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Editor, Autori, Editori, Lettori

La prossima volta che qualcuno mi chiede cos’è che fanno gli editor di preciso, potrei citare (senza nessuna particolare soddisfazione) questa storia riportata da Il Giornale del 23 settembre.

Capita che a Pordenonelegge si organizzi un incontro pubblico tra una manciata di editor provenienti da grandi case editrici e cinque aspiranti scrittori. È una cosa un pochino sadica – voglio dire: esporsi alla vivisezione editoriale davanti a una platea pagante… ugh! – ma potenzialmente istruttiva sotto più di un aspetto. Per esempio perché non sono l’unica che si sente rivolgere la domanda qui sopra, e perché a molti lettori e aspiranti scrittori piacerebbe sapere come funziona la selezione in una casa editrice…

E in effetti la platea è fitta, e guarda affascinata mentre gli editor passano al tritacarne i cinque racconti, suddividendoli in meritevoli e notevoli – seppure non in questi termini. Salvo poi sentenziare che gli autori dei notevoli, pur bravissimi, erano impubblicabili. Troppo sofisticati, troppo démodé, troppo sperimentali, troppo colti… sempre qualcosa di troppo per il pubblico italiano.

Non del tutto incomprensibilmente, la fetta di pubblico italiano presente non ha apprezzato troppo, e ha applaudito con entusiasmo l’arringa del moderatore Giorgio Vasta contro le politiche editoriali italiane in fatto di qualità. Pare addirittura che, dall’ultima fila, una signora abbia vivacemente contestato gli editor che ripetevano in coro “non c’è pubblico, non c’è pubblico, non c’è pubblico,” con un intervento sulla classica linea “e io cosa sono, macinato di fegato?” E non c’è che dire: gliel’hanno servita su un piatto d’argento.

Ecco, se a Finzioni volessero un caso da manuale per il Libretto Rosa, questo di Pordenonelegge potrebbe servire molto bene al caso. Forse non m’ispira maggior fiducia nella praticabilità delle loro ricette, ma di certo conferma la lucidità della loro diagnosi: il mondo editoriale non ha il minimo riguardo per i lettori – né remore a spiattellarglielo in faccia, questo scarso riguardo. E questo è in tutta probabilità un cortocircuito un tantino suicida. La mia esperienza in materia è forse limitata, ma se volessi tenere un mercato lieto e indiscriminatamente vorace, non credo che manderei i miei a dire al mercato stesso “vi rimpinziamo e vi rimpinzeremo sempre e solo di roba mediocre, perché non vi crediamo capaci di digerire nulla di più sofisticato.”

Mi stupisco degli editor: dovrebbero sapere che al pubblico non piace essere trattato con supponenza – e quel che hanno prodotto a Pordenone era la più goffa e supponente combinazione di supponenza e Teoria del Bieco Mercato (TBM) che si possa immaginare. Perché può anche darsi che il sugo del discorso, invece che “noi capiamo che cos’è la Letteratura, ma voi no”, volesse essere “noi capiamo la Letteratura, ma gli editori ritengono che voi non siate in grado, e noi siamo condannati a scegliere solo le porcheriole che gli editori intendono propinarvi.” Può darsi. Ma se con questo credono di avere fatto una figura migliore, di avere ottenuto la stima del pubblico (che non c’è) o la gratitudine degli editori, direi che hanno sbagliato qualche calcolo.

Per cui, provate a chiedermelo ancora: che cosa fanno di preciso gli editor?

E io scuoterò il capino, tirerò un sospiro afflitto e risponderò: fanno harakiri editoriale davanti a una platea pagante.

 

Dic 3, 2010 - pennivendolerie    5 Comments

10 Modi sicuri Per Farsi Bocciare Un Manoscritto Alla Prima Pagina

In linea di massima: va’ a sapere! Tutti conosciamo le raccapriccianti storie dei rifiuti ricevuti da autori poi non solo diventati celebri, ma considerati pilastri delle rispettive letterature nazionali – o dei rispettivi generi. Ci sono ottimi libri che non vengono accettati, ci sono buoni libri che non incontrano interesse, ci sono pessimi o mediocri libri che scalano le classifiche: può essere questione di tante cose, gusto che cambia, mercato, moda, mal di denti, spudorata fortuna… E allora non c’è molto da fare se non tentare, ritentare e ritentare ancora.

