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Mar 27, 2010 - musica, Oggi Tecnica, scrittura    Commenti disabilitati su Duetti & Subtesto

Duetti & Subtesto

Facendo seguito a questo post, ecco qui il Capitolo XIX dei Promessi Sposi in tutta la sua gloria. Notate il crescendo di minacce velate – velatissime! – del Conte Zio, la quantità industriale di puntini di sospensione, il modo in cui le cose non dette, ma implicate, pesano quanto le parole vere e proprie. D’altra parte, notate gli a parte del Padre Provinciale, la sua consapevolezza amarognola, il suo fine sarcasmo qua e là (quel “Cospicue!”, e il commento finale sulla bontà della famiglia): tanto subtesto da costruirci un auditorium!

Eppoi, ecco Re Filippo e il Grande Inquisitore (cieco nonagenario), in altrettanto splendore. Francamente, Furlanetto/Salminnen non è la prima  distribuzione dei miei sogni, ma è comunque ottima, e la messa in scena molto buona. Per chi volesse fare confronti, di quest’altra versione con Ghiaurov e Raimondi c’è solo l’audio.

Qui c’è il libretto, che rispetto a Schiller condensa e semplifica assai (e infila qualcuna di quelle perle librettesche, tipo armossi contro il padre), ma combinato alla musica diventa pretty powerful stuff. Notate che per quanto riguarda Carletto, il Re cerca delle rassicurazioni morali e personali, mentre quando si arriva al Marchese si oppone nettamente su basi più sentimentali. In entrambi i casi, l’Inquisitore (c.n.) asfalta scrupoli e obiezioni con la logica corazzata e tetragona al dubbio di una panzerdivision. Notate anche qui l’uso della minaccia, il tentativo di riconciliazione finale di Filippo, il modo in cui il Re viene lasciato in sospeso (Forse!), e la sua amarissima conclusione. Notate tutto ciò in musica, perché qui il subtesto è per lo più affidato alle note. Meravigliose note…

IL CONTE Dl LERMA
Il Grande Inquisitor!

L’INQUISITORE
Son io dinanzi al Re…?

FILIPPO
Si; vi feci chiamar, mio padre!
In dubbio io son,
Carlo mi colma il cor
d’una tristezza amara.
L’infante è a me ribelle,
Armossi contro il padre.

L’INQUISITORE
Qual mezzo per punir scegli tu?

FILIPPO
Mezzo estremo.

L’INQUISITORE
Noto mi sial

FILIPPO
Che fugga… che la scure…

L’INQUISITORE
Ebbene?

FILIPPO
Se il figlio a morte invio,
M’assolve la tua mano?

L’INQUISITORE
La pace dell’impero i di val d’un ribelle,

FILIPPO
Posso il figlio immolar al mondo
io cristian?

L’INQUISITORE
Per riscattarci Iddio il suo sacrificò.

FILIPPO
Ma tu puoi dar vigor a legge si severa?

L’INQUISITORE
Ovunque avrà vigor,
se sul Calvario l’ebbe.

FILIPPO
La natura,
l’amor tacer potranno in me?

L’INQUISITORE
Tutto tacer dovrà per esaltar la fè.

FILIPPO
Stà ben.

L’INQUISITORE
Non vuol il Re su d’altro interrogarmi?

FILIPPO
No.

L’INQUISITORE
Allor son io che a voi parlerò, Sire.
Nell’ispano suol mai l’eresia dominò,
Ma v’ha chi vuol minar
l’edificio divin;
L’amico egli è del Re, il suo fedel compagno,
Il demon tentator che lo spinge a rovina.
Di Carlo il tradimento che giunse a t’irritar
In paragon del suo futile gioco appar.
Ed io, l’inquisitor,
io che levai sovente
Sopra orde vil di rei la mano mia possente,
Pei grandi di quaggiù, scordando la mia fè,
Tranquilli lascio andar un gran ribelle…
e il Re.

FILIPPO
Per traversare i di dolenti in cui viviamo
Nella mia Corte invan cercato
ho quel che bramo,
Un uomo! Un cor leale! Io lo trovai!

L’INQUISITORE
Perchè un uomo?
Perché allor il nome hai tu di Re,
Sire, se alcun v’ha pari a te?

FILIPPO
Non più, frate!

L’INQUISITORE
Le idee del novator in te son penetrate!
Infrangere tu vuoi con la tara debol man
Il santo giogo, esteso sovra l’orbe roman…!
Ritorna al tuo dover;
La Chiesa all’uom che spera,
A chi si pente,
Puote offrir la venia intera;
A te chiedo il signor di Posa.

FILIPPO
No, giammai!

L’INQUISITORE
O Re, se non foss’io con te nel reggio ostel
Oggi stesso, lo giuro a Dio,
Doman saresti presso il Grande Inquisitor
Al tribunal supremo.

FILIPPO
Frate!
troppo soffrii il tuo parlar crudel!

L’INQUISITORE
Perché evocar allor l’ombra di Samuel?
Dato ho finor due Regi
al regno tuo possente…!
L’opra di tanti di tu vuoi strugger, demente!
Perchè mi trovo io qui?
Che vuol il Re da me?

(Per uscire)

FILIPPO
Mio padre, che tra noi la pace alberghi ancor

L’INQUISITORE
La pace?

FILIPPO
Obliar tu dei quel ch’è passato.

L’INQUISITORE
Forse!

(Esce)

FILIPPO
(Solo)
Dunque il trono
piegar dovrà sempre all’altare!

Mar 20, 2010 - Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Inizi

Inizi

Qual è il punto migliore per cominciare a raccontare una storia? domanda M.

Buona, ottima domanda, e spero di non deludere M. se rispondo che dipende dalla storia che si vuole raccontare, e dal modo in cui la si vuole raccontare. So di avere detto qui che la cosa migliore è sempre cominciare dal principio, ma stavo citando la Regina di Cuori e, come ci si può sempre aspettare dalla Regina di Cuori, è una risposta a trabocchetto. Non è detto che il principio sia sempre la prima cosa che succede, e comunque, qual è di preciso la prima cosa che succede?

