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Lug 15, 2016 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Libri Perduti

Libri Perduti

lost booksChe alcuni libri perduti siano più perduti di altri è vero in senso stretto, perché di alcuni si sono smarrite le tracce attraverso i secoli, di altri conosciamo solo i titoli citati in altre opere, di altri ancora possediamo frammenti – e poi ci sono quelli che non hanno lasciato traccia, sprofondati nell’oblio dei secoli. Poi ci sono libri che sappiamo con certezza distrutti (come la prima stesura della Storia Della Rivoluzione Francese, che Carlyle spedì a John Stuart Mill – e poi la domestica di Mill bruciò tutto per errore. Er… licenziata!), e libri che speriamo tanto possano saltare fuori, per qualche miracolo storico-librario…

Perché c’è un altro genere di gerarchia: per ciascuno di noi certi libri sono più perduti di altri, perché di certuni non c’importa poi granché, mentre altri vorremmo tanto, tanto, tanto poterli leggere, e non poterlo fare ci rode e ci affascina al tempo stesso. Per dire, posso tranquillissimamente convivere con la perdita delle quattro tragedie in stile greco scritte da Cicerone, ma qui ci sono i sei libri perduti la cui perdita mi fa pizzicare le sacche lacrimali:

– Il dizionario etrusco compilato dall’imperatore Claudio. Un dizionario etrusco! Una chiave per una lingua perduta – come si può non rivolere indietro la chiave per una lingua perduta? Claudio ci aveva aggiunto anche una storia etrusca che non dispiacerebbe per nulla avere, e anche otto volumi sulla storia di Cartagine… oh, well.

– Le memorie di Silla. Plutarco le cita, ma ne resta solo qualche sporadico frammento. Ora non so, magari poi erano mortalmente noiose, ma in qualche modo credo che Silla, intelligente, spregiudicato, manipolatore, protagonista di quasi tre turbolenti decenni di storia romana e cinico osservatore dell’umana natura, varrebbe la pena di essere letto.

– Joyce scrisse un dramma chiamato A Brilliant Career, e poi lo bruciò. Sono sempre affascinata dai motivi che spingono uno scrittore a distruggere le sue opere…ThomasUrquhart

– Sillabario Del Linguaggio Universale, di Sir Thomas Urquhart. Sappiamo dal Logopandecteision, il progetto di questa lingua che Sir Tom propose a Cromwell in cambio della sua scarcerazione, che questo ur-Esperanto contemplava undici generi, dieci casi e altre simili bizzarrie, compreso il fatto che ogni parola contenesse nelle sue sette sillabe una precisissima classificazione dell’oggetto a cui si riferiva. Se vi suona poco pratico è perché lo è: Sir Tom aveva tradotto Rabelais aggiungendo settantamila parole all’originale e riteneva di avere provato scientificamente la discendenza diretta della sua famiglia da Seth… Per cui non siamo sicuri di poterci fidare di lui nemmeno quando dice di avere perduto 642 quinterni di note e appunti durante la battaglia di Worcester. Anyway, la lingua universale è perduta – e non era nemmeno servita a far scarcerare il suo autore.

– Questa è un’ipotesi un nonnulla azzardata, ma nell’edizione in quarto di The Tragical History of Doctor Faustus, il Prologo (probabilmente aggiunto da un’altra mano) sembra riferirsi a un elenco di altri lavori di Marlowe: Edoardo II, le due parti di Tamerlano e qualcosa che ha a che fare con “i campi del Trasimeno dove Marte sorrise ai Cartaginesi”. Non sopravvivono opere di Marlowe sulla II Guerra Punica, e non si trovano accenni in proposito nei diari di Henslowe, ma come essere certi che non ci fosse una tragedia, scritta per un’altra compagnia, rappresentata in un altro teatro e poi perduta? In fondo ci sono un sacco di cose che non sappiamo più sul teatro elisabettiano, e la tentazione è forte: che cosa avrebbe potuto fare l’autore di Tamerlano e di Faustus con un personaggio come Annibale? E parlando di questo…