Detto questo, però, ci sono alcuni difetti che, fin dalla prima pagina, fanno molto per soffocare qualsiasi interesse o attrazione la storia possa esercitare – un po’ come un copriletto zuppo d’acqua gelida gettato in testa al lettore, avete presente?

Due diversi blogger, Chuck Sambuchino e Livia Blackburn, hanno affrontato il problema per Writer’s Digest – nella sezione dedicata agli agenti letterari. Distillando i loro sforzi combinati, e nella convinzione che in generale quello che repelle un agente faccia scappare a gambe levate anche un editor o un editore, eccovi dieci errori che sarebbe davvero meglio evitare:

1. Un prologo misterioso ai limiti dell’ermetismo e/o terribilmente aulico e/o minutamente espositivo e/o profetico-apocalittico, dopo il quale si passa a una scena in cui la protagonista è in cucina, occupata a friggersi un uovo al tegamino. Guai al prologo che fa pensare al lettore: ma perché sto leggendo questo?

2. Iniziare con dettagliate descrizioni di funzioni corporali, autopsie, amputazioni e altre consimile amenità. Sì, d’accordo: catturare il lettore, il fascino dell’orrido, il realismo… tutto quello che si vuole, ma l’idea di choccare il lettore in partenza ha cessato di essere originale ed efficace almeno tre decenni fa e, tolto l’effetto sorpresa, quel che rimane delle dettagliate descrizioni in questione sono la sgradevolezza e il ribrezzo – non il modo migliore di conquistare l’affetto del lettore. A meno che non stiamo parlando di un romanzo horror.

3. Un inizio lento. I personaggi sono in scena e, invece di fare cose rilevanti che avviino la storia e suscitino la curiosità e l’interesse del lettore, lavano i piatti e ricordano quell’estate del ’79 in spiaggia a Riccione, in cui non successe assolutamente nulla. Poi si preparano il caffè, guardano la pioggia attraverso la finestra, si grattano una macchia di calce dai jeans, pensano al noioso consiglio di classe del giorno prima, fanno uscire il gatto, si sentono soli… Sbadiglio – gemito – manoscritto accantonato definitivamente.

4. Un sacco di esposizione. Anche ammettendo che l’inizio in medias res sia un tantino sopravvalutato (specie al di fuori di certa letteratura di genere), un romanzo che per pagine su pagine suona come una guida turistica, una storia sociale o un trattato di psicologia difficilmente terrà molto a lungo l’attenzione del lettore. Questo vale anche per personaggi ancora sconosciuti che dialogano lungamente raccontandosi a vicenda cose epocali o tecniche che dovrebbero già sapere. Vale anche per il mentore che, chiuso in una biblioteca o seduto davanti al fuoco, trasmette quantità bibliche di conoscenza al protagonista.

5. Portare in scena un personaggio a pag. 1, renderlo interessante e simpatico, far sì che il lettore gli si affezioni e poi farlo morire a pag. 4 o, peggio ancora, relegarlo in un ruolo marginale. Il lettore non apprezza di essere spinto ad affezionarsi a vuoto. L’unica (cautamente) ammissibile eccezione è il migliore amico* che il protagonista passerà il resto del romanzo a vendicare – ma attenzione, perché questo genere di indagini/vendette è già stato scritto in quantità industriale.

6. Il sole [aggettivo] e [aggettivo] sorse [avverbio] nel cielo [aggettivo], [aggettivo] e [aggettivo], gettando [avverbio] la sua [aggettivo] luce [aggettivo] sulla [aggettivo] terra [aggettivo] e [aggettivo]. Ecco, a questo punto l’editor è già crollato sotto il peso degli aggettivi e non gl’importa più un granché di quanto possa essere buona la storia. E questo vale per ogni forma di prosa eccessivamente fiorita o poetica, per la punteggiatura creativa, per l’uso ingiustificato di termini aulici o, viceversa, per la riproduzione fonetica di accenti, dialetti e inflessioni. E’ un po’ come dotare ogni pagina di un cartellino pop-up che dice “ehi, visto come scrivo bene?”

