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Ott 8, 2018 - grillopensante    2 Comments

E Se Non Volessi Chiamarle Emozioni?

PassiMi è ricapitato sott’occhio un vecchio post sul modo in cui la passione (insieme con “le passioni”) era diventata un pilastro del marketing: da un lato le passioni vanno gratificate; dall’altro la passione nobilita qualsiasi cosa. Vogliamo mettere una merendina prodotta con passione? O un perborato che ci rende liberi di perseguire le nostre passioni?

Yes well.

Eppure… possiamo sghignazzare – ma è mia ferma convinzione che la pubblicità sia un buon indicatore di come pensa la società in un dato momento. Una singola campagna impostata in un certo modo può essere un tentativo, un errore di giudizio, un fatto isolato. Una tendenza è una faccenda diversa: significa che l’approccio funziona – e funziona perché ha colto qualcosa che risuona con i consumatori. Che li fa sentire bene spingendoli a comprare le merendine e il perborato.

E questo era quattro anni fa – ma non è come se le cose fossero cambiate terribilmente. Anzi, semmai la tendenza in questione ha fatto talea, e ha sconfinato dal campo del marketing: un segno di successo, se mai ce ne fu uno.

passion-heartLe talee sono in realtà due, perché alla passione/i si sono affiancati l’amore e le emozioni. Tutto è fatto con amore, tutto è fatto per suscitare emozioni. Il formaggio, le automobili, le crociere, i decreti legge… No, really: non l’avete sentito quel ministro della Repubblica che arrivando a Genova ha vantato l’amore e la passione che aveva messo nello stilare la sua bozza di decreto? E non era il solo.

Strategia facile e piaciona, buona per tutte le stagioni e in tutti i campi. Why, provate a chiedere a un implume delle medie perché gli piace tanto il tal libro, il tal film, la tale canzone… Se si tratta di un esemplare appena un po’ articolato, le possibilità che vi risponda “perché mi ha suscitato tantissime emozioni” sono altine. E per contro, naturalmente, perché non ti piace? “Non mi dà emozioni.” D’altronde, perché non dovrebbero farlo? Gli implumi, come i ragazzi del marketing, sono prontissimi nel capire quello che funziona.

Dite che sono cinica? Si sa. E probabilmente lo sono ancor di più nel pensare che questo sia profondamente diseducativo – ma d’altra parte, che cosa implica questo tipo di enfasi? Che non c’è ragione di coltivare capacità, talento, tecnica e competenza, tanto la passione azzera ogni considerazione di livello e qualità.  Che le passioni vanno gratificate sempre e comunque – e possibilmente subito. Che le decisioni si prendono col cuore, con le emozioni, con i sentimenti. Che non esiste altro che questo. emozioni2

Qualche anno fa, sul suo blog, Holly Lisle lamentava il modo in cui, in American English, il verbo “to feel” (sentire, provare sentimenti) stava sostituendo “to think” (pensare). Non si pensa più, diceva Holly. Si sente e basta – e, quel che è peggio, si viene incoraggiati su questa strada, fino al punto in cui farsi governare dalle emozioni diventa una specie di punto d’onore, mentre pensare è cosa fredda, meccanica e leggermente disdicevole.

Ecco, non sono certa di poterle dar torto. Rimpiango un po’ di non avere fatto qualche ricerchetta a suo tempo, per vedere da che cosa derivasse lo scivolamento linguistico – ma è probabile che Oltretinozza ci stessero precedendo per questa china emotiva. Si comincia con i blog, le riviste femminili, i venditori di perborato… per arrivare alla scuola e ai ministeri: non c’è motivo di cercare, capire, pensare, analizzare, porsi domande: o l’emozione c’è (e allora va bene) o non c’è (e allora anatema!). Fine della storia.

Voi non lo trovate leggermente spaventoso?

Apr 10, 2017 - grillopensante    Commenti disabilitati su Le Parole Giuste

Le Parole Giuste

ShleyC’è un simpatico piccolo libro elettronico di Bill Schley, chiamato The Micro-Script Rules, che analizza la forza degli slogan sulla base di un paio di principi di psicologia cognitiva.

In sostanza, il nostro cervello è programmato per selezionare le informazioni che assorbe, e agire utilizzando quelle essenziali. Un micro-script fa leva su questo meccanismo, rendendo un’informazione facile da ricordare – e quindi trattenere. I metodi sono vari: figure retoriche, immagini vivide, rima… suona familiare? Dovrebbe, perché sono artifici retorici utilizzati in letteratura.

