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Nov 17, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: Tales of the Mermaid Inn

Shakeloviana: Tales of the Mermaid Inn

Alfred Noyes (1880–1958), English poetAlfred Noyes era uno di quegli autori inglesi a cavallo tra Otto e Novecento – quella gente prolifica e versatile, che scriveva un sacco in un sacco di generi. Poeta, romanziere (di fantascienza), narratore, saggista, polemista, Noyes rimase celebre più che altro per i suoi poemi narrativi, tra tutti il melodrammatico The Highwayman.

A noi, tuttavia, interessa di più la raccolta Tales of the Mermaid Inn, datata 1913. È una faccenda in versi (pentameti giambici e altre cose), al cui narratore capita quello che tutti vorremmo ci capitasse…

Oh, d’accordo: quello che io vorrei tanto mi capitasse. Mentre passeggia per Londra, perso in un umor storico-sentimental-letterario, il nostro narratore si ritrova spedito indietro nel tempo – agli anni Novanta del Cinquecento, nonché cameriere alla Taverna della Sirena. E la Sirena è ben frequentata: Shakespeare, Marlowe, Ben Jonson, Thomas Nashe, Raleigh…

Così il nostro serve birra e pasticci di carne ai più bei nomi del teatro elisabettiano, e li ascolta disquisire e raccontare in versi, scambiarsi canzoni e comporre à l’impromptu. C’è Walter Raleigh che racconta storie di mare, ci sono Marlowe e Jonson che trasformano il giovane Shakespeare bracconiere in una specie di Robin Hood, c’è un controtestamento assai meno bilioso lasciato dal defunto Robert Greene, c’è il puritano Richard Bame che origlia le stravaganze di Marlowe, c’è uno sconvolto Tom Nashe che di Marlowe racconta singhiozzando la morte…

Ed è chiaro che, tra i due festeggiati, Noyes ha una simpatia particolare per Marlowe, che ci presenta nella versione prometeica, tutto genio, fuoco e poesia – e persino bello come il sole. Benché dapprincipio non sembri, il povero Shakespeare è quasi un personaggio di contorno.The Mermaid Inn - artistic impression

Una volta di più, siamo pre-Hotson: quel che succede a Deptford è un delitto passionale di caratura non elevatissima (ma la colpa è tutta della ragazza dissoluta, fedifraga e bugiarda), e invece di Baines-la-spia ci ritroviamo Bame-il-puritano. Una volta o l’altra dovrò indagare per bene da dove saltino fuori questo spelling e questa persuasione religiosa… Ziegler, Preston-Peabody, e adesso Noyes: dovranno pur aver preso tutto ciò da qualche parte, giusto?

In conclusione: TotMI è una di quelle cose, come i libretti d’opera e i quadri di William Shakespeare Burton, che sono il frutto di una certa epoca, di un certo modo di romanticizzare la storia. Non mi sentirei di dire che la raccolta sia invecchiata benissimo – eppure la lettura è pittoresca e tutt’altro che sgradevole. Forse il merito è di una certa luce amarognola che stempera la nostalgia dorata per un’epoca incandescente, magnifica e pericolosa. Mentre prepara la scena come se fosse un fondale dipinto, Noyes ci strizza l’occhio: “Noi vogliamo immaginarcela così, questa Londra,” ha l’aria di dirci. “Ma ricordiamoci che così è qualcosa di pieno di ombre…”

Se volete dare un’occhiata, trovate TotMI in vari formati su Internet Archive.

Ott 20, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Shakeloviana: Era Marlowe

WGZIt Was Marlowe – A Story Of The Secret Of Three Centuries, di Wilbur Gleason Zeigler, non è quel che si dice un bel romanzo – ma merita un post perché lo si può considerare il capostipite del marlovianesimo…

Per capirci, i Marloviani sono coloro che sostengono che Will-Shakespeare-Il-Figlio-Del-Guantaio non può, non può, ma proprio non può avere scritto le opere che gli si attribuiscono – e che sono invece farina del sacco di Christopher Marlowe.

