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Dic 24, 2011 - musica, Natale, Poesia    Commenti disabilitati su Vigilia

Vigilia

Natale mi rende sentimentale – la Vigilia ancor di più. La Vigilia mi rende maudlin. E allora vado a recuperare ricordi d’infanzia e vecchie tradizioni – come questa poesia di Gozzano, che – a parte tutto – rende quel tono di fiaba che la notte della Vigilia aveva in anni più innocenti.

La Notte Santa

(Melologo popolare)

– Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell’osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.

    Il campanile scocca lentamente le sei.

– Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po’ di posto per me e per Giuseppe?
– Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe

    Il campanile scocca lentamente le sette.

– Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
– Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto.

    Il campanile scoccalentamente le otto.

– O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!
– S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pieno
d’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove.

    Il campanile scoccalentamente le nove.

– Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!
– Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci…

    Il campanile scocca lentamente le dieci.

– Oste di Cesarea… – Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell’alta e bassa gente.

    Il campanile scocca le undici lentamente.

La neve! – ecco una stalla! – Avrà posto per due?
– Che freddo! – Siamo a sosta – Ma quanta neve, quanta!
Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…
Maria già trascolora, divinamente affranta…

    Il campanile scocca La Mezzanotte Santa.

È nato!

    Alleluja! Alleluja!

È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d’un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane! Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill’anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill’anni s’attese
quest’ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d’un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.
È nato!
Alleluja! Alleluja!


E, nella stessa vena, una carola Anni Sessanta – scritta da Noel Regney, un compositore francese espatriato negli Stati Uniti, e da sua moglie Gloria Shayne Baker, che d’abitudine scriveva canzoni rock:

Said the night wind to the little lamb
Do you see what I see
Way up in the sky little lamb
Do you see what I see
A star, a star
Dancing in the night
With a tail as big as a kite
With a tail as big as a kite

Said the little lamb to the shepherd boy
Do you hear what I hear
Ringing through the sky shepherd boy
Do you hear what I hear
A song, a song
High above the tree
With a voice as big as the sea
With a voice as big as the sea

Said the shepherd boy to the mighty king
Do you know what I know
In your palace wall mighty king
Do you know what I know
A child, a child
Shivers in the cold
Let us bring him silver and gold
Let us bring him silver and gold

Said the king to the people everywhere
Listen to what I say
Pray for peace people everywhere
Listen to what I say
The child, the child
Sleeping in the night
He will bring us goodness and light
He will bring us goodness and light

The child, the child
Sleeping in the night
He will bring us goodness and light

Felice Vigilia a tutti!

Dic 19, 2011 - Poesia    1 Comment

Genetliaco Gozzaniano

guido gozzano, Vi avevo detto che dicembre sarebbe stato un mese di compleanni letterari, vero? Oggi Guido Gozzano compirebbe 128 anni.

Eccovi dunque qualche link gozzaniano – e non è che ce ne sia un’abbondanza enorme…


Qui c’è la pagina gozzaniana di LiberLiber, con un pochino di biografia, le poesie complete, una raccolta di fiabe e il racconto L’Altare del Passato.

Qui ci sono le poesie complete da leggere online – cominciando dai Colloqui.

Qui c’è Paolo Poli che legge L’Amica di Nonna Speranza.

Enfin, essendo questa la settimana che è, ecco la tenera, malinconica, fiabesca Natale:

La pecorina di gesso, 

sulla collina in cartone,

chiede umilmente permesso

ai Magi in adorazione.

Splende come acquamarina

il lago, freddo e un po’ tetro,

chiuso fra la borraccina,

verde illusione di vetro.

Lungi nel tempo, e vicino

nel sogno (pianto e mistero)

c’è accanto a Gesù Bambino,

un bue giallo, un ciuco nero.


E presepi a parte, vale la pena di riscoprire l’amarognolo Guido, con il suo acume di condannato, i suoi rimpianti costruiti in anticipo, i suoi sogni d’idillio campestre – dolci finché restan tali – e la sua scienza quasi proustiana del ricordo.




