Questo comincia a sembrare un viaggio di ritardi e di attese. Non si sa come e perchê, ma un’attesa alla stazione di Atocha non e’ nulla di particolarmente ricreativo. A dire il vero, nemmeno il viaggio lo e’, nelle temperature siberiane delle ferrovie iberiche… Oltre i finestrini sfilano sessanta km di colline brulle, erba bruciata, alberi dall’aria polverosa. La ferrovia è scavata tra roccia rossiccia e muretti a secco, il cielo è azzurrissimo, con qualche pennellata di nuvole sfilacciate dal vento. Non è bello in senso stretto, ma è molto la Spagna come la si immagina: non è difficile immaginare il convoglio reale di Filippo II in viaggio, lento e nero, attraverso questo paesaggio – oppure una colonna di soldati napoleonici in marcia.
E poi S. Lorenzo del Escorial. Non ho citato Filippo a caso, prima. Il posto è simbolico dell’animo del suo costruttore: una mole austera e solitaria di granito grigio che racchiude collezioni d’arte e di progetti architettonici, la magnificenza gelida del Panteòn – tutta nera, oro e porpora – una sterminata biblioteca, giardini pieni di luce, file di tombe di Infantes, una basilica dove tutto è sacrificato alla maestosità dell’insieme e sale progettate per poter ammirare il tramonto dalle finestre, tra le quali sono appesi i quadri che celebrano la “pacificazione” delle Fiandre. L’uomo è lì, nelle contraddizioni del posto che ha creato.
Poi ci si ritrova faccia a faccia con i ritratti: Filippo, Carlo V, Don Juan de Austria, Doña Maria di Neuburg (l’eroina del Ruy Blas) e il suo orrido marito, Carlo II…
Adesso mi fermo e parto in direzione Prado.
Set 8, 2010 - Senza categoriaCommenti disabilitati su Cartoline da Madrid I
Lo sciopero dei controllori di volo francesi e le conseguenti due ore di ritardo mi hanno derubata di parte del mio primo pomeriggio spagnolo. Tuttavia, ne è rimasto abbastanza per vedere che Madrid e’ vivace, animata e molto ventosa – e che trovare un caffe’ decente non è’ facile.
Nuestra Señora del Consejo e` una bellissima chiesa barocca e imponente, del barocco austero e luminoso dei Gesuiti. Un tempo e’ stata cattedrale della cittá, poi sostituita dall’Almudena. Vi si celebrano devozioni dai nomi meravigliosi come el Gran Poder, Nuestra Señora de la Fuensanta e el Santisimo Cristo de la Buena Muerte. Sulla cassetta delle elemosine sta scritto La parte de Dios y de mi hermanos. Nella Capilla de San Isidro, deliziose anziane signore – membri della Real y Muy Primitiva Congregacion e orgogliosamente Gatas, vale a dire madrilene veraci – raccontano la storia del Santo con colorita passione. In qualche modo sembra strano che una capitale abbia per patrono un santo contadino, vero?
E poi in giro nel vento, con i mangiafuoco in Plaza de la Puerta del Sol e i suonatori di chitarra agli angoli delle strade.
Ho una piccola richiesta da farvi: sto partecipando a questo concorso, il cui premio deliziosamente bizzarro consiste nell’essere “scritti” come personaggio in un romanzo. Proprio in senso letterale: c’è questo romanzo in fieri e, se dovessi vincere il concorso, l’autrice introdurrebbe a questo punto un personaggio modellato su di me. Inutile che dica fino a che punto questo sia il mio genere di cose, vero? Adorerei essere scritta in un romanzo… Adesso salta fuori che sono entrata nella lista dei dieci finalisti. Quindi, richiesta: vi dispiacerebbe fare un salto qui, dare un’occhiata al video che si trova aprendo il link Ivye e, se vi convince, votarlo? Grazie mille.
