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Gen 27, 2016 - scrittura, teorie, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Circhi, Sipari e Strozzature

Circhi, Sipari e Strozzature

Parlavamo del sipario della conoscenza, ricordate?

Ebbene, per gentile concessione dello scrittore e insegnante di scrittura creativa Larry Brooks, il papà del favoloso sito Story Fix, ecco a voi la traduzione di un’interessante variazione sulla struttura narrativa aristotelica. Struttura in due Punti Trama, due Strozzature e uno Snodo Centrale.

A parte il fatto che è presentata a forma di tenda da circo (a tre piste), la struttura non è diversissima da Tre Atti & Tre Disastri, ma lo schema è pieno di acute osservazioni sulla progressione della storia. Personalmente sono affascinata in particolare dallo Snodo centrale – quel terremoto nella comprensione del protagonista di cui, per l’appunto, parlavamo lunedì – e dalle due Strozzature, aperture sul punto di vista dell’Antagonista.

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LEGENDA:

I Punto Trama: è il singolo evento più importante di tutta la storia, è ciò che guida o spinge il protagonista attraverso tutti gli alti e bassi a seguire. E’ dove la storia inizia, dove il conflitto principale fa la sua comparsa in scena. Dovrebbe arrivare circa a un quarto dall’inizio, alla fine della fase di preparazione.

I Strozzatura: qualcosa di semplice e rapido, mostrato al lettore dal punto di vista dell’antagonista, per ricordargli che l’antagonista è là fuori, con cattive intenzioni nei confronti del protagonista. Circa a 3/8 della storia.

Snodo Centrale: è dove il sipario della conoscenza si scosta per il protagonista e/o il lettore. A cambiare non è tanto la storia, quanto la comprensione di ciò che sta accadendo da parte del protagonista e/o del lettore. Se è messo a parte dell’epifania, il protagonista passa qui dall’atteggiamento di reazione a quello di attacco.

II Strozzatura: attorno ai 5/8 della storia, è il momento di dare un’altra occhiata al punto di vista dell’antagonista, per mostrare al lettore che ci sono buone o cattive sorprese in serbo per il protagonista.

II Punto Trama: è l’ultimo momento utile per aggiungere alla storia informazioni che consentiranno al protagonista di fungere da catalizzatore per la conclusione della storia. Dopo questo punto – attorno ai 3/4 della storia, non c’è più posto per ulteriore esposizione: si usano solo informazioni e personaggi già in campo.

È logico, non si tratta di prescrizioni tassative, ma dell’esposizione di una serie di principi che si sono solidificati in millenni di narrazione. Per di più, è un’esposizione originale, intelligente e più percettiva della media, piena di buone domande che, nel progettare la struttura di un romanzo, sarebbe salutare porsi prima o poi.

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Qui potete vedere – e scaricare – il PDF originale, opera della grafica Rachel Savage.

Luke, Sono Tuo Padre…

Tutti abbiamo, almeno una volta, scosso il capo con un sorrisino indulgente all’indirizzo dell’anziana zia che guardava con gli occhi lustri i (probabilmente finti) ricongiungimenti famigliari carrambati dalla Carrà – vero?

Quanto meno, io usavo scuotere il capo eccetera, e mancavo di considerare come, in fondo, la Raffaella e i suoi autori non facevssero altro che giocare sull’eterno appeal di uno dei tòpoi più immarcescibili della letteratura: l’agnizione.

Ovvero il protagonista che scopre di essere qualcun altro. Oppure scopre che qualcun altro è qualcun altro ancora – spesso (ma non sempre) discendente, ascendente, agnato o cognato.

Talmente immarcescibile che Aristotele già lo teorizzava come venerando, infallibile e superiore a qualsiasi altro meccanismo tragico e, ventiquattro secoli più tardi, ci intratteniamo ancora – e con pieno successo – le vecchie zie al sabato sera.

Aristotele aveva in mente, a titolo archetipico, Edipo – che dopo aver fatto fuori un re e averne impalmato la vedova, scopre che si trattava dei suoi genitori. Ops.

Dove si vede che l’agnizione non è necessariamente un lieto fine. Non ci è dato di sapere cosa Aristotele ne pensasse quando era usata a fini men che truci, ma la Commedia Attica è piena di esempi di fanciulle immaritabili che si scoprono essere bennate eredi di cospicue fortune – e quindi perfette per l’innamorato di buona famiglia… 

Vi pare di avere già sentito questa storia? Small wonder, perché è onnipresente. Si può dire che non ci sia corpus di miti o folklore senza agnizione, nel bene e nel male. Pelle d’Asino e la Piccola Guardiana d’Oche sono principesse in disguise, il Brutto Anatroccolo non è un’anatra affatto, gli orfani non sempre sono orfani come sembrano, le fiabe russe traboccano di baldi giovanotti che si scoprono figli dello Zar – al punto che Popp cataloga il Disvelamento dell’Eroe tra le sue funzioni – e non cominciamo nemmeno a parlare di fate, streghe e creature magiche in generale che se ne vanno attorno sotto mentite spoglie fino al dénouement.

