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Feb 8, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Chi ha paura di Virginia Woolf?

Chi ha paura di Virginia Woolf?

VW_-_Hogarth.jpgL’anno scorso Guanda ha pubblicato una traduzione di A Boy at the Hogarth Press, di Richard Kennedy, con il (goffo?) titolo Io Avevo Paura di Virginia Woolf*.

Goffo ma funzionale e, probabilmente, necessario per il pubblico italiano, non tenuto a sapere che la Hogarth Press era la casa editrice fondata nel 1917 da Leonard e Virginia Woolf.

Virginia non stava bene: nel ’13 aveva tentato il suicidio e negli anni successivi i suoi problemi mentali si erano ripresentati, più allarmanti che mai. I medici suggerivano una sana vita in campagna (che Virginia trovava deprimente) e un’occupazione che la assorbisse. Probabilmente avevano in mente qualcosa come le marmellate o il giardinaggio, e invece Leonard fondò una casa editrice piccola, raffinata e tremendamente snob.

Dieci anni più tardi, nel 1927, enter Richard Kennedy, sedicenne di discreta famiglia dal passato scolastico burrascoso, e dall’allarmante mancanza di qualsiasi inclinazione pratica. O almeno così ritiene il semi-disperato zio architetto che supplica Woolf di assumerlo come tuttofare alla Hogarth Press. Leonard accetta, ed avrà di che pentirsene.

Candido e svagato, Richard non è un granché come garzone: appende scaffali che crollano prontamente, è lento nell’impacchettare i libri, batte a macchina con due dita (e una grammatica abissale), corteggia indebitamente la graziosa segretaria, si lancia in osservazioni prive di tatto sui nipoti dei suoi datori di lavoro… La sua prodezza più epica è anche l’ultima: un colossale errore nell’ordine di carta per l’opera omnia di Virginia gli costa il licenziamento in tronco. “Il più spaventoso idiota che abbia mai avuto il privilegio d’incontrare in una lunga carriera di sopportatore di stupidi”, lo definisce un esasperato Leonard Woolf**.

Ma intanto Richard ha osservato, ha tenuto un diario, ha fatto degli schizzi, abbastanza per offrirci un ritratto del tutto inconsueto dei Woolf: Leonard, impaziente e petulante, capace di razionare la carta igienica o d’insegnare al suo garzone come si fuma la pipa; Virginia tirannica, irrequieta, maligna e affascinante; e attorno a loro tutta un’eccentrica e litigiosa clique di Bloomsbury.

Il risultato (a parte il fatto che Leonard dovette evidentemente riordinare tutta la carta) è un piccolo libro incantevole: non sarebbe bello se ogni grande della letteratura avesse avuto un Richard ad osservarlo e prendere appunti, in tutto candore e senza un’ombra di timore reverenziale?

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* Traduzione, molto gradevole, di Alba Bariffi.

** Never fear: Richard farà strada, studierà arte e diventerà un celebre illustratore. Si vede che così idiota non era, dopo tutto.

Gen 19, 2010 - libri, libri e libri    19 Comments

Perché Diamine “Lord Jim” è Il Libro Della Mia Vita

Dialoghetto ieri a Gonzaga:

Una Signora: “Le è piaciuto Il Tiranno di Manfredi? “

Io: “Non mi è dispiaciuto, ma non è il libro della mia vita.”

Un’altra signora: “E qual è il libro della sua vita?”

Sobbalzo sembre quando vengo presa alla lettera in queste circostanze, ma naturalmente ho risposto che il libro della mia vita è Lord Jim, di Conrad. Come al solito, pochi lo avevano letto, e di quei pochi nessuno lo apprezzava alla follia (tranne una signora di origine inglese). Sempre così. Lo raccontavo ieri sera per telefono ad A., e lei, che LJ non lo sopporta, è sbottata:

“Lo vedi che è malsano avere Lord Jim per libro della tua vita? Si può sapere perché, poi?”

Indignata, ho ribattuto per un’infinità di ottimi motivi, al che A. si è messa a ridere, e poi siamo passate a discutere se andare o no a vedere Avatar. Ora, non so se andremo a vedere Avatar, ma ho rimuginato sulla domanda. Ebbene, A., ecco perché:

1) Perché la prima volta che l’ho letto l’ho piantato a pagina dodici, convinta che non mi piacesse, ma ero già talmente catturata che ho dovuto riprenderlo in mano e leggerlo tutto.

