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Mag 11, 2018 - libri, libri e libri, posti    Commenti disabilitati su Sandra Manzella: Gerusalemme – Viaggio al Centro del Mondo

Sandra Manzella: Gerusalemme – Viaggio al Centro del Mondo

IMG-20180510-WA0008Se mai c’è stato e c’è un luogo che è crocevia simbolico in tutti i modi possibili, questo è Gerusalemme.

Storia, fedi, guerra e pace, paure e speranze, popoli diversi – stanziali o di passaggio – lingue, idee, imperi… Tutto sembra incrociarsi a Gerusalemme, in un fermento che continua da millenni e non accenna a placarsi. Ed è inevitabile, nella natura delle cose, dell’umanità e delle storie, che una città così prismatica si racconti in un numero infinito di modi: non lo so per certo, ma sospetto che, a raccoglierli tutti insieme, i libri su Gerusalemme riempirebbero una seria biblioteca. Questo perché possiede una storia lunghissima e complessa, perché le discordie bevono più inchiostro della pace – ma anche perché ogni viaggiatore che giunge a Gerusalemme poi ne porta in qualche modo il segno.

È quel che è successo anche a Sandra Manzella – insegnante, divulgatrice, e appassionata di archeologia biblica: Gerusalemme l’ha catturata la prima volta che ci ha messo piede, e non l’ha più lasciata andare completamente. Così lei ha risposto al richiamo ed è tornata, ancora e ancora, per conoscere la città – ma non da turista né, tutto sommato, da pellegrina.

Ed è proprio questo accostarsi che Sandra racconta nel suo libro Gerusalemme – Viaggio al Centro del Mondo: un accostarsi lento, accurato, curioso e rispettoso. Un’esplorazione della città nelle sue dimensioni talvolta inattese ma imprescindibili (sapevate che esistono una Gerusalemme sotterranea e una aerea?), nei suoi tempi e nelle sue sonorità uniche, nelle sue tensioni, nei suoi sommovimenti…

IMG-20180510-WA0011Parte quaderno di viaggio, parte riflessione personale, parte osservazione acuta di una fetta di storia e di umanità, questo Gerusalemme è soprattutto il diario di un modo di viaggiare lento, individuale e profondo, che nulla ha di turistico – ad occhi, mente e cuore bene aperti.

Sandra presenterà il suo libro domani alle 16, nella Sala Pozzo del Museo Diocesano di Mantova. Ci sarà un prezioso e inconsueto momento musicale di sapore gerosolimitano, a cura del coro da camera Il Bell’Umore, ci sarà un altro viaggiatore d’eccezione come lo storico dell’arte Monsignor Roberto Brunelli – e ci sarò anch’io.

Unitevi a noi: viaggeremo insieme al centro del mondo.

Oh – e il libro si trova qui.

Apr 16, 2018 - grillopensante, posti    Commenti disabilitati su Plunk!

Plunk!

stift griffen,carinzia,austria,aspettativeUna decina d’anni fa, in una giornata di temporali e arcobaleni, mi capitò di imbattermi in Stift Griffen, una piccola abbazia benedettina nella Carinzia orientale.

Griffen era – e suppongo sia ancora – un posto incredibile, vecchio di quasi otto secoli, sperduto tra i boschi. Una delle due chiese – quella barocca – e il cimitero sono ancora in uso, ma gli edifici monastici sono parzialmente in rovina. In un’ala è installato un gasthaus, nel cortile crescono dei noci secolari e tutt’attorno ci sono giardini inselvatichiti e un frutteto murato. Nella luce del pomeriggio temporalesco, pocp meno di dieci anni fa, il contrasto tra la coloratissima facciata barocca, la mole severa della chiesa romanico-gotica e le finestre vuote incorniciate dalle volute di stucco sgretolato, la combinazione di secoli, bellezza, isolamento, rose inselvatichite e rovina mi diedero i brividi. stift griffen,carinzia,austria,aspettative

Non era possibile visitare nulla, allora – in Austria il concetto di “troppo tardi” ha tutto un altro significato – e me ne venni via in un tripudio di arcobaleni, scrosci di pioggia e raggi obliqui, con la meravigliosa sensazione di essermi imbattuta in un gioiello naufragato fuori dal tempo. E mi ripromisi di tornarci. Why, una volta a casa scrissi persino una cosa ambientata a Griffen – un piccolo atto unico buttato giù in tre giorni sull’onda dell’entusiasmo.