 

Dic 11, 2011 - musica, Poesia    Commenti disabilitati su Aaron Copland Ed Emily Dickinson

Aaron Copland Ed Emily Dickinson

Ancora in celebrazione del compleanno di Emily (centottantuno anni ieri), ecco qui le prime quattro tra le dodici poesie dickinsoniane musicate dal compositore americano Aaron Copland.

Se vi piacciono, le altre si trovano qui.

Buona domenica.

Dic 9, 2011 - Poesia    Commenti disabilitati su Buon Compleanno, Emily

Buon Compleanno, Emily

emily dickinsonVi avevo detto, credo, che i tre quarti del mio pantheon letterario sono costituiti da gente nata in dicembre. Domani Emily Dickinson compirebbe 181 anni.

Celebriamo con una manciata di links dickinsoniani.

Qui trovate un ricco sito italiano dedicato a Emily: tutte le poesie con traduzione italiana a fronte di Giuseppe Ierolli, le lettere, i frammenti in prosa e una quantità di notizie accessorie e strumenti. Ottima risorsa.

Qui c’è la bella biografia sul sito di Poetry Foundation. Controllate anche la sezione Poems, Articles and More per una serie di articoli e letture, e non perdete questa poesia animata. Emily_Dickinson_'Wild_nights'_manuscript.jpg

Se vi piace ascoltare, qui c’è un buon numero di poesie lette da Laura Lee Parrotti.

Qui invece ci sono i Dickinson Digital Archives, una miniera di ogni bendidio di materiali dickinsoniani: lettere, documenti, risorse, critica…

E qui volevo segnalarvi un interessante progetto didattico italiano che, tra l’altro, associa la lettura delle poesie di Emily alla musica.

Che stiate festeggiando il ponte dell’Immacolata o meno – o che stiate ninnando come me la prima influenza della stagione – potreste far di peggio che concedervi, tra oggi e domani, una giornata poetica. O anche un pomeriggio, o un’ora, o dieci minuti per leggere qualche verso di questa straordinaria poetessa col dono dell’immagine folgorante.

Ott 12, 2011 - gente che scrive, Poesia    Commenti disabilitati su Seamus Heaney

Seamus Heaney

Ogni tanto scopro un poeta e resto folgorata.

È successo anche con Seamus Heaney, straordinario poeta irlandese, premio Nobel per la Letteratura nel 1995, cantore di un’Irlanda amara, nebbiosa e verdissima, di schegge di pietra e pattuglie inglesi, di personaggi mitici reincarnati in viandanti nelle campagne, di leggende mediterranee e celtiche inestricabilmente annodate tra di loro. Ma soprattutto, Heaney canta l’anima, la coscienza e il tormento di chi non ha combattuto, di chi è rimasto a guardare con sgomento mentre IRA, orangisti e “occupanti” inglesi insanguinavano l’Irlanda. E qual è il ruolo del poeta in tutto ciò? Questo è il rovello che Heaney esplora e scava da decenni, venendo gradualmente a patti con la sua posizione di osservatore e distillatore, novello Virgilio estromesso dalla sua terra e forgiatore di versi per se stesso e per l’umanità.

Il risultato è una poesia asciutta, possente, che mescola questioni metafisiche, mito, rugiada sui campi e dettagli quotidiani.

Questa è una delle sue poesie miliari, in cui accosta scrittura e lavoro dei campi, se stesso e la sua famiglia di contadini: una diversa fatica, altrettanto scavare…

DIGGING

Between my finger and my thumb   
The squat pen rests; snug as a gun.

Under my window, a clean rasping sound   
When the spade sinks into gravelly ground:   
My father, digging. I look down

Till his straining rump among the flowerbeds   
Bends low, comes up twenty years away   
Stooping in rhythm through potato drills   
Where he was digging.