E naturalmente la letteratura non poteva – né si vede perché avrebbe dovuto – sottrarsi al fascino del tòpos. Dopo tutto, segreti, identità perdute, misteri e ammenicoli del genere sono la materia di cui son fatte le storie. La citazione semi-shakespeariana serve a introdurre Il Racconto di’Inverno e la very aptly named Perdita, un’altra pastorella che si ritrova principessa. Non posso fare a meno di considerare un’agnizione anche la faccenda di MacDuff, che MacBeth scopre non essere tecnicamente nato da donna, e quindi oggetto inopinato della predizione delle streghe… Non bisognerebbe mai prendere gli oracoli alla lettera, ma questa è un’altra storia.

L’agnizione, per la sua inevitabile natura di colpo di scena, ha una seria carriera a teatro – pensate a Molière e a Beaumarchais, con le rivelazioni della penultima scena che impediscono matrimoni combinati e precipitano tutti verso il lieto fine – ma chi va veramente a nozze con questo tòpos sono i romanzieri ottocenteschi – e i librettisti d’opera.

Gavroche è figlio dei Thénardier, Esmeralda non è affatto una zingarella, Isabella di Vallombrosa non è orfana né attrice girovaga, il Signore Indiano in realtà è l’amico che ha involontariamente rovinato il babbo di Sara Crewe, Mrs. Milligan è la madre di Rémy, la pazza nella soffitta è la moglie di Mr. Rochester, il reverendo Rivers è il cugino di Jane Eyre, Mrs. Pryor è la madre di Caroline, Milady è la moglie di Athos, Redgauntlet è lo zio di Darsie Latimer, Ebenezer Balfour è il fratello minore del padre di David, Rogiero è figlio di Re Manfredi*, il Conte di Montecristo è Edmond Dantès, il vecchio Burgravio e la “strega” Gwenhyfara sono i genitori del giovane Spadaceli**…

Noterete che non ho citato Dickens. Non l’ho citato perché Dickens è non solo il festeggiato quest’anno, ma si trova in una categoria a sé in qualità di spudorato specialista dell’agnizione. Consideriamo solo The Adventures of Oliver Twist. Oliver, orfanello in una città innominata, giunge a Londra e, fra un milione abbondante di persone, s’imbatte senza saperlo nel mancato sposo della defunta sorella del suo defunto padre. Basta? No, non basta. Oliver si ritrova nelle grinfie di pessima gente, che se lo trascina dietro in una rapina con scasso. E chi è la derubata? La zia adottiva di Rose, l’ignara sorella minore della defunta (e nubile) madre di Oliver. Basta? Ancora no. Giusto per non farci mancare nulla, la pessima gente non tormenta Oliver per caso, ma perché imbeccata dal malvagio figlio legittimo del defunto padre di Oliver, e (a riprova del fatto che nulla cambia veramente attraverso i millenni) Rose non può sposare l’amato e innamoratissimo cugino adottivo a causa dell’ombra che grava sulla sua nascita. Poi tutto converge in un terz’ultimo capitolo che è un’orgia di agnizioni, contro-agnizioni, adozioni, rivelazioni e richieste di matrimonio, in uno sfoggio di sprezzo del ridicolo tale da far impallidire un librettista d’opera.

Perché siamo sinceri: in confronto, Arrigo che si scopre figlio del tirannico duca di Monforte mentre Monforte cade sotto i colpi dei ribelli siciliani, o il Conte di Luna che individua il fratello perduto proprio nel trovatore che ha appena fatto giustiziare, o Lucrezia Borgia che – dopo tutto – è madre di Gennaro, o Maria/Amelia che si ritrova figlia del Doge, son cose da nulla – agnizioncelle veniali. 

Agnizioncelle veniali  sulle quali finivano con l’inciampare anche autori insospettabili. Prendete Oscar Wilde. Proprio lui, che aveva detto che ci voleva un cuore di pietra per non ridere leggendo la scena della morte di Little Nell, che cosa combina in A Woman Of No Importance? Infila una scena in cui il Bravo Ragazzo spicca il balzo per sfidare a duello il Grand’Uomo Arrogante – ma la Madre del Bravo Ragazzo si frappone al grido di “Gerald, No! È tuo padre!” Qualcuno – non so più chi, presumo un critico – disse che Wilde meritava che un’illustrazione a colori di questa scena venisse affissa in tutte le pubbliche piazze, ad eterno disdoro del suo autore. Wilde non dovette prendersela troppo – o forse se la prese proprio tanto, perché l’anno successivo se ne uscì con The Importance of being Earnest, che fra l’altro era una pungente, perfetta parodia di tutte le convenzioni in fatto di agnizione…

E il fatto è che, undici volte su dieci, l’agnizione si regge su coincidenze e improbabilità assortite che i contemporanei di Aristotele non avevano remore nel giustificare con il Fato, il volere degli dei e l’inaffidabilità degli oracoli, ma oggi?