E per un anno strologai su Griffen, sognai ad occhi aperti di Griffen, desiderai di tornare a Griffen. E cercai di documentarmi su Griffen – cosa non facile perché non si trova nulla in materia, se non qualche accenno in Tedesco, giusto abbastanza per scoprire che l’abbazia era stata fondata nel XIII Secolo e soppressa dal solito Giuseppe II nel 1786. Meditando addirittura di organizzarmici una writing week , feci persino qualche ricerchina sul gasthaus nel cortile del monastero. Già m’immaginavo a scrivere sotto i noci secolari, a passeggiare per il giardino al crepuscolo, a cenare in una stube rivestita di legno scuro con i trofei di caccia alle pareti, ad ascoltare il rumore della pioggia dalla mia stanza enorme e freddina, immaginando il monastero vuoto e buio e desolato tutt’attorno*…  Feci qualche ricerchina, dicevo, e scoprii che il gasthaus è un ristorante per vaste comitive.

stift griffen,carinzia,austria,aspettativeE a questo punto voi la vedete arrivare, la palata incombente,  vero?

Io no. Io mi precipitai di nuovo a Griffen l’estate – non per restarci, solo per visitarla finalmente, e magari prenotare una stanza per l’inizio di settembre. Mi ci precipitatai come ci si precipita a un ricongiungimento, guidando per quattrocentocinquanta chilometri in una mattinata, trascinandomi dietro mia madre (“devi, devi, devi vedere…”), ricostruendo la strada a memoria, immaginando i miei personaggi nello scenario, pregustando meraviglie all’altezza dell’impressione vecchia di un anno e accuratamente indorata nel ricordo.

Immaginatemi che ritrovo la stradina nei boschi, costeggio il muro del frutteto e quello del cimitero, svolto nel cortile con i noci secolari e…

…E lo trovo invaso di turisti in lederhosen e macchine fotografiche – un gruppo arrivato in pullman, ciabattante e rumoroso al modo di chi avesse già tracannato una certa quantità di birra.

Plunk!stift griffen,carinzia,austria,aspettative

E questo era il rumore delle mie dorate attese e della mia Griffen immaginaria che cadono al suolo. Oh sì. abbiamo visitato le due chiese – quella barocca, con le lapidi medievali perse tra le dorature e le statue di legno drammatiche e variopinte, e quella medievale, tutta bianca, nuda, piena di luce e di polvere – ed erano bellissime. Quando non arrivavano gli schiamazzi dei touristen, il silenzio era denso come il latte. Peccato che non succedesse granché. E abbiamo passeggiato per il giardino overgrown, dove non ricordavo che sorgesse un orribile retrocucina di legno, tutto luci al neon e sfoghi di ventole.

“Sei sicura di volerci stare una settimana?” ha chiesto mia madre.

E a quel punto avremmo potuto fuggire, e invece siamo entrate nel gasthaus attraverso un atrio con il pavimento di linoleum e le porte Anni Settanta, dove l’aria sapeva di risciacquatura di cucina. E nel bar c’erano questi mobili di legno chiaro molto cheap – figuratevi peggio-che-Ikea con tappezzerie dai colori fluo – e la radio locale che trasmetteva musica da discoteca, e un’anziana signora in ciabatte e grembiule che, quando le abbiamo chiesto limonata, ha chiesto se l’aranciata andava bene e poi ci ha servito succo di albicocche.

Plunk! Plunk!

“Das Stift ist sehr schoen,” le ha detto mia madre – e so che cosa stava cercando di fare. Sperava che la signora si lanciasse in lai su quanto è difficile gestire un posto come quello, su come il gasthaus si è dovuto adattare alle comitive per sopravvivere, su come rimpiange i tempi in cui tutto era austero e solitario**…

Invece no. La signora ha guardato mia madre con blank eyes e ha borbottato di sì, e che bevessimo pure con calma che non c’era fretta.

