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Opera e Romanzi, Romanzi e Opera

Ci crediate o no, questo è un palco d'opera galleggiante...a Bregenz.

Ci crediate o no, questo è un palco d’opera galleggiante…a Bregenz.

È una faccenda a doppio senso di marcia: ci sono i romanzi adattati in opera, e ci sono i romanzi che parlano d’opera.

Con i primi la faccenda è piuttosto lineare: ci sono cose ovvie, come La Bohème, BIlly Budd, la Lucia di Lammermoor, il Wrther o Guerra e Pace – ma chi avrebbe detto che ci fossero opere tratte da 1984 o Il Grande Gatsby, oppure Gösta Berling? Parleremo anche di quelli, un giorno o l’altro – ma oggi ci occupiamo dai secondi secondi – e cominciamo col dire che ce ne sono più di quanti si potrebbe pensare, molti in Inglese e ancora di più in Tedesco, e non tanti sembrano essere stati tradotti in Italiano. Strano, tutto considerato.

E, detto questo, proseguiamo dicendo che l’opera può riverstire diverse funzioni all’interno del romanzo stesso – e di conseguenza occupare diverse quantità di spazio.operaB

In Madame Bovary c’è forse una delle più celebri scene d’opera per iscritto, con Emma che, seduta nel palco, gratignant de ses ongles le velour della balaustra, si guarda attorno, assorbe l’atmosfera del teatro e si lascia guardare. Poi ci si mette anche l’opera stessa (Lucia di Lammermoor, se ben ricordo?), con il suo carico di passioni estreme, follia e neri furori messi in musica. Commossa, lusingata, inquieta, sempre attratta dai sentimenti immaginari più che dalla realtà, Emma è pronta quanto potrebbe esserlo per una riesplosione passionale o – se vogliamo – sentimentale. E manco a farlo apposta, chi ti ritrova in teatro se non il suo primo amante, Léon? Ah, galeotta fu l’opera!

operabzIn Massimilla Doni, Balzac assegna all’opera una posizione molto, molto più centrale. Anche tralasciando le lunghe disquisizioni rossiniane che costituiscono una discreta parte della novella, la storia è impregnata di musica e di canto. Si svolge per buona parte nel palco alla Fenice in cui la bella duchessa eponima riceve amici melomani (tra cui il suo innamorato platonico, Emilio Memmi) con i quali discetta di Rossini, di musica, d’Italia. Per Massimilla e il suo entourage, l’opera non è un divertimento frivolo o un’occasione sociale, ma la risposta a un moto dell’anima e, già che ci siamo, una forma di patriottismo. L’altra faccia della medaglia è costituita dalla cantatrice Clara Tinti, mantenuta dall’anziano marito di Massimilla e amante occasionale (e per errore) di Emilio. Seguono pentimento, perdono e riconciliazione a suon di metafore musicali, la cui morale è che l’amore spirituale e l’amore carnale non son la stessa cosa – e non si fanno necessariamente ombra a vicenda*.

I cantanti d’opera, a quanto pare, non sono una genìa molto migliore degli attori di prosa. Clara Tinti l’abbiamo vista; in Gertrud, Herman Hesse affibbia al protagonista un fortunato rivale in amore che è un baritono. Fortunato per modo di dire: affascinante e pieno di talento, ma egocentrico, immaturo e incapace di vedere al di là della propria arte, Heinrich sposa Gertrud e rende ampiamente infelice lei e se stesso, fino alla fatale conclusione – distruttiva per tutti. Vero è che Heinrich è più un liederista che un cantante d’opera, ma siamo lì. Tra l’altro, per chi come me avesse sempre pensato che suonare in un’orchestra debba essere un idillio, questa storia è un brusco risveglio.

Gente come la madre di Daniel Deronda, che sacrifica la maternità all’arte, o la inconsistente La Stilla, più oggetto che altro ne Il Castello nei Carpazi, non fa molto per riabilitare la categoria.OPera1

L’opera fa da sfondo pittoresco, da titolo e da pretesto a Il Fantasma Dell’Opera. Christine Daae è un sopranino promettente, le cui sorti s’intrecciano con quelle del tragico Fantasma sullo sfondo dell’Opéra di Parigi, tra primedonne capricciose, ballerine in gonnellino di tulle, impresari avidi, tenori grassi, sotterranei cavernosi, viscontini innamorati e ogni possibile cliché associato. Divertente, romantico e avventuroso, senza la minima pretesa letteraria. A volte vien da pensare che Léroux l’abbia scritto in un lampo di prescienza, per far felice Andrew Lloyd-Webber. Però bisogna riconoscerlo: con la sua mole enorme, labirintica e misteriosa, con il suo funzionamento da formicaio scintillante, il teatro stesso contende al Fantasma il ruolo di protagonista.