The coarse boot nestled on the lug, the shaft   
Against the inside knee was levered firmly.
He rooted out tall tops, buried the bright edge deep
To scatter new potatoes that we picked,
Loving their cool hardness in our hands.

By God, the old man could handle a spade.   
Just like his old man.

My grandfather cut more turf in a day
Than any other man on Toner’s bog.
Once I carried him milk in a bottle
Corked sloppily with paper. He straightened up
To drink it, then fell to right away
Nicking and slicing neatly, heaving sods
Over his shoulder, going down and down
For the good turf. Digging.

The cold smell of potato mould, the squelch and slap
Of soggy peat, the curt cuts of an edge
Through living roots awaken in my head.
But I’ve no spade to follow men like them.

Between my finger and my thumb
The squat pen rests.
I’ll dig with it.

Solo in Inglese, abbiate pazienza. La recente full immersion nell’opera di Heaney mi ha fatto perdere ancora un po’ di fede nella traduzione letteraria – specialmente in fatto di poesia, e più di tutto una poesia densa come quella di Heaney, dove ogni parola intreccia fasci di significati. Vale la pena di fare qualche sforzo con l’originale, credete.

Ecco, domani vado a Bologna ad accogliere Seamus Heaney che arriva per ricevere sabato mattina il Premio Internazionale Virgilio. Fino a lunedì sarò la sua interprete e, se tutto va molto, molto, molto bene, assisterà anche a Di Uomini E Poeti venerdì sera. Non so dirvi quanto sia emozionata in proposito. Heaney è il più grande scrittore che abbia mai avuto il privilegio d’incontrare.

Vi farò sapere.

Set 25, 2011 - musica, Poesia    1 Comment

Joan Of Arc

Oh, Leonard Cohen! Riuscire a trattare poeticamente un personaggio storico in una maniera così profonda e universale – e farlo in musica così bella, con questa intensità… *sospirone*

E buona domenica.

Ago 31, 2011 - Poesia    6 Comments

Settembre, Andiamo…

Settembre arriva – domani. Ho sempre avuto un debole per settembre, mese di declino dorato e dolce. Sarà un po’ maudlin da parte mia, ma la malinconia della fine dell’estate, il senso di tramonto, il rinfrescarsi della sera, le ombre sempre più lunghe…

In letteratura e in poesia settembre compare spesso – e non potrebbe essere altrimenti, con le sue connotazioni di finalità, di declino, di cose perdute, di tempo che scorre, di presagi d’inverno? Per primo mi viene in mente il piccolo Hanno Buddenbrook, con la fine delle sue amatissime vacanze al mare, i frenetici e vani tentativi d’illudersi che ci sia ancora tempo prima di tornare al grigiore opprimente della vita scolastica. Chi da bambino, all’approssimarsi di settembre, non ha mai cercato d’ingannarsi con questo genere di calcoli?

E poi ci sono i poeti, che hanno ricamato su settembre in ogni genere di modo.

Cominciamo con D’Annunzio e i suoi Pastori transumanti, il rito antico e arioso incorniciato da quell’ultimo verso pieno di rimpianto:

Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natía
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l’aria.
il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori?

Per Vittorio Sereni Settembre diventa un’agonia quieta e un nonnulla desolata, se non fosse per l’accettazione finale – o pensandoci bene: compresa l’accettazione finale.

Già l’olea fragrante nei giardini
d’amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia
d’aride cose,
di remi infranti, di reti strappate.
E il vento che illumina le vigne
già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una dubbiosa brulicante estate.

Nella morte già certa
cammineremo con più coraggio,
andremo a lento guado coi cani
nell’onda che rotola minuta.

Attilio Bertolucci invece dipinge un Settembre luminoso, fresco, dolce e così calmo da non avere nostalgie:

Chiaro cielo di settembre
illuminato e paziente
sugli alberi frondosi
sulle tegole rosse

fresca erba
su cui volano farfalle
come i pensieri d’amore
nei tuoi occhi

giorno che scorri
senza nostalgie
canoro giorno di settembre
che ti specchi nel mio calmo cuore.