Invece la fretta c’era e siamo fuggite via. Nel recuperare l’automobile sotto i noci secolari, ho intravisto un portone che sembrava dare su qualche tipo di cortile interno. Non mi sono nemmeno avvicinata – metti mai che dentro ci fosse una sala con il karaoke…

Ecco. È stato doloroso – e ben mi sta. Avevo trovato un posto perfetto, ne avevo un ricordo emozionante, ci avevo ricamato su, ci avevo persino ambientato una storia… Non potevo lasciare le cose come stavano? Dovevo proprio tornarci e distruggere la mia Griffen immaginaria? Come dicevo, ben mi sta, perché dovrei saperlo: mai, mai, mai tornare nei Posti che abbiamo caricato di troppe aspettative. Mai.

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* How very gothic, isn’t it?

** Col che non voglio farvi credere che sarei capace di capire in dettaglio un discorso del genere in Tedesco… Ma mi sarei accontentata di intuirne vagamente il senso, se la signora l’avesse detto.

Ago 7, 2017 - posti, Storia&storie    Commenti disabilitati su Imperi Perduti – Una Collezione

Imperi Perduti – Una Collezione

Questo, abbiate pazienza, è un post vagamente sentimentale. Ma il fatto è che l’altro giorno si parlava con C. d’imperi – imperi che finiscono, imperi di cui resta l’ombra, imperi che si sfanno in polvere –  e la discussione mi ha portata a rimuginare sulla mia personale collezione d’Imperi Perduti – o quanto meno sulle ombre che ne ho trovato, in loco, talvolta molto altrove, e tra le pagine dei libri.

lisbon-cathedral.jpgLisbona è una città bizzarra. Triste, grandiosa e trascurata, costellata ancora di rovine del terremoto del 1746, con la sua torre sul Tago, l’Alfama afosa e sudicia aggrappata attorno al rudere del castello, e caravelle dappertutto. Caravelle nei musei, ex voto in miniatura nelle chiese, giostre per i bambini, stilizzate nei marchi, nei simboli – ovunque. L’impressione è di orgoglioso abbandono, come se tutta la città sussurrasse di continuo: che importa? Lasciate che tutto crolli: l’Impero è perduto, che importa, ormai?

A Londra invece si passeggia per lo Strand circondati da edifici dai nomi come Australia House, Zimbabwe House, High Commission of India, Commonwealth Secretariat, Quebec Government Office… e benché sia passato più di un secolo da quando Kipling scrisse il suo Recessional, nei negozi di tè si trovano ancora sacchetti che portano tutti i nomi del mondo, Tuvalu nel Pacifico rifiuta pervicacemente di avere altro sovrano che la Regina d’Inghilterra, le università pullulano dei figli del buon vecchio Commonwealth, e tutta la città pulsa e ferve ancora con l’aria di deliberata alacrità che si confà al cuore di un mondo intero. Se è svanito dagli atlanti, l’Impero qui è vivo in spirito.Komsomolskaya_Square.jpg

A Mosca c’è la piazza Komsomolskaja, su cui si affacciano tre enormi stazioni ferroviarie più una: quella Primi Novecento della linea per Sanpietroburgo, quella a forma di yurta della Transiberiana e la stazione dall’aspetto asiatico della ferrovia di Kazan, a cui si aggiunge un capolinea della metro in stile neoclassico. La piazza è enorme, affollatissima, e a tutte le ore brulica di gente in partenza e in arrivo. Non so se sia ancora così, ma una quindicina di anni fa le halls colossali erano stipate di Russi ed ex-Sovietici di ogni possibile etnia, inverosimilmente carichi di bagagli, rumorosi, seduti per terra, occupati a spingere, a sgomitare e a litigare tra di loro in una babele di lingue. Anche se l’impero è franato ormai ripetutamente, ha lasciato dietro di sé, quanto meno, un centro nevralgico vivo nella Komsomolskaja.

Sbarcando a Sanpietroburgo, poi, si trova (o almeno si trovava quei quindici anni orsono) quel bizzarro fenomeno per cui, persino sulla Nevskij Perspektiv, le facciate dei palazzi sono meravigliose, ma guai a muovere un passo oltre la soglia: dietro tutto è abbandonato e sudicio. L’intera città, con le sue prospettive perfette, Santa Maria di Kazan come una San Pietro nera, i giorni lunghissimi e gli scorci incantevoli, sembra una quinta teatrale: magnifica e fasulla. Viene da chiedersi se l’Impero, quello che intendeva Pietro il Grande, sia mai esistito per davvero.