– La Cronaca di Sosila. Sosila di Sparta era stato il precettore del giovane Annibale, che una volta cresciuto se lo portò dietro in Italia, come segretario e cronista. Scrisse una storia della guerra – lo sappiamo perché altri autori la citano, ma non ne è rimasto nulla, salvo forse un frammento di recente scoperta e ancor dubbia attribuzione. Confesso che questa cronaca per me è il santo graal dei libri perduti. Darei parecchio per poter leggere una cronaca di parte cartaginese, scritta da un membro dell’entourage immediato di Annibale. Anche tenendo conto delle convenzioni di genere (in fondo Sosila scriveva un resoconto ufficiale), sarebbe stata la cosa più simile a un ritratto dal vivo di Annibale a cui possiamo aspirare.

Chi lo sa? Forse un giorno qualcosa di tutto questo salterà fuori, perché i miracoli succedono. Oppure no e continueremo a sperare che riemergano dalla nebbia dei secoli e dei millenni, queste chimere irraggiungibili, tanto più affascinanti perché non possiamo leggerle. Che valga anche per i libri quel detto secondo cui la persona con cui non si è mai danzato rimane la più affascinante – perché la realtà non ha avuto modo di appannare le meraviglie che ce ne aspettavamo?

E voi, o Lettori? Quali libri preduti tornereste indietro a recuperare, se aveste una macchina del tempo?

 

Mar 7, 2014 - considerazioni sparse, Storia&storie    Commenti disabilitati su Quasi una storia di fantasmi

Quasi una storia di fantasmi

Un giorno, una manciatina d’anni orsono, squilla il telefono, e una voce dall’accento teutonico chiede se è possibile parlare con Chiara Prezzavento. Quando rispondo che non solo è possibile, ma la cosa è già in corso, la signora mi spiega di essere una ricercatrice per conto del Clan Urquhart.

ThomasUrquhart.png“I discendenti di Sir Thomas?” domando io un po’ incredula. Sir Thomas Urquhart è un erudito e viaggiatore scozzese del Diciassettesimo Secolo, uno Sbregaverze fatto e finito. E se pongo la domanda è perché…

“Sì!” esclama la signora all’altro capo del telefono. “E non riesco a trovare il suo libro, né alla biblioteca Teresiana né in libreria, e invece io DEVO leggere il suo libro!”

Perché, vedete, Sir Thomas è uno dei personaggi de Lo Specchio Convesso, il mio primo romanzo, pubblicato nel 2004 presso La Kabbalà, e tristemente uscito di commercio molto presto. O piuttosto, mai entrato veramente in commercio, come capita ai libri pubblicati con microeditori che non hanno distribuzione… Anyway, tornando alla mia telefonata, immaginatemi assolutamente elettrizzata dal fatto che qualcuno abbia disseppellito lo Specchio dal suo oblio. Non capita tutti i giorni che un ricercatore straniero ti chieda del tuo romanzo morto… C’è sempre la possibilità che il ricercatore in questione alla fin fine faccia te e il tuo romanzo a pezzettini molto piccoli per qualche inaccuratezza, ma decido che sono disposta a correre il rischio.

Con Elisabeth ci accordiamo per incontrarci in San Simone (dove è sepolto il Critonio, protagonista del libro e, incidentalmente, l’idolo di Sir Thomas), e una volta là passiamo un’oretta felice scambiandoci storie, aneddoti, fonti e teorie… Elisabeth sta conducendo delle ricerche su Sir Thomas per conto del Clan scozzese degli Urquhart, appunto, che non solo esistono ancora, ma sono riuniti in un’associazione culturale molto attiva per quanto riguarda la loro storia. Adesso le sue ricerche l’hanno condotta a Mantova dove, secondo lei, Sir Thomas non può non essere passato.

