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Feb 7, 2018 - lostintranslation, Poesia    2 Comments

Traducendo la Tempesta

thomas-moran-approaching-storm-85446Allora… si discuteva di traduzioni, di recente, e ci si domandava come cambino, non cambino o possano cambiare le cose, non solo da originale a traduzione – ma da traduzione a traduzione.

E allora, a titolo di risposta, facciamo un piccolo esperimento con una poesia di Emily Dickinson, conosciuta come The Storm, ovvero La Tempesta.

Prima di tutto, Emily in persona (1883):

There came a Wind like a Bugle –
It quivered through the Grass
And a Green Chill upon the Heat
So ominous did pass
We barred the Windows and the Doors
As from an Emerald Ghost –
The Doom’s electric Moccasin
That very instant passed –
On a strange Mob of panting Trees
And Fences fled away
And Rivers where the Houses ran
Those looked that lived – that Day –
The Bell within the steeple wild
The flying tidings told –
How much can come
And much can go,
And yet abide the World!

Poi Emily secondo Margherita Guidacci (1947):

Il vento venne come un suono di buccina;
vibrò nell’erba,
ed un brivido verde nell’arsura
passò così sinistro
che noi sprangammo ogni finestra e porta
fuggendo quello spettro di smeraldo;
l’elettrico serpente del giudizio
guizzò allo stesso istante.
Strana folla di alberi affannati
e di steccati in fuga
e fiumi in cui correvano le case
Videro allora i vivi.
Dalla torre, impazzita la campana
Turbinava per un veloce annunzio.
Quante mai cose possono venire
e quante andare,
senza che il mondo finisca!

Emily secondo Giuseppe Ierolli (2002-2005):

Venne un Vento come di Buccina –
Vibrò attraverso l’Erba
E un Verde Brivido sulla Calura
Passò così sinistro
Che sbarrammo Porte e Finestre
Come per uno Spettro di Smeraldo –
L’elettrico Mocassino del Giudizio
Proprio in quell’istante passò –
Un’insolita Turba di Alberi ansimanti
E Steccati divelti
E Fiumi in cui correvano le Case
Questo vide chi era vivo – quel Giorno –
La Campana nella torre sconvolta
Le volanti notizie riferiva –
Quanto può venire
E quanto può andare,
Eppure il Mondo perdurare!

E infine, la montaliana Emily secondo Eugenio Montale (1945):

Con un suono di corno
Il vento arrivò, scosse l’erba;
un verde brivido diaccio
così sinistro passò nel caldo
che sbarrammo le porte e le finestre
quasi entrasse uno spettro di smeraldo:
e fu certo l’elettrico
segnale del Giudizio.
Una bizzarra turba di ansimanti
Alberi, siepi alla deriva
E case in fuga nei fiumi
È ciò che videro i vivi.
Tocchi del campanile desolato
Mulinavano le ultime nuove.
Quanto può giungere,
quanto può andarsene,
in un mondo che non si muove!

Cambiano tante cose. Cambia la musica, cambia la consistenza del linguaggio, cambia il colore… a riprova del fatto che leggere in originale e leggere in traduzione sono esperienze molto diverse – ma non solo: nessuna traduzione è uguale a un’altra.

Che ne dite, o Lettori? Quale preferite – e perché? Che cosa cercate in una traduzione – e in particolare in una traduzione poetica? Fedeltà? Atmosfera e colore? Sonorità? Andamento ritmico?La personalità del traduttore combinata con quella dell’autore?

Do tell.

 

Dic 11, 2017 - angurie, Poesia    Commenti disabilitati su Neveneveneve

Neveneveneve

SnowcNeve, ieri… Neveneveneve.

No, non una follia, ma erano secoli che non ne vedevamo qui – e men che meno così presto in dicembre.

Si è cominciato a vedere qualche piccolo fiocco mentre trotterellavo verso la città per la pomeridiana del Fantasma.

“Oh, fa finta di nevicare,” mi son detta. E invece via, che i fiocchi s’infittivano viepiù. Quando ho parcheggiato davanti al Teatrino, veniva giù qualcosa che cominciava a meritare il nome di nevicata.