Tutt’altro è il caso di Buio In Sala, di Camilla Salvago Raggi, romanzo originale, delizioso e ingiustamente dimenticato, caleidoscopio di personaggi affluiti al Teatro dell’Opera di Roma per una rappresentazione del Werther di Massenet: dall’appassionata che segue il tenore protagonista alla ragazzina del coro di voci bianche, dalla signora-bene con la testa altrove alla cacciatrice di firme, dal loggionista arrabbiato fino al tenore Suvorin (omaggio ad Alfredo Kraus) tutti contribuiscono con i loro pensieri e le loro impressioni a mostrarci un’opera intera – musica e libretto – da una serie di angolazioni inattese.

OperaPoi c’è una congerie di romanzi biografici su compositori e cantanti, ci sono gialli ambientati all’opera (Ngaio Marsh ed Ellis Peters, per esempio…), ci sono personaggi che vanno all’opera (come Hanno Buddenbrook, May Welland e varia gente in Guerra e Pace), ci sono bizzarrie come Le Svetlana, sorta di moderna versione del Don Carlos, popolata di melomani, critici e maniaci dell’alta fedeltà, e ci sono persino fantasy e fantascienza**.

L’ibridazione tra teatro e musica, con le sue storie spesso truci, con i suoi protagonisti di genio, col mondo complicato e pittoresco che ci ruota attorno, offre infinite possibilità narrative – e forse finora sono state colte solo in parte.

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* Chiudendo idealmente il cerchio, negli Anni Trenta del secolo passato, il compositore svizzero Othmar Schoeck ha tratto dalla novella un’opera .

** Sissignori: per esempio Aasimov, Phillip K. Dick e Marion Zimmer Bradley – la quale ha anche scritto uno spudoratissimo romanzo che ripercorre passo per passo la trama della Norma di Bellini.

Ago 25, 2015 - Genius Loci, posti    2 Comments

Genius Loci

Genius lociSto pensando che mi piacerebbe davvero riprendere e portare in giro Scrittori & Città, le conferenze che avevo tenuto due o tre secoli orsono alla UTE di Mantova. L’idea – credit where it’s due – era partita dalla signora Paola Donati, e io avevo contribuito al ciclo con cinque titoli. Bel tema, un sacco di possibilità interessanti, argomento che mi sta a cuore…. La ricordo come una bella esperienza.

E sì – l’argomento mi piace parecchio. Ho sempre creduto all’alchimia fra posti e persone: posti e persone si costruiscono a vicenda, cosa che ho imparato in un’altra vita, quando costruivo case. Oh, d’accordo: tetti di case, ma il concetto non cambia e vale ancora di più per le città.

Tutti noi siamo, almeno in parte, il prodotto dei posti di cui assorbiamo la cultura, il clima sociale (e anche quello meteorologico), le idee e le tradizioni, di cui sfruttiamo le opportunità o subiamo gl’inconvenienti. Lo scrittore, che per sua natura è una combinazione tra una spugna e un frullatore, oltre ad essere un prodotto dei suoi posti può diventare anche l’osservatore, l’interprete e, talvolta, persino l’artefice.

Pensiamo a Emily Brontë e alle brughiere dello Yorkshire. Emily amava le sue brughiere e le ha ritratte, ricreate e Lorna-Doonedrammatizzate nel suo romanzo con tanta efficacia che tutti noi associamo all’idea di brughiera la voce di Cathy che chiama Heatcliff nel vento. Attraverso Cime Tempestose, le brughiere di Emily sono diventate le brughiere di un sacco di gente che ha visto o non ha visto una brughiera per davvero.

Altre volte l’associazione non è solo geografica, ma anche storica. Pensiamo alle varie componenti sociali della Sicilia ottocentesca ritratte nei romanzi di Verga, di Tomasi di Lampedusa e di De Roberto, per esempio. Oppure all’idealizzazione romantica del Sud degli Stati Uniti alla vigilia della Guerra Civile compiuta da Margaret Mitchell in Via Col Vento. Perché non è affatto detto che lo scrittore debba essere obiettivo o scientifico: i romanzi non fanno cronaca, ritraggono un’era, un’atmosfera, un clima… in un posto specifico.

