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Apr 17, 2015 - scribblemania    Commenti disabilitati su Writing Day: Considerazioni

Writing Day: Considerazioni

writerE insomma, seppur con un paio di giorni di ritardo sulle intenzioni iniziali, ci sono riuscita. Ieri ho scritto per un giorno intero, da mane a sera.

Well, no – in realtà non è stato proprio così, perché la mattinata ha presentato qualche… er, complicazione. Che bisogna dire? La Dura Realtà è irriducibile – ma per fortuna poi ci sono gli amici che, con colpi di genio e perseveranza sovrumana, risolvono i guai. Per cui, consideriamolo un successo, un minuto trionfo della volontà umana* sulla Dura Realtà, e andiamo avanti.

Considerazione I. Il risultato evidente si è che, nel corso della giornata, ho raddoppiato il wordcount abituale. Non un ritmo forsennato – sono certa che riuscirei a fare di più, e magari sarà così nei prossimi WD, ma anche solo in termini nient’altro che numerici, il risultato è stato quanto mai soddisfacente.

Considerazione II. Quasi completamente offline per la giornata e con l’obiettivo di scriverescriverescrivere e nient’altro, ho procrastinato molto meno. Quasi per nulla, in realtà – il che ha contribuito non poco alla riuscita dell’esperimento. Poi si vede che questa nuova saggezza non era qui per restare, perché mentre scrivo questo post mi distraggo con ridicola facilità e procrastino terribilmente. È stata un breve visita…

Considerazione III. Benché non abbia nulla contro lo scrivere a bocconi e spizzichi – e indeed lo trovi una capacità necessaria per la sopravvivenza – devo ammettere che fare altrimenti funziona meglio in termini di ritmo. Non è come se prima non l’avessi saputo, ma ieri l’ho costatato di nuovo: non solo il ritmo cresce scrivendo continuativamente, ma si prende un abbrivo e poi non lo si perde. Tutti abbiamo fatto esperienza di qualcosa che per ora, mentre penso a una definizione migliore, chiameremo inerzia scrittoria: si scrive, si smette di scrivere – e, nel momento in cui si chiude il file e si spengono il computer e la luce, la perfetta battuta di dialogo, la perfetta mossa della scena d’azione o il perfetto particolare descrittivo si presentano all’appello, e bussano e strillano per essere annotati.** Ecco, maggiore è l’abbrivo, maggiore è questa inerzia. Vi fermate per farvi una tazza di te, e scene intere si sviluppano tra le vostre orecchie. Rispondete alla porta, e il dialogo va avanti. Vi disponete a dormire, e la trama ha un’improvvisa crescita fungina… È come se all’immaginazione piacesse di più lavorare in modo continuativo. E questo funziona a livello strategico, oltre che tattico – e ne segue che…

Considerazione IV. In realtà un giorno non è granché. Non sto a dirvi che, se un singolo giorno funziona così, figurarsi una settimana o un mese, o… Lo sapevamo già, grazie. Sapevamo già che, a poter mantenere questi ritmi, si potrebbe mettere insieme una prima stesura in un mese, un mese e mezzo… Eh. Sarebbe mai possibile persuadere la Dura Realtà a farsi un pochino da parte per un mese alla volta? E se mai lo fosse, sarei capace di sostenere questo ritmo per un mese alla volta? Mi piace pensare di sì, una volta acquisiti il ritmo e l’abbrivo che si diceva*** – ma poi mi vedo stamattina e… hm.

Considerazione V e ultima. All else apart, al momento per i mesi di scrittura non c’è tempo e, a voler vedere, nemmeno per le settimane. Forse una settimana nel corso dell’estate cercherò di metterla assieme,**** ma non è questo il punto. Il punto è che, mentre aspetto questa occorrenza equinoziale che potrebbe benissimo non arrivare, posso avere un WD alla settimana. È qualcosa, e ho tutta l’intenzione di averlo.

E adesso sarà meglio che torni al lavoro, anziché restarmene qui a dirmi quanto sono stata bravina a non procrastinare ieri, giusto?

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* Grazie, F.!

** Ed è cosa saggia dare loro retta.

*** So, per averlo fatto, di saperlo sostenere con soddisfazione e produttività per dieci giorni – ma è stato altrove, e internet… no, ok, non era affatto morta. Solo meno a portata di mano.

**** I know, lo dico tutti gli anni – e poi.

A Lume Di Candela

candele, luce di candela, romanzo storico, ricercaChiamiamola… boh, ricerca sul campo?

Qualche giorno fa una combinazione di guasto alla rete elettrica e giornata corta e bigia – come si conviene in vista del solstizio d’inverno, d’altra parte – mi ha costretta a un viaggetto nel tempo per un pomeriggio e parte di una sera.

Fuoco per riscaldamento e candele per luce e, una volta esaurita una batteria che per vari motivi era quasi scarica di suo, niente computer. E così ho lavorato, letto e scritto a mano nella stanza con il caminetto – e a luce di candela.