In realtà ci sono un sacco di modi per iniziare:

– Dall’inizio, ma proprio dall’inizio. A’ la David Copperfield o, peggio ancora, à la Tristram Shandy, che comincia prima ancora di essere nato. Questo è classico, ma comporta un sacco di backstory. Rischioso.

– Subito prima che qualcosa cambi: giusto il tempo di presentare il protagonista al lettore, e poi bam! lo si caccia fuori (il protagonista, non il lettore) dalla sua placida routine per… oh, non so, salvare il mondo, seguire il Coniglio Bianco, arruolarsi in guerra, o qualche altra cosa interessante. Classico e sempre elegante, a patto di non perdersi troppo nelle presentazioni.

– Subito dopo che qualcosa è cambiato: per capirci, quando lo incontriamo, D’Artagnan ha appena lasciato la casa paterna per cercare fortuna a Parigi. Il conflitto vero e proprio lo deve ancora trovare, ma è già in ballo.

In Medias Res: ovvero, nel bel mezzo del casino, come mi disse una ragazzina durante un laboratorio scolastico. Una delle tecniche più utilizzate, dall’Iliade alla Divina Commedia, a Guerre Stellari. E’ sempre d’effetto quando il sipario si apre e le cose stanno già succedendo. Se da Omero a George Lucas non è mai andata giù di moda, un motivo ci sarà…

– Verso la fine: variazione molto cinematografica del precedente, nota come flashforward. Si mostra al lettore qualcosa di affascinante, vitale e non del tutto chiaro, si arriva a un passo dal climax, si lascia tutto in sospeso (possibilmente con qualcuno appeso per i polpastrelli a un ponte in fiamme) e si torna all’inizio. A questo punto, se si sono fatte le cose per bene, il lettore è catturato, perché vuole sapere come siamo arrivati al ponte in fiamme, se il tizio appeso merita di cavarsela, e se se la cava indipendentemente dai meriti.

– Verso la fine II: questo è davvero rischioso e audace. S’inizia come sopra e poi, invece di tornare all’inizio, si procede a ritroso, scena dopo scena, accompagnando il lettore per mano (“e prima di questo…” “Ma come eravamo arrivati lì?” “Peccato che il pomeriggio precedente…”) fino al punto in cui tutto è cominciato. E solo allora si risolve la piccola questione del ponte in fiamme e del tizio appeso. Dico che è rischioso perché, se non lo si fa in maniera sopraffina, il lettore finisce con lo stancarsi. Più adatto per un racconto o una novella che per un romanzo intero, anyway, con un arco narrativo solido, teso e privo di sottotrame.

– Molto prima dell’inizio: ovvero il celebre e amato flashback. Qualcosa che è successo due giorni, un mese, vent’anni, qualche secolo o un’era geologica prima, qualcosa di cui al momento non si vede bene il significato, ma che diventerà chiaro con il procedere della storia. Fatto come si deve è un buon modo per giocare con le aspettative del lettore.

Ripeto: tutto dipende dal genere di storia, e ancora di più dall’effetto che si vuole ottenere. Non tutte le storie si prestano ad essere iniziate nell’uno o nell’altro modo. Tuttavia, provare tutti gl’inizi possibili per una storia è sempre un esercizio stimolante. Occasionalmente, può anche portare a scoperte inattese su quello che si credeva di raccontare e quello che si racconta in effetti. Qualche piccolo esperimento non nuoce mai.

Mar 13, 2010 - Oggi Tecnica, Vita da Editor    3 Comments

Ma è successo davvero

“…E consideri l’ipotesi di eliminare questo flashback della panchina.”

“Vuole scherzare? Non si può togliere*, è assolutamente essenziale* per capire l’interiorità del protagonista!”

“Be’, in alternativa potrebbe spostarlo più avanti, perché qui interrompe il flusso narrativo. Ma visto che lo riprende in mano, perché non prova a rivederlo? Cerchi di renderlo più verosimile.”

“Ma… ma è così che è successo! Voglio dire: è successo davvero, è una cosa vera, è vita vissuta!”

E questo è il punto in cui l’editor si toglie gli occhiali, si pizzica la radice del naso e dà un gran sospirone. Ora, non ricordo se fosse Balzac a dire che la letteratura non dev’essere vera, ma verosimile. Tuttavia, chiunque l’abbia detto aveva ragione. La realtà può permettersi di essere illogica, scomposta, irrilevante, casuale – e anzi, spesso lo è – ma con la scrittura le cose vanno diversamente. Tutto quello che sta in una storia deve esserci per una ragione valida, inerente al significato della storia stessa. Il fatto che qualcosa sia “successo davvero” non costituisce una ragione valida. O almeno non una ragione valida sufficiente.

Tutto deve essere rilevante, e non sto parlando di rilevanza assoluta, ma interna, inerente alla storia. C’è un desolato racconto di Katherine Mansfield, intitolato La Mosca, in cui passiamo una certa quantità di tempo ad osservare gli sforzi disperati di una mosca per ripulirsi dall’inchiostro che le viene versato addosso goccia a goccia. Detto così non sembra un granché, ma ogni battito d’ali della mosca assume tutta la rilevanza del mondo nell’ottica dell’uomo che ha appena perso un figlio in guerra. E’ un racconto incredibilmente triste, e un esempio magistrale di come si possa investire di significato una minuzia in apparenza del tutto triviale. E funziona non in virtù della sua verità, ma della perfetta prospettiva tra il figlio perduto e la mosca.

Una perfezione che, diciamocelo, la “vita vera” possiede raramente. Ecco: uno scrittore è qualcuno che capisce come la “vita vera” non vada gettata sulla carta allo stato grezzo, ma drappeggiata su una solida struttura di rilevanze e di significati.

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* Questa è la reazione classica, primaria e istintiva: suggerite a uno scrittore (con tutta la cautela del caso) di eliminare qualsiasi cosa, e vi dirà che a) non si può assolutamente; oppure b) il capitolo/pagina/paragrafo/riga/segno d’interpunzione che volete eliminare è assolutamente essenziale; oppure c) entrambe le cose. In ogni caso l’implicazione è che voi, o editor, non avete capito un bottone.