7. Labirintiche introduzioni che lasciano il lettore a domandarsi che diavolo stia succedendo, un’irragionevole densità di parole in un’altra lingua (vera o inventata), personaggi che agiscono in maniera incomprensibile scambiandosi lapidarie battute di dialogo esotericissimo, scene iniziali che sembrano vere e poi si rivelano un sogno, tutto ciò che confonde e disorienta un lettore di normale intelligenza, tutto ciò che lo fa sentire stupido, trattato con sufficienza o imbrogliato, tutto ciò non va bene. E citare Umberto Eco non è un’attenuante.

8.Luoghi comuni, tanto dal punto di vista linguistico quanto narrativo. Se si comincia con uno scalcinato investigatore privato alle prese coi postumi di una sbornia, o con una prostituta dal cuore d’oro, o con il sole che spacca le pietre, o con due nemici alla resa dei conti, sarà bene avere smontato il luogo comune nel giro di un paio di paragrafi – non molti di più, o ci si sarà già perso l’editor per strada.

 9. Protagonisti che, mentre vengono strangolati, si perdono in minute descrizioni di ciò che provano, ciò che ricordano, ciò che capiscono, ciò che vorrebbero fare, ciò che potrebbe salvarli, ciò che purtroppo hanno trascurato di dire alla fidanzata… La gente non ha molto tempo per pensare in maniera coerente o lirica mentre viene strangolata, e se lo fa, forse non sta venendo strangolata davvero. In altre parole, il principio di verosimiglianza non si può violare impunemente nemmeno dentro la testa dei personaggi.

10. Errori di battitura, di grammatica, di sintassi. Questo in realtà dovrebbe essere il n° 1, perché in scrittura la forma è la sostanza, e perché nessuno considererebbe le torte di un pasticcere che non distingue lo zucchero a velo dal lievito, e perché non c’è ragione di pensare che una persona incapace di coniugare i verbi sia in grado di raccontare una storia per iscritto a livello professionale.

E so perfettamente che dozzine di meravigliosi romanzi contraddicono grandiosamente la maggior parte di questi dieci punti, ma sono lavori di una padronanza tecnica pressoché sovrumana e/o di genio. Una sovrana certezza che per noi e il nostro romanzo le regole non valgano tende ad essere il segno distintivo, più che del grande narratore, del dilettante onnirespinto. Nel dubbio, meglio sapere bene che cosa fa storcere il naso alla gente che decide e poi, semmai, correre rischi calcolati.

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* o la sorellina, o il padre putativo, o l’ancora amatissima ex moglie… ci siamo capiti.

Nov 12, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su 12 Titoli Che Mi Fanno Sospirare

12 Titoli Che Mi Fanno Sospirare

Si parlava di titoli, ricordate? Sono dell’idea che un titolo azzeccato possa contribuire non poco alle fortune di un libro, ma di certo un titolo infelice affossa qualsiasi cosa. Ci sono favolosi titoli – decisamente migliori del libro a cui sono appiccicati, che restano in mente secoli dopo che avete dimenticato il titolo del libro, o addirittura il libro non lo avete letto affatto, ma il titolo è talmente bello che vi rodete le mani per non averci pensato per primi…

Quali sono i vostri titoli preferiti? Non i titoli dei vostri libri preferiti, badate bene: solo i titoli.

Ecco i miei, confinandomi ai romanzi e in ordine assolutamente sparso:

* Per Favore Non Mangiate Le Margherite – anche se forse non è proprio quello che si dice un romanzo. Di Jean Kerr – un’autrice teatrale americana degli Anni Cinquanta e seguenti. Forse vi ricorderete non tanto di lei, quanto del film con Doris Day e David Niven tratto da questo libro – e potrei sbagliarmi, ma mi sa che ci fosse anche una serie televisiva. Ad ogni modo, è un titolo irresistibilmente nonsense.