baalbek-Temple-of-Jupiter.jpgÈ quasi un paradosso che l’Impero di Roma io l’abbia visto per la prima volta in Libano. No, non è vero, naturalmente: ogni volta che torno a Roma me ne innamoro un po’ di più, e però ogni tanto, mentre ammiro i Fori, o la Basilica di Massenzio, o una qualsiasi altra meraviglia, non posso fare a meno di domandarmi – con uno stringimento di cuore – che effetto farebbe la città a un antico Romano che potesse vederla adesso. E la risposta non è confortante: un disperato smarrimento nel vedere i ruderi di ciò che aveva creduto solidamente immutabile*. Forse è per questa malinconia che non penso troppo volentieri all’Impero, quando sono a Roma. Per paradosso, come dicevo, la sensazione è stata tutt’altra quando a Baalbek mi sono trovata di fronte i colossali templi della periferia, dov’era più importante che mai lasciare impronte possenti. All’ombra di quelle formidabili affermazioni di pietra, la possenza di Roma mi ha colpita con una forza sconcertante. Là dove non mi appare smussato dalla storia successiva, l’Impero ha lasciato dietro di sé fantasmi molto solidi, molto indubitabili.

Vienna è sotto molti aspetti un’adorabile città, ma dopo avere letto Joseph Roth non l’ho più vista con gli stessi occhi. L’Impero di Roth, degli Asburgo, delle molteplici etnie raccolte sotto un’idea, l’Impero della mia nonna friulana** che dava a suo figlio i nomi del penultimo imperatore, quell’Impero Cripta.jpgelefantiaco, multilingue, ordinato nel suo disordine, austero, lento e immutabile è morto con Franceso Giuseppe e si è decomposto con la Prima Guerra Mondiale. Certo non è nelle vetrine delle pasticcerie in forma di sacher-torten o pasticcini serviti a legioni di turisti, non è nelle onnipresenti mozartkuegeln, non è nelle figuranti in abito da Sissi che si fanno fotografare nelle piazze e nei parchi, non è nelle canzoni sentimentali che i violinisti suonano nei ristoranti. Dell’Impero Vienna ha sposato un’oleografia edulcorata, consolante per il carattere nazionale e buona per il turismo, tradendo l’idea sovrannazionale, antichissima e variamente sacra. Di quella resta soltanto la Cripta dei Cappuccini nel Neue Markt.

E per finire, ho avuto il dubbio ma indimenticabile privilegio di vedere il crollo di un impero, quello sovietico. Non parlo tanto delle immagini televisive – nemmeno dell’ultimo ammainabandiera della falce e martello dal Cremlino – ma di qualcosa di più piccolo che ho visto di persona: gli sconsolati soldati sovietici in quella che, nell’agosto del 1990, era ancora la Germania Est, naufraghi di uno stato che non aveva di che riportarli a casa né pagare loro uno stipendio. A Lipsia pattugliavano pro forma la stazione, una manciata di Caucasici con le uniformi disordinate e il passo stanco di chi non sa bene che cosa sta facendo. A Dresda, giovanissimi e macilenti, sedevano in fila sulle panchine davanti alla Pinacoteca, inseguendo il sole o l’ombra a seconda dell’ora, perché non avevano dove altro andare nelle ore di libera uscita. A Berlino si sporgevano da dietro la garitta del monumento al Milite Ignoto Sovietico, implorando i turisti (in Inglese molto approssimativo) di comprare una mostrina, una bustina, un paio di guanti… i brandelli del loro Impero in sfacelo. È qualcosa che non dimenticherò mai.

In tutta la sua gloria di ricordi veri e propri, polvere di biblioteca e wishful imagining, questa è la mia collezione. Che volte farci? Ciascuno è sentimentale a modo suo.

E voi? Voi ne avete d’imperi perduti?

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* Mutatis mutandis, non posso fare a meno di pensare alla scena de Il Pianeta Delle Scimmie in cui Charlton Heston scopre sulla spiaggia un frammento della Statua della Libertà. IPdS, e quella scena in particolare, ha dato origine a molti incubi della mia infanzia.

