Tagged with " don carlo"
Set 19, 2018 - memories, musica, teatro    2 Comments

Fila I, Posto 9

DonC062E guarda un po’ la serendipità… accennavasi al Don Carlo di Rovigo, nel post di lunedì – e ieri sera, togliendo dalla mia lavagnetta di sughero un vecchio appunto che era lì da secoli senza nessun buon motivo particolare, che cosa ci ho trovato sotto, se non il biglietto del mio primo Don Carlo?

Sabato 10 novembre 2001, ore 20.30. Platea. Fila I, posto 9. Teatro Sociale di Rovigo… of all places. Ebbene sì. Nemmeno lo sapevo, che Rovigo avesse una stagione d’opera – ma ce l’ha. E nel 2001 comprendeva un Don Carlo – versione in quattro atti, in Italiano.

Vogliamo essere sinceri? Ero un pochino delusa. Erano anni che aspettavo di vedere un Don Carlo. Era la mia opera preferita, e non l’avevo mai vista in teatro – e il primo che mi capita a distanza ragionevole è… Rovigo? Ah well, che bisogna fare? Un Don Carlo è un Don Carlo, e sabato 10 novembre, con vasto anticipo – perché non si sa mai – si partì.

Il mio compagno di viaggio era il Mentore Operistico* – o forse è più esatto dire che io ero la sua compagna di viaggio. E guardate – io gli volevo un gran bene, ma il suo stile di guida e il mio stomaco avevano scarsa compatibilità. Nonostante un Valontan e quei braccialettini elastici che dovrebbero combattere la nausea, quando sbarcai a Rovigo ero al di là del bene e del male. Ma un Don Carlo è un Don Carlo: su la testa, spalle dritte e onwards! Chestnuts

E quindi immaginate la Clarina in abitino nero, scarpette col tacco e cappottino di cachemire, e immaginate anche una sera di tramontana…

“È tutto lì quel che hai addosso?” domandò scettico il Mentore, guardandomi rabbrividire. “Be’, se non altro l’aria fresca ti farà passare la nausea.”

Non posso negarlo: ero talmente occupata a battere i denti che la nausea non me la ricordavo nemmeno più. Era presto per il teatro e, una volta ritirati i biglietti, ci ritrovammo con un sacco di tempo per le mani. L’idea era quella di un bar calduccio, una tazza di tè e altri generi di conforto – ma all’improvviso…

“Ti piacciono le caldarroste?”

Col pensiero fisso al bar e al tè bollente, convinta che si trattasse di conversazione senza secondi fini, dissi che sì, mi piacevano molto…

“Ah, anche a me! Aspetta qui.” E io mi fermai dov’ero: a un angolo di strada, in mezzo alla corrente, e guardai il Mentore piombare su, of all things, un carrettino delle caldarroste, e tornarsene indietro con l’espressione di un bambino soddisfatto.

“Buona vigilia di San Martino,” mi disse, mettendomi in mano un cartoccio. “E buon primo Don Carlo! Dì se non è una cena originale.”

Come negarlo? Avete mai cenato a caldarroste a un angolo di strada, vestiti da sera, nel vento gelido di novembre? Scommetto di no. Be’, io invece l’ho fatto. A parte la difficoltà di sbucciare le caldarroste con i guanti, non vi fate idea di quanto sia pittoresco. E divertente. E dickensiano. E gelido. Quando finalmente entrammo nel bar calduccio e potei ordinare la mia tazza di tè era quasi tardi. O meglio, non lo era affatto, ma era quel genere di presto che bastava a mettere un po’ di ansia all’ansiosissimo Mentore.

Giuseppe_Verdi's_Don_Carlo_at_La_ScalaLui inalò il suo caffè e rimase a soffiarmi metaforicamente sul collo mentre mi ustionavo lingua, palato e gola con l’Earl Grey… Ma un Don Carlo è un Don Carlo, e quindi trottammo fino al teatro e prendemmo i nostri posti quando in platea non c’era ancora quasi nessuno, e aspettammo – la deliziosa attesa di una sala di teatro che si riempie, degli scampoli di musica che arrivano da dietro le quinte, dell’occasionale fremito del sipario, della lettura del programma…  L’avevo aspettata per mesi, quella sera, e finalmente c’eravamo.

Poi il buio in sala, l’orchestra che si accorda, il maestro che entra, gli applausi che si tacciono, il sipario che si apre… E Don Carlo fu!

E sapete cosa? Non fu nemmeno un granché. Decoroso, ma nulla di più. Forse il più modesto fra tutti quelli che ho visto in questi anni… E però fu il primo, e non lo dimenticherò mai – con la nausea andata-e-ritorno, e le caldarroste, e il gelo novembrino, e il coro con l’accento veneto, e il Grande Inquisitore con la zazzera… Che cosa non si ritrova alle volte in un pezzetto di cartoncino giallo appuntato su una lavagnetta di sughero, vero?

