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Gen 15, 2018 - libri, libri e libri, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Noi

Noi

Jensen.jpgPer varie ragioni – tutte piuttosto contorte – nel corso del finesettimana mi è capitato di riprendere in mano La Leggenda degli Annegati, di Carsten Jensen (Rizzoli, 2007), che è un libro singolare e affascinante.

La storia è epica, crudele e un po’ cupa, e segue le vicende di una cittadina danese e dei suoi abitanti, tutti pescatori e marinai, dal 1848 (con tutto quel che la data comporta) fino alla Seconda Guerra Mondiale. A Marstal le generazioni si susseguono, la gente nasce, muore, va in guerra e qualche volta ne torna, le navi vengono costruite, fendono il mare, fanno naufragio o vengono messe malinconicamente alla fonda. Il romanzo ha un passo e un respiro imponenti, quasi à la Conrad, ma non è questo il punto.

Le descrizioni sono nitide, taglienti e luminose, come se fossero incise nel vetro. Cose come “Holger Jepsen era piccolo, Era nerboruto come se lo scheletro fosse stato avvolto di canapi, ma era gracile a vedersi.” Oppure “Il mare era gelato, come se la piatta isola crescesse e cercasse di fondersi con tutte le isole circostanti”. Molto uso di similitudini, molta asciuttezza, molte sfumature di bianco, grigio, azzurro e nero, molta luce nordica, chiara e impietosa. Molto bello, ma nemmeno questo è il punto.

Dialoghi e personaggi suonano fuori dal tempo, ma non perché siano anacronistici: hanno la rigidità deliberata del ghiaccio, dei panneggi di stoffa pesante, o del linguaggio dei miti. Il risultato è efficace e vivido, ma neppure questo è ancora il punto.

Il punto… well, se volete conservarvi la sopresa forse vi conviene fermarvi qui, e tornare a discuterne con me dopo che avrete letto il libro.

Siete ancora qui?Sailors

Well, then, se non tenete particolarmente alla sorpresa – o se volete sapere che cosa aspettarvi, allora diciamo che il punto è quella prima persona plurale, quel “noi” che fino a pagina 501 funge da voce narrante. Chiunque sia il personaggio al centro della narrazione, nella scuola del villaggio come sulla tolda di un mercantile, il narratore è sempre Noi. Gli uomini di Marstal, l’equipaggio di una nave, il reggimento… Noi. È come se fosse sempre Marstal a raccontare, non tanto con i suoi vivi quanto i suoi morti: eccoli, gli annegati, perduti in mare mentre la città fioriva e decadeva, che ancora fanno causa comune con i vivi per raccontare le loro leggende. Ma quando il senso della comunità sparisce, quando la città perde le sue tradizioni, quando le navi a vapore scacciano dal mare i velieri, allora il coro narrante svanisce, sostituito da una narrazione in terza persona limitata. Allora, tra pagina 501 e 502, in qualche modo, il colore e il tono della storia cambiano. Non davvero, perché lo stile rimane lo stesso, ma la voce – ah, la voce è un’altra. O meglio: è una sola, dove prima era un coro  di sussurri. Se anche non ce n’eravamo accorti in precedenza, sentiamo immediatamente il cambiamento – del racconto e di tutto un mondo – nelle prime righe di pagina 502.

Tecnica, meravigliosa tecnica. Non avevo mai visto nulla del genere prima di leggere La Leggenda degli Annegati. Sembra una scelta stilistica da nulla, ma è di una potenza sconvolgente: oh, che cosa non si può fare con le parole, a patto di saperle usare!

Dic 2, 2010 - grilloleggente    Commenti disabilitati su Entered From The Sun – Pag. 227

Entered From The Sun – Pag. 227

Forse comincia a vedersi qualcosa, ed era ora: si comincia ad avere l’impressione  che Hunnyman e Barfoot si occupino davvero di Marlowe e della sua morte. E’ chiaro che Hunnyman non andrà molto lontano: parla con qualche attore, discute le sue magre scoperte con la Vedova Alysoun (che è sempre svariati passi avanti a lui) e si ritrova con un numero crescente di domande e ben poche risposte. Barfoot, uomo più efficace, e con connessioni migliori, consulta documenti di cancelleria, parla con Gesuiti in carcere, fa due più due. Ad ogni modo, entrambi si sono fatti un’idea della fine di Marlowe – indimostrabili congetture – e nessuno dei due crede alla storia dell’incidente nella taverna.