Ma, obbietta la persona ragionevole, Marlowe è morto nel 1593: come ha scritto tutto quel che viene fra il giugno del ’93 e il 1616? Ecco, i Marloviani non credono affatto a tutta la faccenda di Deptford – e nel corso dei decenni hanno formulato una serie di teorie in tutta la gamma dall’improbabile al fantapolitico per spiegare la sopravvivenza del loro beniamino…

Ma WGZ merita un occhio di riguardo, perché è stato il primo ad avanzare l’ipotesi nel 1895, decenni prima che Leslie Hotson dissotterrasse dagli archivi dell’English Public Records Office i documenti dell’inchiesta sulla morte di Kit, o che si scoprisse la storia del rapidissimo regio perdono a benefico dell’omicida Frizer…

Ora, chiariamo un punto. Ho già detto che, da un punto di vista accademico, sono agnostica in questa controversia: non soffro di nessun furore iconoclastico ai danni del povero Will, e vi cito la domanda che Robert Brustein, in una sorta di monologo-poscritto al suo play The English Channel, mette in bocca allo spettro dell’attore elisabettiano Richard Burbage: Com’è che voi moderni vi sentite in dovere di credere che chiunque in Inghilterra abbia scritto le opere di Shakespeare – tranne Shakespeare?

Resta il fatto che, dal punto di vista narrativo, identità nascoste, cospirazioni, intrighi e autori fantasma tirano molto più di un uomo un tantino dull che prospera scrivendo meraviglie. E resta anche il fatto che l’inchiesta sulla morte di Marlowe come appare dai documenti ufficiali, è piena di buchi grandi come lo Yorkshire – persino secondo gli affascinanti standard elisabettiani…

Ma nessuno di questi due è il punto: come dicevo prima, nel 1895 Leslie Hotson non era nemmeno nato, e poi WGZ faceva sul serio – sul serissimo, e aveva dato alle sue cogitazioni la forma di un romanzo perché non si sentiva accademicamente qualificato per fare altrimenti.

All’epoca, dovete sapere, già si disquisiva ampiamente sulla scarsa attitudine di Will-Shakespeare-Il-Figlio-Del-Guantaio al ruolo di Bardo, e il nobile, coltissimo Francis Bacon era il possibile Vero Autore prediletto dagli scettici – capitanati dalla fascinosa e non equilibratissima omonima (ma non discendente, credo) Delia Bacon.

WGZ lesse, meditò e scoprì di non essere d’accordo. Come avrebbe potuto un uomo come Bacon non rivendicare il merito di queste opere immortali? In realtà questo non è il più solido degli argomenti, perché all’epoca scrivere teatro era cosa dal poco serio al vagamente disgraceful, e perché alla morte di Bacon, nel 1626, l’immortalità del canone shakespeariano, era ancora tutta da stabilire. Per quanto il First Folio fosse stato pubblicato nel 1623 (decisamente un bel colpo nel fluido ed effimero mondo teatrale del tempo) è verosimile che Bacon preferisse farsi ricordare per ben altro – ma sia come sia: WGZ non era convinto, e si mise a cercare un altro Vero Autore.

E, sulla base della sua personale passione e di un innegabile numero di parallelismi, somiglianze, echi e, diciamo così, prestiti, decise che solo un uomo poteva avere scritto le opere di Shakespeare: colui che, senza ombra di dubbio, aveva già scritto in precedenza le opere di Marlowe – ovvero Marlowe stesso. E se tradizione voleva che Marlowe fosse morto nel 1593, WGZ non aveva dubbi: la tradizione sbagliava di grosso. O almeno, poteva sbagliarsi di grosso.

In fondo, che cosa si sapeva della morte in questione? Sì, c’erano numerose fonti indipendenti a confermarla – dalla gente pia che si rallegrava per l’estinzione dell’esecrabile giovanotto, ai fellow poets che lamentavano la scomparsa del giovane genio – ma così contraddittorie! Chi parlava di una rissa da taverna, chi di un duello (il sempre pittoresco, sempre inaffidabile Aubrey voleva Kit ucciso da Ben Jonson nel 1598*), chi della peste…

Anche in quella remota e arcadica era, il 1895, era già chiaro come il sole che non c’è gioia più grande per un romanziere storico di un bel fascio di fonti lacunose&nebulose. Chi avrebbe potuto o voluto bacchettare un romanziere per avere scelto qualche dettaglio dal mucchio e combinato il tutto in una storia?