Schley parte da proverbi e versetti biblici, passando per slogan politici ed elettorali, fino ad arrivare al marketing. Tutti ci ricordiamo che rosso di sera, bel tempo si spera per una questione di ritmo e rima. Occhio per occhio, dente per dente – è passato attraverso i millenni con la sua duplice ripetizione parallela e l’immagine immediata e cruda. Eran Trecento, eran giovani e forti – e sono morti non è davvero grande poesia, ma è facile, ben ritmata ed energica, e generazioni intere l’hanno ripetuta, anche senza sapere che cosa o di chi fosse, o di che parlasse il resto. Per motivi analoghi Giolitti rimase etichettato come l’uomo del parecchio, tutti ricordano il turatevi il naso di Montanelli, ognun sa che a Natale si è tutti più buoni e che la lavatrice vive di più con Calfort, e alzi la mano chi non ha mandato a memoria che le Alpi Ma con gran pena le reca giù.BSchley

Al cervello umano piacciono questi giocattoli: formule, slogan, rime, filastrocche, e tanto più se contengono un’idea, una nozione, un concetto. Schley fa l’esempio dell’Effetto Domino, le due parole chiave dell’immagine pubblica della guerra del Vietnam – almeno all’inizio. Erano facili da ricordare, trasmettevano un’immagine semplice ed efficace e chiunque poteva ripeterle e usarle in una discussione. Praticamente, un argomento liofilizzato da portare in tasca…

Perché, dice Schley, la forza del micro-script non sta tanto nel fatto che molta gente lo senta, quanto nel fatto che molta gente lo ripeta: la ripetizione è quello che semina le parole (e con quelle l’idea) e le fa passare in larghezza – per diffusione – e in profondità, attraverso le generazioni, i secoli e i millenni. Avete presente Fahrenheit 451, e gli Uomini Libro che trasmettono a memoria il contenuto del loro libro attraverso la ripetizione? Avete presente la tradizione orale, la trasmissione dei poemi omerici e più o meno di ogni singolo corpus mitico? Ecco, il micro-script è una versione ottimizzata di tutto ciò – in pillole.

Consideriamo ciò che è passato attraverso l’umanità in termini di convinzioni, voti, denaro e memoria attraverso queste pillole, e meditiamo sulla vertiginosa potenza del linguaggio…

E se per caso volessimo leggerne di più, qui c’è il libro per intero: TheMicro-ScriptRules.pdf

Gen 23, 2017 - commercials    Commenti disabilitati su Vecchie Storie, Mele e Detersivi

Vecchie Storie, Mele e Detersivi

CaroselloAllora, pubblicità.

E cominciamo col dire che per quest’ultimo Natale passato la Lacrimuccia d’Oro per il miglior ricatto natalpubbliemotivo va allo spot Apple, quello con una creatura à la Frankenstein che giunge nella piazza di un villaggio innevato… l’avete visto? Non passo molto tempo davanti alla televisione, ma mi è parso che lo trasmettessero davvero pochino. Ad ogni modo:

La versione breve omette i preparativi chez Frankie, il carillon, il ritratto e l’arrivo per posta delle lampadine, ma il sugo è esattamente lo stesso: il supposto Pericolo Pubblico in realtà desidera calore umano, appartenenza (e un felice Natale) proprio come chiunque altro. E naturalmente ci vuole l’innocenza di una bambina per dare il buon esempio, e una volta rotto il ghiaccio tutti cantano felici attorno all’albero illuminato, e basta poco ad aprire il cuore, e musica, kleenex, sipario. Oh – e comprate Apple per Natale, si capisce. Carino, fatto e raccontato come un piccolo film, efficace nella sua combinazione di effetto sorpresa, riferimenti all’attualità (“Go home!” grida qualcuno nella folla…) e accessori natalizi. Ruffiano  e spudorato nella manipolazione delle sacche lacrimali  ma d’altra parte quale buona storia di Natale non lo è? Dickens, anyone? O. Henry? Andersen…? Ed è vero che nessuno dei tre contrabbandava un suggerimento di comprare telefonini con la mela – ma qui stiamo parlando dell’arte di raccontare storie, e da questo punto di vista non c’è nulla da dire: Apple merita la Lacrimuccia d’Oro.

E poi, proprio agli antipodi e per nulla natalizia, c’è quest’altra piccola cosa:

Che devo dire? Dalla prima volta mi ha colpita il jingle tanto Anni Cinquanta, con la musichetta saltellante, le rimette baciate servite da apposita apocopina – e persino la diastoluccia Quasar/Quasàr… E che dire dello sciame di scintille quando la fanciulla passa il panno sulla vetrata, e del cartello finale su sfondo blu stellato? Se non ci fosse la reazione del ragazzo attorno a 0.30 ad avvertirci che non si fa sul serio, ci parrebbe di essere tornati a Carosello, nevvero? E intanto l’operazione nostalgia è servita, insieme all’implicazione che siamo davanti a un detersivo “come una volta”. E badate che in fatto di detersivi non c’è nessuna ovvia equivalenza tra buon tempo andato ed efficacia – solo una generica idea di solidità e sorridente affidabilità…

E insomma, ho parlato di due spot agli antipodi – ma forse non è del tutto vero: se lasciamo da parte il fatto che il detersivo è molto più diretto nell’uso dei suoi mezzi, non è sempre questione di risuscitare una vecchia storia per far passare, più o meno direttamente, un messaggio?

