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Ott 8, 2018 - grillopensante    2 Comments

E Se Non Volessi Chiamarle Emozioni?

PassiMi è ricapitato sott’occhio un vecchio post sul modo in cui la passione (insieme con “le passioni”) era diventata un pilastro del marketing: da un lato le passioni vanno gratificate; dall’altro la passione nobilita qualsiasi cosa. Vogliamo mettere una merendina prodotta con passione? O un perborato che ci rende liberi di perseguire le nostre passioni?

Yes well.

Eppure… possiamo sghignazzare – ma è mia ferma convinzione che la pubblicità sia un buon indicatore di come pensa la società in un dato momento. Una singola campagna impostata in un certo modo può essere un tentativo, un errore di giudizio, un fatto isolato. Una tendenza è una faccenda diversa: significa che l’approccio funziona – e funziona perché ha colto qualcosa che risuona con i consumatori. Che li fa sentire bene spingendoli a comprare le merendine e il perborato.

E questo era quattro anni fa – ma non è come se le cose fossero cambiate terribilmente. Anzi, semmai la tendenza in questione ha fatto talea, e ha sconfinato dal campo del marketing: un segno di successo, se mai ce ne fu uno.

passion-heartLe talee sono in realtà due, perché alla passione/i si sono affiancati l’amore e le emozioni. Tutto è fatto con amore, tutto è fatto per suscitare emozioni. Il formaggio, le automobili, le crociere, i decreti legge… No, really: non l’avete sentito quel ministro della Repubblica che arrivando a Genova ha vantato l’amore e la passione che aveva messo nello stilare la sua bozza di decreto? E non era il solo.

Strategia facile e piaciona, buona per tutte le stagioni e in tutti i campi. Why, provate a chiedere a un implume delle medie perché gli piace tanto il tal libro, il tal film, la tale canzone… Se si tratta di un esemplare appena un po’ articolato, le possibilità che vi risponda “perché mi ha suscitato tantissime emozioni” sono altine. E per contro, naturalmente, perché non ti piace? “Non mi dà emozioni.” D’altronde, perché non dovrebbero farlo? Gli implumi, come i ragazzi del marketing, sono prontissimi nel capire quello che funziona.

Dite che sono cinica? Si sa. E probabilmente lo sono ancor di più nel pensare che questo sia profondamente diseducativo – ma d’altra parte, che cosa implica questo tipo di enfasi? Che non c’è ragione di coltivare capacità, talento, tecnica e competenza, tanto la passione azzera ogni considerazione di livello e qualità.  Che le passioni vanno gratificate sempre e comunque – e possibilmente subito. Che le decisioni si prendono col cuore, con le emozioni, con i sentimenti. Che non esiste altro che questo. emozioni2

Qualche anno fa, sul suo blog, Holly Lisle lamentava il modo in cui, in American English, il verbo “to feel” (sentire, provare sentimenti) stava sostituendo “to think” (pensare). Non si pensa più, diceva Holly. Si sente e basta – e, quel che è peggio, si viene incoraggiati su questa strada, fino al punto in cui farsi governare dalle emozioni diventa una specie di punto d’onore, mentre pensare è cosa fredda, meccanica e leggermente disdicevole.

Ecco, non sono certa di poterle dar torto. Rimpiango un po’ di non avere fatto qualche ricerchetta a suo tempo, per vedere da che cosa derivasse lo scivolamento linguistico – ma è probabile che Oltretinozza ci stessero precedendo per questa china emotiva. Si comincia con i blog, le riviste femminili, i venditori di perborato… per arrivare alla scuola e ai ministeri: non c’è motivo di cercare, capire, pensare, analizzare, porsi domande: o l’emozione c’è (e allora va bene) o non c’è (e allora anatema!). Fine della storia.

Voi non lo trovate leggermente spaventoso?

Lug 1, 2016 - angurie, Arte Varia    Commenti disabilitati su L’Arte dell’Elefante

L’Arte dell’Elefante

elephantRembrandtUn po’ di tempo fa abbiamo parlato di elefanti di carta, ricordate?

E in chiusura di post citavamo l’abbondanza di elefanti artistici… Ecco, l’intenzione per oggi sarebbe stata quella di proporre una carrellata di elefanti dipinti, scolpiti, disegnati eccetera – ma ho scoperto (grazie, M.!) che c’è chi l’ha già fatto.

Quindi oggi gli elefanti si trovano altrove – e per la precisione su Didatticarte.

Vedrete che la rassegna è ampia ed eclettica, dalle statuette preistoriche a Dumbo, dalle monete greche alla pubblicità, passando per Rembrandt e i cristalli di Lalique…

Buona passeggiata artistico-elefantina – e buon compleanno, L.!

