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Lug 17, 2017 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Cappa (estiva) & Spada

Cappa (estiva) & Spada

Achard“Com’è, o Clarina, che non fai più quei post d’inizio estate in cui consigliavi letture vacanziere?”

Vero – un tempo facevo questa cosa, e poi non l’ho fatta più… E ho paura di non farla nemmeno quest’anno, non tanto per malvagità o terribile pigrizia – quanto per motivi linguistici: arrossisco nel confessar di leggere talmente poco in Italiano, che non ho granché da consigliare…

Però ho qualcosa da farvi vedere – che potrebbe tradursi in una lista di letture estive oppure no, ma è eminentemente estiva nella sua natura.

Allora, dovete sapere che qualche tempo fa, mentre lavoravo a un progetto non Gerardnarrativo, mi sono imbattuta in una collana di romanzi avventurosi che la Mondadori pubblicò tra il 1933 e il 1935, chiamata Romanzi di Cappa e Spada. Armi e Amori. La collana conta trentaquattro titoli, con qualche classico del genere in mezzo a parecchie faccende oscure & dimenticate. C’è una certa quantità di historicals di Arthur Conan Doyle, primo tra tutti il meraviglioso Gérard*. Poi ci sono titoli minori di qualche autore celebre, come i due Dumas e la baronessa Orczy (meglio nota per il ciclo de La Primula Rossa). E poi ci sono autori che ormai ammontano quasi a una bizzarria bibliografica, tanto sono dimenticati come W.H. Ainsworth, contemporaneo e rivale di Dickens, autore del terribile L’Ammirabile Crichton, come Amedée Achard, iperattivo autore francese cui si attribuisce (erroneamente**) la definizione del genere “cappa e spada” e il buon Maquet, il collaboratore di Dumas padre, che ogni tanto scriveva anche in proprio.

MaquetMolti di questi autori di cappa e spada erano gente incredibilmente prolifica, con dei trenta o quaranta titoli accanto a rispettabili carriere più o meno d’altra natura. Achard era un giornalista e autore teatrale, Maquet lavorava appunto con il già straripante Dumas, Hauff era l’istitutore dei figli del ministro Von Hugel nonché un autore di fiabe (e morì a venticinque anni, quindi fece davvero tutto molto in fretta), Doyle aveva il suo daffare con Sherlock Holmes…

Ogni volume – o piuttosto numero, perché la collana si considerava un periodico – includeva, oltre al romanzo, “problemi polizieschi, varietà, passatempi, ecc.” (il n° 30 contiene persino una novella della Christie) e costava 2 lire.

Tre soltanto i romanzi italiani, uno dei quali di Alfredo Pitta, inoltre traduttore della maggior parte dei titoli inglesi, francesi e tedeschi***.

Il catalogo è una meraviglia: il solo elenco dei titoli è sufficiente a risvegliare l’undicenne che è in tutti noi – e spedirlo in soffitta a cercare spada di legno e mantello fatto con la tenda della nonna.