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Feb 19, 2016 - commercials, grillopensante    4 Comments

La libertà di non dover scegliere

TimVPer la maggior parte del tempo c’è Pif che, sullo sfondo di un cielo stellato di schermi televisivi multicolori, ci racconta come sia meraviglioso vedere la televisione grazie a Tim.  Il punto è che si può vedere tuttotuttotutto: “una galassia sconfinata” – nientemeno – “fatta di calcio e intrattenimento di ogni tipo” da vedersi a piacere. L’idea, apparentemente, è quella di poter vedere di tutto sempre, comunque e ovunque.

Anche a voi l’idea di questa onnipresenza e onniaccessibilità televisiva sembra più che un po’ inquietante – almeno in potenza? Ma questo è ancor nulla, perché tutti sappiamo che i mezzi sono buoni o cattivi a seconda di come li si usa, e alla fin fine la questione si riduce all’individuale discernimento e all’individuale senso della misura.

Peccato che poi Pif prosegua informandoci in tono estatico che…

“Le nuove tecnologie ci stanno dando la libertà di non dover scegliere… Non è fantastico?”

Altro cielo telestellato, musica, logo, informazioni pratiche, fine.

Ecco, appunto: non è fantastico?

Er… no.

Per niente, perché la “libertà di non dover scegliere” ha inevitabilmente degli echi orwelliani da far accapponare la pelle. Ricordate il discernimento individuale di cui si diceva un paio di paragrafi più sopra? Ecco, Tim ci informa allegramente che non abbiamo bisogno di farne uso: le nuove tecnologie ce ne dispensano – e siamo caldamente invitati a gioirne. Honestly, non riesco a guardare questa pubblicità senza pensare a 1984, e voi?Nineteen

E poi in realtà so benissimo che chiunque abbia scritto questa campagna non aveva in mente nulla del genere. Suppongo che l’intenzione fosse proporre un’immagine di spensierato e sconfinato intrattenimento, una sorta di gioioso telebengodi senza patemi. “Noi, a differenza di altri, non poniamo confini al vostro intrattenimento. Non avete bisogno di scegliere perché noi vi offriamo tuttotuttotutto…”

Solo che a questo punto a qualcuno è scivolata la penna e, invece di “Vi offriamo una scelta illimitata”, noi sentiamo “Lasciate che pensiamo per voi, abdicate a una delle fondamentali caratteristiche umane, non affaticatevi a scegliere, divertitevi e basta…” – e non suona terribilmente bene, you know.

E tanto più perché la campagna ha chiaramente qualche pretesa, avendo in cima Tim Berners-Lee, l’apertura celestiale,  idee come quella che ogni bambino possa “inventare la sua scuola”… E se cercate gli spot su YouTube,  li trovate intitolati “Il futuro secondo [il testimonial di turno*]”…

Ecco, imperniare una campagna pubblicitaria su un’idea di futuro ha perfettamente senso per un’azienda come Tim – però è impegnativo. Non è solo questione di quel che si propone, ma anche di come lo si racconta. Bisognerebbe badare alle parole che si usano. Alle implicazioni di quel che si dice. E magari anche al passaggio di tono tra la visione generale e l’offerta di un servizio specifico.

Sennò poi si finisce coll’evocare Orwell, col dare l’impressione di voler anestetizzare neuroni, col risultare inquietanti – e, tanto dal punto di vista del consumatore quanto da quello del marketing, temo che non sia poi così fantastico.

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* E non so, magari sono io – ma qualcun altro ha avuto un certo senso di bathos passando da Berners-Lee a Fabio Fazio?

 

Gen 20, 2016 - commercials    Commenti disabilitati su Il Buon Genitore Secondo i Ragazzi del Marketing

Il Buon Genitore Secondo i Ragazzi del Marketing

VoltarenDulcamaraApparentemente certe cose non cambiano mai… O quanto meno certi bottoni si possono toccare ancora, ancora e ancora con la ragionevole certezza che seguitino a funzionare.

Abbiate pazienza se vi rimando a leggere un vecchio post datato 2010, chiamato Un Buon Genitore Usa Voltaren. Pubblicità e ricatto morale… All’epoca sembrava particolarmente spudorato.

Letto?

Bene, ora fast forward di quasi due anni, a fine 2011, per Il Detersivo ai Tempi della Crisi, in cui si mostra il proliferare del principio in circostanze in cui i bisogni indotti avevano bisogno di usare l’artiglieria pesante. E quale artiglieria è più pesante del ricatto morale fondato su maternità/paternità?