Qualcosa che finge di essere un chiarimento: ricordate il misterioso narratore in prima persona? Ammette di essere stato vago ed elusivo, di essersi fatto passare per un veterano per avvicinare Barfoot e adesso,bontà sua, confessa di essere in realtà un poeta a sua volta. Un poeta fallito, ridotto a fare l’intermediario in affari dubbi… e se credete che questo semplifichi alcunché le cose, lasciate che vi dica che non è così. L’unico (vago) progresso è che possiamo far coincidere il narratore in I persona con uno dei personaggi narrati in III, e domandarci quale delle due forme stia mentendo più spudoratamente.

Ma la persona che mente di più, scopre di più e ha più segreti è decisamente Alysoun e, in premio, la signora vince un capitoletto in prima persona dal suo punto di vista – forse. Perché in realtà potrebbe anche essere nel punto di vista di Hunnyman, che la ascolta raccontare in prima persona una versione molto purgata del suo incontro con Barfoot. Ad ogni modo, Alysoun è estremamente attratta dal Capitano, Alysoun consulta ripetutamente il Dottor Forman (singolare personaggio storico, parte astrologo, parte medico, parte alchimista, parte scienziato, parte ciarlatano), Alysoun è visitata nei suoi sogni dallo spirito senza requie di Marlowe, Alysoun vede molto meglio di Hunnyman la pania d’implicazioni di tutta la faccenda, Alysoun forse conserva in casa un libello eretico singolarmente pericoloso, Alysoun mente a tutti.

Ho detto di avere qualche dubbio sul punto di vista di Alysoun, ed era un eufemismo. Sto diventando come i personaggi di Garret? Può essere. In realtà potrebbe anche essere uno squarcio di III persona oggettiva che registra il menzognero monologo che la Vedova offre al povero Hunnyman per sviarlo da altri pensieri. Il povero Hunnyman sembra destinato a questo genere di cose: qualche decina di pagine più tardi c’è un altro capitolo, Quel Che Ingram Frizer Aveva Da Dire A Hunnyman, che funziona esattamente allo stesso modo. Frizer, tra parentesi, è un personaggio storico: l’assassino di Marlowe, rapidamente perdonato per legittima difesa. Ci viene lasciato supporre che Hunnyman lo interroghi, ma il capitolo è un altro monologo. Frizer parla, ostenta, si giustifica, minaccia sottilmente, rievoca, mente, versa lacrime di coccodrillo, offre un prestito, sa più di quanto Hunnyman vorrebbe, vanta le sue buone connessioni e, nel complesso, non permette a Hunnyman di dire una parola. Il tutto in una voce individuale e diversa da tutte quelle che abbiamo sentito finora. ‘Cipicchia! Ma il punto di vista di chi è? Di Frizer stesso? Di Hunnyman che ascolta, soverchiato e muto? Della cosiddetta “telecamera” che riporta solo le parole (e le eventuali azioni, ma qui non ce ne sono)? Difficile a dirsi e, a seconda dell’ottica che si sceglie, il senso della scena cambia sottilmente. Ho già detto qualche volta che considero l’iridescenza una delle più affascinanti qualità che la scrittura possa assumere?

Sempre più complesso, sempre più intricato, sempre più impossibile da abbandonare: we are in for the duration.

Nov 27, 2010 - grilloleggente, Oggi Tecnica    2 Comments

Entered From The Sun – Pag. 145

Sì, dopo tutto non l’ho piantato lì, e dopo tutto anche il Capitano Barfoot è stato incaricato da altra gente (davvero?) di indagare sulla morte di Marlowe. A differenza di Hunnyman, Barfoot non accetta per paura o per avidità, ma perché è incuriosito e per proteggere gli interessi della sua famiglia. Tra parentesi, è vieppiù chiaro che Hunnyman è un caso senza speranza: un buon ragazzo che si crede molto più astuto e più cinico di quanto sia, alla completa mercé sia della vedova che del suo misterioso datore di lavoro – chiamiamolo Tom, per il momento. I have a fondness per Tom Walsingham, anche se forse nel 1597 non sarebbe stato considerato così giovane da descriverlo sempre come “un giovanotto”. E chiunque egli sia, il suo giudizio in fatto di investigatori è suscettibile di dibattito…

Ma non è di questo che volevo parlare.