Non è che non fosse mai successo prima, ma stavolta ho preso appunti su gioie, practicalities e improbabilità dell’illuminazione a fiamma libera, e ve ne rendo partecipi. 

candele, luce di candela, romanzo storico, ricerca1) La luce di candela è fioca. Molto. Due candele accese in una stanza 5×5 arrivano agettare un cerchiolino di luce gialla grande abbastanza per una pagina e lasciano il resto della stanza nella semioscurità. A patto di tenere la fiamma bene alimentata, si legge meglio accanto al camino – a patto di sedere in basso e tenere il libro orientato nel modo giusto. E provandoci si acquisisce una nuova comprensione della storia del piccolo Kipling che si rovina gli occhi leggendo di nascosto alla luce di un fuoco magro. Nonché un nuovo rispetto per tutti quegli scrittori che hanno prodotto capolavori a lume di candela… On the other hand, anche senza voler leggere, scrivere o cucire, la quantità di luce è limitatissima. Vista da un’altra stanza attraverso una porta a vetri, la luce di due candele è un pallidissimo alone bigio, e vista attraverso una finestra da una distanza qualsiasi, ci vuole spirito d’osservazione per rendersi conto che la stanza non è al buio. Con quattro candele (un lusso sfrenato) le cose migliorano un po’, ma occorre alimentare seriamente il camino (altro lusso) per avere anche solo un po’ di quella luce dorata che “piove dalle finestre” o “splende nelle fessure della porta” in tante descrizioni.

2) La luce di candela è instabile. Voi sospirate sui tormenti del protagonista e la fiamma tremola. Voi girate pagina e la fiamma sussulta. Voi urtate involontariamente la gamba del tavolo e la fiamma vacilla. Qualcuno si muove a tre passi di distanza e la fiamma ballonzola. Qualcuno pare una porta e la fiamma sternutisce, crepita, soffia, fa del melodramma e mostra la sua disapprovazione riducendosi a un lucignolo clorotico. E tutto questo senza contare gli spifferi. Casa mia è abbastanza vecchia da avere spifferi e correnti in ogni dove – specie nelle notti di vento. E uno spiffero è sufficiente a dare le convulsioni alla fiammella. E se può essere graziosa a vedersi con le sue intemperanze, una fiammella convulsa non fa proprio nulla per facilitare la lettura. A volersela portare in giro, poi, la candela è infelicissima. Occorre proteggere la fiamma con una mano, se non si vuole che si spenga al primo angolo voltato – e salire le scale con una candela e le gonne lunghe è scomodo, pessimo per la reputazione e francamente pericoloso. Provate, o signore, a reggere candela e gonne e proteggere la fiamma con la normale dotazione di mani, senza mostrare le caviglie e senza darvi fuoco. Provate – e ricordate che proprio non volete lasciar spegnere la candela, perché una volta spenta…

3) La luce di candela è scomoda da procurarsi. I fiammiferi sono stati inventati negli Anni Trenta dell’Ottocento e commercializzati più tardi. E anche ad averli, basta che siano un po’ umidi per rendere l’operazione di accendere una candela assai poco agevole. Figurarsi con l’acciarino – ma in realtà la cosa più comune era accendere al fuoco o a un’altra candela. Il che significa che, se la candela si spegne a metà scala, non resta che andarsene a dormire nel buio pesto, oppure tornarsene a tentoni al camino o all’altra candela, riaccendere e ricominciare daccapo l’ascesa. candele, luce di candela, romanzo storico, ricerca

E tutto ciò, badate, è stato sperimentato usando candele di cera d’api, di buona qualità e con lo stoppino industriale che non è necessario smoccolare. Figuratevi quando si trattava di candele di sego o, peggio ancora, di stoppini di giunco immersi nel sego – e quelli avevano tutta una collezione di problemi di durata, di colature, di odori…

Ma per il sego credo che mi fiderò dei romanzi altrui, perché non sono certa di voler fare la prova.

Non credo proprio.

Non penso…

O Forse…

Magari una volta sola…

Hm. Qualcuno ha idea di dove potrei procurarmi una candela di sego?

Apr 1, 2010 - scribblemania    3 Comments

Animale, vegetale o minerale? [con comunicazione in coda]

Per me le storie sono vegetali: nascono da un seme, fanno talea, mettono radici, sviluppano tralci.

No, non davvero, ma mi accorgo che, per descrivere il loro funzionamento, tendo ad usare immagini vegetali.

Il seme è quella prima immagine, scena o battuta di dialogo, quel primo lato del carattere di un personaggio, o quella prima impressione di un periodo storico che mi fa dire “sì, voglio scrivere di questo!”

Il seme di Somnium Hannibalis è in Tito Livio, la scena in cui Maarbale esorta Annibale ad attaccare direttamente Roma, sull’onda della vittoria di Canne. Annibale dice di no, e Maarbale commenta che Nimini dii nimirum dederunt, ovvero “a nessuno gli dei hanno dato troppo”, perché Annibale sa vincere le battaglie come nessun altro, ma poi non sa sfruttare le sue vittorie. Era un seme potente: dopo vent’anni continua a dare germogli nuovi.