Mentre Alfonso Gatto, che fin dal danzante titolo Arietta Settembrina sembra promettere un clima più lieve di altri, a partire dalla seonda strofa infila, uno per volta, dei sottili brividi più scuri – quasi a riprodurre la progressione del mese:

Ritornerà sul mare
la dolcezza dei venti
a schiuder le acque chiare
nel verde delle correnti.

AI porto, sul veliero
di carrubbe l’estate
imbruna, resta nero
il cane delle sassate.

S’addorme la campagna
di limoni e d’arena
nel canto che si lagna
monotono di pena.

Così prossima al mondo
dei gracili segni,
tu riposi nel fondo
della dolcezza che spegni.

Guido Gozzano, in questo scampolo de La Signorina Felicita, fa di settembre l’acquarello teneramente malinconico in cui ricordare la sua schiva innamorata campagnola. L’avvocato è qui che pensa a te, Felicita:

Pensa i bei giorni d’un autunno addietro,
Vill’Amarena a sommo dell’ascesa
coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa
dannata, e l’orto dal profumo tetro
di busso e i cocci innumeri di vetro
sulla cinta vetusta, alla difesa…

Vill’Amarena! Dolce la tua casa
in quella grande pace settembrina!
La tua casa che veste una cortina
di granoturco fino alla cimasa:
come una dama secentista, invasa
dal Tempo, che vestì da contadina.

Questa poesiola di Ettore Berni, settembrina in spirito se non in as many words, è un ricordo delle elementari, che  cito a memoria a trent’anni di distanza e con relativa precisione. Fu, credo, la mia introduzione all’idea di irreparabilità dello scorrere del tempo:

Dice al fanciul la rondine:

– Fa freddo, io me ne vo.

Al ritornar dei zeffiri,

amico, tornerò.

 

Dice la foglia all’albero:

– Fa freddo, io me ne vo.

Quando verran le rondini,

anch’io ritornerò.

 

E dice il tempo agli uomini:

– Ho fretta, me ne vo.

Gli uccelli e i fior ritornano;

io più non tornerò.

E che dite di un haiku di Soseki, adesso? Non specificamente settembrino – solo autunnale – ma badate alla sensazione di sopresa e di mutamento incombente:

Mentre mi lavo il viso,
nel catino si erge
l’ombra dell’autunno.

E adesso, come sapevate che avrei fatto, passiamo oltremanica e oltreoceano, cominciando con il gaio, coloratissimo September di Helen Hunt Jackson, che combina il più bel clima estivo con l’allegria autunnale – ma badate alle ultime due quartine:

The golden-rod is yellow;
The corn is turning brown;
The trees in apple orchards
With fruit are bending down.
 
The gentian’s bluest fringes
Are curling in the sun;
In dusty pods the milkweed
Its hidden silk has spun.
 
The sedges flaunt their harvest,
In every meadow nook;
And asters by the brook-side
Make asters in the brook.
 
From dewy lanes at morning
The grapes’ sweet odors rise;
At noon the roads all flutter
With yellow butterflies.
 
By all these lovely tokens
September days are here,
With summer’s best of weather,
And autumn’s best of cheer.
 
But none of all this beauty
Which floods the earth and air
Is unto me the secret
Which makes September fair.
 
‘T is a thing which I remember;
To name it thrills me yet:
One day of one September
I never can forget.

Tutt’altra faccenda è il September di Ted Hughes, che disegna l’estate come una stagione senza tempo: è solo con l’autunno che gli orologi riprendono a ticchettare:

We sit late, watching the dark slowly unfold:
No clock counts this.
When kisses are repeated and the arms hold
There is no telling where time is.

It is midsummer: the leaves hang big and still:
Behind the eye a star,
Under the silk of the wrist a sea, tell
Time is nowhere.