E così WGZ cucì insieme i (parzialmente inaccurati) nomi di Francis Frizer e Richard Bame**, la (parzialmente accurata) ambientazione in una taverna, una storia d’amore del tutto fittizia (e nemmeno troppo rilevante per la trama, ma bisogna pur far contente le lettrici), le infondate idee secondo cui Marlowe avrebbe recitato nelle sue stesse opere e sarebbe stato ucciso con la sua stessa spada, le sue teorie letterarie – e da tutto ciò cavò It Was MarloweItWasM

Non è una meraviglia, ad essere sinceri. A parte il fatto che Kit uccide un suo sosia invece di esserne assassinato e poi vive nascosto per cinque anni in un palazzo in rovina scrivendo come un matto, WGZ è quel genere di autore che sente la necessità di informarci almeno tre volte per pagina che gli occhi brillanti e la vasta fronte del suo eroe mostrano l’impronta del genio, e che la sua eroina è dotata di bellezza quasi trascendentale. E poi il linguaggio oscilla tra il turgido delle descrizioni e il legnosissimo pseudo-elisabettiano dei dialoghi. E poi non c’è un finale, le coincidenze e le improbabilità abbondano, la peste colpisce e uccide nel giro di un quarto d’ora, gli uomini portano parrucche incipriate, i personaggi si raccontano l’un l’altro l’uso dei tempi per capitoli interi*** e sul tutto aleggia una certa dose di Sindrome della Bambinaia Francese – quella condizione per cui i personaggi di un romanzo storico pensano come gente contemporanea all’autore, che oggidì è un peccato capitale, ma ai tempi di WGZ era solo un esantema non diagnosticato.

Yes, well… Tutt’altro che un capolavoro – e tuttavia ce ne occupiamo perché WGZ, con le sue scarse informazioni, con il suo complessivo fraintendimento della mentalità elisabettiana, e su premesse condizionate dalla bardolatria, coniò una teoria destinata a fare scuola. Praticamente il mito fondante del Marlovianesimo: un’interpretazione narrativa basata su informazioni incomplete, massicce dosi d’immaginazione e un atto di fede. 

Se mai vi pungesse vaghezza di dare un’occhiatina, lo trovate qui.

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* È del tutto vero che Ben Jonson uccise un uomo in duello, ma si trattava di un attore chiamato Gabriel Spencer. D’altronde è del tutto vero che Kit aveva una certa tendenza a ritrovarsi coinvolto in risse e duelli di strada – hence probabilmente la conclusione di Aubrey. E in effetti, volete mettere? Due drammaturghi che si scannano per strada… magari sulla giusta scansione di un pentametro giambico o sulla paternità di una tragedia? Uh… sarà meglio che la pianti qui, prima che questa storia cominci a piacermi troppo.

** Il personaggio di Bame – in realtà Richard Baines, tizio equivoco, accusatore (probabilmente prezzolato) di Marlowe – compare con lo stesso nome, seppure con diversa caratterizzazione, anche in Marlowe, dramma in versi di Josephine Preston Peabody, datato 1901. Si può sempre fare affidamente sull’assoluta inaffidabilità dello spelling elisabettiano, ma JPP condivide con WGZ anche l’idea che Marlowe calcasse le scene. Mi domando se avesse letto il romanzo…

*** Ma proprio capitoli interi in almeno un caso – un lungo dialogo tra Shakespeare, Peele, un avvocato fittizio e poi anche Marlowe, che è un trionfo del metodo Come Tu Ben Sai, Phillips

 

Ago 13, 2014 - angurie, Poesia    3 Comments

Fulgea Chiara E Queta

moon-is-tonightE fulgea sì, santo cielo – tanto chiara e tanto enorme che catturare stelle cadenti è stato un po’ complicato… così quest’anno, sdraiati a naso in su nella speranza di vedere qualche perseide più luminosa delle altre, è parso bello e naturale mettersi ad elencare lune di carta e d’inchiostro.

E la messe di stelle è stata limitata, ma si è costatato che di luna in letteratura ce n’è davvero tanta…

A cominciare dall’ovvio, la luna del Pastore Errante, e la bella luna di Saffo che fa impallidire le stelle – come pure quella del Magnifico Lorenzo, che dà il titolo al post.