Ora avanti al novembre 2012 per Il Tuo Sogno è Possibile –  di cui in realtà ci interessano la prima parte, in cui si parla di un’ulteriore metempsicosi della Campagna Voltaren, e dal quarto commento in giù, per una piccola discussione sul sottotesto di questo genere di pubblicità.Voltaren

E non è come se nel frattempo il marketing del ricatto fosse sparito – ma volevo farvi notare che è il gennaio del 2016 e, per l’ennesima volta, ci risiamo. C’è la bambinetta bionda vestita e pronta per qualcosa di speciale, e c’è la mammina in difficoltà. “Chiara, non  vorrei deluderti, ma devo prendermi un giorno di malattia…” Ed è naturale che mai e poi mai la pubblicità potrebbe permettersi di mostrare un bambino ragionevole: sarebbe controproducente al massimo grado – e in effetti Chiara è delusa al quadrato.

Ma…

E a questo punto confesso che la pubblicità in questione l’ho vista per la prima volta ieri sera e anche un po’ distrattamente, ma il concetto è ancora quello del Voltaren: “I genitori possono ammalarsi,” concede la rassicurante voce fuori campo, per poi aggiungere che però in questi casi, a mò di fata madrina, arriva il Medicinale Miracoloso di Turno.

Così Mammina sta bene, l’irragionevole Chiara è felice e, per questa volta, ci siamo evitati i sensi di colpa.

Insomma, quasi sei anni sono passati per nulla, e l’umanità consumante è pronta – o almeno si suppone che lo sia e viene incoraggiata – a farsi ricattare esattamente come nel Dieci.

Voltaren temper_tantrumA parte tutto il resto, a voi non viene voglia di vedere un implumino o un’implumina che, per una volta, rinunciano alla gratificazione istantanea, giocano al dottore e portano alla mamma il Medicinale Miracoloso di Turno e una copertina di pile? “Mettiti qui sul divano, mamma – vedrai che con il MMdT starai bene subito.” E l’indomani escono a giocare… Che diamine, persino l’elefante della Mastercard era più premuroso di questi mostriciattoli…

Perché magari sono solo io che mi incupisco invecchiando – ma, a ben pensarci, l’implicazione ricattatoria di questo genere di pubblicità comincia a piacermi ancor meno di quanto mi piacesse sei anni orsono. Non solo Un Buon Genitore Usa il MMdT, ma il buon genitore è solo quello che obbedisce istantaneamente alla volontà del pargolo, sempre e comunque – anche quando ha il colpo della strega o la febbre a trentanove e sette…

Anche a voi sembra poco edificante?

 

Ott 28, 2015 - commercials    Commenti disabilitati su Il treno dei desideri

Il treno dei desideri

ITALO_02È un pomeriggio di sole, e l’elegantissimo treno rosso si approssima alla stazione centrale di Milano.

In cabina di guida, il capotreno in altrettanto elegante e rossa uniforme – probabilmente euforico per l’approssimarsi della fine del turno – controlla il libro di viaggio (si chiama così?) e intanto canterella tra sé.

♫ Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me… ♫

Ma il microfono della cabina è rimasto aperto dopo l’annuncio dell’arrivo imminente, e nei vagoni i passeggeri, occupati a raccogliere giacche, borse ed effetti personali, sentono il concertino impromptu. Per fortuna, il ferroviario giovanotto è ragionevolmente intonato, per cui, dopo i primi sguardi perplessi, i viaggiatori cominciano a cantare uno dopo l’altro.

♫ Mi accorgo di non avere più risorse senza di te… ♫

È tutto un tripudio di sorrisi. Il treno entra in stazione, e sconosciuti compagni di viaggio chiudono i portatili e, cantando a squarciagola, si scambiano sguardi complici e felici. Particolarmente canore sono una mammina elegantissima e la sua deliziosa bimba in cappottino rosa.

♫ E allora io quasi quasi prendo il treno e vengo… vengo da te…” ♫

cinguetta l’implumina, mentre (non prima che il treno sia giunto a completo arresto), le porte si aprono, rivelando il suo papà. La piccola si getta tra le braccia del babbo, mentre i passeggeri canterini sciamano sulla banchina, facendo da coro al grazioso quadretto famigliare.

♫ Il treno dei desideri…

Brusco stop alla musica.

“Viaggia con Italo,” declama una rassicurante voce maschile fuori campo. “Il treno dei desideri.”

Fade to nothing.

Er…  Sì.

Il treno dei desideri? Quello che dei miei pensieri all’incontrario va?  E davvero a qualcuno è parsa una buona idea pubblicizzare un servizio ferroviario suggerendo che il treno in questione vada all’incontrario di alcunché? Non fino in fondo, evidentemente – a giudicare dalla brusca chiusura… Ma davvero hanno creduto che qualcuno in Italia potesse non concludere automaticamente l’ultimo verso?  È praticamente un riflesso condizionato: fermate un passante qualsiasi, canticchiategli “Il treno dei desideri…” e state a vedere che cosa succede.

