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Ago 25, 2010 - commercials    Commenti disabilitati su Una Buona Madre Usa L’Oreal?

Una Buona Madre Usa L’Oreal?

Avete presente la campagna pubblicitaria de L’Oréal? Ormai da diversi anni segue uno schema fisso: c’è una testimonial bella, celebre e non necessariamente giovanissima, che decanta e dimostra le meraviglie del prodotto in questione (crema per il viso, make up, prodotto per i capelli…), muovendosi tra case hollywoodiane, aeroporti, set cinematografici e passerelle di moda, concludendo con lo slogan L’Oréal – perché voi valete.

Ebbene, da qualche giorno è comparsa una variazione di questo schema: la cinquantenne Andie McDowell (che negli spot passati appariva sempre in versione molto sexy, determinata, donna-in-carriera, nell’atto di studiare copioni o congedare giovanotti dopo una nottata di passione) è presentata in una casa dai colori chiari e dalle tende bianche, in jeans e camicetta bianca, insieme ad una ragazza dall’aspetto di ventenne. Entrambe sono allegre, belle e vicendevolmente affettuose. La scena è luminosa e felice, senza il minimo riferimento al fatto che la protagonista sia un’attrice celebre.

“Un giorno ti svegli, e i tuoi figli sono grandi,” tuba la voce narrante. “Ma tu ti senti giovane, e non vuoi che le tue rughe dicano il contrario.”

Segue la sezione dimostrativa, con freccette rosse sul viso della McDowell, e immagini pseudo-scientifiche di epidermide lasca riempita dall’interno. A me francamente l’idea fa un po’ impressione, ma si suppone che ne siamo tutte consolate assai.

Conclusione: si torna alla bella AMcD e alla sua bella figlia, sempre sorridenti e complici. Andie guarda la telecamera con occhi inteneriti e mormora: “Anche mia figlia mi vede più giovane.” La figliola abbraccia la mammina e sì, potrebbero essere due sorelle. L’Oréal – perché voi valete. The End.

Il messaggio è sottilmente stratificato. Primo e più ovvio livello: non vorreste tutte, o Consumatrici, apparire troppo giovani per avere una figlia così grande? E allora, usate la nostra crema che vi riempie le rughe da dentro! Secondo livello, più ricattatorio: non vedete, o Consumatrici, com’è felice la fanciulla di avere una madre giovane e bella? Una madre di cui andare orgogliosa? Una madre che ha tutto l’aspetto di un’amica/sorella maggiore? Morale: niente sensi di colpa, o Consumatrici! Voler apparire giovani non è segno d’immaturità, non è una fuga dalla realtà, dalle responsabilità, dal ruolo di madre, non è un voler rivaleggiare con le vostre belle figlie, anzi: siate belle e senza età, e anche la vostra prole sarà più felice!

Ricordate che, fino a qualche anno fa, lo slogan pronunciato dalla testimonial of the day era “Perché io valgo”? Dal 2007 è stato modificato in “Perché voi valete”. Apparentemente la consumatrice media non si sentiva granché coinvolta dal senso di autostima delle stelle del cinema, delle modelle e dei campioni sportivi… E adesso arriva quest’altro significativo aggiustamento che, a ben guardare, prosegue nella stessa direzione: alla consumatrice media non basta più di sentirsi apparentata – per trenta secondi di spot e il tempo di uno shampoo – alla donna bella e celebre. Allora umanizziamola, questa donna bella e celebre, e aggiungiamo un sottotesto misto di ricatto morale e legittimazione social-sentimentale – e da tutti i punti di vista, che cosa c’è di più inaffondabile ed efficace della maternità?

Siate giovani con i vostri figli, o Consumatrici – per il loro bene come per il vostro!

 

Lug 20, 2010 - commercials    6 Comments

Con Una Buona Storia Non Si Sbaglia Mai

Ultimamente ho visto vari spot concepiti in modo molto simile e rispondenti, tutto sommato, a uno schema vecchio come le colline:

Uno è quello di Mercedes*:

 

Poi c’è quello di Enel:

 

Per non parlare di questo (pochissimo visto) spot Fiat:

 

E Barilla**:

Visto come sono simili tra loro? Visto come great minds think alikeE ce n’è almeno un altro che non riesco a reperire, anche perché confesso di non ricordarmi che cosa pubblicizzasse: un veicolo commerciale? Un servizio di corriere? Avrei detto che fosse Ford, ma non lo trovo più. Ad ogni modo, c’era un autista di furgone Primi Novecento che, dopo avere guidato metaforicamente attraverso tutto il secolo, si ritrovava a parcheggiare accanto a un furgone della stessa marca, ma modernissimo e ipertecnologico, e il messaggio era sempre lo stesso: Noi abbiamo una lunga storia, abbiamo sviluppato nel tempo una prima intuizione geniale, abbiamo costruito guardando avanti e senza dimenticare le nostre origini… ne segue che il nostro prodotto/servizio è solido, affidabile e provvisto del giusto mix di tradizione e audacia, solidità e innovazione, perseveranza e passione.