** Friulana e un po’ slovena, truth be told. Ma lei, a detta di suo figlio, si considerava asburgica.

Lug 5, 2017 - grilloleggente, posti    2 Comments

10 Viaggi Storico-Letterari

LLTCRicordate la Literary London Touring Company? Nel corso di una drammatica riunione, i vertici di LLTC hanno deciso che il mercato, la congiuntura e la naturale evoluzione aziendale impongono di allargare il campo d’azione dell’agenzia da Londra all’Europa tutta, aggiungendo alle passeggiate londinesi una serie di itinerari sulle tracce di romanzi, autori e storia varia. Considerateci un incrocio tra Thomas Cook e Waterstone’s.

E siccome l’estate è giunta, ed è tempo di meditar di vacanze e viaggi, ecco una prima selezione di idee – qualcuna sperimentata, qualcuna della materia di cui son fatti i sogni:
DonQ1) Esquivias, Toledo, Almagro, Puerto Lapice, El Toboso, Mota del Cuervo e Belmonte… un sacco di Spagna rossiccia e bruciata dal sole, mulini a vento, case bianche, città medievali e laghetti incantati sulle tracce del Don Quixote, con puntata ad Alcalà de Hénares (in onore di Cervantes).

2) To(s)tes, Ry e Rouen: campagna profonda, burro, nebbia e cattedrali gotiche nella Haute Normandie di Madame Bovary. Con serata all’opera – possibilmente Lucia di Lammermoor.

3) Puntata extraeuropea: Yenbo, Weih, Aqaba, Maan, Amman, Deraa, Damasco – ripercorrendo le tappe di Lawrence e dei suoi guerriglieri arabi, su su lungo la ferrovia dell’Hijaz, in Giordania e in Siria… Con escursioni facoltative a Suez e Bersheeba. Non necessariamente tutto a dorso di cammello, però. AlanTrek

4) Per gente dai forti garretti, la sgambata di David Balfour e Alan Breck Stewart su e giù per le Highlands scozzesi, tra l’erica, le pecore e gli haggis dalla sperduta isola di Iona fino a Balquhidder, Stirling e infine Edinburgo – comprensivo di partita a carte in nascondiglio di montagna e concerto di cornamusa.

5) Una crociera da Lisbona a Cadice ad Arzila in Marocco – e da lì a cavallo ad Alcacér Quibir, il luogo della Battaglia dei Tre Re, sulle orme della tragica crociata di Don Sebastiano del Portogallo nel 1578. Ritorno garantito – senza versamento di riscatto.

6) Mosca-San Pietroburgo in treno, come Anna Karenina – lungo tragitto diritto tra boschi di betulle e piane nebbiose, allietato dai mercatini improvvisati sui marciapiedi nelle fermate, dove le babushke insciallate vendono frutti di bosco, funghi, semi caramellati e centrini. È vivamente consigliato avere al seguito musica di Tchaikowskij e qualche voluminoso romanzo russo (o francese), dalle pagine intonse. Il tagliacarte d’argento è de rigueur. Vietato attraversare i binari – servirsi del sottopasso.

ElephantCruise7) Cartagena, Sagunto, i Pirenei, il Reno (crociera fluvialelefantina), un passo alpino a scelta, Torino, la Trebbia, il lago Trasimeno, Canne, Capua, breve puntata su Roma, Taranto, traversata in Africa, Adrumeto, Cartagine, Zama. Un viaggio impegnativo: durata consigliata – una  ventina d’anni.

8) Ancora Spagna: Madrid, Alcalà, San Lorenzo del Escorial, San Yuste (che pure è più fuori mano di quanto Schiller credesse), sulle tracce di Don Carlos.

9) 12 giorni nella Francia centro-occidentale, a piedi tra Le Monastier e Saint-Jean-du-Garde, come Stevenson e la sua asina. Gli abitanti di Le Monastier allevano scuderie piene di asinelle astute e cocciutissime chiamate Modestine, e le addestrano alla nobile arte del ricatto morale prima di noleggiarle ai camminatori stevensoniani.Soliman

10) Viaggio complicato: da Lisbona a Barcellona per via di terra, poi per nave fino a Genova. Ancora per terra Milano, Cremona, Mantova, il Brennero, Innsbruck e da lì una lunga crociera fluviale via Inn e Danubio fino a Vienna. La bellezza del viaggio consiste nel compierlo a dorso d’elefante – come avvenne per il pachiderma Solimano alla metà del Cinquecento. Si tende a pensare che l’unico a scriverne sia stato Saramago, ma in realtà Solimano vanta a suo credito tutta una letteratura, dai poemi coevi, alle storie per bambini, alla saggistica, a un trattato sulla diplomazia elefantina…

Ecco. Per una volta, dieci ne avevamo promessi e dieci sono. In alternativa, potete considerarla una lista di suggerimenti per le letture estive. E si capisce che The LLTC sarà lieta di prendere in considerazione suggerimenti, idee ed ispirazioni.