“Nevica!” ho annunciato, irrompendo nei camerini. Gli attori mi hanno guardata come fa la gente adulta con gl’implumi – tutti, persino i Non Gemelli che sono implumi per davvero.

“Oh, ma sta già smettendo,” mi ha informata Mrs. F. Con l’aria di sottintendere Del che tu, che poi guidi fino in campagna, dovresti essere contenta. Ma si sa che non ho un briciolo di buon senso – e contentissima non ero. Comunque poi era ora di andare in scena, e non c’è stato più tempo per discutere il meteo.

Yes, well - non è proprio così che guidossi sotto la neve...

Yes, well – non è proprio così che guidossi sotto la neve…

But lo! Quando, un Fantasma più tardi, siamo usciti dal teatro… nevicava ancora! E con un certo impegno. E in effetti, guidossi fino in campagna, per lo più in coda e a velocità di carovana – ma era così bello! E se devo essere sincera, temevo molto che smettesse durante il viaggio – ma no: sono arrivata a casa sotto la neve, cinguettando carole natalizie in tema. Cinguettandole euforicamente…

Lo ripeto: erano anni, forse dieci o dodici, che non si vedeva una nevicata vera e propria dalle mie parti nella prima metà di dicembre. E comunque poi ha smesso, e adesso piove, e le strade sono pulite, e tutto torna alla normalità – ma per qualche è stato magico!

E in celebrazione, poesia, volete? Poesia da tre continenti diversi – a riprova del fatto che il fascino della neve funziona a tutte le latitudini:

La neve

Lenta la neve, fiocca, fiocca, fiocca,
senti: una zana dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca,
canta una vecchia, il mento sulla mano,

La vecchia canta: Intorno al tuo lettino
c’è rose e gigli, tutto un bel giardino.
Nel bel giardino il bimbo s’addormenta.
La neve fiocca lenta, lenta, lenta.

(Giovanni Pascoli)
Pensiero segreto

In un paese ove la neve
raramente cadeva nei passati inverni,
da molti giorni nevica.
S’accumula la neve ed ogni cosa
vien ricoperta da un candido manto:
sotto quel manto paiono più belle
tutte le cose più comuni e vane.
Ma nel nostro pensiero c’impaura
il pensier, che domani, con il sole,
la neve sàrà fusa e allor le cose
sembreranno più brutte e più meschine.

(Fuyuhiko Kitagawa)
Era lei, la neve E un mattino
appena alzati, pieni di sonno,
ignari ancora,
d’improvviso aperta la porta,
meravigliati la calpestammo:
Posava, alta e pulita
in tutta la sua tenera semplicità.
Era
timidamente festosa
era
fittissimamente di sé sicura.
Giacque
in terra
sui tetti
e stupì tutti
con la sua bianchezza.

(Evgenij Evtusenko)
The Snow That Never Drifts

La Neve che mai si accumula – La transitoria, fragrante neve Che arriva una sola volta l’Anno Morbida s’impone ora –Tanto pervade l’albero
Di notte sotto la stella
Che certo sia il Passo di Febbraio
L’Esperienza giurerebbe –

Invernale come un Volto
Che austero e antico conoscemmo
Riparato in tutto tranne la Solitudine
Dall’Alibi della Natura –

Fosse ogni Tempesta così dolce
Valore non avrebbe –
Noi compriamo per contrasto – La Pena è buona
Quanto più vicina alla memoria –

(Emily Dickinson)

Mar 27, 2017 - Poesia, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Post Versicolore, in cui si parla di Poesia e di Rilevanza

Post Versicolore, in cui si parla di Poesia e di Rilevanza

SeamusQuando mi si chiede chi sono i miei poeti preferiti*, in genere rispondo: Seamus Heaney, e poi Emily Dickinson, Kipling, Gozzano.**