________________________________

* E, a dire il vero, Mentore in generale…

Giu 15, 2018 - Arte Varia, musica, teatro    Commenti disabilitati su Fanciulli All’Opera

Fanciulli All’Opera

VentiLucentiOggi opera – di nuovo. Questa settimana va così…

Ma opera in tutt’altra maniera, perché oggi parliamo di un progetto curato anni orsono da un’associazione culturale chiamata Venti Lucenti e dal Maggio Musicale Fiorentino. Con questo bellissimo nome, Venti Lucenti si occupa di divulgazione letteraria, scientifica e teatrale, e il suo fiore all’occhiello sembra essere stato, tra il 2006 e il 2014, il progetto All’Opera: il coinvolgimento di varie centinaia di bambini delle scuole elementari e medie in un’opera del cartellone del Maggio.

Don_CarloMichele_Monasta_0292_672-458_resize

Foto_Michele Monasta

Produzioni speciali, in cui gli implumi fungevano da coro e figuranti, cantavano e recitavano – e, pur con la presenza di narratori e burattini, la cosa doveva essere organizzata senza particolare condiscendenza, a giudicare dai titoli: ”L’Oro del Reno” (2007),”Carmen” (2008), “Il Crepuscolo degli Dei”(2009), “Il Ratto dal Serraglio”(2010), “Aida”(2011), “Il Cavaliere della Rosa” (2012) , “Don Carlo” (2013), “Tristano e Isotta” (2014).

L’idea dichiarata di VL è che per imparare ad amare la lirica bisogna farla… il che, va ammesso, non capita tutti i giorni. Quindi doveva essere un’esperienza favolosa, per tutti quei fanciulli fiorentini, sperimentare il funzionamento e l’eccitazione di un vero teatro d’opera. Sarebbe bello sapere quanti di loro si sono poi davvero appassionati all’opera lirica – e forse, considerando le date, è presto per dirlo – ma ad ogni modo, e persino a non voler pensare a lungo termine, che bellissima avventura da vivere a otto, dieci, dodici anni!

Don-Carlo-gruppo-A-0490-1030x686

Foto_Ilaria Costanzo

Nel 2013 il progetto si è concentrato sul Don Carlo – ribattezzandolo per l’occasione “La Fiaba di Don Carlo”… yes well, lievemente bizzarro, se vogliamo, perché questa cupa vicendona di potere, inquisizione, adulterio sfiorato ed effettivo, intrighi, autodafè, gelosia e sangue in abbondanza, fiabeschissima non è. E mi diverte abbastanza la descrizione, sul sito, del “dramma del principe Carlos e della principessa Elisabetta di Valois, il cui amore è contrastato dalla gelosia del re Filippo”… Come se Filippo fosse un rompiscatole malvagio e irragionevole – anziché, you know, il marito di Elisabetta!

Don-Carlo-Gruppo-C-2414-1030x686

Foto_Ilaria Costanzo

But never mind: a otto, dieci, dodici anni di queste sottigliezze non ci si preoccupa – ed evidentemente nemmeno della cupaggine generale, a giudicare dalle fotografie delle prove e dal filmato del progetto.

Hanno l’aria presissima e coinvolta: catturati dalle meraviglie dell’opera in particolare e del palcoscenico in generale… Sembra un gran peccato che, dopo il Quattordici, pur continuando a curare progetti didattici di natura teatrale, Venti Lucenti abbia abbandonato questa strada.

Oh well, intanto a Firenze cresce una generazione che ha visto l’opera da dentro grazie a un progetto intelligente. È davvero già molto.

Gen 11, 2015 - musica    Commenti disabilitati su Non Si Butta Via Niente ♫

Non Si Butta Via Niente ♫

3pa310Ora, non so se questo sia l’inizio di una nuova Crisi Semestrale da Don Carlo(s), ma le cose stanno così: ho finalmente guardato il Don Carlo salisburghese diretto da Pappano che avevo ricevuto in regalo per il mio compleanno* e, pur con qualche perplessità visiva, l’ho trovato molto bello a sentirsi.

Tra l’altro – cosa che spesso Pappano fa – quest’edizione ripristina il compianto del Marchese di Posa, nel IV atto, che secondo me è uno dei più meravigliosi scampoli d’opera del creato universo, e piange il cuore a pensare che a suo tempo sia stato cassato per consentire ai parigini di prendere l’ultimo tram per le periferie, perché il balletto non si poteva omettere… Ah well, in realtà c’erano anche altre ragioni, e ne avevamo parlato.

Ad ogni modo, sapendo bene di avere per le mani qualcosa di magnifico, anni più tardi Verdi riprese in mano il compianto, e lo riciclò nel Lachrymosa del Requiem.

Perciò oggi vi propongo prima Carlo e Re Filippo che si dolgono in mezzo a un coro di seccatissimi Grandi di Spagna. Benché il video citi soltanto Alagna, il basso è José Van Dam, e il direttore è Pappano, nella meravigliosa produzione targata Théàtre du Châtelet del 2001.

E poi ecco qui un Lachrymosa di lusso, con Pappano che dirige Renée Fleming, Violeta Urmana e René Pape.

E buona domenica a tutti.

__________________________

* Sì, ad aprile. Certe volte sono di rapide reazioni…

Lug 18, 2014 - cinema, Ossessioni    4 Comments

Vagamente Schiller

97495.300E così, approfittando di una serata solitaria, ho finalmente guardato Carlos und Elisabeth, film muto del 1924 – produzione tedesca con dialoghi, almeno nella mia versione, in un Francese singolarmente legnoso.

