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Lug 23, 2018 - angurie    Commenti disabilitati su Il Portatore del Fuoco

Il Portatore del Fuoco

DanteUlisseSe dovessi scegliere la mia figura prediletta nel mito greco-romano, sarebbe una dura lotta tra Ulisse e Prometeo. Tutta gente che sfida gli dei, mi si fa notare – inseguendo e/o propagando la conoscenza – e poi ne paga un prezzo terribile.

Perché non so voi – ma personalmente, per quel che riguarda Ulisse, quel che ho in mente è la bolgia dantesca cosparsa di fiammelle, e i remi che diventano ala al folle volo… È chiaro che, per quanto l’abbia messo all’inferno, Dante ammira Ulisse, vero?

Per quanto riguarda Prometeo, invece, Eschilo è sulla lista dei sogni registici – il titano incatenato dalla vendetta di Zeus per avere sottratto il fuoco…

E quel che volevo mostrarvi oggi è un piccolo film animato in cui mi sono imbattuta – come accade – per caso. Peter Dodd racconta Eschilo in una maniera magnifica: immagini, voci, musica… Tutto bellissimo ed efficacissimo.

Prom

E voi, o Lettori? La mitologia è piena di figure e di storie: chi sono i vostri prediletti?

Giu 25, 2018 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Piove Inchiostro

Piove Inchiostro

pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopyDavvero non so immaginare che cosa mi abbia suggerito un argomento del genere – ma perché non parliamo di pioggia per iscritto?*

Perché la letteratura, a ben pensarci, è piena di pioggia. Nei libri piove, tira vento, si scatenano temporali, tempeste, nubifragi, fortunali, acquazzoni, scrosci e piovaschi, l’acqua scende a secchiate e infradicia protagonisti, malvagi, paesaggi e tutto quanto…

E se per iscritto piove così tanto, i motivi sono fondamentalmente due: il cattivo tempo offre conflitto, perché sotto l’acquazzone le navi naufragano, le dighe cedono, la gente si smarrisce, cade, si ammala… E poi c’è la fallacia sentimentale – o patetica, o antropomorfica – quella tentazione di far partecipare la natura ai patemi narrativi. Tentazione cui è così difficile resistere – perché onestamente, che c’è di meglio di un bell’acquazzone per sottolineare qualcosa di triste, di epocale, di tragico, di minaccioso o, al contrario, anche di particolarmente gioioso? Una bella pioggia è un accessorio utilissimo e duttile, buono per tutte le stagioni e per tutte le occasioni.

Così quando Snoopy inizia bulwer-lyttonianamente il suo eterno romanzo con “Era una notte buia e tempestosa…” possiamo ragionevolmente aspettarci che il suo protagonista, chiunque egli o ella sia, è nei guai o sta per mettercisi… E se, detto così, vi sembra poco piovoso, considerate che la notte buia & tempestosa originale, quella del Paul Clifford, prosegue con la pioggia che cadeva a torrenti… pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopy

Per dire, avete mai badato al modo in cui piove sempre in Cime Tempestose? Piove e tira vento – il che non è sorprendente in un romanzo che porta un titolo del genere. Emily aveva una passione per il tempaccio, lo si nota anche nelle sue poesie. E la sua pioggia non è mai casuale: Heathcliff arriva con il vento e la pioggia, se ne va con il vento e la pioggia e muore con il vento e la pioggia… Ecco, Emily non era sempre sottile, però aveva il senso delle atmosfere.