Verrebbe da pensare che in quest’epoca di lettori smaliziati, gli autori rifuggano l’agnizione come un principio di pleurite doppia resistente agli antibiotici…

E invece no. Saremo anche lettori smaliziati, O Contemporanei, ma l’agnizione prospera imperterrita nella letteratura di genere, al cinema, in televisione e nell’immaginario collettivo – come dimostrano Guerre Stellari, Harry Potter, La Bussola d’Oro, Hugo Cabret, il Dr. House e Raffaella Carrà. 

Il fatto è che al Lettore (in senso lato) piacciono gl’indovinelli, i segreti, gli scambi in culla, tutto ciò che non è quel che sembra. Ai lettori piace l’idea che chiunque possa non essere chi dice di essere. O chi gli è stato insegnato a credere di essere.  Ai lettori/spettatori piace commuoversi sulla vecchietta che ritrova la sorella emigrata in Brasile cinquant’anni prima e mai più sentita. Adorano singhiozzare quando, dal biplano abbattuto, anziché un pilota tedesco viene estratto il migliore amico del protagonista***. Si sciolgono quando qualcuno – chiunque – si ritrova meno orfano di quanto tutti credessimo.

D’accordo – probabilmente questa faccenda degli orfani andrebbe qualificata****, ma in linea generale, se è vero che la via più sicura per il cuore del lettore sono i legami affettivi, e che indovinelli e sorprese catturano la mente del lettore come nient’altro, forse Aristotele non aveva tutti i torti: l’agnizione – sorpresa affettiva nel bene o nel male – è proprio un buon meccanismo narrativo.

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* Cosa che scoprono ritrovandosi la sera della battaglia di Benevento, quando entrambi sono feriti a morte. Molto opportunamente, il malvagio è a portata di mano, pronto a spiegare come Rogiero abbia tradito Manfredi credendolo suo rivale in amore… Poi entrambi muoiono. Anche Guerrazzi non scherzava. FruitPastilles.jpg

** In realtà, a ben pensarci, tutto – ma proprio tutto – il teatro di Hugo si fonda sull’agnizione. Non c’è un suo dramma in cui la gente sia quel che gli altri credono.

*** Caramelle virtuali a chi riconosce il film…

**** È del tutto possibile, lo ammetto, che gente come Esther Summerson e Luke Skywalker abbia altre preferenze in fatto di tòpoi narrativi. Ma è gente immaginaria, la cui opinione non conta poi troppo.

Di Filosofi e di Condottieri

Dopo questo concerto ho cominciato a vedere genealogie ideali ovunque – successioni di varia natura che sviluppano idee o forme artistiche attraverso i secoli.

Questa volta, anziché di arte, parliamo di filosofia con risvolti politici, coprendo una fetta di storia e pensiero greci dal principio del V Secolo fin verso la fine del IV.

Socrate.jpgCominciamo da Socrate che, tra un simposio e l’altro, elabora non solo idee, ma un metodo di pensiero, una logica dei problemi che, sotto l’apparenza svagata e conversevole, è destinata a diventare la base del modo di pensare occidentale. In realtà forse la maieutica non era così rivoluzionaria in sé, ma nessuno prima ne aveva davvero analizzato il meccanismo. E’ sempre sconcertante scoprire la ferrea disciplina che governa quelle pratiche apparentemente spontanee – e di conseguenza il modo in cui quella disciplina può essere usata. O manipolata. Non a caso, Socrate beve la cicuta fatale perché Atene lo considera un empio e un corruttore della gioventù.Platone.jpg

Segue il suo allievo Platone, che mette per iscritto e sistematizza in forma dialogica il pensiero di Socrate, e poi procede per conto suo a svilupparne i principi in varie direzioni. Platone non è un personaggio pittoresco ed allarmante come Socrate: è di buona famiglia, di molti talenti (oltre che filosofo, i biografi lo vogliono soldato, pittore, poeta, atleta e matematico, secondo un ideale molto greco), e la sua Accademia, dove s’impara discutendo, è considerata un’istituzione non solo perfettamente rispettabile, ma prestigiosa.