Già dal titolo ero indotta ad aspettarmi uno sfrondamento della storia a beneficio dell’intrigo amoroso – ma in realtà non è solo questa virata sentimentale a rendere piuttosto vaga la parentela con il dramma schilleriano. Si comincia con un prologo-antefatto in cui un giovane e arrogante Don Filippo costringe all’abdicazione un Carlo V dall’aria superannuata, detronizzandolo nella più fisica e letterale delle maniere, e poi abbraccia i metodi dell’Inquisizione quando un eretico che voleva graziare gli si rivolta contro – il tutto sotto lo sguardo inorridito del figlioletto.

Poi si balza avanti di una quindicina d’anni, nel corso dei quali Filippo invecchia prodigiosamente, e Carletto cresce fino a diventare un Conrad Veidt allucinato e preso fino all’ossessione dell’Elisabeth eponima. Poi si sa come procede: pur ricambiando Carlos, la povera Elisabeth viene data in moglie a Filippo che ha il doppio dei suoi anni e gli dà – a sette mesi dal matrimonio – una figlia.

“Miracle!” esulta con disarmante candore Filippo, cui pure Carlos ha già abbondantemente confessato di amare la matrigna… Ci ha guadagnato l’esilio, è vero, ma ci vorranno altri due atti prima che a Filippo venga voglia di porsi qualche domanda in fatto di paternità…

E se vi par di ricordare che in Schiller (e in Verdi, se è per questo) metà del ginepraio consistesse nei disperati tentativi di tenere Filippo all’oscuro, nella lealtà eroica della regina, e nei sospetti tormentosi di Filippo… be’, qui no. bp1598

Ma d’altra parte non è la sola differenza: l’Inquisitore non diventerà onnipresente fin verso la fine. E Ana Mendoza, principessa di Eboli, non è affatto l’amante di Filippo, ma una fanciulla gioiosa e vagamente tomboyish – finché non ci si mette il mostro dagli occhi verdi. Rodrigo di Posa scivola a personaggio di contorno, molto più sensato che in Schiller, ma anche tanto meno complesso.

Ed è proprio questo il problema di fondo della sceneggiatura di Ludwig Fulda. O almeno credo che sia di Fulda, cui è accreditata soltanto la scrittura del prologo, ma qualcuno deve pur essere intervenuto per potare le caratterizzazioni tra l’ingenuo e l’intricato di Schiller, lasciando altrettante figurine di cartone – qualcuna salvata dall’interpretazione, qualcuna meno.

L’Inquisitore e il consigliere Don Perez sono puramente e quadratamente malvagi. L’Elisabeth di Dagny Servaes, privata del rigore morale originario, rimane graziosa, eminentemente tentabile e deliquescente. Aud Egede-Nissen, senza i dilemmi della donna perduta, fa quel che può con la trasformazione da gaia ragazza innamorata a furia gelosa. Anche William Dieterle fa quel che può, ma gliene rimane davvero poco: anziché annegare disastrosamente tra l’amicizia per Carlos e la lealtà verso Filippo, tra la devozione alla causa e gli intrighi di corte, tra l’idealismo e la manipolazione, il suo Posa può solo assumere un’aria nobile e morire in maniera pittoresca. Eugen Klöpfer si ritrova per le mani un Filippo più da Alfieri che da Schiller, un tiranno crudele e (non a torto) sospettoso, dagli scarsissimi scrupoli morali e dalle reazioni incontrollate. Magari l’idea è che la follia scorra in famiglia a monte di Carletto, e potrebbe anche starci, ma dimentichiamoci l’Atlante tormentato e solitario di Schiller/Verdi, che si scioglie (con esiti disastrosi) soltanto per quel figlio immaginario che è Rodrigo di Posa. Questo Filippo qui trova un certo gigionesco gusto nella sua crudeltà, è a sua volta ossessionato da Elisabeth e uccide di persona Posa. Riece a funzionare perché Klöpfer sa quello che fa – ma non è, non è e non è il Filippo di Schiller. E infine abbiamo un Carlos senza qualità, scritto soltanto per pigolare “Ma io amo Elisabeth” a proposito e a sproposito – tra lo sgradevole e l’irrilevante, se non fosse per l’intensità sbilenca, spigolosa e più che un po’ folle dell’interpretazione di Veidt.

carlos1Alla fine fine, l’insieme è superiore alla somma delle parti, in una sua filmutesca maniera: la stilizzazione appena off-kilter di scene e costumi, le luci di taglio, il trucco pesante, l’intensità stilizzata e sopra le righe della recitazione, la musica densa e, soprattutto, Conrad Veidt che riesce ad essere ipnotico qualsiasi cosa faccia.

Vorrei che Fulda e Oswald non avessero sfrondato personaggi e storia fino allo stravolgimento per farne soltanto una storia d’amore. Vorrei non essere stata costretta a passare metà del tempo a mugugnare sulla scrittura. Sono molto contenta di non avere coinvolto nessuno nella visione – perché obiettivamente richiedeva parecchia dedizione alla causa del film muto, e anche a quella del Don Carlos… Epperò non posso davvero dire che non mi sia piaciuto. Mi irrita com’è scritto, ma è bello a vedersi e sentirsi.