We stand; leaves have not timed the summer.
No clock now needs
Tell we have only what we remember:
Minutes uproaring with our heads

Like an unfortunate King’s and his Queen’s
When the senseless mob rules;
And quietly the trees casting their crowns
Into the pools.

E infine non poteva mancare la mia prediletta Emily Dickinson, con il suo September’s Baccalaureate, bozzetto di una stagione che, con nulla più che piccoli segni e refoli di brezza, insinua nell’animo umano una propensione alla malinconia:

September's Baccalaureate 
A combination is Of Crickets -- Crows -- and Retrospects
And a dissembling Breeze
That hints without assuming --
An Innuendo sear
That makes the Heart put up its Fun
And turn Philosopher.

Insomma è così che funziona: la spensieratezza estiva s’incrina e si macchia, noi ci ricordiamo che tutto finisce e ci poetiamo su. Ma se nel processo ci capita d’immalinconirci troppo, ci possiamo consolare con due versi di John Donne:

Né la primavera né la bellezza d’estate hanno la grazia
che ho visto sul viso dell’autunno.

Buon settembre!

Ago 11, 2011 - grillopensante, Londra, Poesia    Commenti disabilitati su Recessional

Recessional

Questo non è proprio un post. E’ una segnalazione legata a una serie di riflessioni scambiate con M.B. a proposito di quel che succede in Inghilterra in questi giorni.

Kipling scrisse questa poesia nel 1897 e la intitolò Recessional – la parola che, nella liturgia anglicana, indica il canto che accompagna l’uscita solenne del celebrante al termine del rito. Uno strano, triste, profetico dono per il Giubileo di una regina al colmo della sua gloria…

Recessional

God of our fathers, known of old—
Lord of our far-flung battle line—
Beneath whose awful hand we hold
Dominion over palm and pine—
Lord God of Hosts, be with us yet,
Lest we forget—lest we forget!

The tumult and the shouting dies—
The Captains and the Kings depart—
Still stands Thine ancient sacrifice,
An humble and a contrite heart.
Lord God of Hosts, be with us yet,
Lest we forget—lest we forget!

Far-called our navies melt away—
On dune and headland sinks the fire—
Lo, all our pomp of yesterday
Is one with Nineveh and Tyre!
Judge of the Nations, spare us yet,
Lest we forget—lest we forget!

If, drunk with sight of power, we loose
Wild tongues that have not Thee in awe—
Such boastings as the Gentiles use,
Or lesser breeds without the Law—
Lord God of Hosts, be with us yet,
Lest we forget—lest we forget!

For heathen heart that puts her trust
In reeking tube and iron shard—
All valiant dust that builds on dust,
And guarding calls not Thee to guard.
For frantic boast and foolish word,
Thy Mercy on Thy People, Lord!
Amen.

Giu 20, 2011 - Poesia, Utter Serendipity    Commenti disabilitati su Lucciole, Poeti e Qualche Rana – ovvero Qualcosa Per Il Solstizio

Lucciole, Poeti e Qualche Rana – ovvero Qualcosa Per Il Solstizio

lucciole, eclissi, solstizio d'estate, ippolito nievo, attilio bertolucci, gerolamo fontanella, kobayashi issa, robert frost, corrado govoniQualche sera fa, mentre tornavamo da una riunione del comitato promotore per le manifestazioni del 150° (non avete idea!) con S. ci siamo fermati in aperta campagna per vedere quel che si poteva dell’eclissi. La luna stava ricomparendo – una fetta sempre più larga, in quella maniera che hanno le eclissi – ma temo di non avere badato alle sue mattane quanto avrei dovuto, perché a un certo punto Enter a Firefly. E poi un’altra… lucciole! Erano secoli che non vedevo le lucciole, almeno non più di una per volta, ed erano sempre state lucciole di terra, rese anemiche dalle luci del giardino. Ma lucciole vere che volavano sui campi di notte… ah! E proprio allora, come se la notte avesse avuto la precisa intenzione di farmi felice, nel fosso vicino una rana piuttosto baritonale ha cominciato a gracidare. Anche le rane non si sentono più, non certo in paese, per cui sono andata in estasi quando qualcuno di batracesco ha gracidato un paio di volte e poi si è tuffato. Ho sentito distintamente il “pluf” nell’acqua*. E poi c’erano i grilli, e un enorme pioppo cipressino, e persino quel tanto di brezza che serviva per far stormire le fronde del pioppo senza coprire grilli e rane… Se non fosse stato per le zanzare sarebbe stato assolutamente perfetto, ma anche così era di una perfezione rara – e mi sono ripromessa di postarci su.

