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Ott 20, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Shakeloviana: Era Marlowe

WGZIt Was Marlowe – A Story Of The Secret Of Three Centuries, di Wilbur Gleason Zeigler, non è quel che si dice un bel romanzo – ma merita un post perché lo si può considerare il capostipite del marlovianesimo…

Per capirci, i Marloviani sono coloro che sostengono che Will-Shakespeare-Il-Figlio-Del-Guantaio non può, non può, ma proprio non può avere scritto le opere che gli si attribuiscono – e che sono invece farina del sacco di Christopher Marlowe.

Ma, obbietta la persona ragionevole, Marlowe è morto nel 1593: come ha scritto tutto quel che viene fra il giugno del ’93 e il 1616? Ecco, i Marloviani non credono affatto a tutta la faccenda di Deptford – e nel corso dei decenni hanno formulato una serie di teorie in tutta la gamma dall’improbabile al fantapolitico per spiegare la sopravvivenza del loro beniamino…

Ma WGZ merita un occhio di riguardo, perché è stato il primo ad avanzare l’ipotesi nel 1895, decenni prima che Leslie Hotson dissotterrasse dagli archivi dell’English Public Records Office i documenti dell’inchiesta sulla morte di Kit, o che si scoprisse la storia del rapidissimo regio perdono a benefico dell’omicida Frizer…

Ora, chiariamo un punto. Ho già detto che, da un punto di vista accademico, sono agnostica in questa controversia: non soffro di nessun furore iconoclastico ai danni del povero Will, e vi cito la domanda che Robert Brustein, in una sorta di monologo-poscritto al suo play The English Channel, mette in bocca allo spettro dell’attore elisabettiano Richard Burbage: Com’è che voi moderni vi sentite in dovere di credere che chiunque in Inghilterra abbia scritto le opere di Shakespeare – tranne Shakespeare?

Resta il fatto che, dal punto di vista narrativo, identità nascoste, cospirazioni, intrighi e autori fantasma tirano molto più di un uomo un tantino dull che prospera scrivendo meraviglie. E resta anche il fatto che l’inchiesta sulla morte di Marlowe come appare dai documenti ufficiali, è piena di buchi grandi come lo Yorkshire – persino secondo gli affascinanti standard elisabettiani…

Ma nessuno di questi due è il punto: come dicevo prima, nel 1895 Leslie Hotson non era nemmeno nato, e poi WGZ faceva sul serio – sul serissimo, e aveva dato alle sue cogitazioni la forma di un romanzo perché non si sentiva accademicamente qualificato per fare altrimenti.

All’epoca, dovete sapere, già si disquisiva ampiamente sulla scarsa attitudine di Will-Shakespeare-Il-Figlio-Del-Guantaio al ruolo di Bardo, e il nobile, coltissimo Francis Bacon era il possibile Vero Autore prediletto dagli scettici – capitanati dalla fascinosa e non equilibratissima omonima (ma non discendente, credo) Delia Bacon.

WGZ lesse, meditò e scoprì di non essere d’accordo. Come avrebbe potuto un uomo come Bacon non rivendicare il merito di queste opere immortali? In realtà questo non è il più solido degli argomenti, perché all’epoca scrivere teatro era cosa dal poco serio al vagamente disgraceful, e perché alla morte di Bacon, nel 1626, l’immortalità del canone shakespeariano, era ancora tutta da stabilire. Per quanto il First Folio fosse stato pubblicato nel 1623 (decisamente un bel colpo nel fluido ed effimero mondo teatrale del tempo) è verosimile che Bacon preferisse farsi ricordare per ben altro – ma sia come sia: WGZ non era convinto, e si mise a cercare un altro Vero Autore.

E, sulla base della sua personale passione e di un innegabile numero di parallelismi, somiglianze, echi e, diciamo così, prestiti, decise che solo un uomo poteva avere scritto le opere di Shakespeare: colui che, senza ombra di dubbio, aveva già scritto in precedenza le opere di Marlowe – ovvero Marlowe stesso. E se tradizione voleva che Marlowe fosse morto nel 1593, WGZ non aveva dubbi: la tradizione sbagliava di grosso. O almeno, poteva sbagliarsi di grosso.