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Giu 19, 2017 - posti    Commenti disabilitati su Dodici Pillole Maltesi

Dodici Pillole Maltesi

MaltaColours1. Il colore di Malta a prima vista – dal finestrino dell’aereo: oro pallido i campi coi muretti a secco, verdi le frange d’oleandri e fichi d’india e indaco il mare. Il colore giusto.

2. Sliema di pomeriggio – con le persiane azzurre, i balconi colorati, le bougainvillee che si arrampicano su per le facciate, i gatti che riposano all’ombra e i negozi chiusi – e non un’anima in giro.

3. Una granita al limone, tra sole e vento, sulla terrazza che guarda su Balluta Bay.

Manoel4. La fuga di mura e torri e bastioni e campanili color miele – l’Isola Manoel, Floriana, la Valletta – vista dalla marina di Msida.

5. La nuova porta cittadina della Valletta – opera di Renzo Piano – con la pietra moderna che si fonde così bene con quella antica, con la stessa impressione di forza duratura.

6. La commistione di lingue nelle strade della Valletta – la cantilena araba del Maltese, Inglese, Italiano, e poi Francese, Spagnolo e whathaveyou, come era di certo ai tempi dei Cavalieri.

CaravaggioStJohn

7. Il San Giovanni Decollato di Caravaggio nell’Oratorio della barocchissimissima concattedrale di San Giovanni – feroce e meraviglioso, e la luce… oh, la luce!

8. La finestrella delle scale di San Paolo del Naufragio, che guarda su una sagrestia semibuia, con un lampadario a gocce e un armadio scuro in cima al quale una parrucca da giudice inglese se ne sta appollaiata e polverosa come un uccello impagliato.

9. Il cortile medievale di Palazzo Falson,  cartolina di un Medio Evo siculo-normanno-bizantino di fantasia, reimmaginato dal Capitano Gollcher nella magnifica antica capitale Mdina.

Grand Harbour10. Una gloria di campane e colpi di cannone che si rispondono attraverso il Grand Harbour, tra la Valletta, Cospicua, Vittoriosa e Senglea a mezzogiorno.

11. Pastizzi maltesi per pranzo al bellissimo Caffè Cordina in Republic Street.

12. Forte Sant’Elmo, poderoso e opprimente – e in qualche modo desolato persino nella più luminosa e azzurra delle giornate – come ci si aggirassero ancora gli sfortunati difensori del 1565, i cavalieri di San Giovanni, morti dal primo all’ultimo per guadagnare un po’ di tempo ai loro confratelli a Sant’Angelo.

E poi gli autobus sobbalzanti dai tragitti incomprensibili, e gli orafi che lavorano la filigrana nelle botteguzze semibuie, e i magazzini dei fornitori navali lungo il porto, e adesso davvero non so più se a Malta devo assolutamente tornarci o se non devo tornarci mai più per non guastare le memorie felici e piene di luce di questo viaggio.

Ott 3, 2016 - posti, Somnium Hannibalis, teatro    Commenti disabilitati su Un Regno per Scenario – ovvero, lo Spirito dei Luoghi

Un Regno per Scenario – ovvero, lo Spirito dei Luoghi

 

2PTeresianaParlavamo qualche tempo fa del potere degli oggetti di scena, vero?

Ebbene, Il Testamento di Virgilio alla Teresiana, sabato pomeriggio, mi ha ricordato con una certa energia che il potere dei luoghi non è affatto da meno. E questa volta non sto pensando ai luoghi ricreati dallo scenografo – quella è un’altra faccenda. No, ho in mente i luoghi in cui si recita.

I teatri prima di tutto, s’intende. I teatri sono luoghi deputati a contenere rappresentazioni, pensati e costruiti per essere funzionali a quella specifica attività – e fin qui siamo tutti d’accordo. Poi ci si può dividere sul fatto che alcuni teatri siano più teatri di altri, o quanto meno su quali lo siano di più. A volte è una questione di antica tradizione, a volte invece di atmosfera, consuetudine, pubblico, chimica – o magari di quelle cose che ci sono in cielo e in terra, più che in tutta la filosofia. E immagino anche che per lo più sia una questione molto soggettiva.