E a questo punto non voglio domandarmi se tutta questa musicale felicità di arrivare a Milano non sia per caso dovuta alle contrarietà del viaggio – ma davvero… Forse la campagna avrebbe richiesto qualche piccola riflessione in più?

 

Ago 24, 2015 - commercials, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Sottotesto al caffè

Sottotesto al caffè

subtVe li ricordate quei vecchi spot di Nespresso – quelli con George Clooney… Yes well, Nespresso ha fatto un sacco di spot con George Clooney – ma ne ho in mente uno in particolare, che un capolavoro in miniatura di uso del sottotesto, e che uso ancora nei miei corsi di scrittura a titolo di esempio – perché il sottotesto non la più immediata e intuitiva delle tecniche, e trovare un minuto e mezzo di testo che ne concentri in quantità è qualcosa da festeggiare.

E prima che qualcuno protesti, ho detto ancora che la pubblicità è scrittura, vero? Ottima scrittura, quando funziona sul serio – il che non succede precisamente tutti i giorni, ma lo spot che ho in mente era un gioiellino. E allora, una volta premesso che per sottotesto s’intendono i significati che non sono espressi verbalmente, ma implicati dal contesto, dalle azioni, oppure per allusione, analogia, eccetera, analizziamo il gioiellino.

George sta uscendo dal negozio con una macchina da caffè nuova quando, in una scena molto subt4wilcoyotesca, guarda in su e vede un pianoforte a coda in caduta libera sopra di lui. Fade to white. George si ritrova a salire una scalinata bianca in mezzo a una distesa di nuvole ancora più bianche. In cima lo sta aspettando un personaggio vestito di bianco e provvisto di barbetta bianca (che, incidentalmente, è John Malkovich).

[Noi abbiamo già fatto 2+2, ovviamente: grosso pianoforte, luogo bianco e luminoso…]

“Hello, George!” saluta allegramente il Personaggio in Bianco.

subt3“Where am I?” chiede George.

[Se i film sono da prendere sul serio, è la domanda classica di chi riprende conoscenza, ma qui non c’è sottotesto, se non quello che George è comprensibilmente confuso. E ha ancora, notalo bene, o Spettatore, la sua macchina da caffè]

“Make an educated guess,” dice il Personaggio in Bianco, ovvero “Prova a indovinare.”

[Sottotesto alla seconda: a) “Sei morto”; e poi b) “Non essere ottuso, George!” – Notate che, di per sé, la battuta non significherebbe nulla di tutto ciò, se non fosse per il contesto. Inoltre, questo modo di non rispondere, caratterizza il Personaggio in Bianco e abbozza la relazione tra lui e George. Tutto questo in 4 parole!]

“It’s not my time!” protesta George: “Non è la mia ora!”Subt1

[Nulla di particolare: George non è presentato come una figura di particolare sfavillio intellettuale. Non è lui a portare il peso del messaggio.]

“Maybe we could make an arrangement,” dice John Malkovich, occhieggiando significativamente la macchina da caffè.

[Eccoci giunti al nocciolo. Ancora una volta, il PiB non risponde direttamente a George, e dice invece qualcosa che ha senso solo nel contesto, e che implica il significato di tutta la piccola scena che abbiamo visto. Primo livello, significato letterale “Se non vuoi essere morto, dammi la tua macchina da caffè.” Secondo livello, significato implicito: “Queste macchine da caffè sono abbastanza spettacolari da tentare Dio in persona.” Terzo livello: “Questa è un’iperbole ironica, un raffinato effetto comico destinato a un pubblico intelligente.”]

George, a bocca aperta, gira uno sguardo incredulo dal PiB alla macchina da caffè e di nuovo al PiB, il quale annuisce con aria tra birichina e lievemente colpevole. Fade to white. George, ritrovandosi davanti al negozio senza macchina da caffè, gira sui tacchi e torna dentro, salvandosi dalla caduta del pianoforte.

Ecco qui: ci hanno magnificato l’appeal, la desiderabilità sociale e la qualità del prodotto, ci hanno strappato un sorriso, ci hanno strizzato l’occhio dicendoci che gente in gamba come noi compra questo genere di cose, tutto in cinque piccole battute (19 parole), e senza che nessuno menzionasse una macchina da caffè nemmeno per sbaglio. Dal punto di vista della scrittura, questa io la chiamo classe.

Ott 10, 2014 - commercials    4 Comments

Niente Vende Come La Passione

Untitled-1Che le campagne pubblicitarie dell’Omino Bianco siano spudoratelle non è una novità di oggi. Ricordate la fase Un-Buon-Genitore-Usa-Omino-Bianco?

D’altra parte era una politica commerciale diffusa, e tutt’altro che tramontata. Adesso però Omino Bianco è passato oltre, abbracciando il nuovo corso pubblicitario – quello delle passioni&passione.