* La Luna E I Falò – Pavese, e qui siamo al discorso che si diceva: non è che il libro sia nella mia lista dei Memorabili, ma evoca immagini notturne, luci che si mescolano, crepitare di fiamme, sentore di fumo e di rugiada… e sarà meglio che mi fermi qui, ma ci siamo capiti. 

* Il Vento Tra I Salici – Kenneth Grahame e idem come sopra. Evocativo, poetico, delicato, serotino. L’originale The Wind in the Willows ha il beneficio aggiuntivo dell’allitterazione, ma persino in traduzione suona proprio bene.

* Col Ferro E Col Fuoco – cambiamo genere del tutto con un Sienkiewicz meno conosciuto*. Titolone epico e cadenzato che suona come un verso senario (ancor più nell’originale polacco Ogniem i mieczem). Il super editor americano Sol Stein consiglia di strologarsi un titolo originale, memorabile, con un duplice strato di significato e magari in forma di pentametro iambico, e scherza solo in parte: ritmo e facilità di pronuncia rendono il titolo più facile da ricordare. Quando poi, come qui, si utilizza un modo di dire assurto a figura retorica, direi che si è fatto centro.

* I Tamburi Della Pioggia – vedi sopra, tutto sommato, ma un pizzico più inconsueto. E’ un’ottima cosa quando il titolo risveglia la curiosità del lettore. Che poi si tratti anche di un particolare cruciale della storia lo si scoprirà leggendo: decorativo, attraente e significativo.

* Musica In Una Lingua Straniera – di Crumey. Qui siamo sul sofisticato-cerebrale. Il senso emergerà leggendo, ma intanto questo apparente sfasamento di significato è interessante di per sé. “Ma come? Non si dice sempre che la musica è il linguaggio universale?” Appunto. Procedimento contrario, se vogliamo, a quello di Sienkiewicz.

* Cento Colpi Di Spazzola Prima Di Andare A Dormire – esempio da manuale di titolo migliore del libro**. Siamo di nuovo sulla decostruzione del luogo comune e dell’immagine consolidata. Reader Beware: questa prescrizione semi-ottocentesca da brave fanciulle sta per assumere un significato moooooolto diverso.

* L’Ombra Del Vento – Posto che Ruiz Zafòn non mi piace alla follia, questo titolo è semplicemente meraviglioso per forza evocativa, per poeticità dell’immagine. Un altro emistichio carico di suggestioni – e se poi ha un legame relativo con la storia, pazienza: è talmente bello!

* La Figlia Del Tempo – questo invece appartiene al genere citazioni. E’ Shakespeare a dire che la verità è figlia del tempo – concetto perfetto per un giallo bizzarro in cui strana gente “scopre”, con qualche secolo di ritardo, che Riccardo Terzo non era il mostro che si tende a credere. Josephine Tey è stata una precorritrice (forse persino un’iniziatrice) del furore di narrativa neo-riccardiana che ancora arde nel mondo anglosassone. Dieci punti in più per avere pescato il suo titolo proprio da Shakespeare, uno dei più accaniti anneritori di Riccardo. Giustizia poetica, anyone?

* Ritratto Di Signora / Ritratto Dell’Artista Da Giovane / Camera Con Vista – che sono tre libri diversissimi, ma il concetto dietro il titolo è lo stesso: espressione di uso consolidato in un tutt’altro campo applicata a una storia (nel suo complesso nei primi due casi, nel suo complesso e a un plot device nel secondo).

* Il Giuoco Delle Perle Di Vetro – è bello, singolare, incuriosisce ed è descrittivo senza parere, visto che il Giuoco in questione è un aspetto fondamentale della trama e, al tempo stesso, un elemento simbolico all’interno della storia. Naturalmente il secondo aspetto non è merito del titolo, ma l’insieme suona molto bene.