Per dire, adoro la Scala, Covent Garden, L’Opera di Roma e quella di Vienna e, contro ogni aspettativa, l’Arcimboldi, mentre l’Opera di Torino e quella di Firenze mi lasciano freddina, e detesto di cuore l’Opernhaus di Zurigo – nonostante ci abbia visto un magnifico Onegin. Ricordo con affetto il New Theatre di Cardiff e il Noël Coward a Londra, e al Romano di Verona sono ambientati alcuni tra i miei più meravigliosi e miliari ricordi teatrali.3750945359

Posso soltanto immaginare che funzioni come, in piccolo, funziona per me con tre teatri di Mantova e Provincia: il Bibiena è bellissimo a vedersi, in teoria una cornice perfetta per quasi tutto – ma non posso  e non ho mai potuto fare a meno di trovarlo un pochino freddo. Il Teatro all’Antica di Sabbioneta è un altro posto incredibile – ma ho due ricordi soltanto: un recital di lirica con un pubblico distratto e disattento, e un mio son-et-lumière con nessuno in platea se non genitori, zii, coniugi, figli e gente che ci eravamo portati da casa. Il posto era magnifico, ma ci sentivamo attorno la Sonnetscompleta indifferenza degli indigeni… Not nice. E poi invece il minuscolo Teatrino d’Arco, ricavato nelle scuderie di un palazzo, strettino e intimo, ha qualcosa-qualcosa. Sarà che palco e platea si guardano negli occhi sarà che è la sede di una storica compagnia e ne ha assorbito lo spirito… Potreste sospettare che io sia di parte, ma credo di non essere l’unica mantovana a sentire la differenza di temperatura teatrale e ideale tra il d’Arco e il Bibiena…Hannibal

E poi ci sono i posti fuori. Quelli che non sono, tecnicamente parlando, teatri – ma sono così perfetti, così ideali. Si fondono con il testo e con l’interpretazione, aggiungono colore e personalità… Ho avuto fortuna, e me ne sono capitati diversi. La Sala Teresiana, l’altra sera, con i suoi scaffali altissimi pieni di tomi antichi, la galleria, i globi del XVII secolo, le teche e i banchi… perfetto per questa storia di ciò che resta  scritto, e ciò che resta otherwise. E Shakespeare in Words nell’Esedra – che non solo è bella ma, essendo rinascimentale e classicheggiante, calza come un guanto alla Roma di Shakespeare. E, qualche anno fa, il Somnium Hannibalis alla Rotonda di San Lorenzo, che non ha richiami storico-ideali con il testo, ma è una cornice di bellezza straordinaria. E molti anni fa, un angolo di cortile in un collegio pavese, con una pergola d’uva e una porticina dalla ringhiera di ferro battuto, che sembrava fatta apposta per l’Uomo del Destino di Shaw…

13912691_10205166157872777_3639161210640259264_nPoi ci sono state le cose non fatte – più di tutto un certo cortile rinascimentale illuminato di taglio a luce ramata, con un palcoscenico per metà smontato. Se avessi potuto scegliere, se fosse stato sicuro, se tante cose – è lì che avrei voluto il mio Somnium. E  ci sono le cose che vorrei fare. Ormai amici e famigliari hanno imparato a riconoscere il luccichio matto che mi compare negli occhi alla vista di un posto, un cortile, uno scalone, una piazza, una facciata, una sala, un tratto di mura che secondo me…

“Sì, sì – teatro. Che meraviglia sarebbe farci qualcosa,” sospirano – e portano pazienza, perché sono rassegnati all’idea che è così che si diventa: si vedono storie e teatro dappertutto.