La citazione di qualche post fa era tratta da “Rupert di Hentzau”, che è il seguito de “Il Prigioniero di Zenda”. Non so voi, ma a suo tempo per me era stato uno choc scoprire che, prima di essere un film, IPdZ era un romanzo di Anthony Hope, tanto celebre da avere dato il suo nome a un (sotto)genere letterario: il Ruritarian Romance, incentrato sulle vicende di piccoli regni immaginari, colpi di stato, monarchie in pericolo et caetera similia. Vietato sghignazzare: ci si sono cimentati, seppur con intenti vari, anche Stevenson, G.B. Shaw e Nabokov, solo per citarne qualcuno.
Ad ogni modo, tutti abbiamo visto il film: la versione del 1952, con Stewart Granger e Deborah Kerr, che ricompare in televisione con una certa frequenza, è romantica, rutilante nel suo technicolor, e vagamente imparentata con il libro da cui è tratta. A parte l’allegra semplificazione della trama, a parte le spade e pallottole emostatiche (varia gente ci lascia le penne, ma non si vede mai una goccia di sangue), a parte il finale molto più lieto di quello originale, il malvagio Rupert von Hentzau è interpretato da James Mason, tremendamente fuori parte per temperamento e per età.
Perché nel libro, vedete, Rupert è un giovinastro traboccante fascino e cinismo, allegramente immorale, pronto a tradire re, patria, complici, famiglia, amanti, e anche un caso eclatante di pessima mira autoriale. Insomma, quando un co-antagonista è il personaggio meglio riuscito di tutto il libro, quando sovrasta in personalità non solo tutti i suoi meschini complici, non solo le brave persone, ma anche il coraggioso e leale protagonista, allora qualcosa non va.
“The Prisoner of Zenda” è narrato in prima persona dal protagonista, Rudolf Rassendyll, gentiluomo inglese quintessenziale; “Rupert of Hentzau”, il seguito, è narrato in prima persona dal fedele amico di Rudolf, Fritz von Tarlenheim, quintessenziale ufficiale&gentiluomo mitteleuropeo. (Tra parentesi, un cambiamento di questo genere tende a non promettere bene per l’ex narratore, e in effetti… ma non divaghiamo). Entrambi passano un terzo del loro tempo a commentare l’intelligenza, il coraggio, il fascino, l’astuzia, la bellezza, l’abilità a cavallo e con la spada del giovane Rupert. Sì, c’informano anche che Rupert è spregevole, bugiardo, sleale, che ha fatto morire di crepacuore sua madre, che ha dissipato la fortuna di famiglia, che bara a carte, che è passato nei letti di tutte le nobildonne di Ruritania (tranne l’insipida principessa Flavia e la fidanzata di Fritz, si capisce!). E in effetti lo vediamo anche all’opera, mentre tradisce ripetutamente (e qualche volta fatalmente) i suoi accoliti, mentre assassina il re, mentre si comporta slealmente durante un duello. Epperò le donne cadono ai suoi piedi, i suoi servitori si butterebbero nel fuoco per lui, il suo giovane cugino lo adora, Rassendyll e i suoi, pur detestandolo di cuore, lo trovano simpatico, e anche noi lettori lo troviamo simpatico. Subiamo il suo fascino persino quando Hope calca troppo la mano sul fascino in questione, il che è tutto dire…
E sapete perché? Perché ad Anthony Hope per primo non importava un bottone dell’inglesissimo Rassendyll, della palliduccia Flavia, del leale (e non troppo sveglio) Fritz… no, a lui importava di Rupert. Rupert ha più vitalità di tutti gli altri messi insieme, ha le battute di dialogo migliori, ha i momenti di caratterizzazione più azzeccati, “un sorriso che sembra un raggio di sole”, e il senso morale di un attaccapanni… Tutto ciò crea un personaggio favoloso e un libro narrativamente squilibrato. Lo ripeto: quando un personaggio fa scomparire tutti gli altri, c’è qualcosa che non va; quando questo personaggio non è nemmeno il protagonista, allora siamo davvero nei guai.
Poi, a riprova del fatto che tutto è relativo, e consolandomi con il fatto che Hope non è Tolstoj: vorrei davvero che Hope avesse potato Rupert in favore di un maggiore equilibrio narrativo? No, che diamine! Vorrei solo che la MGM avesse pensato a qualcuno di più adatto al ruolo!