1. Giachetti, Cipriano, La tabacchiera dell’imperatore

2. Dumas, Alexandre père, Le due regine

3. Maquet, Auguste Jules, Gerardo di lavernie

4. Maquet, Auguste Jules, Il buffone gentiluomo

5. Maquet, Auguste Jules, La caduta di Satana

6. Maquet, Auguste Jules, La conquista di Parigi

7. Haggard, H. Rider, Iduna la bella  

8. Achard, Amedée, I leoncelli

9. Achard, Amedée, Il Figlio del falconiere

10. Achard, Amedée, Il serpente  

11. Achard, Amedée, Il vello d’oro  

12. Achard, Amedée, Le lame rosse  

13. Achard, Amedée, Un guascone a Parigi

14. Hauff, Wilhelm, Il castello di Lichtenstein  

15. Hauff, Wilhelm, Il cavaliere ignoto

16. Doyle, Arthur Conan, Le guasconate di Gérard

17. Pitta, Alfredo, I Cinque falchi

18. Ainsworth, William Harrison, L’ammirabile Crichton

19. Doyle, Arthur Conan, Il pretendente  

20. Doyle, Arthur Conan, I tre venturieri  

21. Doyle, Arthur Conan, Il principe nero  

22. Doyle, Arthur Conan, Le cinque rose  

23. Doyle, Arthur Conan, Le tre imprese

24. Doyle, Arthur Conan, Nuove imprese di Gérard  

25. Doyle, Arthur Conan, Saxon, l’avventuriero  

26. Doyle, Arthur Conan, Il castello della paura

27. Barrili, Anton Giulio, Diana degli embriaci  

28. Ainsworth, William Harrison, La figlia dell’astrologo  

29. Orczy, Emmuska, Fiocco di neve  

30. Orczy, Emmuska, I candelieri dell’imperatore [segue Il secondo Gong. Novella di Agatha Christie]

31. Orczy, Emmuska, Un Fiore nel turbine  

32. Montepin, Xavier de, Capitan Rolando

33. Montepin, Xavier de, Il vendicatore  

34. Dumas, Alexandre fils, Il romanzo del Salteador  

HauffAssolutamente meraviglioso. Non v’immaginate di essere ragazzini negli Anni Trenta, di aspettare in devozione il prossimo volume, di divorarlo di nascosto quando dovreste già essere a dormire e di giocare al figlio del falconiere o al cavaliere ignoto con i vostri amici?

E se poi volete pescare qualche lettura estiva, ci sono sempre le bancarelle dei libri usati, le biblioteche (e non dimenticate le meraviglie del prestito interbibliotecario) e, se avete voglia di cimentarvi con gli originali, il Project Gutenberg, Internet Archive o siti dedicati come DumasPère.

E dài, dopo tutto sono stata bravina: avventure avventurose, make believe, un po’ di caccia al tesoro… potrebbe essere più estivo di così?

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*  Ebbene sì, oltre a scrivere Sherlock Holmes e fotografare le fate, Doyle scriveva anche romanzi storici. Iperattivo ancihenò. Consigliatissime sono le irresistibili avventure napoleoniche del Brigadiere (nel senso di Generale di Brigata) Gérard, di cui esistono edizioni più recenti, come una Mondadori del ’95 e una Fabbri del ’02 – magari da leggersi insieme ai Memoirs de Marbot, cui sono ispirate.

** In realtà fu Ponson du Terrail, ma poi Achard pubblicò un romanzo intitolato La Cappa e la Spada, e fine della storia.

*** Il che significa che il signor Pitta ha tradotto 28 romanzi in tre anni. Complimenti.

 

Josephine Tey Alla Riscossa

josephine tey, mondadori, la figlia del tempo, gialliSono o non sono anni che vi dò il tormento a proposito di Josephine Tey?

Perché quando pensiamo al giallo classico inglese tutti abbiamo in mente Agatha Christie, ma c’è anche altra gente – come Ngaio Marsh, come Dorothy L. Sayers e come Josephine Tey.

Josephine Tey in realtà si chiamava Elizabeth Mackintosh, era un’insegnante scozzese – un’insegnante di ginnastica col dono delle storie. Cominciò con il teatro: sotto lo pseudonimo di Gordon Daviot* scrisse numerosi plays di argomento storico e meno storico, in particolare Richard of Bordeaux, che adesso è piuttosto dimenticato, ma all’epoca fu un enorme successo e fece del giovane (e non ancora Sir) John Gielgud una stella delle scene inglesi. josephine tey, john gielgud, richard of bordeaux

E poi al teatro si aggiunsero, sotto il nome di Josephine Tey, una biografia** e i romanzi. Gialli, per lo più, e in particolare le indagini dell’Ispettore Alan Grant. Grant appartiene al genere dell’ufficiale di polizia di buona famiglia: un gentiluomo educato in una public school, dotato di ottime maniere e interessi letterari, amicizie e utili conoscenze in tutto lo spettro sociale – ma non per questo meno tosto. 

josephine tey, mondadori, mike wigginsE naturalmente indaga in quell’Inghilterra che non c’è più – e chissà se ci sia mai stata fino in fondo, ma mi piace pensare di sì – in cui si prende il tè alle cinque, i landruncoli cockney chiamano tutti guv’nor e le celebri attrici portano guanti al gomito e cappelli a tesa larga, un’Inghilterra fatta di paesini di campagna e strade londinesi, teatri shakespeariani e magioni della buona, vecchia e solida gentry. Un’altra celebre giallista, P.D. James, dice che tutto ciò fa dei gialli teyiani quasi dei romanzi storici, con la loro “rievocazione di un’epoca gentile, pacifica e rispettosa delle gerarchie.***” E P.D. James, dopo tutto, quel mondo lo ha conosciuto… quindi forse, almeno in parte è esistito. josephine tey, mondadori, mike wiggins

Ma non divaghiamo. Se torno a parlare di Josephine Tey è perché Mondadori ripubblica alcuni dei suoi romanzi. Li ripubblica negli Oscar – i buoni vecchi Gialli Mondadori, che gialli non sono più, ma fa lo stesso, perché arrivano con delle belle copertine vecchia maniera di Mike Wiggins, illustratore Penguin. Non so dirvi nulla delle traduzioni – opera di gente diversa. Se qualcuno ha commenti da fare in proposito, però, è il benvenuto.