In fondo, che cosa si sapeva della morte in questione? Sì, c’erano numerose fonti indipendenti a confermarla – dalla gente pia che si rallegrava per l’estinzione dell’esecrabile giovanotto, ai fellow poets che lamentavano la scomparsa del giovane genio – ma così contraddittorie! Chi parlava di una rissa da taverna, chi di un duello (il sempre pittoresco, sempre inaffidabile Aubrey voleva Kit ucciso da Ben Jonson nel 1598*), chi della peste…

Anche in quella remota e arcadica era, il 1895, era già chiaro come il sole che non c’è gioia più grande per un romanziere storico di un bel fascio di fonti lacunose&nebulose. Chi avrebbe potuto o voluto bacchettare un romanziere per avere scelto qualche dettaglio dal mucchio e combinato il tutto in una storia?

E così WGZ cucì insieme i (parzialmente inaccurati) nomi di Francis Frizer e Richard Bame**, la (parzialmente accurata) ambientazione in una taverna, una storia d’amore del tutto fittizia (e nemmeno troppo rilevante per la trama, ma bisogna pur far contente le lettrici), le infondate idee secondo cui Marlowe avrebbe recitato nelle sue stesse opere e sarebbe stato ucciso con la sua stessa spada, le sue teorie letterarie – e da tutto ciò cavò It Was MarloweItWasM

Non è una meraviglia, ad essere sinceri. A parte il fatto che Kit uccide un suo sosia invece di esserne assassinato e poi vive nascosto per cinque anni in un palazzo in rovina scrivendo come un matto, WGZ è quel genere di autore che sente la necessità di informarci almeno tre volte per pagina che gli occhi brillanti e la vasta fronte del suo eroe mostrano l’impronta del genio, e che la sua eroina è dotata di bellezza quasi trascendentale. E poi il linguaggio oscilla tra il turgido delle descrizioni e il legnosissimo pseudo-elisabettiano dei dialoghi. E poi non c’è un finale, le coincidenze e le improbabilità abbondano, la peste colpisce e uccide nel giro di un quarto d’ora, gli uomini portano parrucche incipriate, i personaggi si raccontano l’un l’altro l’uso dei tempi per capitoli interi*** e sul tutto aleggia una certa dose di Sindrome della Bambinaia Francese – quella condizione per cui i personaggi di un romanzo storico pensano come gente contemporanea all’autore, che oggidì è un peccato capitale, ma ai tempi di WGZ era solo un esantema non diagnosticato.

Yes, well… Tutt’altro che un capolavoro – e tuttavia ce ne occupiamo perché WGZ, con le sue scarse informazioni, con il suo complessivo fraintendimento della mentalità elisabettiana, e su premesse condizionate dalla bardolatria, coniò una teoria destinata a fare scuola. Praticamente il mito fondante del Marlovianesimo: un’interpretazione narrativa basata su informazioni incomplete, massicce dosi d’immaginazione e un atto di fede. 

Se mai vi pungesse vaghezza di dare un’occhiatina, lo trovate qui.

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* È del tutto vero che Ben Jonson uccise un uomo in duello, ma si trattava di un attore chiamato Gabriel Spencer. D’altronde è del tutto vero che Kit aveva una certa tendenza a ritrovarsi coinvolto in risse e duelli di strada – hence probabilmente la conclusione di Aubrey. E in effetti, volete mettere? Due drammaturghi che si scannano per strada… magari sulla giusta scansione di un pentametro giambico o sulla paternità di una tragedia? Uh… sarà meglio che la pianti qui, prima che questa storia cominci a piacermi troppo.

** Il personaggio di Bame – in realtà Richard Baines, tizio equivoco, accusatore (probabilmente prezzolato) di Marlowe – compare con lo stesso nome, seppure con diversa caratterizzazione, anche in Marlowe, dramma in versi di Josephine Preston Peabody, datato 1901. Si può sempre fare affidamente sull’assoluta inaffidabilità dello spelling elisabettiano, ma JPP condivide con WGZ anche l’idea che Marlowe calcasse le scene. Mi domando se avesse letto il romanzo…

*** Ma proprio capitoli interi in almeno un caso – un lungo dialogo tra Shakespeare, Peele, un avvocato fittizio e poi anche Marlowe, che è un trionfo del metodo Come Tu Ben Sai, Phillips

 

Mar 7, 2014 - considerazioni sparse, Storia&storie    Commenti disabilitati su Quasi una storia di fantasmi

Quasi una storia di fantasmi

Un giorno, una manciatina d’anni orsono, squilla il telefono, e una voce dall’accento teutonico chiede se è possibile parlare con Chiara Prezzavento. Quando rispondo che non solo è possibile, ma la cosa è già in corso, la signora mi spiega di essere una ricercatrice per conto del Clan Urquhart.