Mag 28, 2009 - Senza categoriaCommenti disabilitati su Bolsa
Dove ho sbagliato? Perché io? Per che cosa sono punita di preciso?
Sembrava un raffreddore in arrivo, poi ci sono stati una notte e un giorno di febbre da cavallo, poi la cosa è degenerata in tonsillite. E giù Brufen (il mio avvocato dice che è un ottimo antinfiammatorio della vecchia scuola); e quando la gola ha cominciato a sgonfiarmisi, giù a tossire come una locomotiva. E ho menzionato il raffreddore? Perché c’è anche un raffreddore in corso. Nelle parole immortali del medico, pare che abbia “rumorini sparsi. Non una vera bronchite: tanti rumorini sparsi. Quelle cose che possono migliorare come possono peggiorare.” Giuro che ha detto proprio così. Hence, sto prendendo un antibiotico che non so se sia della vecchia scuola, ma certo è da cavalli.
E tutto nell’ultima settimana, sia chiaro, in pieno sovraccarico di lavoro, e nell’imminenza dell’uscita del libro. Sembra logico.
E adesso, what next? La peste nera?
Apr 22, 2009 - Senza categoriaCommenti disabilitati su What’s in a Name?
Mi spiace dissentire dal Bardo, ma no: sono sicura che una rosa non avrebbe lo stesso profumo se si chiamasse sanguinaccio.
I nomi importano. Un nome o un altro non sono la stessa cosa.
Ebbene sì, lo confesso: sono di quelli che al cinema restano a fine film per leggere tutti i nomi dei titoli di coda; che leggono le liste elettorali, gli elenchi di classe sui vecchi annuari scolastici altrui, persino i necrologi, in cerca di nomi; di quelli che, quando avevano 16 anni e giocavano a Dungeons & Dragons, impiegavano settimane a scegliere il nome del loro elfo di I livello…
Quando comincio a scrivere qualcosa di nuovo, i nomi sono una priorità. Sono capace di passare ore col naso sulla Lista dei Nomi Propri di un dizionario qualsiasi, cercando “quello giusto”. E non è mai (oh, be’, diciamo ‘quasi mai’, tanto per essere cauti) una questione di significato. Suono, principalmente. Poi, si capisce, con i romanzi storici ci sono questioni di epoca, consuetudine e proprietà sociale, ma in ogni caso il nome deve “suonare” giusto per il personaggio che ho in mente.
La cosa buffa è che non sempre scelgo nomi che mi piacciono. Nomi di battesimo, intendo. Ho chiamato personaggi che adoro con nomi che francamente detesterei portare, e ci sono nomi che mi piacciono tanto, ma non sono mai risultati adatti per nessun personaggio. Paradossalmente, con i cognomi funziona diversamente: il cognome dei miei personaggi non deve solo suonare bene con il nome, deve anche piacermi. Proprio piacermi.
Tutto ciò per dire che sto revisionando una vecchia cosa che voglio cominciare a mandare in giro, e quattro persone diverse mi hanno suggerito di cambiare il nome a uno dei due protagonisti. Due nomi che iniziano per A. Pare essere cattiva politica avere due personaggi il cui nome comincia con la stessa lettera. Il lettore potrebbe confonderli…
Sì, lo so: anch’io mi offenderei se qualcuno implicasse che sono capace di confondere due personaggi diversissimi tra loro solo perché i loro nomi cominciano con la stessa lettera. Ma mi offenderei a torto: se dovessi tornare indietro ogni tre paragrafi per capire chi è chi, lo ammetto, difficilmente supererei le prime dieci pagine. Not good.
Morale? Uno dei miei due nomi, scelti con tanta cura a suo tempo, deve andare. Uno mi piace di per sé; l’altro non mi piace in particolare, ma è perfetto per il personaggio.
Mi piange il cuore. L’unica consolazione è che mi aspettano altre lunghe consultazioni di liste, perché mi serve un nome nuovo.