E i libri sono quattro: ci sono tre avventure di Grant – a partire da È caduta una stella (Shillings for candles****, 1933), passando per La strana scomparsa di Leslie (To love and be wise, 1950), fino a La figlia del tempo (The daughter of time, 1951); e poi c’è Il ritorno dell’erede (Brat Farrar, 1949), giallo atipico con un mistero vecchio di otto anni che torna a galla nella maniera più inaspettata. Li trovate tutti qui.

josephine tey, mondadori, mike wigginsE chissà se il vecchio mistero irrisolto di Brat Farrar sia stato una specie di prova generale in vista de La figlia del tempo… Perché ecco, se volete leggere un solo libro de Tey, badate che sia quello. E in realtà, anche se non volete leggere libri di Tey, anche se non v’interessa un bottone della Vecchia Inghilterra, anche se i cozies non sono la vostra tazza di tè – La figlia del tempo vale davvero la pena. Il fatto che nel 1990 la Crime Writers’ Association lo abbia eletto il miglior giallo di sempre può anche non significare molto, ma parliamo piuttosto del fatto che si tratta di libro estremamente singolare, intelligente e ben scritto. Parliamo di come Tey abbia inaugurato il genere del cosiddetto armchair mystery, confinando il povero Grant in ospedale e facendogli dirigere da lì una sorta d’indagine a distanza di secoli sull’omicidio dei Principi nella Torre, i nipoti di Riccardo III. Parliamo di come ciò renda Tey la zia dei gialli storici e la fata madrina di tutti i Riccardiani del vasto mondo anglosassone. Parliamo dell’aguzza analisi della leggenda nera di Riccardo – e di tante reputazioni storiche costruite alla stessa maniera. E se vi pare che tutto ciò suoni noioso, credetemi: non lo è. Già il fatto di dare ritmo a un giallo in cui l’investigatore è a letto con una vertebra fratturata non è impresa da poco. Qualora non bastasse, il giallo diventa una meravigliosa riflessione sulla storia e sulla verità, ed è anche condito di dialoghi scintillanti. Molto vicino alla mia idea di perfezione, grazie.

Semmai vi fosse venuta voglia di leggere La figlia del tempo (e dovreste, se nutrite anche il più pallido interesse per la storia e il modo in cui si costruisce e racconta), qui trovate qualche link: in Italiano e in Inglese, di carta e Kindle…

     

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* Pseudonimo maschile, sì. Si supponeva che il teatro prendesse più sul serio un autore maschio – almeno agli esordi. Singolare come, sotto certi aspetti, gli Anni Trenta fossero ancora Brontë Country, vero?

** Claverhouse, ovvero la vita del pittoresco generale seicentesco John Graham, conosciuto come Bonnie Dundee. Se avete letto Old Mortality di Scott vi sarete imbattuti in lui.

*** Dall’introduzione ai romanzi di Tey pubblicati negli Oscar Mondadori.

**** Nel 1937 uno Hitchcock pre-Hollywood ne trasse (molto liberamente) un film: The girl was young, giunto in Italia come Giovane e innocente.

Rimuginando Su Librinnovando ’12

L’edizione romana di Librinnovando – o quanto meno il convegno, cui ho assistito sabato 28 aprile all’Università di Tor Vergata – è stata istruttiva.

Cominciamo dicendo che, com’è piaciuto agli dei dell’editoria, non sono pervenuti cinguettii indignati in difesa del profumo della carta – o quasi.* Il che, sospetto, conferma la mia teoria secondo cui molti cinguettatori s’indignano sulla sola base dei Trending Topics, e allora – a parità di occhiata volante – un titolo provocatorio come #byebyebook è destinato a scatenare molta più furia di un neutrale e tecnico #librinnovando…

Ciò detto, è stato interessante passare dal Cosa? dell’edizione milanese di novembre al Come? di questa volta. Posto che qualcosa sta succedendo in campo editoriale – qualcosa di cui forse non capiamo ancora bene la portata e le prospettive – come diamine possiamo applicare, integrare e far funzionare queste innovazioni e novità (hardly the same thing, if you get my drift…) all’università, nelle biblioteche, nelle scuole, nella promozione alla lettura, nelle politiche delle case editrici…? Come dovrà/potrà cambiare la pratica in tutti questi ambiti? E, per dirla con la direttrice del Cepell Flavia Cristiano, come si riuscirà ad abbracciare le potenzialità del cambiamento senza perdere per strada la lettura complessa?