2) Perché dopo vent’anni seguito a rileggerlo ancora e ancora, e ogni volta ci trovo qualche sfumatura nuova, qualche sottigliezza che mi era sfuggita, qualche meraviglia sepolta un po’ più a fondo.

3) Perché il suo protagonista è così ben scritto che per me non è meno reale di una persona in carne ed ossa. Io conosco Jim, so che voce ha, che tipo di sguardo, come si muove, in che modo ragiona. Quasi un membro della mia famiglia.

 4) Perché nei momenti difficili e di fronte alle decisioni epocali, quello è il libro che riprendo in mano, anche se (o forse proprio perché) è una storia dolorosa, di colpa e di fallimento, di paura e di occasioni mancate, e di redenzione che sembra raggiunta e poi sfugge di mano.

5) Perché a diciotto anni, leggendone una versione semplificata in lingua originale mi sono innamorata dell’Inglese con un entusiasmo che dura tutt’oggi, e ho scoperto che leggere un libro tradotto e leggerlo in originale sono due esperienze completamente diverse.

6) Per la scena in cui, dopo la vittoria sugli uomini di Ali, la gente del villaggio acclama tumultuosamente Jim, con i gong e i tamburi, sventolando bandierine bianche, rosse e gialle. La scena è narrata al lettore da un narratore che riferisce di come Marlow gli abbia raccontato la versione di Jim. E in cinque righe, attraverso questo cannocchiale rovesciato di punti di vista, mi si è impressa in mente con una vividezza indimenticabile.

7) Perché in mani diverse questa vicenda sarebbe stata solo un melodramma avventuroso, e invece Conrad ne fa una tragedia dell’incapacità di vivere all’altezza delle proprie aspettative: Jim non solo non è perfetto, ma soccombe alla sua imperfezione, travisa se stesso e gli altri, insegue o rifugge cose che non esistono, non impara mai a venire a patti con la realtà, e paga (e fa invoontariamente pagare a tanti altri) un prezzo altissimo, nel finale più desolato che si possa immaginare.

8) Perché a sedici anni, leggendo questa storia, ho capito per la prima volta che un autore deve essere spietato con i suoi personaggi, non deve risparmiare loro nulla, non deve proteggerli né da loro stessi, né da ciò che accade nelle storia, né dal giudizio del lettore.

9) Perché dalla complessità della sua struttura e della sua caratterizzazione ho avuto la prima impressione che scrivere non fosse questione di aspettare l’ispirazione, aprire il proprio cuore e vuotarne il contenuto sulla carta: tra letture, riletture, analisi, dissezioni e uno sciagurato tentativo di riduzione teatrale, Lord Jim è stato la mia prima scuola di scrittura.

10) Perché negli ultimi vent’anni la mia aspirazione è stata (e ancora è) non quella di scrivere un libro come questo, ma di scrivere un libro che ne abbia l’intensità, le ombre, la passione, la potenza e la bellezza. Wish me luck.

E voi? Che cosa ha fatto per voi il libro della vostra vita? Che cosa avete trovato tra le sue pagine?  

Dic 30, 2009 - blog life, scrittura    Commenti disabilitati su Prossimamente Su Queste Pagine

Prossimamente Su Queste Pagine

Dunque, la fine dell’anno si avvicina e si fa tempo di buoni propositi. La prima cosa che mi viene in mente è che mi è piaciuto molto fare la Fenomenologia dello Sbregaverze, e chissà, magari si potrebbe pensare a qualche altra serie di post a tema. Qualche ideuzza ce l’avrei.

Ci si potrebbe occupare, per esempio, di Scrittori e Città, del modo in cui un dato scrittore incarna lo spirito di un dato posto in una data epoca. Oppure di Malvagi Letterari… posso confessare di avere sempre avuto un debole per i Vilains, sia nei romanzi che all’opera? Così come mi sono sempre piaciuti i Sidekicks, quella gente messa in ombra dal protagonista, quelli che l’autore non preferisce. Anche i Romanzi per Fanciulli si prestano: da un lato l’allegra e criminale noncuranza con cui certi classici finiscono nelle biblioteche scolastiche (o sono consigliati in libreria a donatori ignari), e dall’altro l’altrettanto criminale spirito con cui si scrivono libri per l’infanzia. E che dire di quei Falsi Storici prodotti dalla letteratura ad uso propagandistico? Poi non prometto di trattenermi indefinitamente dallo scrivere di opera, non foss’altro che per il sublime nonsense scaturito dal combinare musica meravigliosa e libretti scritti nel modo più dissennato…

Hm, sì. Dopo tutto non credo che mi annoierò particolarmente, nell’anno nuovo.

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