Come, d’altronde, sua sorella Charlotte. Quando un temporale improvviso – con relativo scroscio di pioggia – interrompe un momento di tenerezza tra Jane Eyre e Mr. Rochester, costringendoli a correre al riparo e bagnandoli come pulcini, non siamo tentati nemmeno per un momento di pensare che sia una di quelle pioggerelle liete e promettenti…

pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopyPer non parlare di Dickens, re della fallacia sentimentale. Per tutto il canone dickensiano, il tempo è sempre perfettamente intonato al momento drammatico. Piove a catinelle la notte in cui Magwitch ricompare a Londra, pronto a infrangere involontariamente le Grandi Speranze di Pip. E piove che Iddio la manda la notte in cui Bill Sykes trascina Oliver Twist a commettere il suo furto con scasso. E piove sempre in Casa Desolata – specie attorno a Lady Dedlock e al povero John Jarndyce. E piove spesso anche in David Copperfield: così, off the top of my head, mi vengono in mente le frequenti precipitazioni quando David è infelicissimo a scuola, e il fortunale che uccide Steerforth e il buon Ham…

Una variazione è Marianne Dashwood di Ragione & Sentimento, che dopo avere scoperto la mascalzonaggine di Willoughby (incidentalmente, incontrato durante un temporale…), si dà alle camminate all’aperto  – o ci si darebbe se, in tono con il suo umor cupo, non si mettesse a piovere forte. E Jane Austen essendo Jane Austen, veniamo informati che piove davvero troppo forte persino per la romanticamente scriteriata Marianne. Il che poi non le impedirà di camminare nell’erba bagnata e ammalarsi, ma questa è un’altra faccenda.

Anche in Stevenson piove piuttosto spesso, anche se la faccenda si giustifica col clima scozzese e tende ad avere anche funzioni abbondantemente pratiche. Piove a catinelle la prima notte che David passa a Shaws – consentendo allo zio di giocare sporco, e piove sempre – ma plausibilmente – sull’isoletta su, su al nord in cui David è tenuto prigioniero, e piove quando, dopo la disastrosa partita a carte con Cluny McPherson, David e Alan litigano più seriamente di quanto abbiano mai fatto e poi proprio la pioggia li spinge a far pace…

E se pensate che sia una faccenda confinata all’Ottocento e/o alla prosa, ebbene non è affatto così. In poesia c’è per esempio la pioggia incessante su Brest che, secondo Prevert, non promette bene per l’amore della povera, umida Barbara. E prima di quello, l’esplicitazione del legame tra pioggia e malinconia che Verlaine spiattella con Il pleut dans mon coeur. E vogliamo parlare della desolata pioggia dantesca, quella che bagna le ossa del povero e disseppellito Manfredi nel verso più triste di tutta la poesia di tutti i tempi? E in fatto di prosa, nel Novecento la narrativa di genere ha ereditato la pioggia. In abbondanza e in ogni genere di funzione decorativa, simbolica e/o pratica.  Non sempre poi l’eredità è usata bene – ma a volte sì – specialmente quando il maltempo prende il centro della scena. Se la pioggia continua di Twilight vorrebbe essere d’atmosfera e invece è di una platitudine sconsolante, la faccenda è ben diversa con l’acquazzone che lava il veliero diretto in Australia nel primo volume della Trilogia del Mare di Golding, e ancora di più con l’angosciante The Long Rain, di Ray Bradbury, ambientato su Venere, dove piove sempre – ma proprio sempre. E tanto da far perdere la trebisonda…

E non è l’unico caso in cui la pioggia è del tutto centrale alla trama. pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopy

Penso a Tifone, in cui, con una combinazione di finezza psicologica e grandiosità descrittiva, Conrad mette in scena una lotta epica – e iniziatica – tra l’uomo e le intemperanze del meteo.

Penso a I Tamburi della pioggia di Ismail Kadare, dove la pioggia non si vede, ma ossessiona tutti, temuta e attesa. Attesa dagli Albanesi assediati a Kruja e privati dell’acqua, e temuta dall’assediante ottomano Tursun Pasha, perché l’arrivo delle piogge autunnali segnerà la fine dell’assedio – per questa volta.