Ah, le passioni.

Che poi, grattando appena un pochino, si scopre che sono quelli che un tempo chiamavano hobby, passatempi, uzzoli, pallini… Ma volete mettere il senso di travolgente ineluttabilità se le chiamiamo passioni?

Gli Italiani sono pieni di passioni, c’informa la voce narrante. E ogni passione ha la sua macchia

E intanto vediamo un allegro gruppo di amici che mangia in compagnia – con grave pregiudizio della tovaglia. Qual’è la passione qui? L’amicizia? La buona cucina? Never mind. La cosa importante è che il giusto perborato ci consenta di coltivarle serenamente, le nostre passioni, senza che la padrona di casa debba rimetterci una tovaglia ogni volta.

Narrazione diversa ma gancio simile per la campagna TIM “Milioni di passioni”, in cui Pif gira per l’Italia documentando il modo in cui la commistione di telefonia mobile e internet incide sul tempo libero degli Italiani.

E vi ricordate, un annetto fa o giù di lì, lo spot Diadora che montava immagini di sportivi professionisti e dilettanti e tifosi – senza una parola fino allo slogan finale, “passione totale”? O l’appassionatamente irresistibile ultimo cioccolatino?

Passione diversa è quella che Campari agita davanti al nostro naso di consumatori, mostrandoci gli ultimi istanti di preparativi prima di una festa in costume, suggerendo che l’attesa del piacere sia essa stessa piacere… “Campa-ari Red Pa-assion,” sussurra una sensuale voce femminile – e noi capiamo che, se vogliamo vivere una vita appassionata, non c’è altro aperitivo possibile.passion (300 x 300)

Poi c’è la passione associata al prodotto, sempre singola – la Passione in astratto – e allora non si tratta più di qualcosa di così primigenio, radicato e vitale da non poter/dover essere negato, represso o trascurato. Questa passione non è un’aspirazione confusa cui il prodotto/servizio in vendita offre finalmente una forma. No, questa passione qui è mirata, controllata, convogliata in eccellenza. Come la passione per il mare che rende Fincantieri il coraggioso, elegante, audace leader nella cantieristica navale. E in questo filone, tutto è prodotto, fabbricato, offerto con passione, dalla passata di pomodoro alle merendine, dalla pastasciutta alle stufe a pellets… “Passione per la qualità” è un tipo di slogan particolarmente gettonato.

E poi c’è la birra Peroni, che da qualche anno in qua la passione la caccia da tutte le parti – e in almeno un caso riunisce passioni e passione, cominciando col mostrare gente che gioca a rugby, che balla, che suona, che pesca, che discute di calcio… E tutti, prima o poi, bevono birra. E intanto una simpatica voce fuori campo c’informa, in sostanza, che non importa molto quel che si fa, né come lo si fa. L’importante è metterci passione. E allora ecco la birra giusta, perché è prodotta, you guess it, con passione – e di conseguenza è adatta a gente appassionata. Sii appassionato, o Consumatore, noi siamo dalla tua parte, ti capiamo, ti appoggiamo: e come no? Siamo appassionati anche noi!

Insomma, la lezione sembra essere questa: vogliamo vendere qualcosa? Vediamo di buttarla sulla passione, che suona da un lato tanto più nobile, e dall’altra tanto più meritevole. La passione del consumatore non è un uzzolo qualsiasi, è un travolgente fuoco interiore che è ingiusto e dannoso non appagare. E la passione del produttore, che diamine, vogliamo non premiarla?

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Oh, e se volete fare un piccolo esperimento, provate a gugolare “passion” e poi “passione”, e guardate come gli Anglosassoni sembrano capaci di mescolare passione erotica e passione in altre accezioni e gli Italiani… er, meno.

Gen 4, 2013 - commercials, Digitalia    11 Comments

L’Eleganza Del Libro (Elettronico)

Tre anni fa, quando ho comprato il mio Kindle (pittikins, come passa il tempo!), sul sito di Amazon.com c’era una pagina in cui si diceva che Kindle poteva non profumare di carta, ma riproduceva esattamente la caratteristica più elegante del libro cartaceo: la capacità di scomparire. Nel momento in cui ci si immerge nella lettura, il supporto scompare, e ciò che conta è la storia che si sta leggendo. Sto citando a memoria, e probabilmente sono imprecisa, ma il sugo del discorso era quello.

Ricordo di avere pensato, a una prima lettura, che l’idea fosse ben trovata, ma ero ancora un pochino scettica sulla capacità di scomparire di un arnese che sembrava, a tutti gli effetti, un piccolo frigorifero.

Qualche tempo più tardi, dopo avere letto il mio primo libro su Kindle, ho dovuto ammettere che Amazon non millantava affatto. Nel giro di qualche capitolo, schiacciare un bottone per procedere era diventato naturale come voltare una pagina: Kindle scompariva con la stessa quieta efficienza di un libro di carta.