E credo che chiuderò sospirandolo per l’ennesima volta: oh, come voglio fare un film muto per gioco…

 

 

Nov 4, 2013 - Anno Verdiano    Commenti disabilitati su Librettitudini Verdiane: Don Carlo(s) – Parte I

Librettitudini Verdiane: Don Carlo(s) – Parte I

giuseppe verdi, friedrich schiller, don carloQuest’opera esiste in quattro e in cinque atti, in Italiano e in Francese, con i balletti, senza balletti e in ogni possibile combinazione delle precedenti, è stata scritta, potata, riscritta, rivista, tradotta e ritradotta, accorciata, modificata – ed è, in tutta probabilità, la mia opera preferita.

E naturalmente il fatto che  sia la mia opera preferita (di sicuro il mio Verdi preferito) non ha nulla a che fare con la sua genesi, né con granché d’altro, ma spiega in parte perché il post in proposito sarà diviso su due settimane. L’altro motivo è che, per non farci mancare nulla, il libretto lo racconteremo nella versione in cinque atti, con un certo numero di annessi e connessi che non si sono (quasi) mai rappresentati o che non si rappresentano (quasi) più, con l’occasionale riferimento al dramma di Schiller da cui l’opera è tratta, e con qualche considerazione storica a parte. Capite bene che la faccenda potrebbe essere lunghetta.

Ma andiamo a incominciar, volete?

Atto I

Siamo in Francia, nella foresta di Fontainebleau, nel cuore dell’inverno. C’è un coro di boscaioli che si lamenta del freddo, delle tasse, della guerra…giuseppe verdi, friedrich schiller, don carlo

E poi c’è un altro coro di cacciatori che scorta la nostra primadonna, la principessa Elisabetta di Valois, figlia del re e, c’informano i boscaioli, tanto buona quanto bella. Elisabetta entra e distribuisce elemosine, e rincuora il popolo afflitto: la guerra con la Spagna sta per finire, e proprio ora il re sta discutendo con gli inviati di Madrid i termini di una pace che prevede nozze reali tra Elisabetta stessa e l’Infante di Spagna.

Entusiasmo generale, gratitudine, felicitazioni, auguri reciproci, e poi Elisabetta e il suo seguito passano oltre… ma chi sarà il giovanotto che è apparso appena in tempo per bearsi della vista di Elisabetta?

È, naturalmente, il tenore eponimo, che si ferma sulla scena deserta ad informarci dettagliatamente su come abbia lasciato la Spagna di straforo contro il volere del padre Re Filippo, e si sia precipitato qui in incognito per dare un’occhiatina preliminare alla sua nobile fidanzata e, avendola vista per tutto un minuto, se ne sia innamorato giuseppe verdi, friedrich schiller, don carloperdutissimamente.

E la seguirebbe volentieri – non fosse che si è attardato un po’ troppo per metterci a parte, e ha perso di vista e d’udito la caccia… Ma niente paura: anche Elisabetta, si direbbe, ha perso di vista e d’udito la caccia, e torna in scena accompagnata da un paggio, stanca e infreddolita, e piuttosto incerta su come tornare a casa. Figurarsi se Carlo non si offre di fare da scorta e da compagnia alla principessa mentre il paggio torna a palazzo a procurare un mezzo di trasporto. 

E così i nostri due rimangono soli – tenore e soprano. Non è l’ultima volta che capita in quest’opera, e tanto vale che lo sappiate: la combinazione non prelude mai a nulla di buono. Oh, all’inizio pare di sì. Elisabetta e il misterioso Spagnolo fanno conversazione, lui accende un focherello millantando esperienze militari*, spiega che la pace è sul punto di essere firmata. È solo naturale che Elisabetta gli chieda del suo futuro sposo, non credete? E guarda caso, il misterioso giovanotto non solo è appassionatamente certo che l’Infante sia già innamorato della sua promessa francese, ma ha anche una miniatura da farle vedere. Lei prende il medaglione, lo apre, e… chi ci trova?

Estasi, gaudio, amore reciproco, aerei nonnulla – fino al colpo di cannone che segna la conclusione dei negoziati: la pace è stretta, il matrimonio deciso. Si può essere più felici di così?

Entra il paggio di Elisabetta, guidando un corteo con le fiaccole di cui fa parte il Conte di Lerma, ambasciatore di Re Filippo, e tutti quanti salutano Elisabetta… regina di Spagna!

Ops…

Il matrimonio è concluso eccome, ma si direbbe che, all’ultimo momento, Enrico di Valois sia riuscito a strappare un prezzo migliore in cambio della pace: sua figlia regina anziché infanta.

Catastrofe indicibile. Mentre il coro inneggia, Elisabetta e Carlo si guardano annichiliti e inorriditi. Ma… piano, forse c’è ancora uno spiraglio… Lerma, a quel che pare, ha istruzioni di chiedere anche il consenso della sposa: vuole Elisabetta sposare Re Filippo?

