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Mar 31, 2014 - Shakeloviana, teatro    2 Comments

Shakeloviana: Will Shakespeare

Dopo qualche strologamento, ho deciso di iniziare Shakeloviana con un vecchio (1921) play – e no, non è il Marlowe di Josephine Preston Peabody.

In tutta probabilità parleremo anche di quello, benché ne abbia già accennato qua e là, ma per il momento direi che possiamo cominciare con qualcosa che, nonostante il titolo, si occupa di entrambi i nostri festeggiati – e se ne occupa in modo… vogliamo definirlo bizzarro?

Ma sì, diciamo pure bizzarro, e anche ragionevolmente inconsueto. Perché sapete bene che una delle domande senza risposta a proposito del teatro elisabettiano è se Shakespeare e Marlowe si conoscessero e, se non ci sono documenti di sorta a provarlo, le probabilità che si conoscessero sono altine. Voglio dire, colleghi, coetanei e, almeno per un periodo, rivali in un mondo piccolo e denso come la Londra teatrale di un’epoca in qui si viveva gli uni nelle tasche degli altri… Non incomprensibilmente, narratori e autori teatrali hanno sempre abbracciato con entusiasmo l’idea che si conoscessero eccome, perché il gusto di farli interagire fittiziamente non è cosa cui si rinunci con facilità.

English: English novelist and playwright Cleme...Sul tipo di interazione ci sono scuole di pensiero, e Clemence Dane, con il suo Will Shakespeare, an Invention in Four Acts, appartiene a una scuola piccola piccola. Per ora, nel corso delle mie letture, di appartenenti a questa scuola ne ho incontrati soltanto due – ma andiamo con ordine.

Clemence Dane in realtà si chiamava Winifred Ashton, ed era un personaggio piuttosto singolare a sua volta: romanziera, playwright, giallista collaborativa, saggista occasionale, pittrice e scultrice*. Magari qualche volta parleremo di lei, ma per ora limitiamoci a Will Shakespeare, annata 1921, quattro atti scritti in pentametri giambici piuttosto… er, magniloquenti. Il primo atto è ambientato a Stratford, con un giovane Shakespeare irrequieto e visionario e una Anne Hathaway che, all’epoca, sarebbe di sicuro finita al rogo per stregoneria nel giro di tre scene. È un diluvio di inganni, controinganni, ricatti morali, premonizioni e fantasmi… suona gonfio? Lo è – oh, lo è.

Dopodiché ci si sposta a Londra, e s’incontra Marlowe, che è un caro ragazzo di genio, ben contento, nel tempo sottratto a un’ispirazione torrenziale e a una vita sociale intensa anzichenò, di prendere sotto la sua ala quel simpatico campagnolo così promettente. E dunque i nostri due non solo si conoscono, ma sono grandi amici e writing buddies, in una maniera che pochi altri autori hanno considerato anche solo vagamente plausibile…

Ma non è questo che avevo in mente nel parlare di bizzarria. Perché dovete sapere che l’idillio s’interrompe quando entra in scena la Dama Bruna dei Sonetti – qui una Mary Fitton particolarmente ambiziosa e calcolatrice che, pur apprezzando l’omaggio di Will, nutre molto più interesse per il celebre e fiammeggiante Kit.

Mary Fitton

Mary Fitton

E Marlowe finisce per cedere alla tentazione – pur con molte remore e molti patemi – quando la terribile Mary lo raggiunge a Deptford, vestita da ragazzo e sotto il nome di Francis Frizer – con il quale, prima delle scoperte di Leslie Hotson, si credeva di identificare l’assassino di Marlowe. Ma era tutto un equivoco, ci dice Clemence Dane, perché a vibrare la pugnalata preterintenzionale è uno Shakespeare in crisi di gelosia – salvo pentirsene gravissimamente prima di subito.

Ops…

Per una parvenza di soluzione ci vorrà la regina in persona, maternamente addolorata per la morte di Marlowe, ma ancor più maternamente decisa a proteggere Shakespeare – e a bandire da corte Mary-la-tentatrice-infedele-e-senza-cuore che, come ognuno può vedere, è la causa di tutto.

Segue finale  tanto purpureo quanto il primo atto, con uno Shakespeare incatenato alla sua penna, tormentato da rimpianti e rimorsi che riversa nei fantasmi dei suoi personaggi che lo vengono a visitare… Sipario.

Ebbene sì: Shakespeare uccide Marlowe – però non lo fa del tutto apposta, e gli dispiace dannatamente. Ve l’avevo detto che era bizzarro.

A titolo di conclusione, lasciate che vi dica che Will Shakespeare non è un granché. Verboso, melodrammatico e veemente, popolato di gente che declama anziché parlare, con una bella malvagia senza un briciolo di coscienza e nulla che la redima, mi verrebbe da chiamarlo il prodotto di un’altra epoca, ma in realtà non fu mai molto popolare in teatro – salvo ricomparire di quando in quando alla radio o in televisione. Dalla sua ha, trovo, due cose: uno Shakespeare più convincentemente difettato di come lo ritraessero molti contemporanei di Ms. Dane, e un’interpretazione più originale di altre di quel che si sapeva all’epoca sulla morte di Marlowe. Di lì a una manciata d’anni sarebbe arrivato Hotson a chiarire molte cose, ma nel 1921 c’era molto più posto per qualsiasi quantità di speculazione selvaggia – compreso uno Shakespeare omicida preterintenzionale, anche se non credo che la Clemence facesse molto sul serio in proposito.