Lo faccio oggi, perché la vigilia del solstizio d’estate mi sembra in qualche maniera appropriata a un po’ di sdilinquimento sull’atmosfera delle notti estive. Sdilinquimento in versi.

A partire da Alla Lucciola (con brusco risveglio) del barocco Girolamo Fontanella: lucciole, eclissi, solstizio d'estate, ippolito nievo, attilio bertolucci, gerolamo fontanella, kobayashi issa, robert frost, corrado govoni

Mira incauto fanciul lucciola errante

Di notte balenar tremola e bella,

Che di qua, che di là, lieve e rotante,

Somiglia in mezzo al bosco aurea fiammella.

Va tra le cupe ed intricate piante,

Stende la man pargoletta** e bella,

E credendo involar rubino o stella

Va de la preda sua ricco e festante.

Ma poi che ‘l nostro orror l’alba disgombra,

Quel che pria gli parea gemma fatale,

Di viltà, di stupor gli occhi l’ingombra.

Così bella parea cosa mortale!

Ma vista poi che si dilegua l’ombra,

altro al fine non è ch’un verme frale.

Poi Le Lucciole, di Ippolito Nievo – che riesce sempre a infilarci un che di patriottico:

Lucciolette che ronzate

Pei crepuscoli ideali,

Care stelle forviate

Da vostr’orbite immortali,

Forse ancor del ciel natio

Affaticavi il desio?

Io vi sciolgo l’ali al volo,

Lucciolette cattivelle;

Ite pur lambendo il suolo

Colle timide fiammelle,

Giacché i cieli a voi contese

Legge improvvida e scortese.

Ai romiti casolarilucciole, eclissi, solstizio d'estate, ippolito nievo, attilio bertolucci, gerolamo fontanella, kobayashi issa, robert frost, corrado govoni

Nel silenzio dei villaggi

Pei giardini solitari

Seminate i vostri raggi,

Fra le tenebre dei chiostri

Seminate i raggi vostri.

Pei tumulti delle feste

Melanconiche volate,

Sol palesi all modeste

Ciglia e all’alme addolorate,

Onde vengan esse poi

Meditando dietro a voi.

A chi stanco si risente

Della stolida allegria

Rischiarate santamente

L’annebbiata fantasia,

Perché al cor gli venga e al viso

D’altro oprar più maschio riso.

Lucciolette, anco un momento,

Ed il pugno che vi accoglie

Vi darà libere al vento.

Vinto han già le vostre doglie

Il ritroso animo mio.

Lucciolette addio, addio!…

Poi Il Giardino del futurista Corrado Govoni

Presto tutto il giardino formicolerà di lucciole

piccoli lampi di magnesio per fare la fotografia

ai volti ipnotici e medianici dei fiori.

E’ notte: fa fresco: cadono le prime gocce di stelle:

si rientra.

E Attilio Bertolucci: lucciole, eclissi, solstizio d'estate, ippolito nievo, attilio bertolucci, gerolamo fontanella, kobayashi issa, robert frost, corrado govoni

 

Come lucciola allor ch’estate volge

All’ardor di luglio, stanca posa

Sull’erba che la vide errare quando

Più temperate sere il cielo invia,

Dov’è caduta luce tramortita

E fioca, e così sola nella notte,

Così l’anima giace poi che il curvo

Giro degli anni a suo fine declina.