E poi ho provato con un po’ di lune in prosa, come il truciolo d’oro di Conrad, il Voyage dans la Lune di Cyrano de Bergerac, il Verne di Dalla Terra alla Luna, e la Luna e Sei Soldi di WS Maugham, e la Luna e i Falò di Pavese, e Chiardiluna per fanciulli, e il Ciaula pirandelliano che scopre la luna, e gli elefanti di Kipling che danzano sotto la luna…

Ma è chiaro che a farla da padrona in proposito è la poesia. Astolfo sulla Luna, la Luna distante dal Mare di Emily Dickinson, e la graziosa luna di Leopardi, e le meravigliose immagini di Garcia Lorca, con la sua luna da cui si beve, o che deve scappare prima i gitani facciano collane e bracciali con il suo cuore bianco. E poi la luna che sempre sale e mai si ferma di Coleridge, e Shelley e Christina Rossetti che si chiedono separatamente se la luna sia pallida di stanchezza, e la luna triste e languida di Baudelaire, che piange sulla terra lacrime d’opale, e la rana d’oro del cielo di Esenin, e la luna rossa di Quasimodo, e quell’altra luna leopardiana che nella notte chiara e senza vento posa queta sovra i tetti e sovra gli orti, e la luna incapace di dubitare di Blake, e la gatta di Yeats che danza sotto la luna, e la luna monocroma e curva d’imperturbabile serenità (credo) di Thomas Hardy…Moon-moon-22762198-1024-768

E a questo punto era abbondantemente ora di cambiare mood – e quindi la luna scema di Beckett che dà sempre il posteriore, e la filastrocca con la mucca che salta sulla luna, e la testa mozza e squallida nel libretto della Turandot…

Il che è servito per una deviazione musicale – perché anche le canzoni non scherzano: la luna rossa, la verde luna, the blue moon,the pink moon, the silver moon, the black moon, the harvest moon,  e luna tu, e la tintarella di luna, e la luna nel pozzo, e la luna che spunta dal monte, e la luna francese del Gobbo di Notre Dame, e Moonlight Shadow, e guarda la luna come la cammina e la scavalca i monti come noialtri Alpin, e fly me to the moon, la luna che bussò, e non ti fidar di un bacio a mezzanot-te se c’è la luna… e au clair de la lune, mon ami Pierrot, prête-moi ta plume pour écrire un mot, e sicuramente un’infinità di altre.

moon-phases-08-131008E potevamo farci mancare un capitoletto elisabettiano in tutto ciò? La luna di Shakespeare tende ad essere segno d’incostanza, visto che Giulietta non vuole che ci si giuri su, e Cleopatra proclama che la sua decisione non ha nulla dell’incostanza della luna, e Teseo se la prende con la luna per il suo letto vuoto… Marlowe la usa per lo più come sinonimo di mese,  ma qua e là la descrive provvista di corna e di luce presa a prestito… e se volesse, Faustus con i suoi nuovi poteri potrebbe farla precipitare dal cielo. E poi ci sono le Notizie dal Mondo della Luna di Ben Jonson, e John Donne che chiama la sua innamorata “Più della luna”…

E infine, a mo’ di calzante congedo lunare, lasciate che vi metta qui per intero la Falce di Luna Calante di D’Annunzio:

O falce di luna calante
che brilli su l’acque deserte,
o falce d’argento, qual mèsse di sogni
ondeggia a ‘l tuo mite chiarore qua giù!

Aneliti brevi di foglie
di fiori di flutti da ‘l bosco
esalano a ‘l mare: non canto, non grido,
non suono pe ‘l vasto silenzio va.

Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme.
O falce calante, qual mèsse di sogni
ondeggia a ‘l tuo mite chiarore qua giù!

Mar 3, 2014 - elizabethana, Storia&storie, teatro    Commenti disabilitati su Marlowe, Aubrey, Spenser, Jonson

Marlowe, Aubrey, Spenser, Jonson

Questa è la storia di una collisione storico-letteraria – con la partecipazione del sentito-dire.