Il concetto non è particolarmente originale, e lo si è già visto applicato a vari tipi di prodotti, ma continua a “tirare” perché noi consumatori amiamo le storie: ci piace vedere la produzione industriale romanticizzata in una saga famigliare o addirittura un’epopea; ci piace pensare che l’auto che guidiamo sia il capitolo corrente di un romanzo storico; ci sentiamo rassicurati dal senso di continuità, e tanto più in tempi ondivaghi.

Ma se invece vogliamo fingere che non ci piaccia, allora c’è sempre la campagna solo apparentemente controcorrente di Citroen, che si dichiara “antiretrò”, ma – badate bene! – affida il messaggio a clip in bianco e nero di Marylin Monroe, Marcello Mastroianni e John Lennon! Perché la si può girare come si vuole, ma la morale non cambia: fare parte – per continuità o per distacco – di una storia è di grande aiuto, quando si vuole proiettare un’immagine di forte identità.

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* Sono abbastanza vecchia da ricordare i tempi in cui Mercedes non si faceva pubblicità, appunto perché era Mercedes. Ricordo anche il lieve shock del primo spot che, tra l’altro, con quell’auto scura sotto la pioggia, era un nonnulla angosciante. In casa mia si era commentato che, quanto ad appeal, forse dovevano farci un po’ la mano.

** Solo io trovo irritante la voce fuori campo dell’attuale campagna Barilla? “Ma dove l’hanno pescata, questa?” mi chiedevo tutte le volte, salvo poi scoprire che è Mina… mah!

Mar 20, 2010 - blog life    Commenti disabilitati su Errata Corrige

Errata Corrige

Ops… mi sono appena accorta che in questo post avevo inserito due volte lo spot Hersey, lasciando fuori quello Mastercard.

Errore di stumpa.

Adesso è sistemato, e ci sono tutti gli elefanti del caso. Chiedo venia.

 

Mar 19, 2010 - commercials    Commenti disabilitati su Elefanti e Pubblicità

Elefanti e Pubblicità

Prima di tutto, su richiesta, e perché è uno dei miei spot preferiti di tutti i tempi Coca-Cola:

Messaggio semplicissimo: proprio tutti vogliono Coca-Cola, fatto passare con le belle immagini dell’elefante a nuoto e la buffa, tenera idea del pagamento in arachidi. Nulla di complesso, solo un insieme che non si dimentica, e che fa sorridere alla vista di una lattina rossa.

Poi i cioccolatini Rolo della Hersey:

“Pensa bene a quello che fai con il tuo ultimo Rolo,” dice il cartello alla fine. Una storia buffa, la memoria degli elefanti, e la memorabilità, dei cioccolatini Rolo. Un’esperienza di cui nessun elefante ama essere privato…

Infine, avete presente quegli spot Mastercard, la cui disinvolta implicazione è che con una carta di credito per comprare le cose giuste è più facile godersi i risultati “senza prezzo”? Questa versione ha una connotazione più fiabesca di quelle che ho visto trasmesse in Italia, ma è assolutamente delizioso:

 Ce ne sono altri, ma morale di tutto ciò sembra essere che gli elefanti sono creature sagge, sensate, tenere e di buon cuore (a patto di non giocare loro brutti scherzi), che scelgono il prodotto giusto con istinto infallibile. Il consumatore è giocosamente invitato a identificarsi con l’elefante, che sa quali sono le cose buone. Per qualche motivo, l’associazione elefante = gioioso e istintivo buon senso è più usata nelle campagne per i paesi anglosassoni. Si direbbe che, in Italia, il pubblico associ (o quanto meno ci si aspetti che il pubblico associ) l’elefante a idee diverse.

Gen 26, 2010 - commercials    Commenti disabilitati su Iridescenza

Iridescenza

Non c’è verso che mi ricordi a quale casa automobilistica appartenesse questa campagna, e mi dispiace, perché chiunque ne abbia ideato lo slogan è un genio.

Driving technology.

Tutto qui: due parole due. E però provviste di tutta una serie di significati che si possono tradurre liberamente in:

1) Tecnologia per guidare

2) Guidare la tecnologia

3) (Siamo) motivati dalla tecnologia

4) Tecnologia all’avanguardia

Tutti pertinenti, tutti incoraggianti dal punto di vista di un eventuale consumatore, ciascuno un dito puntato verso una direzione diversa: l’aspetto pratico, il vantaggio per il consumatore, la filosofia produttiva, l’eccellenza del prodotto. Tutto, ripeto, in due parole.

Francamente, non mi ricordo nemmeno il resto dello spot, ma il modo in cui è concepito questo slogan mi ha colpita, perché prende un meccanismo poetico particolarmente raffinato e complesso e lo utilizza a fini commerciali. Ora, non scrivo poesia, e non ne leggo nemmeno moltissima, ma adoro quell’estrema distillazione del linguaggio poetico per cui ogni parola/combinazione di parole racchiude più di un significato. Come una gemma che mandi una luce diversa a seconda di come è orientata. Questa iridescenza è una delle caratteristiche più preziose e inafferrabili del linguaggio, poetico o no, e farne un uso così compatto, efficace e coerente è favolosa scrittura; non m’importa se è finalizzata a vendere automobili.