E penso, a tutt’altro livello, a La grande pioggia, di Louis Bromfield**, in cui un triangolone… er, quadrangolone – o anche pentangolone, a ben pensarci – amoroso galleggia sulle piogge monsoniche in qualche parte dell’India. Per la cronaca, al diluvio si aggiungono un terremoto e un’epidemia, just because, e comunque da questo simbolico lavacro si suppone che emerga una nuova India.pioggia, dante, dickens, twilight, conrad, brontë, verlaine, snoopy

Oh sì, perché quando non sta a significare afflizione, tormento, minaccia, infelicità o punizione (come la pioggia “etterna, maladetta, fredda e greve” che tortura i golosi nell’Inferno dantesco), la pioggia assume connotazioni battesimali e purificatrici – a partire dal diluvio universale nella Bibbia, fino alla pioggia francescana che porta in ogni goccia anime di fonti chiare di Federico Garcia Lorca e, molto significativamente, la pioggia manzoniana che lava via la peste (e non solo) verso la fine dei Promessi Sposi.

Una pioggia lieta, finalmente. Come la dannunziana Pioggia nel pineto – fresca, ticchettante, viva…

Qualcosa da ricordare per risollevarsi l’animo in questa giornata bigia e freddina – che dovrebbe essere estiva e invece no.

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* Yes, well – invece lo so benissimo, visto che me l’ha suggerito M.

** In Italia forse è più noto il film che ne fu tratto, Le piogge di Ranchipur.

Dic 15, 2017 - Storia&storie    2 Comments

Biondo Era E Bello E Di Gentile Aspetto

Manfred_CrownedUna volta, quando avevo diciassette o diciotto anni, durante un’interrogazione sulla Divina Commedia, qualificai la definizione di Manfredi di Svevia come “usurpatore del Regno di Sicilia” dicendo che tutto è relativo.

Allora avevo (e ce l’ho anche adesso) molta simpatia per Manfredi di Svevia, il più notevole tra i figli di Federico II, soldato, poeta, musicista e legislatore, buon sovrano, uomo dalla mente aperta e sconfitto tragico.

“Nondimeno usurpatore. Tecnicamente, non puoi negare che lo fosse…”

E forse tecnicissimamente parlando, avrei anche potuto – ma non era questo il punto: usurpatore o meno, Manfredi restava ammirevole.

E direi che non ero la sola a pensarlo. Date un’occhiata al Purgatorio, e ditemi che Dante non ha un debole per Manfredi – non foss’altro che per la fine che fa a Benevento e dopo, vittima di un un caso da manuale di Pessimo Vincitore… Non so voi, ma ho sempre considerato “Or le bagna la piogga e muove il vento” il singolo verso più triste, più desolato e più strappacuore di tutta la letteratura… E no, per una volta non c’è competizione con l’originale virgiliano. A mio timido avviso, in fatto di pathos, Virgilio rimane indietro di parecchie lunghezze – e non credo che si spieghi tutto con la progressiva ghibellinizzazione di Dante di cantica in cantica.

In secoli più recenti c’è il tedesco Ernst Raupach che, per poco che fosse simpatico a Goethe, va infilato nel novero dei Romantici tedeschi. Prolifico autore di tragedie, commedie e drammi storici, bisogna dire che negli Hohenstaufen trovasse un’infinità d’ispirazione, perché dedicò loro un ciclo di quindici drammi quindici, tra cui un Manfred, Fürst von Tarent, in cui Manfredi parte magnanimo, trabocca fascino per una manciata di atti e finisce più o meno martire.

Manfredi2Sull’usurpazione, semmai, insiste di più Francesco Domenico Guerrazzi, nel suo La Battaglia di Benevento. Però è chiaro che, pur facendone uno spregiudicato afferratore di corone altrui, anche Guerrazzi è tutt’altro che immune al fascino di Manfredi, vero protagonista di questa storiellona di tradimenti e controtradimenti, bizzarrie soprannaturali, amori contrastati, agnizioni e tutto l’armamentario.*  Questo Manfredi è un grand’uomo senza essere una gran brava persona, ma d’altra parte Guerrazzi era così preso nella sua furia propagandistica antipapalina, che una piccola usurpazione tra parenti diventa una faccenduola quasi veniale.