E naturalmente Heaney è Heaney – ma oggi lasciate che ci concentriamo sugli altri tre, volete? Per un motivo che è solo tangenzialmente poetico. Emily Dickinson, Kipling e Gozzano – e l’ordine in cui si trovano è dovuto a un paio di ragioni. In primo luogo, in questa successione, i tre nomi suonano quasi come un endecasillabo, e se con questo pensate che io spinga la ricerca del bel suono al limite dell’eccentricità, probabilmente avete ragione. In secondo luogo, questa è la versione dell’elenchino che ha meno probabilità di creare reazioni bizzarre, e ciò si deve a Kipling in seconda posizione. Mi vergogno un po’ ad ammettere che non sempre ho voglia di dibattere sui pregiudizi cristallizzati attorno a Kipling e alla sua opera, ma resta il fatto che, in un elenco di tre elementi, quello in mezzo è destinato ad attrarre meno attenzione.

English: Daguerreotype of the poet Emily Dicki...

È una legge di rilevanza, e non vale soltanto per le serie di tre: il primo elemento colpisce l’attenzione proprio perché arriva per primo, e perché il lettore/interlocutore è portato ad attribuire questa posizione a una ragione specifica. Naturalmente, la ragione non deve necessariamente essere evidente: ci sono carrettate di ragioni legittime per aprire un elenco con un elemento piuttosto che con un altro, inclusa quella pura e semplice d’incuriosire il lettore. La posizione di coda è, semmai, ancora più efficace, perché l’ultimo elemento è quello che più facilmente resterà in mente al lettore, quello che gli sarà temporalmente più vicino una volta girata la pagina o cambiato l’argomento. E’ sempre possibile contrastare questo sbilanciamento ponendo in coda un elemento più debole di quello iniziale. In un certo senso la più celebre Emily Dickinson e il quasi ignoto Guido Gozzano funzionano così – a meno che il nome poco noto non stimoli più curiosità, o che all’altro capo della comunicazione ci sia qualcuno che ama poco ED.

387px-Rudyard_KiplingTutto quello che sta in mezzo a questi due picchi è, per forza di cose, vallata. E sì, lo ripeto, mi vergogno, perché adoro Kipling, e non voglio certo lasciarlo a fondovalle… recupero qualche punto se dico che è più un tentativo di proteggere la mia predilezione che di nasconderla? Parlando seriamente, tuttavia, se il mio pantheon poetico contenesse sei nomi anziché tre, la rilevanza si applicherebbe allo stesso modo, con il primo e l’ultimo poeta in evidenza e tutto ciò che è in mezzo a rischio di oblio. E questo è il motivo per cui inserire nella scrittura lunghi elenchi è sempre a tricky matter: se proprio lo si vuole fare, è meglio essere sicuri di saper bilanciare bene l’allascamento della rilevanza con il peso inerente di ogni singolo elemento.

Guido GozzanoAd ogni modo, certi giorni (o a certa gente) capita che dia risposte diverse. Kipling, Emily Dickinson e Gozzano è come il primo tiro di una forcella d’artiglieria, quando intendo invitare la discussione. Oppure Gozzano, Emily Dickinson e Kipling conta come un crescendo, con l’effetto di far sobbalzare gli interlocutori politically correct. Gozzano in mezzo non lo lascio quasi mai, confesso: sarebbe quasi come non nominarlo affatto, anche se devo ammettere che Emily Dickinson, Gozzano e Kipling ha una sua sonorità non disprezzabile.

Se poi il mio interlocutore se ne infischia dei miei giochini di rilevanza, evita di esclamare inorridito che Kipling era un Bieco Imperialista, Colonialista e Razzista, e si mette a discutere davvero di poeti e di poesia, questa è la reazione ideale.

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* Ebbene sì, c’è ancora gente che ti chiede di punto in bianco chi sono i tuoi poeti preferiti. D’altra parte, ho scoperto stasera che ci sono ancora cinema che replicano i film “a grande richiesta”… la vita è piena di sorprese.

** Yes, well – e Marlowe, e Shakespeare… ma diciamo in contesto non teatral-elisabettiano.

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Apr 11, 2016 - gente che scrive, romanzo storico, teatro, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Maestri di Carta

Maestri di Carta

YodaQualche tempo fa si parlava con un allievo di influenze, divinità e maestri – di quella gente che non s’incontra mai se non per lettura, eppure ha una parte fondamentale nel fare di noi quello che siamo. Almeno dal punto di vista della scrittura. Col che non voglio dire che non succeda anche in altri campi, ma diciamo che gli altri campi son fatti di ciascuno, e limitiamoci al rapporto tra scrittore e scrittore a mezzo libro. Tra l’altro, è precisamente quello di cui si discuteva con l’allievo in questione.