Mar 6, 2010 - Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Randy Ingermanson: Intrigo Internazionale

Randy Ingermanson: Intrigo Internazionale

Ultimo appuntamento (per ora) con Randy e le sue analisi in Tre Atti e Tre Disastri. Stavolta si parla di Hitchcock, e si scopre, per esempio, che il titolo originale di Intrigo Internazionale è North by Northwest

Trama e struttura di Intrigo Internazionale

Intrigo Internazionale è generalmente considerato uno dei migliori film di Hitchcock. Proviamo ad analizzarlo con la Struttura in Tre Atti e la Struttura in Tre Disastri.

Nel PRIMO ATTO, il pezzo grosso pubblicitario Roger Thornhill (Cary Grant) viene rapito dai malvagi, che lo hanno scambiato per Roger Kaplan, il funzionario governativo che sta cercando di spedire a processo il Malvagio n° 1, Phillip Van Damm. Thornhill riesce a scappare, ma quando la polizia non crede alla sua storia, decide di fare qualche ricerca su Kaplan, cosa che lo conduce al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, per incontrare un certo funzionario ONU d’alto rango.

Ecco il DISASTRO n° 1: i malvagi uccidono il funzionario ONU in modo da far sembrare che sia stato Thornhill, il quale adesso deve sfuggire non solo ai malvagi, ma anche alla polizia. Questo evento genera il resto del film, perché a questo punto Thornhill può solo consegnarsi (lasciandoci senza storia) oppure scappare. Naturalmente, Thornhill scappa.

Nella prima metà del SECONDO ATTO, Thornhill prende il treno per Chicago, dove vuole cercare il misterioso George Kaplan. Quello che non sa è che non c’è nessun Kaplan, ma solo un’identità fasulla creata dai Federali che danno la caccia all’arcimalvagio Mr. Van Damm. Sul treno Thornhill incontra e seduce una bellissima ragazza bionda, Eve Kendall. Ora, quando scopriamo che la signorina Kendall è in lega con Van Damm, siamo tentati di assumere che questo sia il secondo disastro, ma non è così: non può costituire un disastro fino a quando Thornhill non lo scopre, e a questo punto lui non lo sa ancora. Tanto che, quando arrivano a Chicago, la Kendall lo spedisce in una strada di campagna deserta, per “incontrare George Kaplan”.

Il SECONDO DISASTRO arriva finalmente quando Thornhill viene attaccato da uno di quegli aerei che spargono il fertilizzante. Mentre l’aereo passa e ripassa bassissimo sopra la sua testa, è chiaro che Thornhill ha capito che la Kendall lo ha cacciato in una trappola mortale. Questo è il disastro.

Nella seconda metà del SECONDO ATTO, Thornhill torna a Chicago e scova Eve Kendall. Lei gli sfugge, ma lui la ritrova a un’asta, insieme al malvagio Van Damm, e a questo punto tutte le carte sono in tavola. I malvagi circondano Thornhill, che si salva facendosi arrestare dalla polizia. Quella di gettarsi in braccio alla polizia di Chicago è la classica mossa disperata, che però produce un effetto del tutto indesiderato quando i poliziotti consegnano il loro prigioniero al Professore, l’ufficiale federale che comanda l’operazione contro Van Damm. Il Professore cerca di reclutare Thornhill, che però non è interessato ad aiutare i Federali. O almeno, non lo è fino a quando…

Nel DISASTRO n° 3, il Professore rivela a Thornhill la verità: Eve Kendall è in realtà l’agente che il Governo è riuscito a infiltrare nell’organizzazione di Van Damm, e che adesso si trova in terribile pericolo, perché Van Damm sospetta di lei a causa delle azioni di Thornhill. Il nostro eroe è costretto a decidere: se lascia perdere, non c’è più storia; se decide di cooperare con i Federali, ecco che si tuffa nel Terzo Atto. E Thornhill si tuffa.

Nel TERZO ATTO, Thornhill affronta Vand Damm e Eve Kendall in un ristorante vicino al Monte Rushmore. La Kendall spara a Thornhill e scappa con Van Damm in una casa isolata in montagna. Thornhill viene portato via in ambulanza, e solo allora scopriamo che era tutta una messinscena: la pistola era caricata a salve, Thornhill sta benone e Eve Kendall, avendo riguadagnato la fiducia di Van Damm, è libera di completare la sua missione. Ma Thornhill si rifiuta di starsene a guardare, e segue Van Damm e la Kendall fin nel nascondiglio, dove scopre che il malvagio ha subodorato l’inganno della fanciulla, e ha tutta l’intenzione di ucciderla. Ma Thornhill interviene e salva Eve: il bene trionfa, i malvagi si esibiscono in pittoreschi tuffi giù dal Monte Rushmore, e tutti vivono felici e contenti.

Come al solito, i DISASTRI n° 1 e 3 servono come snodi cruciali tra i vari atti, mentre il DISASTRO n° 2 serve a sostenere la tensione e impedire che il Secondo Atto si afflosci nel mezzo. Intrigo Internazionale è una storia ben strutturata e ben raccontata. Hitchcock, con buon senso, ha piazzato il suo solito cammeo nella primissima scena, mantenendo la sua tradizione personale senza rischiare d’interrompere il flusso della storia distraendo il pubblico con la sua apparizione: nella prima scena, quando la storia non è ancora cominciata, non c’è ancora nessun flusso da interrompere, giusto?

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Blurb: Randy Ingermanson, romanziere pluripremiato, “Quello del Fiocco di Neve”, pubblica mensilmente The Advanced Fiction Writing E-zine per più di 19,000 lettori. Per imparare mestiere e marketing della narrativa, catturare l’occhio degli editor, e divertirsi facendo tutto ciò, visitate http://www.AdvancedFictionWriting.com.