Il seme del romanzo turco-bizantino è stato piantato in un’aula universitaria, ascoltando la storia delle navi fatte passare nel Corno d’Oro per via di terra e, ancor più, dei difensori che una mattina, all’alba, hanno cominciato a intravvedere nella nebbia delle sagome di navi là dove non dovevano, non potevano essere… In realtà non credo più che la scoperta sia stata così repentina, ma l’idea continua a mettere fronde anche adesso che non intendo più scriverla nella sua forma originaria. Un po’ come un albero cavo, immagino.

Ma non sempre le idee nascono così compatte. A volte, invece di un seme formato, c’è un pezzettino vegetale, o un tralcio di qualche tipo: interessante ma assolutamente privo di forma, e per nulla pronto. Per esempio, prima di cominciare Lo Specchio Convesso, sapevo di voler scrivere qualcosa sull’inafferrabilità della storia, ma è stato solo quando mi sono imbattuta nelle versioni contrastanti della vicenda dell’Ammirabile Critonio che l’idea ha preso forma. Ma ancora non era pronta, e così l’ho rimessa a fare talea: c’è voluto che m’imbattessi in Sir Thomas e in William Ainsworth e nei rispettivi libri perché vedessi la possibilità del meccanismo narrativo su diversi piani temporali. Certe idee sono così: incomplete e promettenti, perennemente a bagno. Ogni tanto riaffiorano con una radichetta nuova, poi un’altra, un’altra, e poi una fogliolina, e via così, fino a quando sono pronte per essere scritte.

Altre ancora vengono trapiantate da un periodo all’altro fino a quando non trovano il terreno giusto. Prima di decidermi ad ambientare il romanzo storico fittizio de Gl’Insorti di Strada Nuova a Pavia nel 1848, ho considerato almeno tre epoche diverse.

Il che è anche un esempio di come le idee si possano innestare su – o ibridare con – altre idee. Confession time: avevo un certo numero di periodi storici in cui mi sarebbe piaciuto ambientare una storia, ma non avevo voglia di fare lunghe ricerche in proposito. Lo sfondo di Strada Nuova, che emerge solo a tratti, mi consentiva di fare proprio questo: scrivere dei pezzi di romanzo, lasciando in ombra tutto quello che non sapevo e non ero disposta a ricercare. In un certo senso si potrebbe dire che ho barato? Forse, ma non più di quanto bari lo scenografo che dipinge le sue quinte e costruisce i suoi fondali, mostrando solo ciò che serve in funzione dello spettacolo.

A parte il caso specifico, anyway, ho scoperto che vale sempre la pena di dare più di una possibilità a un’idea. Quando abitavo a Londra, avevo un bonsai di nome Lemuel. Ho impiegato settimane e settimane di tentativi e spostamenti a capire che Lemuel prosperava in uno specifico angolino della mensola sopra l’ex caminetto della mia stanza. Può funzionare così anche con le storie: vale sempre la pena di sperimentare, e non è raro imbattersi in uno di quei gloriosi momenti in cui un concetto rinasce a nuova e più vibrante vita per innesto o per spostamento.

E poi le storie si potano… oh, se si potano! Chiunque abbia mai revisionato o riscritto qualcosa sa quanto il processo possa essere truculento. E produttivo, a patto di non lasciarsi prendere la mano con le cesoie. Un altro genere di potatura è quando si ha una storia di 2216 parole, e la si vuole proprio mandare a quel concorso per racconti sotto le 2000. Questo è un lavoro di forbicine: via un aggettivo qua, zac! un avverbio là, questo inciso non è importante, quel periodo si può condensare. Il bello di questo esercizio è che obbliga a considerare davverola rilevanza di ogni singola parola, e non è raro che, alla fine, il racconto potato sia migliore della versione originale, più nitido, più terso, più efficace, fatto solo di elementi importanti.

Potrei proseguire a lungo con le immagini vegetali, ed è curioso, se penso a quanto sono negata con le piante, che consideri la mia scrittura come un genere di giardinaggio. Non tutti i giorni, magari: mi capita di vederla come una forma di gioielleria, e una volta ho scritto un racconto dal punto di vista del racconto stesso. Si direbbe che ci siano tutti: animali, vegetali e minerali.

E voi, che tipo di imagery associate alla vostra scrittura o a qualunque altra passione coltiviate?

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Comunicazione di servizio – non pesce d’aprile: poco fa, l’Antivirus mi ha annunciato la presenza di una minaccia. Ho dato istruzioni di reagire, ma poi mi è comparsa una schermatina strana, ostensibilmente un wizard per l’installazione di Adobe Shockwave Player, con Norton Security Scan gratuito compreso… Sarò diffidente, ma non mi piace nemmeno un po’ che non ci sia modo di annullare o chiudere la faccenda. Per cui ho fatto un backup, ho postato il post qui sopra, e adesso mi accingo a spegnere il computer. L’ultima volta che è successa una cosa del genere, sono rimasta senza computer per più di un mese. Se, a partire da domani, dovessi scomparire per un numero qualsiasi di giorni, sapete il perché. (E, by the same token, se accade, diffidate dei wizard fasulli di Adobe!)