“Scommetto che ci fai un post,” egli disse a conclusione – e io non dissi né sì né no, ma insomma, sappiamo tutti come  vanno a finire queste cose. E soprattutto sappiamo che quando si tratta di SEdS la mia capacità di resistenza è prossima a nulla… Sappi, o Allievo, che se c’è voluto tutto questo tempo è solo perché mi era passato di mente… 

Ma eccoci qui, alla fin fine: sette maestri sette. Sette perché sì – e in un vago ordine cronologico di apprendistato consapevole*.

I. G. B. Shaw. Perché quando avevo dodici anni e mi chiedevano “che cosa vuoi fare da grande?” io rispondevo “la commediografa”. E rispondevo così solo perché allora studiavo francese e non sapevo che esistesse la parola playwright, che mi piace tanto di più – ma non divaghiamo. Volevo tanto, ma in quella maniera informe, you know. Non era che non ci provassi, ma non avevo troppo idea. Poi, nell’estate dei miei tredici anni, entra in scena Shaw, nella forma delle Quattro Commedie Gradevoli, edizione Anni Sessanta, BUR con la copertina rigida – di mia madre. Folgorazione. In particolare Cesare e Cleopatra e L’Uomo del Destino. Teatro a sfondo storico – proprio quello che volevo fare. E la costruzione dei dialoghi, e l’uso delle fonti, e il tratteggio dell’ambientazione storica, e il funzionamento teatrale…

II. Joseph Conrad. In un sacco di modi. La profondità cui si poteva spingere l’indagine psicologica. Le possibilità infinite dei punti di vista. La possibilità di raccontare una storia attraverso l’accumulo di prospettive. La cesellatura di un personaggio centrale. I dubbi e le domande senza risposta. L’intensità. E poi l’uso della lingua – e di una lingua appresa. È in buona parte per via di Conrad che scrivo in Inglese.

III. Patrick Rambaud. Rambaud non se lo ricorda più nessuno, credo. A un certo punto ha letto nella corrispondenza di Stendhal di un romanzo mai scritto. Allora ha preso l’ambientazione (una battaglia napoleonica), ha preso Stendhal in persona, ha preso una manciata di personaggi storici e ne ha cavato un bel romanzo. Nulla d’immortale, solo una buona storia ben raccontata, fedele alle fonti e romanzesca quanto bastava. All’epoca in cui mi trastullavo con l’idea di scrivere romanzi storici ed ero paralizzata dall’incertezza dei confini tra fonti e immaginazione, Monsieur Rambaud è stato piuttosto fondamentale.

IV. R. L. Stevenson. Ah, i narratori di Stevenson, inaffidabili anche quando sembra che non lo siano, sottilmente minati nella loro attendibilità, irragionevoli, opinionated, a volte nemmeno terribilmente intelligenti… O Lettore, a te il delizioso mestiere di trarre conclusioni. E poi Alan Breck e l’Appin Murder – un personaggio minorissimo e un processo celebre ripresi, rivoltati come guanti, dipinti a colori irresistibili e avventurosi là dove in origine si trattava di un figuro losco e di una vicenda cruda e grigia. Ah, saper indurre il lettore a voler credere a me – persino quando sa benissimo di non poterlo fare…

V. Rodney Bolt. Quando uno scrittore mi fa entrare da una porta saggistico-divulgativa con qualche pretesa, poi mi fa sospettare che si tratti di una parodia accademica, e infine mi scodella in pieno romanzo, quando fa tutto ciò con grazia, sottigliezza e intelligenza, quando mi conduce pei prati in questa maniera e non mi irrita nemmeno un po’, tutto quel che voglio è imparare a barare così a mia volta.