Ago 24, 2008 - Senza categoriaCommenti disabilitati su Pensando di Traverso
D’accordo, ho già parlato di questo corso, ma devo assolutamente tornarci sopra.
How To Think Sideways, ovvero “Come Pensare di Traverso”, di Holly Lisle, più che un corso di scrittura classico è un modo di riconsiderare molte idee preconcette.
Di lezione in lezione, sto ricevendo una serie di salutari scrolloni al mio modo di lavorare e scrivere. E’ come un negozio di giocattoli: tecniche affascinanti da usare e non sempre ovvie. Si è spinti a pensare in modo diverso dal consueto, si sperimentano metodi un tantino bizzarri e, più di una volta, mi sono ritrovata a domandarmi come diavolo una tecnica che non capisco potesse darmi dei risultati inaspettatamente buoni. E poi c’è una serie di forum in cui discutere con gli altri studenti, il che è d’aiuto nel confrontare punti di vista e metodi di risoluzione dei problemi.
I risultati fino ad ora sono ottimi: sto imparando modi nuovi di sviluppare idee, sto rinegoziando i miei rapporti ragionamento/intuizione, sto rielaborando vecchi progetti in modo più stimolante e sto pensando parecchio. Di traverso e non.
Insomma, per chi conosce bene l’Inglese e vuole provare a rivoltare un poco il suo metabolismo di scrittore, How To Think Sidewaysè un’avventura affascinante e decisamente inconsueta.
Per chi avesse voglia di sperimentarla (alcuni posti saranno in vendita dal 1° al 9 di settembre), o per chi fosse anche solo curioso, questo è il link:
Questo inizio ad effetto è di Mark Twain, che contro gli aggettivi aveva dell’astio personale. Poi prosegue…
No, non dico tutti quanti, ma uccidi la maggior parte–e allora quelli che restano saranno tutti importanti.
E può non essere una cattiva idea, perché gli aggettivi, sapete, gli aggettivi…
Indeboliscono, quando sono troppo fitti. Rafforzano quando sono pochi.
Un buon esercizio, anzi: un ottimo esercizio consiste nel prendere qualcosa che si è scritto e cancellare tutti gli aggettivi e gli avverbi. Poi si contano i cadaveri e si fanno delle proporzioni rispetto al conto parole totale del pezzo. E in generale a questo punto ci si impressiona: ma davvero ci avevo messo tutti questi aggettivi? Ebbene sì, in genere li si è proprio scritti… scivolano dentro quasi da soli, non ci si fa nemmeno caso. E il peggio è che più sono generici più volano al di sotto del radar. Insipiditudini come grande, bello, vecchio, importante, simpatico, alto, basso… diluiscono la compattezza della scrittura e non aggiungono nulla. Morale: si possono senz’altro sterminare col flit, seguendo alla lettera il suggerimento dello zio Mark. Ci sono altri aggettivi, tuttavia. Dovrebbero essere significativi, dovrebbero illuminare in qualche modo il sostantivo che accompagnano: rafforzarne il senso, oppure modificarlo in modo inaspettato; aumentarne l’efficacia (come una torretta da guerra sul dorso di un elefante), oppure combinarsi in un’immagine inattesa, un ossimoro, una sonorità, un effetto di ritmo… ci sono aggettivi che, se usati al momento giusto, hanno tutti i diritti di vivere.
Agli aggettivi che si risparmiano, tuttavia, non bisogna mai permettere di vivere in branco. Esempio, e cercherò di fare del mio peggio:
Sempronia aveva chiari, limpidi, sinceri occhi azzurri.
Quattro aggettivi su sette parole… ugh! Time for an adjective safari. Supponiamo che “azzurri” ci serva proprio; ma gli altri tre? Considerando che per significato e connotazione si sovrappongono tutti, non possiamo sceglierne uno solo? Quello che serve meglio all’idea che vogliamo rendere? Naturalmente dipende da qual è questa idea. Se vogliamo sottolineare la bellezza nordica di Sempronia, possiamo tenerci “chiari”; se la nostra eroina è più che altro candida (il tipo che si prova un certo piacere nell’uccidere al capitolo 4), va meglio “limpidi”; se Sempronia conduce una vita sana ed ha la franchezza per religione, allora scegliamo senz’altro “sinceri”. Ma potremmo anche tentare di combinare tutte e tre le connotazioni scegliendo un aggettivo ancora diverso:
Sempronia aveva trasparenti occhi azzurri.