Casomai vi pungesse l’uzzolo di dare un’occhiata, trovate il testo su Internet Archive, in una varietà di formati.

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* Tre suoi lavori sono esposti alla National Portrait Gallery. Tra l’altro, due ritratti del suo grande amico Noël Coward.

 

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Musei, Archivi, Biblioteche

internet,jstor,library of congress,national trust,internet archive,mit,capital collectionsQuesto post è una collezioncella di link che vi volevo segnalare. Li ho raccolti qua e là, pensando di postarci sopra, e poi ho sempre rimandato…

Ma oggi è la volta buona. Consideratela una versione settembrina e studiosetta di quel vecchio post sul grand tour virtuale…

Allora, per prima cosa, JSTOR. JSTOR è nato nel 1995 come archivio digitale di pubblicazioni accademiche ad uso di università e biblioteche. Con gli anni, mentre le collezioni si facevano sempre più vaste, si è visto che anche i ricercatori individuali, gli storici della domenica e gli avidi lettori desideravano di poter accedere a questo genere di materiale – soprattutto quelli che, come noi, abitano a desolante distanza dalla biblioteca universitaria più vicina. Così, dallo scorso anno, JSTOR ha aperto il programma sperimentale Register&Read: ci si registra gratuitamente e si ottiene accesso a una selezione delle collezioni, da cui si possono leggere online fino a tre articoli ogni due settimane – con la possibilità di acquistare i singoli articoli da conservare. Per accedere con meno restrizioni a una selezione più ampia, da settembre sarà possibile acquistare un Jpass, una sorta di abbonamento mensile o annuale. E oer ora non ho idea del prezzo – ma sospetto che, soprattutto se si è interessati a scienze sociali, storia e letteratura, la ricchezza delle collezioni possa giustificare la spesa.

Poi ci sono le collezioni del National Trust , ovvero un ricchissimo archivio di immagini (quasi settecentottantamila) di opere d’arte, oggetti di design, libri antichi, strumenti musicali, gioielli e altri tesori contenuti nelle numerosissime dimore d’epoca d’Inghilterra. Le riproduzioni, pur non enormi, sono ottime, e si possono esplorare in base a diversi criteri: per luogo di appartenenza, per secolo o anno, per categoria, per autore… Perfetto per documentarsi su che genere di mobili, posate o abiti usassero nel tale o talaltro anno – a patto di nutrire questo genere di curiosità a proposito dell’Isoletta…

Di Internet Archive forse vi ho già accennato in qualche post, ma non ne abbiamo mai parlato diffusamente – e invece ne vale davvero la pena: è uno sterminato archivio di testi, film, musica, audio files audio (ci sono anche i radiodrammi!), siti web, immagini… Sterminato, in continua espansione e del tutto gratuito. Ci si registra e si cerca – that simple. E c’è anche la WayBack Machine, che raccoglie e conserva milioni di pagine web che non esistono più – una notevole consolazione e spesso un’utilissima ultima spiaggia nella complessiva inafferrabilità della rete.

E altre vastissime e varie collezioni (seppure con uno slant non del tutto incomprensibilmente americano) si possono consultare sul sito della Library of Congress: libri, stampa, film, immagini, manoscritti, musica, giornali radio, cataloghi di mostre, fotografie – il tutto ricercabile con una varietà di criteri, e la possibilità di farsi assistere via mail (o anche via chat) da uno staff esperto, competente e disponibilissimo.

E se poi invece, con l’approssimarsi di settembre, vi venisse voglia di rimettervi a studiare, perché non provare con i corsi online del Massachussets Institute of Technology, disponibili su OpenCourseWare? Economia, Letteratura, Ingegneria, Medicina, Tecniche Teatrali, Matematica, Scrittura Creativa… sono pochi gli argomenti su cui non ci sia un corso a disposizione. Si scaricano dispense, bibliografie ed esercitazioni, e poi si fa da sé.

Tornando sul nostro lato della Tinozza, ci sono le Capital Collections, archivio digitale delle immagini dei musei e biblioteche di Edimburgo – dove, per esempio, potete vedere in dettaglio e da molto vicino le opere della Scultrice Misteriosa.

E per finire, a titolo di dessert, Books Should Be Free, con questo nome un nonnulla demagogico, è una collezione di libri elettronici. I titoli, tutti nel pubblico dominio, sono disponibili in una varietà di formati e per lo più anche in forma di audiolibri. Nulla che non si possa trovare sul Project Gutenberg, se volete, ma più comodo a ricercarsi per genere – perché a volte si ha semplicemente voglia di un giallo o di un romanzo storico… 

Ecco qui. E non finirò mai di ripeterlo: non è meraviglioso, pur standosene in un paesino di campagna nelle pianure nebbiose, poter accedere a intere biblioteche lontane tutto un oceano?