VI. Josephine Tey. Anche lei scriveva teatro in una maniera che mi piace molto, ma non è questo il punto. Il punto è La Figlia del Tempo, che è una riflessione sulla storia, il modo in cui si costruiscono, mantengono e smantellano le leggende nere e un sacco di questioni che mi stanno a cuore – ed è scritto nella forma di un giallo originalissimo, popolato di personaggi ben fatti che parlano in dialoghi scintillanti. Tecnica impeccabile, idee, spirito – e soprattuto il modo di raccontare le storie.

VII. Jeffrey Hatcher. Ci voleva qualcuno che mi scrollasse fuori dalla maniera di Shaw, ed è stato Hatcher, che scrive un teatro d’ambientazione storica vivido, spigoloso e pieno di ritmo, appeso a un cambiamento epocale per rendere tutto più irreparabile, thank you very much.

E poi sono sempre la solita che si dà dei numeri e non riesce a tenerli neppure per sbaglio, per cui lasciate che aggiunga ancora Emily Dickinson. E no, non scrivo poesia, ma la densità e iridescenza del linguaggio… non si può scrivere prosa in questo modo, ma il principio mi piace proprio tanto.

E voi, o Lettori? Chi sono i vostri mentori di carta?

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* E niente autori di manuali… Quella è un’altra faccenda. La prossima volta, magari.

Ago 13, 2014 - angurie, Poesia    3 Comments

Fulgea Chiara E Queta

moon-is-tonightE fulgea sì, santo cielo – tanto chiara e tanto enorme che catturare stelle cadenti è stato un po’ complicato… così quest’anno, sdraiati a naso in su nella speranza di vedere qualche perseide più luminosa delle altre, è parso bello e naturale mettersi ad elencare lune di carta e d’inchiostro.

E la messe di stelle è stata limitata, ma si è costatato che di luna in letteratura ce n’è davvero tanta…

A cominciare dall’ovvio, la luna del Pastore Errante, e la bella luna di Saffo che fa impallidire le stelle – come pure quella del Magnifico Lorenzo, che dà il titolo al post.

E poi ho provato con un po’ di lune in prosa, come il truciolo d’oro di Conrad, il Voyage dans la Lune di Cyrano de Bergerac, il Verne di Dalla Terra alla Luna, e la Luna e Sei Soldi di WS Maugham, e la Luna e i Falò di Pavese, e Chiardiluna per fanciulli, e il Ciaula pirandelliano che scopre la luna, e gli elefanti di Kipling che danzano sotto la luna…

Ma è chiaro che a farla da padrona in proposito è la poesia. Astolfo sulla Luna, la Luna distante dal Mare di Emily Dickinson, e la graziosa luna di Leopardi, e le meravigliose immagini di Garcia Lorca, con la sua luna da cui si beve, o che deve scappare prima i gitani facciano collane e bracciali con il suo cuore bianco. E poi la luna che sempre sale e mai si ferma di Coleridge, e Shelley e Christina Rossetti che si chiedono separatamente se la luna sia pallida di stanchezza, e la luna triste e languida di Baudelaire, che piange sulla terra lacrime d’opale, e la rana d’oro del cielo di Esenin, e la luna rossa di Quasimodo, e quell’altra luna leopardiana che nella notte chiara e senza vento posa queta sovra i tetti e sovra gli orti, e la luna incapace di dubitare di Blake, e la gatta di Yeats che danza sotto la luna, e la luna monocroma e curva d’imperturbabile serenità (credo) di Thomas Hardy…Moon-moon-22762198-1024-768

E a questo punto era abbondantemente ora di cambiare mood – e quindi la luna scema di Beckett che dà sempre il posteriore, e la filastrocca con la mucca che salta sulla luna, e la testa mozza e squallida nel libretto della Turandot…

Il che è servito per una deviazione musicale – perché anche le canzoni non scherzano: la luna rossa, la verde luna, the blue moon,the pink moon, the silver moon, the black moon, the harvest moon,  e luna tu, e la tintarella di luna, e la luna nel pozzo, e la luna che spunta dal monte, e la luna francese del Gobbo di Notre Dame, e Moonlight Shadow, e guarda la luna come la cammina e la scavalca i monti come noialtri Alpin, e fly me to the moon, la luna che bussò, e non ti fidar di un bacio a mezzanot-te se c’è la luna… e au clair de la lune, mon ami Pierrot, prête-moi ta plume pour écrire un mot, e sicuramente un’infinità di altre.