Più conciso ed efficace, no?
Personalmente, quello di cui non mi stancherei mai è la varietà delle sfumature che si possono ottenere sostituendo un aggettivo: provate a riscrivere l’esempio usando ogni volta un aggettivo diverso, e badate a come cambia il mood. Ah, le meraviglie del linguaggio!
Il che ci riporta al punto di partenza: se può fare tutta questa differenza, l’aggettivo va usato con cautela, misura ed accortezza, alla maniera del curry e della polvere da sparo, perché, per chiudere con Mark Twain…
Un’abitudine agli aggettivi […] una volta acquisita, è più difficile da eliminare di qualsiasi altro vizio.
Sto seguendo questo corso di scrittura creativa. Corso americano, tenuto online da una scrittrice (pluripubblicata) di nome Holly Lisle.
E un corso curioso, incentrato su quelli che possiamo chiamare aspetti pratici del mestiere. Per il primo mese ci siamo concentrati sui metodi per generare e sviluppare idee, e i risultati variano dal bizzarro al folgorante, dallo spicciolo al favoloso. La cosa che mi piace di più è lo sforzo di bilanciare intuizione e logica, analisi e creatività, emisfero destro ed emisfero sinistro… per dirla con Holly, Musa e Mente Consapevole.
Per me, che sono un’iperanalizzatrice ossessionata dal controllo, è ideale anche se, talvolta, un poco spiazzante.
La mia tecnica preferita, fino a questo momento, è il Clustering, o Mind Mapping: un metodo per pescare e raccogliere idee allo stato gassoso. Confesso di avere iniziato da scettica e di non essermi trovata completamente a mio agio dapprima, perché gli stadi provvisori non mi piacciono alla follia. Ho perseverato, e ne è valsa assolutamente la pena: è il miglior metodo di brainstorming in cui mi sia mai imbattuta.
Lasciate che vi spieghi: si prende un foglio A4 e ci si disegna in mezzo un’ellissi, dentro la quale si scrive l’argomento su cui si vuole lavorare. ANALISI DEL PERSONAGGIO X, AMBIENTAZIONE DEL RACCONTO Y, IDEA DI FONDO DEL ROMANZO Z…
Una cosa così:
Fatto questo, si comincia a buttare giù tutto ciò che viene in mente in proposito, quello che si sa già e quello che viene in mente via via, racchiudendo ogni singolo “articolo” in un rettangolo e stabilendo delle connessioni.
Per esempio,
Da queste idee di base, si fanno partire ulteriori diramazioni, senza fermarsi a correggere e senza disperarsi su logica, senso a lungo termine e sintassi: questa è solo una sessione di brainstorming, supponete di essere occupati a catturare le idee col retino; a catalogarle ed ordinarle penserete dopo.
Non è straleggibile, ma spero che renda l’idea. E poi si prosegue: si specifica l’ambientazione, si caratterizzano i personaggi, si aggiungono punti della trama, concetti e idee che si vogliono utilizzare, eventi storici da inserire… Chi più ne ha… con quel che segue.
E’ sorprendente vedere quante idee saltino fuori, con un minimo di pratica e un po’ di convinzione. Alcune saranno pessime, altre cotte solo a metà, un paio saranno straordinariamente buone… In ogni caso, ci sarà sempre qualcosa da pescare.
Per finire, un paio di mindmapping softwares scaricabili gratuitamente: Cayra è molto bellino a vedersi, con colori gradevoli e una grafica accattivante; io lo trovo un po’ macchinoso, e preferisco usare Freemind: http://freemind.sourceforge.net/wiki/index.php/Download, bruttino ma intuitivo e di uso più semplice.