E adesso, se fossi brava, mi proporrei di esercitarmi a produrre qualche cosa di simile, diciamo almeno due combinazioni aggettivo/sostantivo, o sostantivo/verbo, o verbo/avverbio, con almeno due significati diversi e connessi tra loro. Prima della fine della settimana. Perché qualche gemma, ogni tanto, sta bene anche incastonata nella prosa.

Gen 5, 2010 - commercials, Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Un Buon Genitore usa Voltaren

Un Buon Genitore usa Voltaren

Il mio interesse per la pubblicità risale al giorno in cui il Professor Donnini (Storia delle Relazioni Internazionali) ci fece notare che nessuna pubblicità ti dirà mai “Compra questo orologio, così saprai sempre l’ora giusta!”

Quelli erano gl’ingenui primordi della pubblicità in altri secoli, ma ben presto ci si è resi conto che, per certe categorie di prodotti, la motivazione pratica è l’ultimo dei tasti da toccare con il potenziale consumatore. E perché? Presumibilmente perché l’orologio di plastica in omaggio con le merendine è capace di segnare l’ora giusta esattamente come un orologio di Cartier… Per indurre qualcuno a volere un Cartier il punto dev’essere ben diverso.

Questo principio è nato per la pubblicità di beni di lusso o per marche particolari di beni di consumo: tu, o consumatore, vuoi questo orologio, questa macchina, questi jeans, questo profumo, queste scarpe, non per la loro funzione pratica, bensì per ciò che il fatto di possederli dice di te. Ovvero, per l’effetto che avrà sugli altri. Se ci fate caso, le pubblicità dei jeans (e dei profumi) tendono a contenere richiami di natura sessuale esplicita anzichenò, e non è un caso. Con le automobili, mileage may vary: le pubblicità dei SUV puntano sulla sicurezza e sul senso d’avventura e libertà, le berline sul prestigio sociale, le station wagons sui valori famigliari, le piccole automobili sulla forte personalità, sul divertimento o sulla femminilità, mentre bassi consumi, tecnologia e vocazione ecologica tendono ad essere onnipresenti. Come dire che ce n’è per tutti.

Il trend è meno evidente negli spot dei detersivi, il cui messaggio tende ad essere ancora abbastanza straightforward (“Con questo detersivo avrai camicie più bianche”), con riferimenti alla facilità e rapidità d’uso, nonché alla convenienza. Viene da pensare che questo approccio debba valere per tutti i prodotti specificamente utilitari, ma non è più così. Basta pensare a dentifrici, assorbenti, mentine e pasticche contro il mal di gola presentati come elementi di autostima e sicurezza sociale, nonché agli antinfiammatori.

Antinfiammatori? Ebbene sì: prendete il caso del Voltaren.

 Uno spot mostra un bambino in età prescolare al parco con il cane e, presumibilmente, il padre (off camera; è il suo punto di vista che siamo chiamati a condividere). Bambino e cane sono ugualmente avviliti: papà ha troppo mal di schiena per giocare con loro… ma ecco intervenire la pomata prodigiosa, siore e siori! Miracolosamente risanato, papà è di nuovo pieno di energia per giocare: il cagnetto caracolla estatico, il bambino è al settimo cielo.

Altro spot: giovane madre in tailleur (e forse cartella professionale, non ci giurerei, ma in ogni caso si tratta di una madre che lavora), rincasa accolta festosamente da adorabile bimba con i codini biondi. Mammina non può prenderla in braccio, però: anche lei, come il babbo al parco, ha troppo mal di schiena. Di nuovo interviene Voltaren, stavolta sotto forma di cerotti a lento rilascio. Nella scena successiva, mammina è allegramente intenta a far volare la sua bimba, codini e tutto, e la famigliola è nuovamente felice.

Ne cito un terzo per mostrare la sistematicità del messaggio: mamma e bimbo in visita a uno di quegli acquari in cui si passa in un tunnel trasparente in mezzo alla vasca dei pesci. Il piccolo sarebbe entusiasta, se solo potesse condividere la sua meraviglia con la mamma, che però è bloccata dai cervicali, e non può nemmeno guardarsi attorno. Ed ecco di nuovo Voltaren, stavolta in pastiglie: euforia generale… oh, che meravigliosa giornata all’acquario, mamma!

Insomma, il meccanismo è questo: non “con Voltaren non avrete più mal di schiena”, bensì “con Voltaren sarete genitori migliori!” Sottinteso (particolarmente scoperto nel secondo caso, quello con la mamma che rincasa): tanto più quando il lavoro vi lascia così poco tempo da dedicare ai vostri figli…

Astuto, ricattatorio, persuasivo, semplice, efficace. Qui non siamo nelle regioni rarefatte della pubblicità delle macchine da caffè, non ci sono usi complessi del subtesto, non ci sono lusinghe allo spettatore… solo la più classica delle strutture narrative (situazione sottintesa-conflitto-risoluzione) condita con un abile pizzicatina al senso di colpa del genitore che lavora. Non sarà scrittura elegante, ma di certo è dannatamente astuta!

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