moon-phases-08-131008E potevamo farci mancare un capitoletto elisabettiano in tutto ciò? La luna di Shakespeare tende ad essere segno d’incostanza, visto che Giulietta non vuole che ci si giuri su, e Cleopatra proclama che la sua decisione non ha nulla dell’incostanza della luna, e Teseo se la prende con la luna per il suo letto vuoto… Marlowe la usa per lo più come sinonimo di mese,  ma qua e là la descrive provvista di corna e di luce presa a prestito… e se volesse, Faustus con i suoi nuovi poteri potrebbe farla precipitare dal cielo. E poi ci sono le Notizie dal Mondo della Luna di Ben Jonson, e John Donne che chiama la sua innamorata “Più della luna”…

E infine, a mo’ di calzante congedo lunare, lasciate che vi metta qui per intero la Falce di Luna Calante di D’Annunzio:

O falce di luna calante
che brilli su l’acque deserte,
o falce d’argento, qual mèsse di sogni
ondeggia a ‘l tuo mite chiarore qua giù!

Aneliti brevi di foglie
di fiori di flutti da ‘l bosco
esalano a ‘l mare: non canto, non grido,
non suono pe ‘l vasto silenzio va.

Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme.
O falce calante, qual mèsse di sogni
ondeggia a ‘l tuo mite chiarore qua giù!

Dic 11, 2011 - musica, Poesia    Commenti disabilitati su Aaron Copland Ed Emily Dickinson

Aaron Copland Ed Emily Dickinson

Ancora in celebrazione del compleanno di Emily (centottantuno anni ieri), ecco qui le prime quattro tra le dodici poesie dickinsoniane musicate dal compositore americano Aaron Copland.

Se vi piacciono, le altre si trovano qui.

Buona domenica.

Dic 9, 2011 - Poesia    Commenti disabilitati su Buon Compleanno, Emily

Buon Compleanno, Emily

emily dickinsonVi avevo detto, credo, che i tre quarti del mio pantheon letterario sono costituiti da gente nata in dicembre. Domani Emily Dickinson compirebbe 181 anni.

Celebriamo con una manciata di links dickinsoniani.

Qui trovate un ricco sito italiano dedicato a Emily: tutte le poesie con traduzione italiana a fronte di Giuseppe Ierolli, le lettere, i frammenti in prosa e una quantità di notizie accessorie e strumenti. Ottima risorsa.

Qui c’è la bella biografia sul sito di Poetry Foundation. Controllate anche la sezione Poems, Articles and More per una serie di articoli e letture, e non perdete questa poesia animata. Emily_Dickinson_'Wild_nights'_manuscript.jpg

Se vi piace ascoltare, qui c’è un buon numero di poesie lette da Laura Lee Parrotti.

Qui invece ci sono i Dickinson Digital Archives, una miniera di ogni bendidio di materiali dickinsoniani: lettere, documenti, risorse, critica…

E qui volevo segnalarvi un interessante progetto didattico italiano che, tra l’altro, associa la lettura delle poesie di Emily alla musica.

Che stiate festeggiando il ponte dell’Immacolata o meno – o che stiate ninnando come me la prima influenza della stagione – potreste far di peggio che concedervi, tra oggi e domani, una giornata poetica. O anche un pomeriggio, o un’ora, o dieci minuti per leggere qualche verso di questa straordinaria poetessa col dono dell’immagine folgorante.