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Mar 3, 2010 - Oggi Tecnica    2 Comments

E’ inoltre consigliabile

E’ inoltre consigliabile, scrivendo narrativa ambientata in qualsiasi periodo storico, evitare distorsioni del linguaggio nel tentativo di creare dialogo d’epoca. Se i personaggi della nostra storia non suonavano antiquati ai loro contemporanei, allora non devono suonare antiquati nemmeno a noi. Può benissimo darsi che un giovanotto dicesse al suo benefattore: La vostra benevolenza mi lusinga assai, signore, e son ben conscio della gratitudine che vi spetta”, ma non è così che le sue parole suonavano all’orecchio del benefattore. Quello che il benefattore capiva era: “Grazie, signore, molto gentile.”

E questa era Josephine Tey, nella Nota al suo romanzo The Privateer. Questo significa che, nel 1952, JT anticipava di una buona sessantina d’anni quello che, negli ultimi anni, è diventato il dibattito sul Nuovo Corso del romanzo storico. La faccenda è maturata in ambito anglosassone, quando alcuni autori hanno cominciato a scrivere antichi romani e sovrani Tudor che parlavano un linguaggio decisamente ‘XXI Secolo’. L’idea generale, come la zuppa inglese, ha più di uno strato.

Da una parte c’è la volontà di rendere più facile l’identificazione al lettore. Bisogna ammetterlo, non è sempre facilissimo simpatizzare per cinquecento pagine con gente che procede a forza di “Dei possenti!”, “calami” e “guantiere”. Poi sia chiaro, non si tratta di modernizzare i personaggi: mentalità e atteggiamento restano rigorosamente period, ma il trucco sta nel renderli in un linguaggio tale che il lettore contemporaneo non abbia l’impressione di essere appena sbarcato su Marte.

Ed ecco l’altro lato della questione, che ci riporta al discorso di JT: la maniera cinque, sei o settecentesca, non pareva affatto maniera a chi la usava, e pertanto il romanziere storico dovrebbe produrre l’impressione che i suoi personaggi parlino in modo normale. Quando Riccardo III dice “Zounds!”, non dice nulla di particolarmente esotico o pittoresco, si limita a usare un’imprecazione che è moneta corrente ai suoi tempi. E a quelli di Will Shakespeare, se vogliamo, per cui l’esempio non è del tutto calzante, ma avete capito quello che voglio dire. Supponiamo tuttavia che un romanziere contemporaneo riprenda in mano Richard*, e che lo ritragga in un momento di furore: un’imprecazione contemporanea aiuterebbe il lettore a simpatizzare meglio con la sua rabbia? E glielo farebbe sentire più vicino? Più vero? Più vivo?

Quel che è certo è che un linguaggio troppo desueto produce distacco, intralcia l’identificazione e trascina il lettore fuori dalla storia. Not good. Per rendersene conto (e per vedere che JT non era l’unica precorritrice) basta leggere il primo capitolo dei Promessi Sposi, con il supposto scartafaccio secentesco: fittizio senz’altro, ma ricalcato sullo stile dell’epoca e poco meglio che illeggibile. Per renderlo appetibile al lettore, dice Don Lisander, bisogna rivestire la bella storia di parole diverse, parole che si possano capire a prima vista.

E in realtà oggi sono veramente pochi gli autori che riproducono fedelmente la lingua del loro periodo: per lo più, chi rifiuta l’idea del Nuovo Corso cerca una via di mezzo tra comprensibilità e un certo qual gusto d’epoca, il che risulta in una vasta gamma di linguaggi immaginari, più o meno riusciti, più o meno deliberati, più o meno leggibili**.

E allora? Vexata quaestio… Personalmente, confesso di avere sempre avuto un debole per il linguaggio d’epoca***, per le costruzioni desuete, per i vocaboli astrusi e specialistici, ma devo aggiungere anche che non è la caratteristica della mia scrittura che mi ha procurato più lettori. Da un lato, capisco che se voglio ricreare un’altra epoca, renderla viva per il mio lettore, un linguaggio contemporaneo (purché privo di anacronismi) è di sicuro uno strumento potente. D’altra parte, dove va a finire quella specie di “patina del tempo” che contribuisce tanto al fascino di tutto quello che è antico?

Aneddotino. Secoli fa, per una rappresentazione de L’Uomo del Destino, atto unico napoleonico di G.B. Shaw, avevo fatto fotocopiare dei pezzi di mappa catastale, perché servissero da mappe militari. Nonostante avessi preso la precauzione di procurarmi della carta color avorio (un mestieraccio, trovarne in formato A3!), vedermele in mano mi causò un istante di delusione: non avevano un’aria antica… Ovviamente non dovevano averla! Ovviamente Napoleone aveva mappe nuove con sé, magari un po’ sbrindellate e macchiate dall’uso, ma senz’altro non antiche. E però, da un punto di vista scenografico, non sarebbero parse fuori posto tra le crinoline e le spade e le candele, nell’atmosfera d’epoca creata dalla regia?

Ecco, credo che questo sia un po’ il nocciolo del problema: che cosa si vuole, che cosa si cerca in un romanzo storico? Un senso della sostanziale parentela che ci lega a questi antenati, o uno sguardo agli usi, costumi e pensieri di un mondo che il passare dei secoli ha reso estraneo? Il dibattito è ampiamente aperto.

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* Ipotesi tutt’altro che peregrina: nel mondo anglosassone esiste una folta schiera di romanzi riccardiani. C’è persino una Richard III Society, dedita alla riabilitazione storica del povero Richard.

** Per un gustoso simil-mantovano secentesco, La Pantoffola di Matilda, di Stefano Scansani, vale la pena di un’occhiatina.

*** A dieci anni, giocando “a Medio Evo”, ero solita riprendere i miei amici quando per errore si rivolgevano al re con il lei, anziché il voi, che a me sembrava più period… Me lo rinfacciano ancora.