 

Giu 19, 2015 - anglomaniac, Londra, posti    Commenti disabilitati su Un salto alla Tate Britain

Un salto alla Tate Britain

Snow Storm: Hannibal and his Army Crossing the Alps exhibited 1812 by Joseph Mallord William Turner 1775-1851

JMW Turner, Annibale attraversa le Alpi (tempesta di neve)

Cominciamo con quei post estivi che ogni tanto si fanno. Una volta, qualche anno fa, parlavamo di vacanze virtuali, ricordate? un giringiro per i più bei musei d’Europa da visitarsi via mouse.

Ebbene, quest’oggi aggiungiamo un altro favoloso museo: la Tate Britain. Sì, lo sospettavate dal titolo e dal Turner qui sopra – perché. tra l’altro, la Tate ospita nella Clore Gallery una meravigliosa e ricchissima collezione di Turner… E in effetti non è proprio dietro l’angolo, ma c’è di buono questo ottimo sito, che vi consente di sperimentare abbastanza da vicino la commistione di grande arte, ricerca e divulgazione che caratterizza la Tate.

Qui potete navigare attraverso le collezioni, guardare video, leggere articoli e blog, sbirciare dietro le quinte di mostre ed eventi, seguire corsi gratuiti di storia e filosofia dell’arte, e un’infinità di altre cose interessanti… La Tate è meravigliosa a questo modo, con un ricchissimo programma di corsi, mostre, workshops, conferenze, concerti e magnifiche idee, come la rotazione di mini-mostre tematiche e le mini-conferenze settimanali, in cui dipendenti, curatori e volontari illustrano al pubblico le loro opere preferite.

Insomma un museo da sogno, splendidamente organizzato attorno a una serie di bellissime collezioni, vivo, attivo e stimolante – e per di più in buona parte gratuito. Un luogo splendido in cui passare del tempo – anche solo virtualmente.

 

 

Chi Ha Detto Che Deve Essere Facile?

Era una notte buia e tempestosa, tornavo dalle prove di Somnium Hannibalis ed ero di umor tetro, perché la regista latitava causa bronchite e le prove erano andate… vogliamo dire così-così? Diciamolo pure, ma è la più spudorata sottovalutazione di un disastro impellente che si possa immaginare. All’improvviso, la mia posizione di aiuto-regista si era fatta assai meno teorica, ed ero terrorizzata. Altrettanto all’improvviso, la compagnia mostrava una limitata propensione a darmi retta, e naturalmente mancavano pochi giorni al debutto, eravamo tutto fuorché pronti, mancavano dei costumi, mancava una persona e l’uomo delle luci non si era fatto vedere per la terza sera di fila…

Così mi preparai una tazza di tè (deteinato) al bergamotto, mi piazzai davanti al computer e cominciai a controllare un po’ di posta, senza badarci nemmeno troppo. Era stata proprio una pessima giornata, a teatro le cose erano andate come erano andate e, per di più, non avevo scritto un bottone, e il progetto in corso si mostrava riottoso alle mie intenzioni.

Mentre sorseggiavo il tè sentendomi doomed & gloomy, l’occhio mi cadde sulla mail di un’amica americana che cantava le lodi del blog di McNair Wilson, uno di quei personaggi difficili da catalogare, scrittore, autore teatrale, regista, attore, imagineer per la Disney e chi più ne ha più ne metta. “E poi gli piace il tè al bergamotto,” commentava H. “Devi assolutamente vedere il suo blog!”

E che avevo mai da perdere? Diedi un’occhiata al suo blog, Tea With McNair* – e per prima cosa vidi che aveva promesso di non postare più e invece postava ancora. Cominciamo bene. E poi, mentre saltellavo di qua e di là, m’imbattei in questa affermazione: It’s supposed to be hard. It’s art. Ovvero: “Deve essere difficile: è arte.”

Folgorazione.

E’ vero, è vero, è vero – e non parlo solo, e non tanto, di SH: chi ha detto che deve essere facile? Non deve affatto essere facile. Se fosse facile, se venisse fuori quasi da sé, se non richiedesse sforzo, e pensiero, e fatica, e rigore, non sarebbe arte. Se non rendesse necessario pretendere tanto da sé e dagli altri, se non comportasse una ricerca continua, se non svegliasse nel cuore della notte per annotare un’altra idea, se ci si potesse accontentare, se non fosse il lavoro e la quest di tutta una vita, allora non sarebbe arte. Se trovasse sempre tutti d’accordo, se non andasse difeso con le unghie e con i denti, se non implicasse miracoli di manipolazione, bellicosità e diplomazia, allora non sarebbe arte.

Non importa che cosa sia: scrivere, suonare, comporre, dipingere, mettere in scena, scolpire – non fa differenza, ma non è, non può essere, non deve essere una passeggiata per praterelli fioriti: è una truculenta, appassionante, faticosa, infinita, splendida battaglia. Non deve affatto essere facile: è arte.

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* Di cui per il momento Steno mi costringe a passarvi il link in questa maniera incivile: http://www.teawithmcnair.typepad.com/tea_with_mcnair/#tp