ThomasUrquhart.png“I discendenti di Sir Thomas?” domando io un po’ incredula. Sir Thomas Urquhart è un erudito e viaggiatore scozzese del Diciassettesimo Secolo, uno Sbregaverze fatto e finito. E se pongo la domanda è perché…

“Sì!” esclama la signora all’altro capo del telefono. “E non riesco a trovare il suo libro, né alla biblioteca Teresiana né in libreria, e invece io DEVO leggere il suo libro!”

Perché, vedete, Sir Thomas è uno dei personaggi de Lo Specchio Convesso, il mio primo romanzo, pubblicato nel 2004 presso La Kabbalà, e tristemente uscito di commercio molto presto. O piuttosto, mai entrato veramente in commercio, come capita ai libri pubblicati con microeditori che non hanno distribuzione… Anyway, tornando alla mia telefonata, immaginatemi assolutamente elettrizzata dal fatto che qualcuno abbia disseppellito lo Specchio dal suo oblio. Non capita tutti i giorni che un ricercatore straniero ti chieda del tuo romanzo morto… C’è sempre la possibilità che il ricercatore in questione alla fin fine faccia te e il tuo romanzo a pezzettini molto piccoli per qualche inaccuratezza, ma decido che sono disposta a correre il rischio.

Con Elisabeth ci accordiamo per incontrarci in San Simone (dove è sepolto il Critonio, protagonista del libro e, incidentalmente, l’idolo di Sir Thomas), e una volta là passiamo un’oretta felice scambiandoci storie, aneddoti, fonti e teorie… Elisabeth sta conducendo delle ricerche su Sir Thomas per conto del Clan scozzese degli Urquhart, appunto, che non solo esistono ancora, ma sono riuniti in un’associazione culturale molto attiva per quanto riguarda la loro storia. Adesso le sue ricerche l’hanno condotta a Mantova dove, secondo lei, Sir Thomas non può non essere passato.

Io spiego che nel mio romanzo Sir Thomas è un personaggio abbastanza secondario, che mi sono presa delle libertà con i buchi che ci sono nella sua biografia, che si tratta di un romanzo, dopo tutto: assolutamente e solo un romanzo… Ma Elisabeth rimane pervicacemente entusiasta. Non c’è molta gente in Italia che scriva o abbia scritto su Sir Thomas, e comunque lei è convinta che i romanzi siano porte aperte sulla storia. Perché un’invenzione letteraria non può fornire uno spunto o una direzione per la ricerca? Magari era lo spirito di Sir Thomas a suggerirmi certi particolari, conclude Elisabeth…

E io sorrido all’idea, ma Elisabeth è serissima, e procede ad informarmi che di quest’ultima teoria è convinta nella più granitica delle maniere. Noi crediamo di scrivere saggistica e narrativa storiche di nostra iniziativa, ma in realtà sono gli spiriti dei morti a ispirarci, guidarci e pungolarci. Segue un’affascinante storia à la Delia Bacon, su come visitare il campo di battaglia di Bannockburn sia stato fondamentale per il suo saggio in proposito – e non certo per il colore locale, ma per quello che i morti di tanti secoli fa le hanno sussurrato mentre passeggiava…

Ora, vedete, sentirsi mormorare queste cose nella penombra di una chiesetta gelida e deserta è il genere di cose che v’induce a… diciamo a esplorare possibilità narrative. Così m’immagino il Critonio seduto sul suo cenotafio che ci guarda dall’alto e sospira un po’. E Annibale che da vent’anni a questa parte mi dà il tormento perché scriva, scriva, scriva la sua storia. E in anni più recenti Kit Marlowe ugualmente impegnato… E in realtà è un esercizio lusinghiero, perché magari James Crichton è un tantino dimenticato dalla storia e disperato alla ricerca di un autore qualsiasi, ma l’idea di avere attirato l’attenzione di gente come il generale Barca e Marlowe… eh.

Di Elisabeth, poliglotta, viaggiatrice e mezza spiritista, non ho più avuto notizie dopo quel pomeriggio lievemente surreale. Non mi ha nemmeno più scritto, come aveva promesso di fare per dirmi se il libro le fosse piaciuto… Immagino di no – e in effetti, considerando la sua ammirazione per Sir Thomas e il mio ritratto del personaggio, non posso dire di essere oltremodo stupita. Quel che mi resta è l’idea per una storia che, credo, prima o poi metterò in pratica.

 

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