The antiquarians John Aubrey and William Stuke...Per prima cosa bisogna che vi dica di John Aubrey, uno di quei bizzarri ed eclettici eruditi secenteschi, ur-archeologo, ur-folklorista, naturalista, storico, occultista, curioso generale, glorioso pettegolo e biografo, autore – tra un diluvio di altre cose pubblicate postume, delle Brief Lives, o Schediasmata, una raccolta di… be’, lo dice il titolo: note biografiche di personaggi notevoli, elisabettiani e contemporanei.

Ora, queste note biografiche tendevano ad essere pittoresche. Aubrey si documentava spulciando l’occasionale libro, ma soprattutto raccogliendo aneddoti e annotando conversazioni – il che tande a rendere le Brief Lives più affascinanti che affidabili. È al pettegolo ma credulo Aubrey che dobbiamo, tra l’altro, alcune singolari informazioni sugli anni perduti di Shakespeare, che vogliono il giovane futuro bardo maestro di scuola in provincia, bracconiere lungo l’Avon e parcheggiatore di cavalli a Londra…

L’attendibilità di queste notizie, pur riprese con entusiasmo da successivi biografi settecenteschi, in realtà lascia molto a desiderare. Quanto a desiderare? Be’, è possibile farsene un’idea considerando la nostra collisione, che si trova nelle pagine che Aubrey dedica a un altro autore elisabettiano, Ben Jonson.

A un certo punto, veniamo informati che Jonson

 Uccise Mr. … Marlowe, il poeta, a Bunhill – giungendo dal teatro chiamato Green Curtain. Così dice Sir Edward Shirburn.

Ora, chi fosse questo malinformato baronetto non sono riuscita ad appurare, ma di sicuro non aveva le idee chiare. Marlowe, come  Benjamin Jonson, after Abraham van Blyenberch.... sappiamo bene, era morto a Deptford, nel 1593 – in circostanze dubbie, se volete, ma che nulla avevano a che fare con Ben Jonson. Col che non voglio dire che Jonson non fosse tipo da omicidi, sia ben chiaro. Da quel che sappiamo di lui, e dalle non-proprio-memorie che dettò al suo amico – il paziente poeta scozzese William Drummond, doveva essere singolarmente irascibile e permaloso, con un ego delle dimensioni di un fox terrier. Nel 1598 uccise in duello un celebre attore, il ventenne Gabriel Spenser. In realtà, che si trattasse di un duello formale e che a lanciare la sfida fosse stato Spenser lo sappiamo soltanto da Jonson (via Drummond). Quel che è certo è che Spenser era a sua volta un personaggio alquanto infiammabile, e che il buon Ben sarebbe finito a Tyburn se, grazie a uno sconcertante residuo giudiziario di origine medievale, non avesse dimostrato di saper leggere e scrivere, cavandosela così con un marchio a fuoco sul pollice…

Quindi sì: Marlowe fu ucciso in una rissa, e Jonson uccise un uomo in duello – solo che non si trattava della stessa occasione. E naturalmente, dopo gli anni ottanta del Seicento, epoca di compilazione delle Brief Lives, le circostanze della morte di Marlowe erano abbondantemente note – se non altro perché una quantità di autori di persuasione puritana ne avevano fatto un caso esemplare di hybris punita, godendo nel raccontare in truce e sanguinoso dettaglio la fine dell’ateo colpito con il suo stesso pugnale – e proprio nel cervello che aveva partorito tante perniciose idee…

Considerando tutto ciò, possiamo soltanto immaginare che il misterioso Sir Edward Shirburn, magari alticcio dopo una cena bene annaffiata, combinasse le due storie della morte di Marlowe e del duello di Jonson in una sola, a beneficio di un altrettanto avvinazzato Aubrey* – con il singolare effetto, per un lettore particolarmente pio che conoscesse anche gli autori puritani, di trasformare Ben Jonson in uno strumento del furore divino.

L’irruente Ben aveva ammirato Marlowe, creatore del possente verso sciolto – ma aveva una notevole opinione di se stesso e un moderato riguardo per la verità. Non posso fare a meno di domandarmi quanto gli sarebbe piaciuto vedersi raffigurare, seppur indirettamente, nei panni della vendetta celeste.

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* Che le sue conversazioni di documentazione fossero alquanto conviviali ce lo dice lui stesso – più di una volta.

 

 

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