spettacolo. I trasgressori vengono spediti fuori dal teatro a pronunciare scongiuri shakespeariani, girare su se stessi, correre attorno all’isolato o a compiere altri esorcismi – credo che ogni teatro abbia il proprio – per poi bussare per essere riammessi.
E sì, è irragionevole e più che un tantino buffo – ma siamo franchi: il teatro non è come il mondo di fuori. Il teatro funziona secondo regole tutte sue, e ci son più cose in scena e dietro le quinte, Horatio , di quante ne sogni la vostra filosofia. Per cui, a parte tutto il resto, perché sfidare sorte, tradizioni e storie?
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** Forse. In realtà, la datazione di gran parte del teatro elisabettiano è a mezza strada fra il sudoku e uno sport violento…