 

Lug 8, 2016 - anglomaniac, posti    2 Comments

Visit Britain by Train

TrainEEssendosi estate e il fine settimana incipiente e tutto quanto, magari siete in vacanza, o Lettori… *

E se invece non ci siete affatto, ecco uno di quei post vacanzieri in esplorazione di viaggi vicari e meraviglie della Rete. Questa volta è una faccenda di treni in Inghilterra. Prima una piccola reminiscenza: se qualcuno di voi ha studiato e/o vissuto a Pavia, chances are che sia andato almeno una volta a prendere il gelato o la cioccolata calda con lo zabaione da Cesare. Per i non Pavesi né pavesizzati, Cesare è una latteria cum gelateria in Corso Garibaldi,  che fa queste cose peccaminosamente buone… Ai miei tempi, se ci si voleva sedere per bagolare bevendo la cioccolata calda, c’era questa saletta con i tavolini e i poster ferroviari alle pareti.

Ah, bei tempi. È ancora così? Chissà… Non  vado a Pavia da secoli. O Pavesi, ditemi: è ancora così? trainD

Ad ogni modo, nostalgie a parte, i poster ferroviari inglesi sono una delizia di un genere tutto suo. Illustrati per essere attraenti, con i colori irreali e nostalgici di un toy theatre, promettono destinazioni idilliache: spiagge spensierate, campagna perfetta, castelli, cattedrali, paesetti e città incantate, treni che volano su viadotti audacissimi e reminiscenze storico-letterarie**…

Basta cercare “vintage British railway posters” su Google per tuffarsi a visitare questa Gran Bretagna che non solo non c’è più – ma forse non c’è mai stata – a bordo di treni dai nomi romantici come the Night Scotsman, The Queen of Scots o The Cornish Riviera Express.

Train1Qui invece ne trovate una buona raccolta suddivisa per contea.

Buon viaggio immaginario su e giù per l’Isoletta.

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* Io no. Debutto in arrivo per qualcosa di cui parleremo e, di conseguenza, proveproveprove.

** Forse il mio preferito è “Breezy Kent Coast – Caesar’s Choice!”

Qualsiasi

Mag 20, 2016 - posti, Storia&storie, tradizioni    Commenti disabilitati su Palio!

Palio!

PalioLogoSapevate che il Palio di Ferrara è il più antico del mondo?

Io l’ho scoperto di recente, dopo essere stata coinvolta nella faccenda… per iscritto e di persona.

Sabato sera Hic Sunt Histriones sarà a Ferrara per il Giuramento delle Contrade, ricreando il tempo e le storie di Ludovico Ariosto – soprattutto l’Orlando Furioso, di cui quest’anno ricorre il quinto centenario dalla pubblicazione. E ci sarò anch’io, che ho curato il testo in versi per la Corte Ducale – e non  vedo l’ora di vederlo rappresentato nella bella Piazza Municipale. E sfilerò nel corteo, nei meravigliosi panni di una dama della Corte Ducale… Anche di questo, confesso, non vedo l’ora. Palio_mesi_mese_di_aprile

Se siete dalle parti di Ferrara, perché non venite a vederci? Millecinquecento figuranti in costume, un Maestoso Corteo, poesia, musica, duelli e danze… Sarà un viaggio nel tempo, contrada dopo contrada,  fino al Rinascimento cortese dell’Ariosto… Direi che ci sono modi assai peggiori per passare un sabato sera di fine maggio.

Se volete informazioni, qui c’è il sito del Palio, e qui potete scaricare il programma. Meanwhile, Este viva!

 

Set 20, 2015 - musica, posti    Commenti disabilitati su L’ultima volta che ho visto Parigi… ♫

L’ultima volta che ho visto Parigi… ♫

ParisbwE dopo Londra, Parigi.

E il primo giorno a Parigi bisogna procurarsi un po’ di pioggia, giusto?

Ciò è ancora per via di F., che – dopo Londra, tengo a far notare – aveva in mente Parigi. E allora Parigi sia, con questa faccenda di gente che ci torna e non trova più la Parigi che ricorda – mais n’importe: quella Parigi è indelebile nei cuori di coloro che la amano…

E sì, tutto ciò è tra il malinconico e il sentimentale. E sinceramente il film da cui viene è molto peggio. Van Johnson, Elizabeth Taylor, polmonite… ricordate? Confesso che il film non lo posso soffrire – però la canzone è deliziosa, e poi la versione che vi propongo è cantata nientemeno che da un Thomas Hampson in gran spolvero:

Ed è da ascoltarsi guardando le immagini di questa bellissima bacheca Pinterest – che prende il titolo da un altro e ben più incantevole film ambientato a Parigi.

E buona domenica parigina.

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