Feb 27, 2010 - Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Randy Ingermanson: Il Mercante di Venezia II

Randy Ingermanson: Il Mercante di Venezia II

Riecco Randy, con la seconda parte dell’analisi de Il Mercante di Venezia, completa di considerazioni su Shakespeare, l’antisemitismo e l’arte. [La prima parte è qui]

Il Mercante di Venezia (Parte II)

Shylock.jpgNella seconda metà del Secondo Atto, Bassanio se n’è andato a corteggiare la sua Porzia, e ha successo! Nel frattempo, a Venezia, i termini del prestito scadono e Antonio non è in grado di ripagare Shylock, che quindi chiede di riscuotere la libbra di carne pattuita e si rivolge al Doge per avere giustizia. Quando Shylock sostiene che un annullamento dell’accordo violerebbe la legge su cui si fonda la prosperità di Venezia, il Doge accetta di deliberare sul caso. Intanto, il neo-sposo Bassanio, viene a sapere in che razza di pericolo mortale si trova Antonio, e si affretta a tornare a Venezia con 6000 ducati (di Porzia) per riscattare il prestito del suo amico.

Il DISASTRO n° 3 si produce al processo, quando Bassanio offre a Shylock 6000 ducati – il doppio dell’ammontare del prestito – e Shylock li rifiuta, insistendo che è suo diritto riscuotere la garanzia in natura, ed è questo che avrà: una libbra di carne tagliata dal petto di Antonio. Anche questo disastro è assolutamente critico per la storia: se Shylock accettasse il pagamento, e Antonio si salvasse così facilmente, non solo la storia finirebbe qui, ma anche tutto quello che è successo prima perderebbe di significato. E’ la decisione di Shylock a creare il Terzo Atto: senza di essa, la storia perderebbe tutto il suo interesse.

Nel Terzo Atto, la bella Porzia arriva al processo travestita da giovane avvocato, e assume la difesa di Antonio. Si discute il caso, e Porzia sbalordisce il Doge affermando tranquillamente che la legge è chiara: a Shylock spetta la sua libbra di carne. Ma quando Shylock sfodera il pugnale e si prepara a riscuotere, Porzia gli fa notare che il suo credito ammonta a una libbra di carne e nulla di più: non può prendere nemmeno una goccia di sangue. Shylock perde la causa, ed è condannato a sborsare metà del suo patrimonio. (Poi c’è un buffo epilogo in cui Bassanio ritorna a Porzia senza fede nuziale…)

La storia è perfettamente strutturata in tre atti, con tre disastri equidistanti tra loro, secondo il punto di vista di Bassanio. Come abbiamo visto, Bassanio è il protagonista nominale, ma devo dire che le mie simpatie, più che a lui o ad Antonio, vanno a Shylock. Antonio non perde occasione di comportarsi crudelmente con Shylock, se non quando vuole da lui denaro o misericordia, e non ha nessuna ragione per la sua crudeltà, se non un odio nei confronti dell’Ebreo. Anche Shylock è crudele con Antonio, quando preferisce la libbra di carne al riscatto del prestito, ma ha un motivo ben definito: cerca vendetta per come è stato trattato. Tra i due, Shylock è l’uomo migliore.

Il Mercante di Venezia ha generato un dibattito infinito: Shakespeare intendeva ritrarre gli Ebrei come inferiori e bestiali, facendo di Shylock un esempio archetipico dell’usuraio ebreo assetato di sangue, o voleva denunciare l’antisemitismo del suo tempo mostrandolo in tutta la sua deumanizzante ignominia?

Io sospetto che Shakespeare abbia lavorato un po’ in entrambe le direzioni. Da una parte mostra Shylock come un essere umano vero e complesso, insultato dall’antisemitismo, ingannato dalla figlia, fatto oggetto di sputi, insulti e furti. Questa è una denuncia. D’altro canto, però, Shakespeare caratterizza Shylock sopra le righe, caricando lo stereotipo del “perfido Ebreo” con la pretesa di riscuotere la libbra di carne. Per di più, la struttura della trama chiaramente ha il suo eroe in Bassanio, perché tutti i punti di svolta, che dividono ordinatamente la storia in quattro quarti pressoché equivalenti, sono individuati dal suo punto di vista. Se cerchiamo i punti di svolta che costituiscono i disastri dal punto di vista di Shylock, la suddivisione è molto meno netta e regolare. Da un punto di vista strutturale, non c’è modo di definire Shylock l’eroe di questa storia.

E allora, Shakespeare era antisemita? Io credo di no. Secondo me, le parole sull’umanità degli Ebrei messe in bocca a Shylock sono quelle di un anti-antisemita. Forse fare di Bassanio l’eroe del dramma era una sottile ironia, calcolata per non essere colta dalle masse – e mettere Shakespeare al riparo da reazioni inconsulte delle masse stesse.

Potrei obiettare a me stesso che Shakespeare è stato fin troppo sottile con la sua ironia, tanto che ancora oggi, nel mondo anglosassone, si definisce “shylock” un usuraio assetato di sangue, e non è certo un complimento. Il mio spirito umanitario dice che Shakespeare avrebbe dovuto essere più aperto e coerente nella sua denuncia, ma il mio spirito di narratore dice che, se lo fosse stato, non avrebbe avuto nulla da raccontare, perché tutta la trama dipende da quel DISASTRO n° 3 in cui Shylock rifiuta di essere clemente e pretende l’applicazione della legge.

 Insomma, Shakespeare aveva bisogno di un compromesso per far passare il suo messaggio: “Se ci ferite, non sanguiniamo forse?” Non è che il compromesso mi piaccia, ma da un punto di vista puramente narrativo, non vedo come avrebbe potuto evitarlo.

Se non altro, non è responsabile per quelle povere ragazze a seno nudo nella gelida notte veneziana!

 

Feb 20, 2010 - Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Randy Ingermanson: Il Mercante di Venezia I

Randy Ingermanson: Il Mercante di Venezia I

Rieccoci all’appuntamento con Randy Ingermanson. L’articolo su Il Mercante di Venezia è lungo, e quindi verrà – come dire? – A puntate.

Struttura e Trama de Il Mercante di Venezia

Qualche tempo fa l’insegnante d’Inglese ha raccomandato alla classe di mia figlia (seconda media) di guardare Il Mercante di Venezia, di Shakespeare, e io ho richiesto il DVD su NetFlix. Non la versione con Al Pacino, che è vietata ai minori di diciassette anni non accompagnati, ma quella della BBC, che non ha divieti e, presumibilmente, è più adatta a una dodicenne.