Elisabetta esita solo per il tempo che serve alla compagine femminile del coro per ricordarle che solo lei può porre fine alla guerra che infiniti lutti addusse ai Francesi.

“Sì,”** mormora la povera ragazza con un fil di voce.

Tutti festeggiano la pace raggiunta e la nuova sovrana – tranne i due poveri innamorati – ma che si può fare contro il destino crudele? Il corteo scorta Elisabetta offstage in un tripudio di torce e inni, e Carlo, rimasto solo in scena, può soltanto gemere e dolersi sulla sparizione del suo bel sogno, mentra cala la tela.

Atto Secondo

Siamo in Spagna, adesso – e ci resteremo. Per la precisione, siamo nel chiostro del convento di San Giusto, dove un cupo coro di frati, guidato da un ancor più cupo frate/corifeo, canta cupissime considerazioni sulla mortalità e pochezza umane – particolarmente del defunto Carlo V, che proprio qui è venuto a ritirarsi tra l’abdicazione e la morte.

Ora, dovete sapere, nella versione in quattro atti l’opera comincia qui, con Carlo che ci riassume in un’aria-bignami tutto quel che dobbiamo sapere dell’atto di Fontainebleau. Ma noi di atti ne abbiamo cinque, per cui Carlo non ha bisogno di riassumerci nulla. Arriva a San Giusto nel vano intento di trovar pace e dimenticare Elisabetta presso la tomba del suo grande nonno… peccato che il frate/corifeo torni alla carica con le cupissime (pur se pertinenti) considerazioni, e nella sua voce Carlo creda di riconoscere quella del defunto imperatore… giuseppe verdi, friedrich schiller, don carlo

Orror! Terror! Sul capo gli si rizza il crine, e starebbe per abbandonarsi al panico se, molto a proposito, non entrasse in scena Rodrigo, Marchese di Posa, tornato dopo lunga assenza. E Rodrigo è il grande amico di Carlo, un baritono, un Cavaliere di Malta e una specie di illuminista travestito da Grande di Spagna. Pur essendo un idealista di tre cotte, il nostro giovanotto ha una testa più salda di quella di Carlo… o forse dopotutto no, considerando che vuole che Carlo salvi le Fiandre. Perché le Fiandre, vedete, soffrono da matti sotto il gioco spagnolo, e Carlo, che è dopo tutto l’erede al trono, dovrebbe fare della loro salvezza la missione della sua vita.

“Ma io sono innamorato,” pigola Carlo.

Rodrigo accantona la questione.

“Ma io sono innamorato infelicemente!”

Rodrigo comincia a spazientirsi.

“Ma io sono innamorato infelicemente di Elisabetta!”

Ecco, questo cambia un pochino le cose: non è bello essere innamorati della propria matrigna, specie quando il babbo è il Re di Spagna, e un Re di Spagna geloso e tirannico come Filippo… ma Rodrigo ha in mente una soluzione. Indovinate quale? Ma le Fiandre, perbacco! Dandosi anima e corpo alla causa delle Fiandre, non avrà più tempo per sospirare e languire – che oltretutto sono attività inadatte a un futuro re.

Carlo si lascia trascinare con commovente facilità, e i due giovanotti si scambiano il tipo di eroico giuramento d’amicizia che all’opera tende a non promettere troppo bene. E in effetti, Carlo pare subito pronto a crollare, non appena le trombe annunciano l’ingresso di Filippo ed Elisabetta*** – ma Rodrigo è un rapido pensatore e lo trascina via prima che possa dare spettacolo di se stesso.

giuseppe verdi, friedrich schiller, don carloMa spostiamoci un istante qui fuori, nel giardino del convento dove, in una delle pochissime scene soleggiate di quest’opera, le dame della regina si annoiano a morte in attesa dei sovrani. A vivacizzare l’atmosfera pensano il paggio francese di Elisabetta e l’ardente (pur se monocola) Principessa di Eboli, che cantano una ballata saracena di sultani infedeli e mogli astute…

Li interrompe l’arrivo della regina, sempre malinconica da non dirsi, e poi del Marchese di Posa – venuto ostensibilmente a portare a Elisabetta una lettera della madre dalla Francia, e di fatto a consegnarle un bigliettino di Carlo che chiede un incontro.

Ma come? Non si proponeva di fargli dimenticare Elisabetta per le Fiandre? Magari Carlo ha posto questo incontro come condizione, o magari non c’è una buona ragione: preparatevi all’idea che quel che Rodrigo fa non è sempre terribilmente sensato. Ad ogni modo, Elisabetta legge mentre Rodrigo distrae la curiosissima Eboli con un po’ di gossip parigino e poi, invitato a chiedere una grazia alla regina, il nobile messaggero accetta e non per sé: il povero Carlo è così infelice, vorrebbe partire per le Fiandre, ma il Re non vuol sentirne parlare… Non vorrebbe Elisabetta intercedere? Elisabetta è lacerata tra amore e dovere, mentre la Eboli si domanda se Carlo non sia così infelice perché è innamorato proprio di lei – che sarebbe ben felice di ricambiarlo.