Di contemporaneo (2009) non sembra esserci altro che un Manfredi di Svevia – la mia vita: l’avventura più bella, di Luigi Vellucci – e lo cito molto en passant perché non ho proprio idea. Da titolo e copertina, inclino a credere che si tratti di un romanzo per ragazzi, ma chi può dire?

Manfredi3E poi non so se ci sia altro… Be’, ci sono le biografie – per lo più tedesche, ma credo che citerò l’adorante Manfredi, dell’italiano e meravigliosamente nomato Eucardio Momigliano – e però nemmeno un decimo della narrativa che ci si aspetterebbe a proposito di un personaggio del genere. Insomma, un principe imperiale di dubbia nascita, re di fatto a diciotto anni, uomo di molteplici perfezioni, poeta e guerriero, sfortunato in varie maniere fino alla fine che si sa…

Non c’è da stupirsi, direi, del piccolo diluvio di opere liriche in proposito. A me ne risultano almeno tre di inequivocabili, ma ci sono almeno altri due possibili titoli – un Manfredo e un Manfredi, che potrebbero essere il nostro, oppure potrebbero essere Byron stuff. Di libretti ne no letto uno soltanto**, e presenta un Manfredi baritono, magnanimo, generoso e retto, buon fratello, buon sovrano, buon amico, buon comandante e chi più ne ha più ne metta.

Però ripeto: considerando il personaggio (usurpatore o meno), l’epoca, la dinastia, la vicenda in generale, le vicende particolari e il finale – e Dante, non è strano che ci sia così pochino in fatto di romanzi?

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* Se proprio lo volete leggere, lo trovate su LiberLiber – ma poi non venite a lamentarvi, perché non è come se ve lo consigliassi.

** E so che la maggior parte della gente non legge libretti d’opera per diletto, ma ve lo segnalo lo stesso.

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Giu 29, 2016 - musica, scrittura, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Non Sappia Il Ver

Non Sappia Il Ver

In questo periodo di prove frenetiche (ne parleremo) mi capita spesso di ascoltar musica in automobile – ed è così che mi è ritornato in mano un vecchio CD , un’edizione ungherese del Gianni Schicchi, uno dei primi dischi d’opera che mi sia comprata, quand’ero una fanciullina diciassettenne in gita scolastica a Budapest, of all places. Adoro il Gianni Schicchi – musica e libretto…

Vi ho già detto, credo, che ho questa incoercibile predilezione per i libretti d’opera, vero? Ho cominciato a leggerne prima di avere cominciato ad ascoltare opere – il che probabilmente è un’eccentricità, ma tant’è. Trovo che i libretti d’opera contengano spesso gemme di nonsense sublime, ottimi nomi per gatti e, nel caso dell’opera buffa, cose genuinamente spassose – e scritte per essere tali.

gianni schicchi, puccini, giovacchino forzano, libretti d'opera, dante, divina commediaCome il libretto del Gianni Schicchi, scritto per Puccini da Giovacchino Forzano. La storia è un’incantevole combinazione di Divina Commedia e Commedia dell’Arte – of all things – con qualche frecciatina ai danni di quel terribile snob che era il gran padre Dante. Lo sapevate che Dante l’aveva a morte con Schicchi, che non solo usciva dalle file della gente nuova, ma aveva anche truffato in grande i Donati – famiglia di sua moglie? Oh well, Gianni Schicchi non è il primo né l’unico che Dante piazza all’inferno per antipatia personale e petty vengeance. Ricordarsi di cose del genere aiuta a mantenere un senso dell’umorismo quando si ha a che fare con la Commedia…

Ma non divaghiamo. Opera. Puccini. Forzano. Libretto.

E in particolare l’irresistibile uso che Forzano fa di quell’utile e simpatico meccanismo narrativo per cui un personaggio ignora qualcosa di vitale – che il lettore conosce.