Ago 31, 2011 - Poesia    6 Comments

Settembre, Andiamo…

Settembre arriva – domani. Ho sempre avuto un debole per settembre, mese di declino dorato e dolce. Sarà un po’ maudlin da parte mia, ma la malinconia della fine dell’estate, il senso di tramonto, il rinfrescarsi della sera, le ombre sempre più lunghe…

In letteratura e in poesia settembre compare spesso – e non potrebbe essere altrimenti, con le sue connotazioni di finalità, di declino, di cose perdute, di tempo che scorre, di presagi d’inverno? Per primo mi viene in mente il piccolo Hanno Buddenbrook, con la fine delle sue amatissime vacanze al mare, i frenetici e vani tentativi d’illudersi che ci sia ancora tempo prima di tornare al grigiore opprimente della vita scolastica. Chi da bambino, all’approssimarsi di settembre, non ha mai cercato d’ingannarsi con questo genere di calcoli?

E poi ci sono i poeti, che hanno ricamato su settembre in ogni genere di modo.

Cominciamo con D’Annunzio e i suoi Pastori transumanti, il rito antico e arioso incorniciato da quell’ultimo verso pieno di rimpianto:

Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natía
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral cammina
la greggia. Senza mutamento è l’aria.
il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquío, calpestío, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori?

Per Vittorio Sereni Settembre diventa un’agonia quieta e un nonnulla desolata, se non fosse per l’accettazione finale – o pensandoci bene: compresa l’accettazione finale.

Già l’olea fragrante nei giardini
d’amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia
d’aride cose,
di remi infranti, di reti strappate.
E il vento che illumina le vigne
già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una dubbiosa brulicante estate.

Nella morte già certa
cammineremo con più coraggio,
andremo a lento guado coi cani
nell’onda che rotola minuta.

Attilio Bertolucci invece dipinge un Settembre luminoso, fresco, dolce e così calmo da non avere nostalgie:

Chiaro cielo di settembre
illuminato e paziente
sugli alberi frondosi
sulle tegole rosse

fresca erba
su cui volano farfalle
come i pensieri d’amore
nei tuoi occhi

giorno che scorri
senza nostalgie
canoro giorno di settembre
che ti specchi nel mio calmo cuore.

Mentre Alfonso Gatto, che fin dal danzante titolo Arietta Settembrina sembra promettere un clima più lieve di altri, a partire dalla seonda strofa infila, uno per volta, dei sottili brividi più scuri – quasi a riprodurre la progressione del mese:

Ritornerà sul mare
la dolcezza dei venti
a schiuder le acque chiare
nel verde delle correnti.

AI porto, sul veliero
di carrubbe l’estate
imbruna, resta nero
il cane delle sassate.

S’addorme la campagna
di limoni e d’arena
nel canto che si lagna
monotono di pena.

Così prossima al mondo
dei gracili segni,
tu riposi nel fondo
della dolcezza che spegni.

Guido Gozzano, in questo scampolo de La Signorina Felicita, fa di settembre l’acquarello teneramente malinconico in cui ricordare la sua schiva innamorata campagnola. L’avvocato è qui che pensa a te, Felicita:

Pensa i bei giorni d’un autunno addietro,
Vill’Amarena a sommo dell’ascesa
coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa
dannata, e l’orto dal profumo tetro
di busso e i cocci innumeri di vetro
sulla cinta vetusta, alla difesa…

Vill’Amarena! Dolce la tua casa
in quella grande pace settembrina!
La tua casa che veste una cortina
di granoturco fino alla cimasa:
come una dama secentista, invasa
dal Tempo, che vestì da contadina.

Questa poesiola di Ettore Berni, settembrina in spirito se non in as many words, è un ricordo delle elementari, che  cito a memoria a trent’anni di distanza e con relativa precisione. Fu, credo, la mia introduzione all’idea di irreparabilità dello scorrere del tempo:

Dice al fanciul la rondine:

– Fa freddo, io me ne vo.

Al ritornar dei zeffiri,

amico, tornerò.

 

Dice la foglia all’albero:

– Fa freddo, io me ne vo.

Quando verran le rondini,

anch’io ritornerò.

 

E dice il tempo agli uomini:

– Ho fretta, me ne vo.

Gli uccelli e i fior ritornano;

io più non tornerò.

E che dite di un haiku di Soseki, adesso? Non specificamente settembrino – solo autunnale – ma badate alla sensazione di sopresa e di mutamento incombente:

Mentre mi lavo il viso,
nel catino si erge
l’ombra dell’autunno.