Quando il DVD è arrivato, ero impegnato con uno dei miei innumerevoli progetti, e così mia moglie e i bambini lo hanno guardato da soli. E quando hanno finito, mia moglie mi ha detto che era stato un po’ imbarazzante, perchè “c’erano delle donne molto scollate”. Naturalmente ho voluto rendermi conto, e ho trovato il tempo di dare un’occhiata. La prima cosa che ho notato è stato il divieto ai minori di diciassette anni non accompagnati. La seconda è stata che Shylock era Al Pacino. Il che significa che qualcuno ha sbagliato qualcosa con il mio ordine a NetFlix, e che mia moglie non è molto osservatrice. La terza cosa che ho notato è che le signore in questione non avevano una scollatura particolarmente bassa: non avevano scollatura affatto, povere care. Suppongo che dovessero rappresentare delle prostitute veneziane, e che il regista abbia pensato di aumentare le vendite con qualche seno nudo e un divieto ai minori… Ah, l’arte! 

Ora, sono sposato da un certo numero di anni, ho visto seni nudi in abbondanza, e il punto non è questo: il fatto è che la scena diventa un tantino ridicola. Voglio dire, immaginate Al Pacino che fa la celebre tirata di Shylock sull’essere ebrei in un mondo antisemita: “Se ci ferite, non sanguiniamo, forse? Se ci solleticate, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo?” e via dicendo. E’ una scena potente, forse la più forte dell’intero film, e Al la recita alla grande, davvero con una forza travolgente. Solo che la scena è girata di notte, in una Venezia tutta gelida e nebbiosa: Al indossa un mantello pesante, e tutti gli altri uomini presenti sono coperti da freddo. E poi, sullo sfondo, ci sono queste due ragazze col seno nudo in mostra, e non hanno l’aria di avere freddo. Per niente. Non mostrano nemmeno un brividino, non so se mi spiego: hanno l’aria di stare perfettamente comode, e l’illogicità di quella piccola incongruenza è bastata a trascinarmi fuori dalla storia.

Ed è un gran peccato, perché tutta la mia attenzione doveva essere concentrata su Al: era la sua scena, una scena potente e significativa, e invece il regista mi ha fatto ridere! Ahi ahi… mi sa tanto che il regista ha fatto una cavolata!

Oh be’, passiamo all’analisi della Struttura in Tre Atti & Tre Disastri. La studieremo dal punto di vista di Bassanio, che è l’eroe nominale della storia.

Nel I ATTO il nostro eroe Bassanio chiede al suo amico Antonio un prestito di 3000 ducati, che gli servono per corteggiare la ricca e bella Porzia. Antonio è un ricco mercante, ma tutto il suo denaro è impegnato in una serie di spedizioni mercantili, navi che non faranno ritorno a Venezia prima di un paio di mesi. Allora Antonio si rivolge all’usuraio ebreo Shylock per un prestito. Va detto che Shylock odia Antonio, che di recente gli ha sputato addosso per strada e l’ha chiamato cane.

Il che ci porta al DISASTRO n° 1: Shylock potrebbe rifiutare il prestito, e invece lo concede, chiedendo in garanzia una libbra di carne di Antonio, “vicino al cuore”. Antonio è sicuro di recuperare presto il suo denaro, e quindi accetta i termini del prestito. Questa è la pericolosa decisione che manda avanti il resto della storia: se Antonio rifiutasse l’offerta, tutto finirebbe qui e non ci sarebbe nulla da raccontare. Ma Antonio accetta, e quindi mette sé stesso in pericolo mortale, qualora le sue navi dovessero affondare.

Nella prima parte del SECONDO ATTO, la figlia di Shylock fugge con un amico di Antonio, portandosi anche un bel po’ del denaro di suo padre. Quando Shylock lo scopre, s’infuria parecchio, ma non non può farci nulla: la legge non è di grande aiuto per lui, che è ebreo. Poi arriva la notizia che due delle navi di Bassanio sono affondate, una dopo l’altra, e vediamo alcune scene in cui Porzia viene corteggiata da gente inadatta (vale a dire, gente che non è Bassanio).

Il DISASTRO n° 2 avviene quando un altro usuraio informa Shylock che sua figlia è stata vista a Genova, intenta a sperperare il suo tesoro come se nulla fosse, e che una terza nave di Antonio ha fatto naufragio. Shylock giura di riscuotere la sua garanzia – una libbra di carne di Antonio! Questo disastro impedisce che il Secondo Atto si afflosci nel mezzo.

What next? Randy torna la settimana prossima, con la seconda parte de Il Mercante di Venezia.

Feb 13, 2010 - Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Randy Ingermanson: Orgoglio e Pregiudizio

Randy Ingermanson: Orgoglio e Pregiudizio

Chi l’avrebbe detto? Anche Jane Austen ragionava in termini di tre atti e tre disastri… O, quanto meno, in O&P c’erano tre disastri e tre atti per gli sceneggiatori! Ecco l’analisi di Randy.

Trama e Struttura di Orgoglio e Pregiudizio

Il primo dell’anno, la mia famiglia e io abbiamo finalmente trovato l’occasione di guardare Orgoglio e Pregiudizio. Volevamo farlo da un po’, in realtà, ma capitava sempre qualcosa. Be’, ci è piaciuto un sacco. Il film è molto più breve della versione televisiva della BBC, che dura 5 ore, ma devo dire che sono entrambi eccellenti.

L’eroina di questo film è Elizabeth Bennet, interpretata da Keira Knightley. (So che cosa state pensando, e la risposta è no! Non ho una cotta per Keira Knightley, ed è un puro caso che abbiamo guardato due suoi film di fila. Keira è molto carina, lo ammetto, ma non è carina come mia moglie. Giuro).