Allora: il vecchio Buoso Donati è morto, diseredando i parenti a favore di un ordine religioso. Furia generale. Enter Gianni Schicchi, rimescolatore di carte professionale, che accetta di impersonare Buoso e dettare un altro testamento davanti a notaio e testimoni. Ma, proprio mentre i Donati assicurano a Gianni che nessuno sa che “Buoso ha reso il fiato”, si bussa alla porta. È Maestro Spinelloccio, il dottore.

“Guardate che non passi. Ditegli qualche cosa. Che buoso è migliorato e che riposa!” ordina Schicchi, prima di sparire tra le cortine del letto a baldacchino.

E i Donati fanno entrare l’ignaro medico in un coro di “Buongiorno, Maestro Spinelloccio. Va meglio! Va meglio! Va meglio!”

“Ha avuto il benefissio?” domanda con accento bolognese il nuovo venuto, Balanzone in tutto tranne che nel nome.

“Altroché. Altroché.” cinguettano i Donati, e Spinelloccio va in sollucchero.

“A che potensa l’è arrivata la siensa. Be’, vediamo, vediamo.”Gianni Schicchi - Opera San Jose

Momento di panico.

“No! No, riposa,” parano i Donati.

“Ma io…” insiste il brav’uomo, ansioso di ammirare l’effetto della sua siensa.

“Riposa…” I Donati si schierano tra lui e il letto, ma il medico avanza, e tutto pare perduto, quando…

“No, no, Maestro Spinelloccio,” interviene una voce tremula di tra le cortine. “Ho tanta voglia di riposare. Potreste ritornare questa sera? Son quasi addormentato.”

Ai parenti per poco non prende un coccolone, ma il medico desiste.

“Sì, Messer Buoso. Ma va meglio?”

“Da morto son rinato,” assicura Schicchi/Buoso, con un’ombra di risata nella voce. “A stasera.”

“A stasera.” E qui Maestro Spinelloccio potrebbe ancora salutare i Donati e uscire con la sua dignità di medico più o meno intatta. Ma allora che gusto ci sarebbe? “Anche alla voce sento che è migliorato,” dichiara. E poi, non contento: “Eh, a me non è mai morto un ammalato. Non ho delle pretese. Il merito l’è tutto della scuola bolognese.”

“A stasera, Maestro,” salutano i Donati in un’ondata di euforico sollievo – e quasi lo spingono fuori dalla porta senza che il brav’uomo abbia capito nulla. Dopodiché i Donati sono un po’ densi e credono di averla soltanto fatta franca, ma Schicchi ha visto nell’episodio la prova che il suo piano funziona… eccetera.

Noi ci fermiamo* e osserviamo come l’ironia della situazione derivi quasi tutta dal fatto che il pubblico sa che Buoso è già morto – e Maestro Spinelloccio no. I Donati che tentano freneticamente di liberarsi del medico e il medico che si vanta a sproposito non sarebbero divertenti se non sapessimo che cosa c’è dietro. Sapendolo, capiamo le intenzioni nascoste e ci divertiamo mentre il povero dottore si loda e s’imbroda.

Il meccanismo funziona anche in contesti meno buffi – e allora mette ansia seguire qualcuno che cammina allegramente in una trappola reale o metaforica. Mi vengono in mente Robert Moore che, in Shirley, avanza verso il punto in cui sappiamo che è appostato l’uomo con la pistola, o il Marchese di Posa che entra nella cella di Don Carlos – forse non del tutto inconsapevole dello sgherro in attesa – o Tosca (dramma, non opera) che si precipita a fare una scenata di gelosia senza sapere che Scarpia l’ha fatta seguire, o Henry Morgan che racconta versioni sempre più improbabili della sua vita a gente che ha buoni motivi per non credergli…

Che si tratti di creare tensione, aggiungere strati di significato o rendere buffa una situazione, il personaggio all’oscuro di tutto funziona sempre, in tutte le sue varianti semplici o sofisticate.

L’importante è che a differenza del lettore qualcuno, come usa dire all’opera, non sappia il ver.

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* Se volete leggere il resto del libretto, lo trovate qui.