Le risposte – o i tentativi di risposta – sono stati vari e diversi.

E devo dire che Gino Roncaglia, pur illuminante nel tratteggiare il quadro della situazione, non è stato incoraggiantissimo. La gente legge meno, ha detto. Il lettori forti consumano meno carta stampata, ha detto – il che non dovrebbe significare necessariamente che leggano meno, perché c’è una fetta di consumo che si sposta sul digitale, ma in realtà in Italia c’è una diminuzione in termini assoluti. Questo non succede, ha detto Roncaglia, dove c’è un ecosistema digitale ben sviluppato su cui i lettori possono spostarsi. Ma in Italia questo meccanismo non funziona, perché i grandi editori stanno reagendo con scoordinato terrore e i piccoli editori non hanno i mezzi e la visibilità per le loro sperimentazioni, e perché l’information literacy è di là da venire e richiederebbe infrastrutture e competenze che non ci sono… Siamo in ritardo, ritardo, ritardo – e i numeri della lettura calano.

Che ci si può fare?

Le risposte più promettenti sono arrivate da progetti già in corso, da realtà che, con le unghie e con i denti, si ritagliano avamposti d’esplorazione in questa terra incognita. E, badate, non parlo di progetti editoriali.

Parlo di Dianora Forza-della-natura Bardi, a capo della sperimentazione didattica digitale del Liceo Lussana di Bergamo, un esperimento interessantissimo che consente ai fanciulli di studiare ed elaborare una pluralità di fonti – cartacee e digitali – imparando metodo e rigore mentre studiano. Non son tutte rose e fiori, se la Prof. Bardi deve ancora lamentare la difficoltà di convincere i docenti a formarsi – eppure che meraviglia sentire un metodo didattico digitale basato su approfondimento, elaborazione originale e “più lettura e studio di prima”, anziché sulla modularizzazione estrema… **

Parlo poi di Luciana Cumino della Biblioteca di Cologno Monzese, dove sperimentano con il prestito digitale  – non solo l’ebook, ma anche l’ereader – e, mentre lo fanno, studiano accuratamente l’evolversi del rapporto tra il lettore e la lettura, tra la lettura e il mezzo, tra l’utente e la biblioteca***, tra la biblioteca e l’editoria… È probabile che questo modello di prestiti gratuiti non possa continuare indefinitamente, se le biblioteche devono restare aperte, ma questa fase di sperimentazione e studio fornirà di certo indicazioni fondamentali per la direzione in cui l’istituzione biblioteca potrà e dovrà evolversi. Detto fra noi, non sono affatto certa che sia una questione di togliere di mezzo i libri fisici per far spazio alla gente – e meno ancora di escogitare nuovi nomi, come ha suggerito Antonella Agnoli. Devo confessarlo: much as I love names, quando Agnoli ha suggerito di ribattezzare le biblioteche “Piazze del Sapere”, non ho potuto evitar di pensare a Robespierre e al suo culto dell’Essere Supremo…

E parlo anche dell’ormai buon vecchio LiberLiber (ma a me piace tanto anche il nome originario, Progetto Manuzio), che per primo ha creato una biblioteca digitale gratuita in Italia, o di OilProject, una sorta di scuola virtuale basata su mutuo insegnamento per mezzo di video tutorials e discussioni in chat.

Tutta gente agguerrita, piena di idee e con gli occhi bene aperti. Ma in tutto questo, gli editori dove sono?

Ecco, l’impressione che ho ricavato da Librinnovando è che gli editori annaspino – i piccoli come i grandi, seppure in maniere diverse.

Quadrino di Garamond va a caccia di facili applausi (“Basta con la scuola dei primi della classe e dei somari! La scuola dev’essere luogo di e per ogni conoscenza!” Punti esclamativi miei – ma insiti nel tono). Andrea Libero Carbone di :duepunti edizioni assume quell’aria di superiore disapprovazione che a tanti (specialmente piccoli) editori piace riservare al self-pub, e dà voce alla certezza che nessun self-publisher sia in grado di offrire un prodotto di qualità al lettore – ed eFFe è diventato uno dei miei eroi, intervenendo dalla platea per pizzicare ALC e tanti suoi colleghi su questa mistica dell’editoria… Manicardi di Barabba Edizioni è un simpatico personaggio che pubblica per hobby, ammonisce editori e self-publishers alike in parabole fantasy e lo fa con un irresistibile accento carpigiano – ma non si può considerare un editore a nessun effetto pratico. Brugnatelli di Mondadori propone un modello di autopubblicazione appoggiato a una community/workshop di scrittori non dissimile da quel che già fanno Penguin e Harper Collins e con un nod ideale al progetto 826 Valencia, ma non lo sa difendere da obiezioni talvolta più ideologiche che sensate.