Una stellata notte allor consoli

Nostra tremante quiete, quale questa

Che s’apre dolce e silente

Su te, lucciola morente.

Dopodiché abbandoniamo l’ordine cronologico e l’Italia, e passiamo all’estero in ordine sparso con un haiku di Kobayashi Issa***:

 

Inciampa

guardando le lucciole:

eccone una!

E finiamo con Fireflies In The Garden, di Robert Frost

Here come real stars to fill the upper skies,
And here on earth come emulating flies,
That though they never equal stars in size,
(And they were never really stars at heart)
Achieve at times a very star-like start.
Only, of course, they can’t sustain the part.

Ecco qui. Complessivamente non è che i poeti associno immagini gioiosissime alle lucciole, vero? C’è quasi sempre qualcosa di smarrito, d’ingannevole e caduco associato a queste fiammelline vaganti e vive… Che posso farci? Per una volta dovrò essere in disaccordo con la maggior parte dei poeti, e quindi credete: è un auspicio felice che faccio nell’augurare a tutti voi e a me stessa un’estate piena di lucciole.

_____________________________________________________

* E sì: “pluf”. Il tuffo di una piccola rana nell’acqua di un fosso non è assolutamente un “plop”. E’ un “pluf”.

** Sì, visto? Non ho proprio idea…

*** Traduzione di NeveSottile

 

 

Feb 25, 2011 - Poesia    2 Comments

Nei Versi Sciolti Si Può Inciampare

Sapendomi incuriosita dalla tecnica poetica legata all’Inglese, M.J. mi segnala un sito – il cui link verrà forse in seguito. Non ora, e forse in futuro, per un motivo specifico.

Quando l’ho visitato seguendo la segnalazione di M.J., ho trovato con delizia una serie di spiegazioni molto chiare di tipi di metro e generi relativi. Scopro che, accanto a forme meno inattese, esistono cose con nomi come Teacup Dictionary e Kyrielle. Incantevole! Sì, forse qua e là semplificano un tantino, ma come introduzione mi sembra perfetta…

…Finché non inciampo nella pagina del Blank Verse, o verso sciolto. Versi non rimati, spiega PD, spesso (ma non sempre) pentametri iambici. Il primo a introdurre il Blank Verse è stato Shakespeare.

Come, prego? Shakespeare?

Ed è qui che tiro il freno a mano, perché è una bugia grossa come una casa. Se c’è stato un iniziatore del BV è stato Marlowe, e nemmeno lui l’ha inventato  del tutto. Già prima di lui qualche autore aveva usato davvero una successione di pentametri iambici tutti uguali. Marlowe creò il BV inglese inserendoci movimento e varietà attraverso una serie di accorgimenti tecnici che spezzavano la regolarità dei versi, non solo modificandone il ritmo, ma rendendolo adattabile alla situazione drammatica.

Poi è vero che Shakespeare ha portato la tecnica a incredibili vertici di raffinatezza, ma lo ha fatto partendo dal lavoro di Marlowe.

La falsa attribuzione mi ha lasciata perplessa, e mi ci avrebbe lasciata anche se Kit Marlowe non fosse la mia ossessione in carica. Devo dedurne che i redattori di PD non sappiano la storia della letteratura? E allora perché dovrei fidarmi della loro guida alla poesia? Devo dedurne altrimenti che la sappiano benissimo, ma abbiano ipersemplificato perché il lettore medio conosce Shakespeare e non ha mai sentito nominare Marlowe? E perché vorrei fidarmi della guida alla poesia di chi non crede che un aspirante poeta possa fare un piccolo sforzo di pensiero e di memoria? In fondo basterebbe molto poco: “Il BV fu introdotto per la prima volta da Marlowe e poi perfezionato da Shakespeare.” Troppo difficile?

Adesso sono costretta a decidere se trovare questa gente antipatica o se diffidare anche delle loro tazze di tè e delle loro kyrielles…

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