Alla fine Elisabetta cede: il figlio è pronta a riveder. Tutti si ritirano – seppur con qualche perplessità nel lasciare sola la regina in violazione del protocollo di corte – ed entra Carlo.

E Carlo non ci sta ad essere chiamato figlio, né è poi così interessato a partire come Rodrigo aveva suggerito. A lui interessava solo di rivedere la sua ex fidanzata, a dichiararle il suo amore ancora una volta, a rimproverarla perché vuole essere leale con il re, a farsi dire che lei lo ama ancora, a svenire ai suoi piedi, a delirare un pochino, a saltare adosso a una commossa Elisabetta… giuseppe verdi, friedrich schiller, don carlo

È proprio solo per merito di lei se la faccenda non trascende. Messo con qualche rudezza di fronte alla realtà dei fatti, Carlo inorridisce e fugge – appena in tempo per non essere colto in fallo dal Re che arriva con i suoi. Ma a Elisabetta, colta da sola, non va altrettanto bene. Per lo sconcerto generale, un furibondo Filippo bandisce dalla Spagna la dama d’onore francese che non avrebbe dovuto staccarsi dal fianco della Regina, e poi congeda la corte – tranne Rodrigo, con cui è curioso di scambiare qualche parola. 

Come mai, si chiede, questo viaggiatore e soldato di buona famiglia ha lasciato il servizio in Fiandra per tornarsene in Spagna? Con candore potenzialmente suicida, Rodrigo risponde che lui è, per l’appunto, un soldato e non un macellaio, e quel che si sta facendo nelle Fiandre è bassa macelleria. Filippo non è abituato a sentirsi parlare così, e s’indignerebbe molto volentieri, ma c’è qualcosa, nella passione e nella fierezza con cui Rodrigo perora la causa dei Fiamminghi, qualcosa che gli tocca il cuore. Ah, come vorrebbe che fosse questo suo figlio, invece dello squadrellato inaffidabile e inefficace che gli è toccato in sorte… in un inconsueto impulso di fiducia e simpatia, nomina Rodrigo suo consigliere, e lo incarica di sorvegliare la Regina e l’Infante, sui cui nutre seri dubbi. E ad essere sinceri, il modo in cui Rodrigo a questo punto gongola tra sé sull’insperata chance, non ce lo rende simpaticissimo. Mentre, al contrario, quasi ci commuoviamo quando Filippo, a titolo di congedo, raccomanda al suo nuovo giovane amico di guardarsi dall’Inquisizione.

E cala la tela sull’atto secondo, e noi per ora ci fermiamo.

Che ne sarà dei nostri eroi? Riuscirà Carlo a ricongiungersi con l’amata Elisabetta o si farà spedire nelle Fiandre? E che farà Rodrigo, preso tra l’amicizia per Carlos, la causa delle Fiandre e la fiducia del vecchio Re solitario? E Filippo? Ha finalmente trovato un amico leale? E potrà fidarsi del suo instabile figlio e della malinconica moglie? E come reagirà la bella Eboli scoprendo che Carlo è innamorato – ma non di lei? E soprattutto, sarà poi vero che nessuno si aspetta l’Inquisizione spagnola?

Per scoprirlo, non perdete il prossimo appassionante episodio delle Librettitudini Verdiane: Don Carlo(s), Parte II.

 

______________________________________________________

* Allora, questa è una di quelle cose su cui si può discutere finché si vuole, ma se lo chiedete a me, nulla mi convincerà mai che Carletto abbia mai fatto vita al campo. Aspettate di conoscerlo meglio. Ne riparliamo fra un paio d’atti, e mi saprete dire. Oh, ed è inutile cercare soccorso nell’originale schilleriano, perché tutto quest’atto è un’aggiunta dei librettisti francesi Mery&Du Locle.

** Narrasi che alla prima parigina del 1867 il soprano Marie Sass, in un momento di distrazione, rispondesse “No”, per la comprensibile furia di Verdi e, immagino, lo sconcerto del pubblico…

*** Sì: per dimenticare Elisabetta si era precipitato nel posto in cui sapeva che suo padre avrebbe condotto la sua sposa. Tenori.

Mar 27, 2010 - musica, Oggi Tecnica, scrittura    Commenti disabilitati su Duetti & Subtesto

Duetti & Subtesto

Facendo seguito a questo post, ecco qui il Capitolo XIX dei Promessi Sposi in tutta la sua gloria. Notate il crescendo di minacce velate – velatissime! – del Conte Zio, la quantità industriale di puntini di sospensione, il modo in cui le cose non dette, ma implicate, pesano quanto le parole vere e proprie. D’altra parte, notate gli a parte del Padre Provinciale, la sua consapevolezza amarognola, il suo fine sarcasmo qua e là (quel “Cospicue!”, e il commento finale sulla bontà della famiglia): tanto subtesto da costruirci un auditorium!

Eppoi, ecco Re Filippo e il Grande Inquisitore (cieco nonagenario), in altrettanto splendore. Francamente, Furlanetto/Salminnen non è la prima  distribuzione dei miei sogni, ma è comunque ottima, e la messa in scena molto buona. Per chi volesse fare confronti, di quest’altra versione con Ghiaurov e Raimondi c’è solo l’audio.