Io spiego che nel mio romanzo Sir Thomas è un personaggio abbastanza secondario, che mi sono presa delle libertà con i buchi che ci sono nella sua biografia, che si tratta di un romanzo, dopo tutto: assolutamente e solo un romanzo… Ma Elisabeth rimane pervicacemente entusiasta. Non c’è molta gente in Italia che scriva o abbia scritto su Sir Thomas, e comunque lei è convinta che i romanzi siano porte aperte sulla storia. Perché un’invenzione letteraria non può fornire uno spunto o una direzione per la ricerca? Magari era lo spirito di Sir Thomas a suggerirmi certi particolari, conclude Elisabeth…

E io sorrido all’idea, ma Elisabeth è serissima, e procede ad informarmi che di quest’ultima teoria è convinta nella più granitica delle maniere. Noi crediamo di scrivere saggistica e narrativa storiche di nostra iniziativa, ma in realtà sono gli spiriti dei morti a ispirarci, guidarci e pungolarci. Segue un’affascinante storia à la Delia Bacon, su come visitare il campo di battaglia di Bannockburn sia stato fondamentale per il suo saggio in proposito – e non certo per il colore locale, ma per quello che i morti di tanti secoli fa le hanno sussurrato mentre passeggiava…

Ora, vedete, sentirsi mormorare queste cose nella penombra di una chiesetta gelida e deserta è il genere di cose che v’induce a… diciamo a esplorare possibilità narrative. Così m’immagino il Critonio seduto sul suo cenotafio che ci guarda dall’alto e sospira un po’. E Annibale che da vent’anni a questa parte mi dà il tormento perché scriva, scriva, scriva la sua storia. E in anni più recenti Kit Marlowe ugualmente impegnato… E in realtà è un esercizio lusinghiero, perché magari James Crichton è un tantino dimenticato dalla storia e disperato alla ricerca di un autore qualsiasi, ma l’idea di avere attirato l’attenzione di gente come il generale Barca e Marlowe… eh.

Di Elisabeth, poliglotta, viaggiatrice e mezza spiritista, non ho più avuto notizie dopo quel pomeriggio lievemente surreale. Non mi ha nemmeno più scritto, come aveva promesso di fare per dirmi se il libro le fosse piaciuto… Immagino di no – e in effetti, considerando la sua ammirazione per Sir Thomas e il mio ritratto del personaggio, non posso dire di essere oltremodo stupita. Quel che mi resta è l’idea per una storia che, credo, prima o poi metterò in pratica.

 

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Cattivi Gonzaga, Cattivi

gonzaga, shakespeare, thomas urquhart, william harrison ainsworth, rafael sabatini, clare colvinVerrebbe da pensare che sia tutta questione di nomi.

E no, so benissimo che non è così, ma non posso fare a meno di pensare che, a un orecchio anglosassone, il nome “Gonzaga” abbia il suono perfetto per il Malvagio Rinascimentale.

Gon-za-ga. Diciamo la verità: c’è qualcosa che evoca pieghe di mantelli, luccichii di Toson d’Oro su velluto nero, sussurri nell’ombra, boccette di veleno, sorrisi dissimulatori… Don’t you think?

Shakespeare sì, evidentemente: quando gli attori girovaghi capitano a Elsinore, Amleto fa rappresentare loro una revenge tragedy chiamata The Murder of Gonzago. Vero è che Gonzago è la vittima e non l’avvelenatore – ma volendosi una storia italiana di veleni, ecco che il nome salta fuori.