Più di recente, dopo avere fatto esperienza di odoratori di libri che mi considerano una specie d’iconoclasta perché leggo libri elettronici, mi è venuto il dubbio che con quel discorso Amazon stesse mettendo le mani avanti, facendo notare come, andando al sodo, il Kindle non fosse poi così diverso dal libro.

Adesso quella strategia di marketing sembra essere stata abbandonata, sacrificata alla battaglia con Apple, al touch screen a colori e all’incombere degli enhancements. La priorità di Kindle non è più quella di scomparire…

Peccato, mi vien da dire.

Ma, non so se ci abbiate badato, di recente qualcun altro ha ripreso l’idea della capacità di scomparire e l’ha sviluppata in forma più narrativa.

Avrete senz’altro visto la pubblicità di Kobo…

Rieccoci qui, visto? Non che cosa è Kobo, ma chi.

Perché Kobo non è un lettore. Kobo è i personaggi, le storie e i libri che ami. Che i libri siano da leggere dove e quando il lettore vuole è quasi un afterthought: la cosa importante è che Kobo scompare talmente bene da diventare il personaggio, la storia, il libro.

O meglio, un’abbondanza di personaggi, storie e libri da portarsi comodamente in tasca. Avrai, O Lettore, tutti i libri che vuoi, sempre con te – e non temere che l’arnese su cui li leggerai frapponga una distanza. Comincia a leggere, e ti dimenticherai che ci sia.

Si direbbe che le cose non siano cambiate poi troppo in tre anni, e che ci siano ancora due modi per commercializzare un e-reader: puntare sulla differenza tra lettura tradizionale e lettura elettronica, oppure sulla mancanza di differenze sostanziali. E si direbbe che Kobo, almeno per ora, si rivolga a quel pubblico che da un e-reader vuole, tutto sommato, la stessa cosa che vuole dal libro cartaceo: leggere.

Nov 30, 2012 - commercials, pessima gente    10 Comments

Il Tuo Sogno È Possibile

È un po’ che non parliamo di pubblicità, vero?

D’altra parte, è un po’ che non vedo passare campagne su cui valga la pena di scrivere qualcosa. È il periodo. I tempi essendo quelli che sono, le aziende investono meno in pubblicità, riciclano vecchie campagne, sfruttano molto più a lungo quelle che hanno e, sospetto, quando ne commissionano una nuova ricorrono ad agenzie meno costose.  

Impera, naturalmente, il ricatto morale: nulla è superfluo o voluttuario se ci sono di mezzo i figli. Ho visto oggi per la prima volta la pubblicità di un antipiretico/antinfiammatorio – che a dire il vero poi così voluttuario non parrebbe, ma ai Ragazzi del Marketing è parso più sicuro impostare la campagna come quella del Voltaren. Ricordate? Questa volta si afferma che raffreddore e influenza non ti permettono di occuparti di Loro come dovresti. Ma prendi, oh prendi Influmed “e torni a fare il papà”.

I padri così così sopportano stoicamente l’influenza. Un buon padre prende Influmed.

Yes, yes, I know. È ricatto morale tanto bieco quanto maldestro, è usare l’artiglieria pesante per sfondare una porta aperta – e per di più è copiata pari pari dalla campagna del Voltaren… Ma parliamo invece di manipolazione come si deve – spudorata e sottile al tempo stesso.

pubblicità, porscheVi è capitato di vedere la paginata della Porsche?

È uscita la settimana scorsa su un certo numero di quotidiani nazionali*, fatta apposta per attirare l’attenzione e incuriosire, con l’automobile incorniciata dal testo a caratteri colorati – e nemmeno leggibilissimissimi, se proprio vogliamo. E si comincia a leggere, e presto si nota che è qualcosa di diverso dal consueto…

Vogliamo dargli un’occhiata? Vediamo un po’…

Il tuo sogno è possibile,

E fin qui nulla di particolarmente originale. Ne abbiamo visti un sacco, di questi: profumi, abbigliamento, viaggi, gioielli, altre automobili… l’idea del sogno accessibile è vecchia come il commercio – semmai potremmo sollevare un sopracciglio considerando il grado di accessibilità di una Porsche, ma attenzione…

…non ucciderlo, è la cosa più importante per te.

Ed ecco che, a metà della prima riga, siamo già usciti dal territorio consueto con questo tono più che un po’ melodrammatico. Sottotesto: se uccidi il sogno che è la cosa più importante per te, O Consumatore, è come se uccidessi un pochino te stesso – quanto meno quella parte di te che sogna. Ouch.

Non farti frenare dalle tasse sul lusso.