Mar 18, 2016 - angurie    Commenti disabilitati su Fuoco!

Fuoco!

0395_light_my_fire.jpgCi sono cose che l’umanità comincia con l’adorare, poi ne fa un simbolo e come tale lo passa in letteratura – il che, a suo modo, è un’altra forma di adorazione più complessa.

Il fuoco appartiene alla categoria a pieno titolo.

Non c’è mitologia che non abbia la sua divinità del fuoco, dall’indù Agni, messaggero divino eternamente giovane che rinasce ogni mattina, all’irlandese Brigit, poetessa e signora delle fiamme alte, dal greco Efesto, protettore dei fabbri, al giapponese Kojin, che protegge i focolari e simboleggia la violenza degli elementi posta al servizio dell’umanità.

I significati simbolici associati al fuoco sono numerosi, positivi e negativi: rinnovamento, purificazione, immortalità, iniziazione, sacrificio, forgiatura, distruzione… basta pensare al mito della Fenice che brucia e rinasce dalle proprie ceneri, a Prometeo che ruba il fuoco agli dei per emancipare almeno un po’ l’umanità, alle fiamme che custodiscono il sonno della valkiria disobbediente, alla colonna di fuoco che guida Mosè e i suoi nell’Esodo, al fuoco inestinguibile di Vesta, alle fiamme della dannazione eterna.

Il fuoco è bello e pericoloso, benefico e distruttore, utile e terrificante: cosa potrebbe essere più adatto a rappresentare la divinità? E poi, essendo il poeta sempre un essere prometeico, il fuoco viene strappato all’esclusiva raffigurazione divina per diventare in letteratura un elemento simbolico della natura e delle azioni umane.

Frate Fuoco, secondo San Francesco, è “bello, et robustoso et forte”, ma qualche decennio più tardi “S’i fosse fuoco arderei l’mondo,” canta quel cattivo soggetto di Cecco Angiolieri, eleggendo le fiamme a segno della sua indole sfrenata. Più o meno negli stessi anni, Dante di fuoco ne sparge per tutto il suo visionario aldilà: il fuoco del tormento che lambisce “ambo le piote” ai simoniaci, o le lingue di fuoco che avvolgono i consiglieri fraudolenti, le fiamme dei lussuriosi nel Purgatorio e il fuoco mistico e luminoso del Paradiso.

Ma oltre a queste connotazioni di contrappasso morale, il fuoco ne assume di più decorative e alphabet-light-writing.jpgdescrittive. Shakespeare, all’inizio dell’Enrico V, fa chiamare al suo prologo una Musa di Fuoco, necessaria a cantare gli eventi grandiosi e tragici che, o Spettatori, state per veder rappresentati. Il fuoco torna spesso in Shakespeare, con tutta la varietà possibile, dal fuoco pallido della luna al fuoco dell’amore – più difficile da spegnere di quanto non lo sia accendere il fuoco vero con la neve. Marlowe usa il fuoco in tutte le sue varietà simboliche e concrete nella maggior parte delle sue tragedie: i suoi personaggi seguono fuochi nel cielo, hanno temperamenti di fuoco e occhi fiammeggianti, muoiono di dolori che bruciano le viscere, incendiano città, palazzi e laghi (sì, laghi), invocano il fuoco alchemico, torturano e sono torturati con ferri incandescenti o vengono bolliti a morte, temono, minacciano e sperimentano le fiamme dell’inferno e portano molto fuoco in battaglia. Amore, peccato, fierezza, ambizione, sfida, orgoglio, bellezza, arte…

Tutto ben lontano dall’estasi febbrile di uno Schiller che, nell’Inno alla Gioia, decrive “noi” come “ebbri di fuoco”, dal fuoco che sussurra e mostra figure, unico e amatissimo compagno del fuochista che accoglie Nell e suo nonno nella dantesca fabbrica del Vecchio Negozio di Curiosità o, per restare con Dickens, dal fuoco che ruggisce allegro in ogni pagina di Canto di Natale. O ancora dal fuoco magico e benevolo in cui si manifesta il Dagda ne La Pietra del Vecchio Pescatore. Passione, gioia, ancora arte, entusiasmo, calore, sicurezza, protezione…