Quello che mi fa diventare matta in questo libro sono i punti di vista. Tutto è cominciato con una narrazione in III persona a punti di vista alternati: Hunnyman, poi Barfoot, poi Hunnyman, occasionalmente Alysoun… salvo che poi ogni tanto s’infila altra gente, come un misterioso narratore in I persona che all’inizio si è presentato come “nulla più che un fantasma”, poi ha cominciato a sconfinare nei capitoli di Barfoot, e io credevo che fosse uno sporadico intervento autoriale, ma adesso sono sicura che non è così. Costui salta fuori ogni tanto come un pupazzo a molla, fa considerazioni e digressioni, moraleggia e ipotizza, si rivolge al lettore – why, in almeno un’occasione, per un po’, identifica il lettore con Barfoot… E quando il discorso si fa indiretto, a volte sembra essere lui che ascoltiamo.

Un fantasma… che sia Marlowe? Ma no: da un lato, l’autore ha descritto tutti i personaggi come fantasmi; dall’altro il narratore in I persona (che non è l’autore) ha elencato i personaggi comprendendo sé stesso e Marlowe (che in questa storia non avrà molto da dire per sé) come entità distinte. Ossignor!

A scuola c’insegnano a limitare funzionalmente i punti di vista. Ad essere molto cauti nel mescolare I e III persona (e ad evitare la II come la peste); ad essere coerenti nei tempi verbali; e soprattutto a non confondere il lettore – mai – e a non permettere che la scrittura abbia il sopravvento sulla storia. Ebbene, con Garret non ho mai la più pallida idea di chi parlerà nella pagina successiva – e ho smesso di considerare significativi i titoli dei capitoli), mi trovo chiamata in causa come in conversazione nei momenti più inaspettati, vengo sbalzata continuamente dall’immediatezza colloquiale del presente al distacco apparente del passato remoto, dal discorso diretto (come usa nei romanzi) al discorso indiretto caricato di ulteriori strati di significato, mi ritrovo a sbirciare le lettere di Barfoot per suo fratello, e per di più mancano deliberatamente un sacco di pronomi.

Sono confusa? Un pochino, a volte, ma non tanto quanto mi pare che dovrei esserlo nelle circostanze. Noto troppo la scrittura? La noto di sicuro, ma con golosa delizia. Il notarla mi trascina fuori dalla storia? No, accidenti, no! In qualche misterioso, alchemico, invidiabile modo, questa scrittura fa parte della storia, o forse è la storia… o quanto meno, è congegnata in modo tale da non farmi notare l’allarmante particolare che la storia in realtà non c’è.

Perché siamo, per l’appunto, a pagina 145 e non è ancora successo un bottone. O almeno pochi bottoni. A parte il fatto che Hunnyman spera di sistemarsi con la vedova e Barfoot aiuta segretamente i missionari gesuiti, ci sono le due indagini, ed è vieppiù evidente che, se qualcuno può scoprire qualcosa, quello è Barfoot, che sa come muoversi per le cancellerie, ungere le ruote giuste (o pizzicarle con la punta di un coltello), dissotterrare informazioni dai posti più improbabili. A parte questo, zero. In circostanze normali sarei furibonda e avrei già abbandonato la lettura. E’ chiaro che la scrittura iridescente, imprevedibile e densa di Garret non è una circostanza normale.

E non solo voglio continuare a leggere: voglio provare a fare altrettanto, cribbio!

Nov 13, 2009 - Vita da Editor    Commenti disabilitati su Certe Volte

Certe Volte

Ieri consegno per posta elettronica un manoscritto editato. Raccolta di racconti.

Oggi telefona la cliente.

“Non sono sicura che mi piaccia come ha lavorato sui miei racconti.”

“Mi dispiace. Per i refusi e la punteggiatura, tuttavia…”

“No, non parlo di quello. Quello va bene. Ma i suggerimenti?”

“Sono, per l’appunto, suggerimenti. Come le ho detto fin dapprincipio…”

“Posso anche non seguirli?”

“Certo. Le consiglierei di prendere in seria considerazione almeno quelle che le ho indicato come incongruenze di trama e punto di vista, ma ovviamente la decisione finale spetta all’autore.”

“Be’, ma allora, se non seguo i suggerimenti, devo pagarla lo stesso? In fondo, è come se non avesse fatto niente!

Certe volte ti lasciano proprio senza parole.