Aristotele.jpgTra i suoi allievi si distingue Aristotele, che sviluppa metodo e pensiero a gradi di raffinatezza estrema, e li applica ad ogni possibile campo dello scibile, dall’etica all’astronomia, dalla letteratura alla scienza della conoscenza. Anche lui fonda una scuola in cui si passeggia e si discute, e il suo prestigio è tale da farne il precettore ideale per un figlio di re.

L’ultimo rampollo di questa discendenza lo trovo proprio nel Grande Alessandro, che assorbì per un paio d’anni le teorie di Aristotele e poi traghettò il mondo greco dall’Età Classica all’Ellenismo, camminando sui cocci della vecchia città-stato verso l’idea imperiale e aprendo il mondo verso Oriente. Ad Aristotele non poteva piacere troppo la politica di Alessandro, ma la progressione verso Est della piccola e rude Macedonia, e il suo germogliare in imperi al contatto con altre civiltà più sofisticate, conservano – o almeno a me pare – un andamento logico per botte e risposte, azioni e reazioni e domande, infinite domande in cerca di risposta. Non amo alla follia Pascoli, ma il suo Alexandros, che piange davanti al “Fine, l’Oceano, il Niente”, e rimpiange i giorni in cui aveva ancora spazio per la sua Cerca, mi sembra rappresentare bene l’aspetto filosofico della faccenda – e il dramma di una mente cercatrice giunta al confine delle sue possibilità. AristoteleAlessandro.jpgWhy, persino la parabola biografica di Alessandro segue un arco narrativo degno della Poetica di Aristotele.

Insomma, nel giro di due secoli scarsi, l’onda lunga (e indiretta, se vogliamo) della maieutica di Socrate ha finito col portare alla luce un mondo nuovo – quello ellenistico. Potrei ancora notare che mentre l’Atene repubblicana comminava la cicuta a Socrate per le sue idee empie e corruttrici, Alessandro si liberava di Parmenione per la sua avversione ad abbandonare il vecchio ethos greco. Potrei ricordare il Robespierre che cita Platone per giustificare la condanna a morte di Chenier: “Anche Platone bandiva i poeti dalla sua Repubblica”. E potrei finire con Napoleone, cui pareva che Alessandro avesse fatto un gran bene a liberarsi dello stupido e immobilista Parmenione.

Discorsi da romanzieri, lo so, non da filosofi. Ma ai romanzieri piace tanto guardare il propagarsi delle onde lungo le generazioni, i secoli e i millenni.

Giu 26, 2010 - Oggi Tecnica    4 Comments

Quello Che Serve: 12 punti che è meglio avere in una trama

Catherine Ryan Howard, con questo nome da romanzo storico, è una ragazza irlandese provvista di uno sguardo decisamente no-nonsense su libri, scrittura, editoria e compagnia cantante, un invidiabile spirito d’iniziativa e ironia a carrettate. Sul suo blog ho trovato questo arnese, che sembra una lista della spesa, ma è una sensatissima ipotesi di trama in 12 punti, basata sull’analisi della trama media e sulla lettura di un buon numero di testi di scrittura cinematografica:

1.  Scena d’apertura

2.  Impostazione/Introduzione personaggi/Ambientazione

3.  Incidente catalizzatore

4.  Dibattito (I personaggi cogitano: “che fare?”)

5.  Inizia il II Atto/Introduzione della sottotrama

6.  Il Punto di Mezzo (un momentaneo ‘miglioramento’ o ‘peggioramento’ – purché sia in direzione opposta a quella del finale)

7.  Cose toste, effetti speciali e meraviglie varie (i pezzi che finirebbero nel trailer, se il vostro romanzo fosse un film)

8.  La minaccia cresce, il pericolo si avvicina

9.  Tutto è perduto (il momento peggiore per il protagonista)

10. Inizia l’Atto III

11. Finale/Climax

12. Scena finale o epilogo

Sì, lo so: uno schema? Orrore! Sacrilegio! Anatema! Che ne è dell’ispirazione, dell’alata fantasia, della mistica e spontanea sacralità della scrittura? Nessuno dice di prendere questo schema e scriverci un romanzo seguendolo punto per punto – e guai se si sgarra! – ma di certo a nessun romanzo nuoce contenere tutti questi punti. Anche perché – sorpresa!! – si tratta di una versione della buona, vecchia e collaudata Struttura in Tre Atti che, a sua volta, risale alla teoria drammatica di Aristotele.

Quindi, per ricapitolare: nulla di astruso, di americano, di orribilmente commerciale. Solo Aristotele, solo una manciatina di principi drammatico-narrativi che erano già solidificati ventiquattro secoli fa, che sono insiti nella nostra identità culturale, che siamo programmati per riconoscere come elementi necessari di una “storia”. Per cui, magari, i dodici punti qui sopra possiamo considerarli una buona checklist: abbiamo, il mio romanzo e io, tutto quello che serve?