Qui c’è il libretto, che rispetto a Schiller condensa e semplifica assai (e infila qualcuna di quelle perle librettesche, tipo armossi contro il padre), ma combinato alla musica diventa pretty powerful stuff. Notate che per quanto riguarda Carletto, il Re cerca delle rassicurazioni morali e personali, mentre quando si arriva al Marchese si oppone nettamente su basi più sentimentali. In entrambi i casi, l’Inquisitore (c.n.) asfalta scrupoli e obiezioni con la logica corazzata e tetragona al dubbio di una panzerdivision. Notate anche qui l’uso della minaccia, il tentativo di riconciliazione finale di Filippo, il modo in cui il Re viene lasciato in sospeso (Forse!), e la sua amarissima conclusione. Notate tutto ciò in musica, perché qui il subtesto è per lo più affidato alle note. Meravigliose note…

IL CONTE Dl LERMA
Il Grande Inquisitor!

L’INQUISITORE
Son io dinanzi al Re…?

FILIPPO
Si; vi feci chiamar, mio padre!
In dubbio io son,
Carlo mi colma il cor
d’una tristezza amara.
L’infante è a me ribelle,
Armossi contro il padre.

L’INQUISITORE
Qual mezzo per punir scegli tu?

FILIPPO
Mezzo estremo.

L’INQUISITORE
Noto mi sial

FILIPPO
Che fugga… che la scure…

L’INQUISITORE
Ebbene?

FILIPPO
Se il figlio a morte invio,
M’assolve la tua mano?

L’INQUISITORE
La pace dell’impero i di val d’un ribelle,

FILIPPO
Posso il figlio immolar al mondo
io cristian?

L’INQUISITORE
Per riscattarci Iddio il suo sacrificò.

FILIPPO
Ma tu puoi dar vigor a legge si severa?

L’INQUISITORE
Ovunque avrà vigor,
se sul Calvario l’ebbe.

FILIPPO
La natura,
l’amor tacer potranno in me?

L’INQUISITORE
Tutto tacer dovrà per esaltar la fè.

FILIPPO
Stà ben.

L’INQUISITORE
Non vuol il Re su d’altro interrogarmi?

FILIPPO
No.

L’INQUISITORE
Allor son io che a voi parlerò, Sire.
Nell’ispano suol mai l’eresia dominò,
Ma v’ha chi vuol minar
l’edificio divin;
L’amico egli è del Re, il suo fedel compagno,
Il demon tentator che lo spinge a rovina.
Di Carlo il tradimento che giunse a t’irritar
In paragon del suo futile gioco appar.
Ed io, l’inquisitor,
io che levai sovente
Sopra orde vil di rei la mano mia possente,
Pei grandi di quaggiù, scordando la mia fè,
Tranquilli lascio andar un gran ribelle…
e il Re.

FILIPPO
Per traversare i di dolenti in cui viviamo
Nella mia Corte invan cercato
ho quel che bramo,
Un uomo! Un cor leale! Io lo trovai!

L’INQUISITORE
Perchè un uomo?
Perché allor il nome hai tu di Re,
Sire, se alcun v’ha pari a te?

FILIPPO
Non più, frate!

L’INQUISITORE
Le idee del novator in te son penetrate!
Infrangere tu vuoi con la tara debol man
Il santo giogo, esteso sovra l’orbe roman…!
Ritorna al tuo dover;
La Chiesa all’uom che spera,
A chi si pente,
Puote offrir la venia intera;
A te chiedo il signor di Posa.

FILIPPO
No, giammai!

L’INQUISITORE
O Re, se non foss’io con te nel reggio ostel
Oggi stesso, lo giuro a Dio,
Doman saresti presso il Grande Inquisitor
Al tribunal supremo.

FILIPPO
Frate!
troppo soffrii il tuo parlar crudel!

L’INQUISITORE
Perché evocar allor l’ombra di Samuel?
Dato ho finor due Regi
al regno tuo possente…!
L’opra di tanti di tu vuoi strugger, demente!
Perchè mi trovo io qui?
Che vuol il Re da me?

(Per uscire)

FILIPPO
Mio padre, che tra noi la pace alberghi ancor

L’INQUISITORE
La pace?

FILIPPO
Obliar tu dei quel ch’è passato.

L’INQUISITORE
Forse!

(Esce)

FILIPPO
(Solo)
Dunque il trono
piegar dovrà sempre all’altare!

Mar 25, 2010 - grilloleggente    Commenti disabilitati su Promessi Sposi, Capitolo XIX

Promessi Sposi, Capitolo XIX

Oggi XIX capitolo dei Promessi Sposi alla UTE, ultimo per questo Anno Accademico.

Il Capitolo XIX è quello del match Conte Zio – Padre Provinciale dei Cappuccini, ed è una vera e propria gemma, di quelle cose che da sole valgono il prezzo del libro, di quei dialoghi che, per sottigliezza delle intenzioni, tridimensionalità della caratterizzazione e raffinata ironia, mutano momentaneamente ogni altro scrittore in un mostro dagli occhi verdi.