E poi naturalmente c’è il fatto dell’Ammirabile Critonio, che di sicuro non giovava all’immagine della famiglia nell’Isoletta. James Crichton of Cluny, sapete: quell’onnicompetentissimo avventuriero scozzese che giunse alla corte di Guglielmo Gonzaga nel 1582, ne divenne il favorito alla rapidità del lampo e altrettanto rapidamente incontrò una fine truce sulla punta della spada di Vincenzo Gonzaga – figlio di Guglielmo ed erede del Ducato. Ops. Poi in realtà il Critonio e Vincenzo erano fatti per detestarsi a vicenda, e il XVI Secolo era un tempo di passioni inconsulte e reazioni armate, ma forse non è del tutto incomprensibile che i narratori isolani dipingessero Vincenzo tanto nero quanto si poteva…*  

Il Vincenzo del cavalier e polemista secentesco Thomas Urquhart, per esempio, è un mostro di superbia e meschinità, che si rifiuta pervicacemente di apprezzare le superiori qualità dell’ineffabile Crichtoun, nutre la più biliosa gelosia per il purissimo (e corrispostissimo) amor tra il giovinotto e una nobile fanciulla mantovana dalle molte perfezioni e, quando decide di averne avuto abbastanza, tende un’imboscata dieci contro uno in un vicolo buio. E, badate bene, nonostante la disparità, andrebbe a finir male per la comitiva ducale, se non fosse che, dopo aver spacciato gli altri nove, il Critonio riconosce il suo nobile avversario, s’inginocchia e gli presenta la spada. E Vincenzo ne approfitta per infilzarlo come una quaglia allo spiedo. Vergogna! Tradimento! Disonore! Anatema! Delitto! Orrore orror! Ma che volete farci? Sir Thomas era fatto così…

Né fa granché di diverso il romanziere vittoriano William Harrison Ainsworth, che ambienta il suo (brutto) The Admirable Crichton alla corte di Francia, ma non si trattiene dal piazzarci un Vincenzo Gonzaga in trasferta, malvagio occasionale in cahoots con la perfidissima Caterina de’ Medici. Questo Vincenzo è un giovanotto pallido e olivastro, perennemente abbigliato di velluto nero, aggraziato e suadente, con occhi nerissimi in cui brilla un nonsoché sufficiente a smentire tutte le grazie apparenti. Poi siamo alle solite: il tenebroso Vincenzo, roso dall’invidia, congiura con Caterina (italiana anche lei, badate), traffica in pozioni poco salutari e magia nera e, nel complesso, davvero non è una cara persona.

Nè d’altronde c’era bisogno del Critonio per questo genere di caratterizzazione. Cambiamo secolo un’altra volta e arriviamo all’italoinglese Rafael Sabatini, che in Love-at-arms piazza un Gonzaga fittizio, “un membro esiliato di quella celebre famiglia mantovana che ha prodotto vari mascalzoni e un solo santo.” Romeo Gonzaga è biondocrinitochiazzurrino, per una volta, bello come una fanciulla (e sappiamo tutti che una cosa del genere in un romanzo inglese non promette nulla di buono), musicista squisito, affascinante, bugiardo, intrigante, sleale – e rivale in amore del prode, leale, sincero, coraggioso Francesco, conte d’Aquila. Indovinate chi dei due sposa quella perla d’eroina che è Valentina della Rovere?

E quasi un secolo più tardi, bisogna dire che le cose non siano migliorate granché, se in Masque of the Gonzagas (edito in Italia come La Musica dei Gonzaga), Clare Colvin ritrae il solito Vincenzo come un protettore delle arti sì, ma stravagante e sregolato e, quel che è peggio… stavo per scrivere “seduttore privo di scrupoli”, ma credo che “stupratore” renda meglio l’idea – povera Isabella.

E una volta o l’altra parleremo dell’immagine dell’Italia e degli Italiani nella letteratura anglosassone – ma intanto bisogna ammettere che, attraverso i secoli, i Gonzaga fittizi hanno giocato un ruolo buono a far rivoltare nella tomba qualunque defunto principe locale.

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* Credo di avere raccontato – no: sono certa di avere raccontato ripetutamente della signora che, a una presentazione de Lo Specchio Convesso, mi tagliò a cubetti perché nel romanzo descrivevo un Vincenzo men che simpatico “dando ascolto a quella gente su internet che non è mai stata a Mantova”. Eh…