Ora, Orgoglio e Pregiudizio non è uno di quei film tutti trama e azione: non ci sono duelli all’arma bianca o inseguimenti in macchina, e nemmeno un elicottero che esplode; solo un sacco di dialogo intelligente preso pari pari dalla grande Jane Austen. E’ un film incentrato sui personaggi, diciamo un film da ragazze. Ciò non toglie che abbia una trama ben definita, e che sia facile individuarne le linee principali usando la Struttura in Tre Disastri, che adesso vi mostrerò insieme alla Struttura in Tre Atti.

INIZIO: Siamo in Inghilterra, alla fine del XVIII Secolo, ed Elizabeth Bennet vive in campagna con i suoi genitori e quattro sorelle, tutte nubili come lei e in età da marito. Mr. Bennet è un gentiluomo non particolarmente ricco, e la volubile e ciarliera Mrs. Bennet vuole disperatamente trovare mariti ricchi e giovani per le sue figlie. Jane, la sorella maggiore, incontra Mr. Bingley, un giovane piacevole e ricco che si è trasferito in campagna da Londra, provvisto di un amico, l’acido Mr. Darcy, ancora più ricco, ma molto meno piacevole. Dapprincipio le cose sembrano mettersi bene per Jane e Mr. Bingley, ma poi…

 DISASTRO n° 1: Mr. Bingley parte bruscamente per Londra, abbandonando la povera Jane senza un motivo o una spiegazione.

MEZZO (I Parte): in conseguenza di questo disastro, prima Jane e poi Elizabeth si recano a Londra. Jane non riesce a incontrare Mr. Bingley, ma in compenso Elizabeth incontra Mr. Darcy, che le piace sempre meno, e a maggior ragione quando scopre che è stato lui a spingere Mr. Bingley ad abbandonare Jane.

DISASTRO n° 2: del tutto inaspettatamente, Mr. Darcy chiede a Elizabeth di sposarlo, confessandole di essere innamoratissimo, nonostante lei gli sia socialmente inferiore. Elizabeth rifiuta sdegnata.

MEZZO (Parte II): sconvolta, Elizabeth torna a casa, a vedersela con la sua bizzarra madre e le sue sorelle minori a caccia di marito. Dopo qualche tempo, parte per un viaggio con una coppia di zii, capita casualmente a visitare la magione avita di Mr.Darcy, mentre lui è assente, e scopre che i suoi servitori lo considerano un uomo generoso e gentile. Il viaggio di Elizabeth è bruscamente interrotto dalla notizia che la sua sorella minore è fuggita di casa con Mr. Wichkam, un ufficiale di scarsa moralità. La famiglia evita a stento uno scandalo quando qualcuno offre a Wickham una somma generosa, purché sposi la ragazza e se ne vada lontano con lei.

DISASTRO n° 3: Elizabeth scopre che è stato Mr. Darcy a pagare Wickham, salvando la sua famiglia dal disonore. Ora si trova in debito verso un uomo con cui credeva di avere rotto ogni rapporto.

FINALE: Mr. Bingley ritorna in campagna e torna a corteggiare Jane, con cui ben presto si fidanza. Nel frattempo Elizabeth ha cambiato opinione su Darcy, scoprendo che la sua maschera gelida nasconde in realtà il classico cuore d’oro e, quando lui le chiede nuovamente di sposarlo, accetta. Il film finisce con il bacio di rito.

Visto come, ancora una volta, i Disastri sono punti nel tempo, ciascuno dei quali effettua la transizione al successivo blocco di tempo?

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Blurb: Randy Ingermanson, romanziere pluripremiato, “Quello del Fiocco di Neve”, pubblica mensilmente The Advanced Fiction Writing E-zine per più di 19,000 lettori. Per imparare mestiere e marketing della narrativa, catturare l’occhio degli editor, e divertirsi facendo tutto ciò, visitate http://www.AdvancedFictionWriting.com.

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Feb 6, 2010 - Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Randy Ingermanson: Pirati dei Caraibi

Randy Ingermanson: Pirati dei Caraibi

La parola a Randy, per un’analisi della Struttura in Tre Disastri di uno dei film più deliberatamente, spudoratamente (e spassosamente) non-storici che si possano immaginare.

La Struttura de La Maledizione della Prima Luna.

La sera dell’ultimo dell’anno sono stato alzato fino a mezzanotte con la mia famiglia per guardare La Maledizione della Prima Luna. L’eroina del film è Elizabeth Swann, interpretata da Keira Knightley.

E’ uno dei nostri film preferiti. Era stato progettato come un film avventuroso e romantico per ragazzi, con Orlando Bloom nella parte dell’innamorato di Elizabeth, Will Turner, ma poi, grazie all’ispirata recitazione di Johnny Depp, che ruba la scena nel ruolo dello squinternato capitano pirata Jack Sparrow, ha acquistato un aspetto addizionale: quello della commedia sopra le righe. Insomma, c’è qualcosa per tutti, in questo film, tranne chi va pazzo per le corse di camion – perché NON ci sono corse di camion!

In compenso c’è un sacco di azione, e la trama è piena di sorprese e imprevisti: c’è da perdersi nel seguirli tutti, ma è abbastanza facile individuare la storia principale usando la Struttura in Tre Disastri. Ecco la mia analisi, in cui metto in evidenza i tre Disastri in mezzo agli Atti della Struttura in Tre Atti.

INIZIO: Elizabeth Swann è la figlia del governatore di Port Royal, ed è appena stata chiesta in moglie da un uomo che non ama, un commodoro della flotta inglese, a cui preferisce Will Turner, un povero fabbro senza posizione sociale. Appena arrivato in città, il capitano pirata Jack Sparrow cerca di sfuggire all’impiccagione usando Elizabeth come scudo umano, ma finisce in prigione ugualmente, sempre condannato alla forca. Elizabeth è segretamente in possesso di un medaglione maledetto, che apparteneva in origine a Will Turner, e che induce l’ex equipaggio del Capitano Sparrow ad attaccare Port Royal.

DISASTRO n° 1: i pirati catturano Elizabeth con il suo medaglione, ma lei rivendica il diritto al “parley”, un incontro con il capitano pirata Barbosa.