* La Linea D’Ombra – bellissima immagine per una storia iniziatica, carica di quelle connotazioni di dubbio e di ambiguità che in Conrad sono sempre centrali.

E bisogna dire che l’ombra mi piaccia proprio, perché, fuori concorso non essendo stato tradotto, cito anche The Book Of Air And Shadows, brutto libro scritto in bello stile che ho comprato a dispetto delle recensioni negative, indotta da nient’altro che il fascino del titolo. Dove si vede una di due cose, immagino: o io sono irreparabilmente squadrellata, o il titolo conta davvero.

E adesso è il vostro turno: quali sono i vostri titoli preferiti? Quali sono i titoli che vi sono piaciuti più del relativo libro? Quelli che vi hanno sorpresi, incuriositi, fatto dire: ah, diavolo di uno scrittore!*** Sono curiosa…

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* E che a me, francamente, piace più di Quo Vadis? Polonia, Seicento, Battaglie…

** In proposito, vi consiglierei questo post di Bottega Di Lettura.

*** O, più probabilmente, diavolo di un editor!

Ott 15, 2010 - editing    Commenti disabilitati su Ma che cosa fa di preciso un editor?

Ma che cosa fa di preciso un editor?

“Devo farti una di quelle domande…” mi annuncia D. con aria misteriosa, e io mi allarmo un pochino.

“Ma che cosa fa di preciso un editor?” è la domanda, e nell’intonazione del “di preciso” c’è quella specie di cauto scetticismo che conosco bene, perché lo vedo negli occhi della maggior parte della gente che mi chiede cosa faccio nella vita – specialmente dopo avere specificato che no, non sono una correttrice di bozze…

Tento con la mia strategia abituale, e rispondo con quella bella citazione di Arthur Polotnik (editor a sua volta, si capisce): Voi scrivete per comunicare alle menti e ai cuori altrui ciò che brucia dentro di voi, e noi editiamo per disperdere il fumo e permettere al fuoco di brillare. Qualche volta funziona. Intendo la citazione, non l’editing.

D. però ha una mente inquisitiva, o forse mi ha già posto la Domanda ed è stufo della Risposta standard…

“Bello. Molto. Ma in pratica?”

E mentre il resto della tavolata sghignazzava senza ritegno, mi è venuto in mente che non ha tutti i torti nemmeno lui: il mestiere dell’editor non è particolarmente ovvio e non è nemmeno facilissimo da spiegare nelle sue varietà e sfumature – però può essere d’interesse per chi scrive, vuole scrivere, ha scritto e medita di mandare il parto del suo ingegno Là Fuori in cerca di fortuna.

Così è nato Editing Safari: Visita Guidata a un Romanzo allo Stato Brado, che ha il pregio di riunire un’esauriente risposta alla Domanda con una specie di crash course in scrittura creativa. In pratica, una panoramica su alcuni principi narrativi e stilistici fondamentali, raccontanti attraverso l’ottica dell’editor, questa strana bestia che lavora sul colore, sulla grana, sulle venature, sulla consistenza, sui nodi, sulle magagne e sui buchi della scrittura.

 

Nov 13, 2009 - Vita da Editor    Commenti disabilitati su Certe Volte

Certe Volte

Ieri consegno per posta elettronica un manoscritto editato. Raccolta di racconti.

Oggi telefona la cliente.

“Non sono sicura che mi piaccia come ha lavorato sui miei racconti.”

“Mi dispiace. Per i refusi e la punteggiatura, tuttavia…”

“No, non parlo di quello. Quello va bene. Ma i suggerimenti?”

“Sono, per l’appunto, suggerimenti. Come le ho detto fin dapprincipio…”

“Posso anche non seguirli?”

“Certo. Le consiglierei di prendere in seria considerazione almeno quelle che le ho indicato come incongruenze di trama e punto di vista, ma ovviamente la decisione finale spetta all’autore.”

“Be’, ma allora, se non seguo i suggerimenti, devo pagarla lo stesso? In fondo, è come se non avesse fatto niente!

Certe volte ti lasciano proprio senza parole.