Ci sono metafore meno allegre e fuochi letterari più cupi. Ci sono incendi punitivi e vendicatori come quello appiccato dalla moglie pazza di Rochester in Jane Eyre, come le fiamme selvagge che distruggono il palazzo del tirannico Duca d’Ofena nelle Novelle della Pescara, o come l’ultima rivalsa della signora Danvers ne La Prima Moglie. Ci sono fuochi inquietanti, come quelli su cui si bruciano i libri (e occasionalmente i bibliofili) in Farhenheit 451. E ci sono le battaglie: l’incendio di Mosca in Guerra e Pace, le navi da battaglia in fiamme di Gli Androidi Sognano Pecore Elettriche, l’assalto alla prigione in Barnaby Rudge. Rabbia, furia incontrollata, vendetta, ferocia, distruzione, arroganza, guerra…

carols_hands.jpgCi sono anche fuochi in musica, come “l’orrendo foco di quella pira” (a tempo di valzerino), o l’autodafè e la “divina fiamma” del Don Carlos, o l’Uccello di Fuoco – che, incidentalmente, è anche una fiaba, la meta magico-mitica delle peregrinazioni di un principe piuttosto stupido. D’altra parte, anche nelle fiabe il fuoco non manca: avete presente, solo per citarne qualche caso, l’Acciarino Magico, il forno della strega di Hansel e Gretel, i fiammiferi della Piccola Fiammiferaia? Oppure, meno canonizzati ma onnipresenti, i fuochi fatui e le anime del purgatorio?

Insomma: religione, mito, fiabe, letteratura – non sembra esserci angolo del paesaggio interiore dell’umanità che resti immune al fascino pericoloso e fiammeggiante del fuoco. Non sarà più una divinità da tanti millenni – ma di sicuro il fuoco arde, ruggisce e illumina ben saldo nell’immaginario umano.

Feb 21, 2011 - Spigolando nella rete    2 Comments

Dieci Romanzi Che Non Avrei Creduto Di Vedere Trasformati In Videogioco

Il commento di Renzo a questo post mi ha fatto venir voglia di indagare un pochino, e le indagini hanno dato risultati inattesi.

Cominciamo col dire che mi aspettavo i gazillioni di giochi per il computer ispirati a Tolkien, Terry Brooks e imitatori vari, e non sono sorpresissima delle lunghe serie di hidden object games ispirati ad Agatha Christie e ad Arthur Conan Doyle. Tutto sommato, anche Enid Blyton e Nancy Drew (serie, non autrice, perché non esiste un unico autore di Nancy Drew) non sono nulla di inatteso. Stevenson? Ci sta tutto: Lo Strano Caso e L’Isola Del Tesoro… com’era possibile che gli sviluppatori non si lasciassero tentare? E anche personaggi come Dracula, Alice, Frankenstein, Tarzan, James Bond e Conan il Barbaro sono scelte naturali, come pure tutto ciò che ha a che fare con Cthulhu e il Mago di Oz*. Parimenti immagino che Richard Scarry, Peter Pan, Mamma Oca, gli animali di Esopo e i Fratelli Grimm, questi beniamini dei piccoli, dovessero diventare giochi. Sono un po’ più sorpresa, semmai, da titoli come Ivanhoe, Viaggio al Centro della Terra, Il Giro del Mondo in Ottanta Giorni (e non una volta sola) e Caccia a Ottobre Rosso.

Poi ci sono le cose davvero bizzarre, quelle che non mi sarei mai aspettata di vedere adattate (anche più di una volta) in forma di videogioco. E se confesso di avere sobbalzato un nonnulla davanti al Grande Gatsby segnalato da Renzo, ecco qui altre sorprese:

1) Fahrenheit 451 – in cui si vestono i panni di Montag (ovviamente), tanto vecchio da essere uscito in floppy disk.