Cominciamo col dire che, quasi tre mesi e tredici capitoli fa, avevamo assistito a qualcosa di simile al palazzotto, tra Don Rodrigo e Fra Cristoforo, ovvero i due diretti interessati. E’ sempre di loro che si parla anche nel palazzo milanese dello zio: in pratica, lo stesso scontro elevato a potenza e condotto a un livello abissalmente diverso. Qualcosa come la differenza tra una rissa in piazza e l’alta politica.

Possiamo dimenticare (anzi, faremo bene a ricordare per amor del contrasto) il sarcasmo rabbioso, le insinuazioni grossolane e le minacce scoperte di Don Rodrigo, come pure la faticosissima umiltà e lo spirto guerrier di Fra Cristoforo. Qui siamo su un altro pianeta: dopo un pranzo di commensali titolati e un sacco di conversazione sulle aderenze della famiglia a Madrid, il Conte Zio fa professioni di amicizia verso l’Ordine Cappuccino in generale e il Padre Reverendissimo in particolare, finge di voler rendere un buon servigio, insinua che il padre Cristoforo debba essere un continuo grattacapo per i suoi stessi superiori…

Il Provinciale non ci casca, e difende la reputazione del suo sottoposto, ma vede addensarsi la tempesta… e non ha torto: per prima, il Conte Zio gioca la carta della sovversione, dipingendo il povero Renzo come un arruffapopoli della peggior specie, e il padre Cristoforo come un connivente. D’altra parte, con quel po’ po’ di precedenti che ha lui stesso…

Il Provinciale para di nuovo la botta: Sua Magnificenza deve pur sapere che a) l’Ordine ha per missione di recuperare i traviati, e b) la vocazione religiosa offre riscatto dal passato, del che Fra Cristoforo è la prova vivente. Il Conte Zio deve allora ricorrere al secondo argomento, rivelando (come se proprio ci si costringesse a malincuore) che tra il frate e Don Rodrigo c’è qualche ruggine. Nessun riferimento a Lucia, o anche solo alla natura della ruggine stessa, per carità. Lo zio, assai più scaltro del nipote, dipinge la faccenda come una questione di puntiglio, scusabile in un giovane nobiluomo scapestrato, ma del tutto fuori posto per un Cappuccino.

Il Provinciale resta sulle sue, avanza cauti dubbi, promette indagini, ma sa già dove vuole andare a parare il suo avversario. E infatti, puntualmente, il Conte Zio si scopre giusto quanto basta: indagini e dubbi? Ma perché mai il Reverendissimo Padre vuole andare a sollevare un vespaio? Perché non possono accomodare la questione tra loro due, senza che degeneri in zuffe, ritorsioni e scandali?

La minaccia è sottile, ma inequivocabile. E’ sicuro che l’Ordine saprebbe difendersi in un confronto, ma ne vale davvero la pena? Non è meglio per tutti tacitare il subbuglio cercando di salvare tutte le capre e tutti i cavoli possibili? Guarda caso, a Rimini vogliono un predicatore per la quaresima, e il padre Cristoforo è proprio quello che ci vuole. “Molto a proposito,” approva il Conte Zio. “E… quando?”

Il Provinciale prova a nicchiare, a prender tempo, a negoziare qualche forma di rispetto che Don Rodrigo paghi all’Ordine, per salvaguardare la dignità dell’abito… Il Conte Zio a questo punto potrebbe anche mostrarsi generoso, ma non lo fa: invece si limita a qualche promessa che più vaga non si potrebbe, e a cedere il passo alla porta. “Conosciamo per prova la bontà della famiglia,” replica amaramente il Padre Provinciale, di fronte all’ennesima promessa vuota di amicizia, di assistenza, di qualsiasi cosa…

Chiaramente, Conte Zio – Padre Provinciale è finita 2- 0.

Niente “verrà un giorno”, niente alterchi, niente vecchi servitori impauriti, niente cappa e spada: solo due canizie, due esperienze, dice Don Lisander, e la canizie laica ha vinto alla grande: con un pranzo e qualche parola, ha spedito Fra Cristoforo a piedi da Pescarenico a Rimini.

Non posso fare a meno di accostare questo dialogo a qualcosa d’altro: il grandioso, corrusco, feroce duetto tra Re Filippo e il Grande Inquisitore (cieco nonagenario) del Don Carlo/Don Carlos di Verdi. L’atmosfera è tutt’altra, molto più cupa e più fatale, (e d’altronde in gioco non c’è il trasferimento di un frate, ma la vita e la morte di due uomini, nonché tutto un sistema di pensiero e il destino di un impero) ma la struttura è poi la stessa: potere temporale e potere religioso che si affrontano. Però nel caso di Verdi/Schiller è il Grande Inquisitore (c.n.) a spingere il suo avversario nell’angolo a implacabili colpi di logica e di dogma. Re Filippo resiste invano. Prima della fine si farà imporre la condanna a morte di non uno, ma due figli: quello di sangue e quello del cuore. “Dunque il trono piegar dovrà sempre all’altare!” conclude amarissimamente il Re.

A quanto pare, non sempre. O, almeno, non nel Seicento milanese di Manzoni, dove l’altare, per evitare guai, piega non di fronte al trono, ma a una corona comitale bene introdotta a Madrid.