Prima Parte del MEZZO: il Capitano Barbosa porta il medaglione (ed Elizabeth) su un’isola non segnata sulle carte, dove intende spezzare la maledizione che dieci anni prima ha trasformato lui e il suo equipaggio in altrettanti non-morti, condannati a non morire né vivere davvero. I pirati sono convinti che il sangue di Elizabeth metterà fine alla maledizione. Will Turner,  che è innamorato di Elizabeth e disposto a tutto per salvarla, si allea con Jack Sparrow per rubare una nave della Royal Navy, arruolare un equipaggio, e inseguire i pirati. Jack sa benissimo che Barbosa e i suoi intendono uccidere Elizabeth.

DISASTRO n° 2: Jack Sparrow e Will Turner liberano Elizabeth, ma Jack è lasciato alla vendetta dei pirati quando Will ed Elizabeth riescono a fuggire.

Seconda Parte del Mezzo: i pirati vogliono uccidere Jack, che però li persuade a inseguire Will ed Elizabeth e il loro equipaggio di vagabondi. Durante una battaglia navale, i pirati distruggono la nave inglese rubata e catturano l’equipaggio, abbandonando su un’isola Jack ed Elizabeth, quando scoprono che è lui a dover morire per spezzare la maledizione. Jack ed Elizabeth vengono salvati dal commodoro, che intende riportare a casa la ragazza (da cui aspetta ancora una risposta alla sua proposta di matrimonio), impiccare Jack e abbandonare Will al suo destino.

DISASTRO n° 3: Elizabeth persuade il commodoro a salvare Will Turner, promettendogli in cambio la sua mano.

FINALE: quando i pirati sono sul punto di assassinare Will Turner, Jack Sparrow li convince ad affrontare gl’Inglesi prima, mentre sono ancora non-morti (e quindi virtualmente imbattibili), e la maggior parte dell’equipaggio pirata ingaggia un feroce combattimento contro l’equipaggio del commodoro. Jack e Will, incaricati di occuparsi del Capitano Barbosa, spqzzano la maledizione. I pirati vengono catturati o uccisi, e tutti ritornano a Port Royal, dove Jack deve essere impiccato, ed Elizabeth sposerà il commodoro. Naturalmente non va a finire proprio così, e tutti vivono felici e contenti, tranne il commodoro.

Notate che i disastri sono tutti punti precisi nel tempo, e ciascuno di essi forza una transizione al successivo blocco di tempo.

Gen 30, 2010 - Oggi Tecnica    6 Comments

Randy Ingermanson: Trama e Struttura

Come promesso, ecco a voi Randy Ingermanson. Cominciamo con una serie di articoli sulla costruzione della trama, apparsi sulla sua Advanced Fiction Writing E-zine fra il gennaio e il febbraio 2006.

1) Trama e Struttura: la Visione d’Insieme

Costuire trame è facile per alcuni e difficile per altri. I miei amici scrittori mi dicono che sono un buon costruttore di trame, cosa che trovo ironica, perché costruire trame è una delle ultime cose che ho imparato a fare. Credo che ancora adesso non mi venga naturale, ma almeno ho imparato qualche metodo analitico da applicare alle idee. Questi metodi mi aiutano a definire “che cosa è veramente la mia trama”, e mi servono anche a individuare quando manca qualche elemento.

Lo strumento che vorrei discutere qui è quella che chiamo la “Struttura in Tre Disastri”. Non sono sicuro che questa sia una definizione standard – non sono nemmeno sicuro che l’idea sia standard – ma mi piace perché mi aiuta a dar forma ai miei romanzi a livello macro.

Probabilmente avete sentito parlare della “Struttura in Tre Atti”: l’ha inventata un tale chiamato Aristotele, ed è rimasta in voga per un certo tempo. Io l’ho imparata da James Scott Bell, coautore della rubrica di Narrativa per il Writer’s Digest.

La Struttura in Tre Atti divide la linea del tempo della nostra storia in tre parti di durata differente: l’Inizio, il Mezzo e il Finale. E quando dico che sono di durata differente, non sto scherzando: il Mezzo è lungo il doppio dell’Inizio e del Finale.

Quindi, se il nostro romanzo fosse una partita di football americano in quattro tempi, l’Inizio sarebbe il primo tempo, il Mezzo riunirebbe il secondo e il terzo tempo, e il Finale sarebbe il quarto tempo.

Fin qui è terminologia standard, ma come entra in tutto questo la Struttura in Tre Disastri?

Semplice: la Struttura in Tre Disastri dice che nella nostra storia abbiamo tre disastri principali, e che i tre disastri cadono a intervalli regolari. Quindi, il Disastro n° 1 arriva alla fine del primo tempo; il Disastro n° 2 è giusto a metà strada; il Disastro n° 3 capita alla fine del terzo tempo.

Matematicamente parlando, la Struttura in Tre Disastri è complementare alla Struttura in Tre Atti: gli Atti sono costituiti da blocchi temporali, e i Disastri sono punti nel tempo che segnano le transizioni tra i blocchi.

Dunque, il Disastro n° 1 arriva alla fine dell’Inizio, e costringe il nostro personaggio a prendere la decisione che lo introduce nel Mezzo.

Il Disastro n° 2 arriva a metà del Mezzo, ed è lì per evitare che il Mezzo si afflosci (cosa che gli editor dicono quando la storia comincia a perdere ritmo in qualche punto del secondo atto).

Il Disastro n° 3 cade alla fine del Mezzo, costringendo i nostri personaggi ad una decisione che li traghetta nel Finale.

Semplice, no? Nelle prossime parti, applicherò questo schema analitico ad alcuni film che ho visto di recente con la mia famiglia.

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Blurb: Randy Ingermanson, romanziere pluripremiato, “Quello del Fiocco di Neve”, pubblica mensilmente The Advanced Fiction Writing E-zine per più di 19,000 lettori. Per imparare mestiere e marketing della narrativa, catturare l’occhio degli editor, e divertirsi facendo tutto ciò, visitate http://www.AdvancedFictionWriting.com.

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