SalammboPoi ci sono autori vagabondi o cosmopoliti, autori che scrivono di molti posti che hanno visto, che non hanno mai visto o che hanno inventato, autori che ricercano sui libri, autori che immaginano, autori cui non importa molto del posto in cui si trovano. Byron ha trascorso molto tempo a Venezia, e la Venezia delle sue opere è deliberatamente una collezione di fondali d’opera, mentre la Grecia di Durrel è ritratta attraverso una spessa lente nonsense. Per contro, i Caraibi di Salgari sono pura fantasia, così come la Russia di Dumas e l’Italia della signora Radcliffe. Oppure c’è un Flaubert, che, prima di scrivere Salammbo, se ne va in Algeria e Tunisia, a caccia di colori e di luci: “…il cielo diventa di un verde pallidissimo e il mare si rischiara sotto questa grande striscia indefinita… ormai ci sono pochissime stelle, molto diradate; tutta la parte sud e ovest di Cartagine è di un biancore brumoso…” Ci si legge l’ansia puntigliosa di ricreare questo posto (una Cartagine ormai morta da venti secoli) quando sarà di nuovo in Francia, seduto alla sua scrivania.Utopia

Ci sono anche autori che inventano i loro posti: Swift e Lilliput, Thomas More e Utopia, Hope e la Ruritania, Cyrano e i Regni della Luna e del Sole. E il discorso appare meno peregrino quando si pensa a come questi posti inventati rispecchino, distorcano, idealizzino, mettano in parodia o in satira dei posti reali.

Infine ci sono autori che finiscono con l’incarnare un luogo perché non solo le rappresentano ripetutamente nella loro opera, ma a loro volta rappresentano tipicamente un’epoca, un modo di vita, una generazione, una corrente intellettuale. Questi legami sono particolarmente evidenti con quelle città che hanno svolto il ruolo di centri intellettuali. In una grande città piena di gente che va a teatro e legge i giornali, che crea e segue le mode, che sperimenta in prima battuta i cambiamenti sociali e le innovazioni, lo scrittore ha una quantità infinita di stimoli, di contatti, di possibilità e di pubblico. Le città, con le corti, le università, le biblioteche, i musei, le cattedrali, i caffè, i mercati, i teatri, l’umanità fitta, varia e affamata di storie e parole, in tutte le epoche attraggono gli scrittori come calamite, li lusingano, li portano alla fama o li relegano nelle soffitte.

DickensLondonE in cambio, ogni tanto, uno scrittore coglie lo spirito di una città, lo assorbe, lo fa suo, gli dà forma e colore e lo consegna alla letteratura. Qualche volta la città diventa un personaggio a pieno titolo, qualche volta una cornice pittoresca, o una quinta teatrale, o un’ispirazione inesauribile, o un simbolo, o un’idea. Una città di carta e inchiostro può essere tanto varia e complessa quanto la sua controparte di mattoni.

Provate a pensare all’amore/odio tra Dickens e la sua Londra fatta di prigioni, botteghine, tribunali, strade sudicie, slums e ponti, immersa nella nebbia, offuscata dal fumo, nera di fuliggine, eppure brulicante di vita. Non è detto che Londra fosse così – eppure la forza della visione di Dickens è tale da condizionare ancora oggi quella dei suoi lettori: a due secoli abbondanti di distanza, tutti andiamo a Londra e cerchiamo Dickens.

Questo è, in definitiva, il sugo del legame tra uno scrittore e una città. È quel che avevo cercato di indagare e raccontare in Scrittori & Città – e adesso mi ritrovo ad averne nostalgia, e mi piacerebbe rispolverare i risultati. Mi metterò in cerca di posti – ma intanto, se a qualcuno da qualche parte interessa sentirmi bagolare di Londra, Parigi, Vienna ed Edinburgo attraverso le opere dei loro numi tutelari letterari, fatemi sapere. C’è un form, qui in fondo alla colonna a destra, chiamato “Domande, idee, dubbi, curiosità?” Contattatemi – e ne discuteremo.

Feb 21, 2011 - Spigolando nella rete    2 Comments

Dieci Romanzi Che Non Avrei Creduto Di Vedere Trasformati In Videogioco

Il commento di Renzo a questo post mi ha fatto venir voglia di indagare un pochino, e le indagini hanno dato risultati inattesi.

Cominciamo col dire che mi aspettavo i gazillioni di giochi per il computer ispirati a Tolkien, Terry Brooks e imitatori vari, e non sono sorpresissima delle lunghe serie di hidden object games ispirati ad Agatha Christie e ad Arthur Conan Doyle. Tutto sommato, anche Enid Blyton e Nancy Drew (serie, non autrice, perché non esiste un unico autore di Nancy Drew) non sono nulla di inatteso. Stevenson? Ci sta tutto: Lo Strano Caso e L’Isola Del Tesoro… com’era possibile che gli sviluppatori non si lasciassero tentare? E anche personaggi come Dracula, Alice, Frankenstein, Tarzan, James Bond e Conan il Barbaro sono scelte naturali, come pure tutto ciò che ha a che fare con Cthulhu e il Mago di Oz*. Parimenti immagino che Richard Scarry, Peter Pan, Mamma Oca, gli animali di Esopo e i Fratelli Grimm, questi beniamini dei piccoli, dovessero diventare giochi. Sono un po’ più sorpresa, semmai, da titoli come Ivanhoe, Viaggio al Centro della Terra, Il Giro del Mondo in Ottanta Giorni (e non una volta sola) e Caccia a Ottobre Rosso.