Ma non sentirtici male, O Consumatore, chè la colpa non è tua, non sei tu il sognicida. È questo governo cupo e ferreo, che non vuole lasciarti spazio. Che soffoca la tua individualità, punisce la tua intraprendenza, che impila sensi di colpa sulla tua gioia di vivere. Ma tu, O Consumatore, non lasciarglielo fare.

Se ti fermano per un controllo lasciali fare. Se sei in regola, andranno a controllare quelli che non lo sono.

Ecco, io guido una Ka trilustre e non lo so – ma mi si dice che, alla guida di un’auto di lusso, le probabilità di essere fermati per controlli siano molto più alte. Di nuovo, è questo Grande Fratello tetro e gretto che dà per scontato che, se puoi permetterti una Porsche, tu sia un ladro – e allora ti punisce e ti vessa. Ma tu non badarci, O Consumatore.

Se la tua fantasia sono io, non reprimerla.

Altra chiamata all’azione, e per la prima volta ci accorgiamo che l’automobile – anzi, scusate, l’Automobile parla in prima persona. È, O Consumatore, una faccenda personale: tu – sì, proprio tu! Ribellati a questa mentalità, non uccidere il sogno, non reprimere la fantasia. Non lasciarti imporre azioni negative. Uccidere, reprimere: bad for you

La vita va vissuta con passione, altrimenti cosa ci rimane?

Anche la passione è una di quelle parole onnipresenti in pubblicità – dal gelato all’automobile, dal sugo per la pasta al gioiello componibile, passando per i liquori e la biancheria intima… Ma badate bene, perché dietro la buona vecchia passione è nascosta la bordata vera e propria: altrimenti cosa ci rimane? In questo mondo triste, traballante e un po’ squallido, O Consumatore, non abbiamo altro. È una questione di vita o di morte – interiore. 

Il 50% di quello che spendi per me va allo Stato che dovrebbe stimolare a possedermi e a esserti riconoscente perché, comprandomi, contribuisci con coraggio allo sviluppo di cui tutti parlano.

E che poi, diciamocelo, O Consumatore: che diavolo vogliono da te e da me? Comprarmi è un atto di coraggio, di fiducia nel futuro, un contributo a quello sviluppo di cui tutti parlano – e per il quale si fa così poco. E in cambio, lo Stato vuole farti passare per irresponsabile capriccioso – manco ti stessi comprando un set di rubinetti d’oro massiccio tempestati di rubini! Invece io sono

Essenziale, tecnologica, e moderna;

Sono una scelta intelligente. Una scelta di classe. Il meglio che ci sia. E tu lo sai bene, perché…

…con me hai vissuto i safari africani, le 24 ore di Le Mans e le tue serate a teatro.

Nella realtà o nell’immaginazione, non importa. Perché io, O Consumatore, lo so che hai gusti raffinati: viaggi, sport esclusivo, cultura… 

Il mio design è senza tempo e già futuro,

Ah, già: sono anche un investimento a lungo termine. Non sarò un modello sorpassato nel giro di un anno. Che cavolo, io…

…sono amata perché vivo la realtà senza l’eccentricità della moda.

Sono stabile. Sono duratura. Sono amata. Sono riconosciuta. Sono un modo di vita, non una moda. Oh, e chiariamo bene un’altra cosa.

Non sono veloce. Se si rispettano i limiti.

Magari vorranno considerarti un criminale in potenza solo perché puoi disporre delle mie fantastiche prestazioni, ma quel che conta è la tua scelta individuale di non infrangere i limiti. Perché tu sei responsabile – checché ne dica chi vuol fare di ogni erba un fascio. Ma è tutta facile e astiosa demagogia, perché in realtà…

A questa Italia ferma servono i cavalli che io ho e che devi avere anche tu.

Te lo ripeto, O Consumatore: la mia energia e la tua audacia sono la ricetta giusta.

I sogni non sono un lusso.

No, perbacco. I sogni sono un diritto. Io sono un sogno. Ergo, possedermi è un diritto. E te lo ripeto ancora: a dispetto di tutto quel che ti dicono, di tutti le coperte bagnate che cercano di gettarti adosso tassandoti, vessandoti, demonizzandoti e spingendoti in mezzo alla massa, tu ricorda sempre questo:

Il tuo sogno è possibile!

Punto esclamativo.

Il tuo sogno è possibile.

Tosta, don’t you think? Spudorata, finto-candida, mirata con molta cura, modellata su sentimenti diffusi, ferocetta a tratti, manipolativa oltre ogni dire, finemente travestita da cri de coeur, rischiosa in potenza, con tanto sottotesto da verniciarci un ponte – e tanto fuori dal coro da farsi notare di sicuro.

Essendo i tempi quelli che sono, non ho proprio idea di quanto terreno possa trovare un discorso del genere, ma, parlando in termini di scrittura e nient’altro, era ora che si vedesse una campagna con qualche barlume di audacia e di cattiveria.

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* Solo carta stampata – da leggersi e meditarsi.

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