Perché diciamolo: l’idea Mondadori non ha nulla di così profondamente malvagio in sé, ma offrire il fianco alle accuse di volerla passare per qualche tipo di no-profit è stata un’ingenuità incomprensibile. E badate bene, non lo sarebbe stata in un mondo in cui fosse possibile rispondere: certo che Mondadori vuole guadagnarci – e perché no? Mette in vendita dei servizi, cerca di farlo a un buon livello e secondo una certa ottica, vuole creare un ambito in cui lavorare su quella qualità che si dice essere fuori dalla portata del self-publisher medio… whatever – ma a qualche genere di prezzo.

Ecco, in Italia questo non si può dire – almeno non ad alta voce, così come è bad ton suggerire che attorno alla letteratura giri un’economia, o che chi scrive possa volersi aspettare qualche genere di ritorno economico. Insomma, perdonate se adesso viro un pochino verso il rant, ma la mia parte anglosassone s’infuria all’idea che in Italia, a livello editoriale così come a livello tecnico, sia anatema dire che la scrittura è un mestiere. E di conseguenza Brugnatelli non sa né può difendersi come sarebbe logico fare. E no: non ho davvero nessuna simpatia per Mondadori, ma non ne ho nemmeno per chi mi etichetta come sciatta e incapace sulla fiducia***, né per chi siede nel foro e lamenta la calata dei barbari, né per chi sventola il mito della scrittura ispirata e spettinata e pura da contatti con il crasso e vile mercato.

E quindi?

E quindi credo che Roncaglia e Calvo abbiano ragione: l’editoria sta reagendo nel panico più scomposto – chi all’avvento del digitale tout court, chi all’emergere del self-publishing. Forse l’editoria spera che passi tutto. Forse sta digerendo il fatto che per ora il digitale non crea nuovi lettori – ne sposta soltanto. Forse sta cercando di decidere se può perdere un tram che in Italia è ancora parecchie fermate indietro – dopo tutto la fetta di mercato degli ebook è ancora sotto il punto percentuale.

L’impressione è che siamo in ritardo, ritardo, ritardo – e che ci resteremo a lungo. E però a Librinnovando c’era gente su cui pare di poter contare per qualcosa che non sia starsene seduti ad aspettare i barbari. Alla fine della giornata me ne sono venuta via con aspettative deluse e aspettative nuove o rinnovate. Ci sono le scuole istituzionali e virtuali che formano nuove generazioni di lettori e alfabetizzano i cosiddetti nativi digitali. Ci sono le biblioteche che si ripensano nel contesto nuovo. Ci sono quegli scrittori che stanno facendo della rete un luogo di sperimentazioni letterarie e culturali.**** C’è la gente di Librinnovando che ha l’enorme merito di tener viva la discussione in proposito. E si spera che ci siano i lettori, che negli ultimi decenni non hanno avuto troppo spazio per discriminare, ma possono imparare a farlo, se solo se ne vedranno offrire l’occasione.

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* Salvo forse quando Brugnatelli di Mondadori ha detto che la difesa del profumo della carta è vastamente dissennata – e anzi, certe combinazioni di carta, colla e inchiostro riescono anche a puzzare. Questo ha scatenato a small volley, ma molto più ironico che altro. E – forse sarò cinica – credo che, se l’avesse detto chiunque altro in sala, non ci sarebbe stato nemmeno quello.

** E a questo proposito devo dire che Quadrino di Garamond non mi ha convinta particolarmente nel suo appassionato plea in favore di una conoscenza che non significa “ripetere, ma creare, condividere, collaborare.” All very well (uno slogan del genere non poteva non piacere – e difatti è piaciuto molto), ma dov’è che si parla di consolidare? Non so, ma non riesco a non dubitare che un’estremizzazione di questa teoria, presa da sola, finisca col rendere tutta la conoscenza effimera…

*** Perché dopo tutto sono una self-publisher, ricordate?

**** E quello di Roncaglia è stato, temo, l’unico accenno all’esistenza del fenomeno. E qualcuno ha anche lamentato l’assenza degli scrittori – con l’eccezione di Sergio Covelli, presente in veste di self-publisher e guerilla-marketer. Magari la prossima volta…