Poi ci sono le cose davvero bizzarre, quelle che non mi sarei mai aspettata di vedere adattate (anche più di una volta) in forma di videogioco. E se confesso di avere sobbalzato un nonnulla davanti al Grande Gatsby segnalato da Renzo, ecco qui altre sorprese:

1) Fahrenheit 451 – in cui si vestono i panni di Montag (ovviamente), tanto vecchio da essere uscito in floppy disk.

2) L’Odissea – no, forse di questo non sono stupita davvero. Voglio dire, è una delle più fantastiche avventure di tutti i tempi, per cui… forse questi non era il migliore degli adattamenti possibili, se è recensito come “il peggior gioco del mondo – un insulto a Omero e all’intelligenza del giocatore”…

3) Salome – non perché Oscar Wilde non meriti attenzione, ma dalla descrizione del gioco, intitolato Fatale, non riesco assolutamente a capire come funzioni, né che cosa si possa fare di preciso. Non so perché ma l’idea di salvare il Battista in un finale alternativo mi sembrerebbe… shall we say bizzarra?

4) Harlequin – allora, chiariamo: Harlequin non è un romanzo, è l’equivalente anglosassone delle nostre collane Harmony. E chi l’avrebbe mai detto? Esiste un titolo, Hidden Object Of Desire, in forma di uno di quei giochi in cui bisogna trovare gli oggetti in mezzo alla confusione. Il romanzo è allegato in PDF, dice la pubblicità. Suono genre-snob, se dico che non ho parole?

5) I Miserabili – per una volta, sembra basato sul romanzo e non sul musical. Molto filosofico e complesso, mi par di capire – ma d’altronde, essendo basato su tanto tomo…

6) Il Mondo di Sofia – voglio dire, Il Mondo di Sofia! Personalmente, trovavo Gaarder irritante in libro, per cui mi sembra difficile immaginare qualcuno che voglia anche giocarci al computer… ma d’altra parte, si sa, la Clarina ha strane antipatie.

7) Amleto – e non una volta sola. Anche se, a dire il vero, Castle Elsinore sembra più che altro una di quelle avventure in cui si esplorano cunicoli e sale con le bifore, a caccia di tesori. Hamlet sembra più interessante, un’avventura testuale in cui, nei panni di Amleto, si interagisce con gli abitanti di Elsinore e un certo numero di ospiti provenienti da altri titoli scespiriani. Hamlet per iPhone sembra una faccenda più spassosa, con un astronauta/viaggiatore temporale che atterra accidentalmente sopra Amleto, uccidendolo, e decide (credo) di togliere Ofelia da quell’ambiente malsano che è Elsinore.

8) Col Ferro e col Fuoco – e qui andiamo sull’inaspettato davvero. In realtà non è niente di più o di meno di un gioco strategico, ma lo chiedo a gente più addentro di me: quanti giochi strategici sono basati sul romanzone nazionale polacco e ambientati nel Seicento?

9) La Divina Commedia – e anche questo non una volta sola. A quanto pare, ogni tanto, qualcuno trae un videogioco dal nostro poema nazionale, con titoli come La Foresta Oscura, le Tribolazioni di Santa Lucia e cose simili. E se pensate che questo dovrebbe essere in cima alla lista, invece no. Per quanto mi riguarda, la palma spetta a… 

10) Salammbo – perché la Divina Commedia è universalmente conosciuta (almeno di nome) e contempla un viaggio nell’oltretomba e abbondanza di diavoli. Invece trovo che per andare a pescare il più sconosciuto dei romanzi di Flaubert e farne un videogioco ci voglia una notevole dose di spudorato coraggio. Per metterci come colonna sonora il Requiem di Mozart, però, forse ce ne vuole ancora di più!

Valgono gli stessi commenti che si facevano per Jane Austen. Qualcuno andrà a leggersi il libro dopo avere giocato al gioco? Non ne ero sicura a proposito di Orgoglio e Pregiudizio, con questi dieci titoli sono abbastanza certa di no – salvo rarissime eccezioni. Semmai ci sarà gente che ha letto il libro e poi gioca.

Però, dite la verità: siete sorpresi?

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* Uno dei non tantissimi giochi che ho provato di persona è Emerald City Confidential, che mescola distopia oziana e atmosfera hard boiled notturna… mica male, devo dire – per improbabile che suoni.