2) L’Odissea – no, forse di questo non sono stupita davvero. Voglio dire, è una delle più fantastiche avventure di tutti i tempi, per cui… forse questi non era il migliore degli adattamenti possibili, se è recensito come “il peggior gioco del mondo – un insulto a Omero e all’intelligenza del giocatore”…

3) Salome – non perché Oscar Wilde non meriti attenzione, ma dalla descrizione del gioco, intitolato Fatale, non riesco assolutamente a capire come funzioni, né che cosa si possa fare di preciso. Non so perché ma l’idea di salvare il Battista in un finale alternativo mi sembrerebbe… shall we say bizzarra?

4) Harlequin – allora, chiariamo: Harlequin non è un romanzo, è l’equivalente anglosassone delle nostre collane Harmony. E chi l’avrebbe mai detto? Esiste un titolo, Hidden Object Of Desire, in forma di uno di quei giochi in cui bisogna trovare gli oggetti in mezzo alla confusione. Il romanzo è allegato in PDF, dice la pubblicità. Suono genre-snob, se dico che non ho parole?

5) I Miserabili – per una volta, sembra basato sul romanzo e non sul musical. Molto filosofico e complesso, mi par di capire – ma d’altronde, essendo basato su tanto tomo…

6) Il Mondo di Sofia – voglio dire, Il Mondo di Sofia! Personalmente, trovavo Gaarder irritante in libro, per cui mi sembra difficile immaginare qualcuno che voglia anche giocarci al computer… ma d’altra parte, si sa, la Clarina ha strane antipatie.

7) Amleto – e non una volta sola. Anche se, a dire il vero, Castle Elsinore sembra più che altro una di quelle avventure in cui si esplorano cunicoli e sale con le bifore, a caccia di tesori. Hamlet sembra più interessante, un’avventura testuale in cui, nei panni di Amleto, si interagisce con gli abitanti di Elsinore e un certo numero di ospiti provenienti da altri titoli scespiriani. Hamlet per iPhone sembra una faccenda più spassosa, con un astronauta/viaggiatore temporale che atterra accidentalmente sopra Amleto, uccidendolo, e decide (credo) di togliere Ofelia da quell’ambiente malsano che è Elsinore.

8) Col Ferro e col Fuoco – e qui andiamo sull’inaspettato davvero. In realtà non è niente di più o di meno di un gioco strategico, ma lo chiedo a gente più addentro di me: quanti giochi strategici sono basati sul romanzone nazionale polacco e ambientati nel Seicento?

9) La Divina Commedia – e anche questo non una volta sola. A quanto pare, ogni tanto, qualcuno trae un videogioco dal nostro poema nazionale, con titoli come La Foresta Oscura, le Tribolazioni di Santa Lucia e cose simili. E se pensate che questo dovrebbe essere in cima alla lista, invece no. Per quanto mi riguarda, la palma spetta a… 

10) Salammbo – perché la Divina Commedia è universalmente conosciuta (almeno di nome) e contempla un viaggio nell’oltretomba e abbondanza di diavoli. Invece trovo che per andare a pescare il più sconosciuto dei romanzi di Flaubert e farne un videogioco ci voglia una notevole dose di spudorato coraggio. Per metterci come colonna sonora il Requiem di Mozart, però, forse ce ne vuole ancora di più!

Valgono gli stessi commenti che si facevano per Jane Austen. Qualcuno andrà a leggersi il libro dopo avere giocato al gioco? Non ne ero sicura a proposito di Orgoglio e Pregiudizio, con questi dieci titoli sono abbastanza certa di no – salvo rarissime eccezioni. Semmai ci sarà gente che ha letto il libro e poi gioca.

Però, dite la verità: siete sorpresi?

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* Uno dei non tantissimi giochi che ho provato di persona è Emerald City Confidential, che mescola distopia oziana e atmosfera hard boiled notturna… mica male, devo dire – per improbabile che suoni.