E adesso, come sapevate che avrei fatto, passiamo oltremanica e oltreoceano, cominciando con il gaio, coloratissimo September di Helen Hunt Jackson, che combina il più bel clima estivo con l’allegria autunnale – ma badate alle ultime due quartine:

The golden-rod is yellow;
The corn is turning brown;
The trees in apple orchards
With fruit are bending down.
 
The gentian’s bluest fringes
Are curling in the sun;
In dusty pods the milkweed
Its hidden silk has spun.
 
The sedges flaunt their harvest,
In every meadow nook;
And asters by the brook-side
Make asters in the brook.
 
From dewy lanes at morning
The grapes’ sweet odors rise;
At noon the roads all flutter
With yellow butterflies.
 
By all these lovely tokens
September days are here,
With summer’s best of weather,
And autumn’s best of cheer.
 
But none of all this beauty
Which floods the earth and air
Is unto me the secret
Which makes September fair.
 
‘T is a thing which I remember;
To name it thrills me yet:
One day of one September
I never can forget.

Tutt’altra faccenda è il September di Ted Hughes, che disegna l’estate come una stagione senza tempo: è solo con l’autunno che gli orologi riprendono a ticchettare:

We sit late, watching the dark slowly unfold:
No clock counts this.
When kisses are repeated and the arms hold
There is no telling where time is.

It is midsummer: the leaves hang big and still:
Behind the eye a star,
Under the silk of the wrist a sea, tell
Time is nowhere.

We stand; leaves have not timed the summer.
No clock now needs
Tell we have only what we remember:
Minutes uproaring with our heads

Like an unfortunate King’s and his Queen’s
When the senseless mob rules;
And quietly the trees casting their crowns
Into the pools.

E infine non poteva mancare la mia prediletta Emily Dickinson, con il suo September’s Baccalaureate, bozzetto di una stagione che, con nulla più che piccoli segni e refoli di brezza, insinua nell’animo umano una propensione alla malinconia:

September's Baccalaureate 
A combination is Of Crickets -- Crows -- and Retrospects
And a dissembling Breeze
That hints without assuming --
An Innuendo sear
That makes the Heart put up its Fun
And turn Philosopher.

Insomma è così che funziona: la spensieratezza estiva s’incrina e si macchia, noi ci ricordiamo che tutto finisce e ci poetiamo su. Ma se nel processo ci capita d’immalinconirci troppo, ci possiamo consolare con due versi di John Donne:

Né la primavera né la bellezza d’estate hanno la grazia
che ho visto sul viso dell’autunno.

Buon settembre!

Apr 15, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Non i miei dieci libri preferiti, ma dieci libri che sono davvero seccata di non avere scritto io. E’ diverso.

1) Lord Jim, di Joseph Conrad. Ma va’? direte voi. E’ una questione di potenza, di bellezza, d’intensità e di nitidezza. Nonostante la selva di narrazioni indirette, Conrad riesce a mettere tutto quanto in una prospettiva vertiginosa, centrata su un singolo errore del protagonista, conseguenza dopo conseguenza. Credo che potrei mentire, rubare, truffare e uccidere per saper fare questo…

2) History Play, di Rodney Bolt. Il più brillante, raffinato, intelligente e spiritoso gioco letterario che mi sia capitato di leggere – e ci sono pure cascata in pieno. Ci ho messo un bel po’ di pagine a capire che i dubbi su Shakespeare erano costruiti ad arte e che parte delle fonti erano immaginarie… e quando me ne sono accorta, ero talmente catturata dal gioco che non mi sono nemmeno seccata. Vorrei saper barare con tanta finezza e grazia.

3) Un Uomo Per Tutte Le Stagioni, di Robert Bolt*. Francamente non è che mi piaccia molto, e di sicuro non ho simpatia per Thomas More, ma accidenti, se vorrei saper mettere in scena dei personaggi storici (per tacere dell’occasionale figura allegorica) e farli parlare di ragion di stato, di Dio, di coscienza e di massimi sistemi con la plausibilità e naturalezza che a Bolt riesce così bene!

4) Poesie, di Emily Dickinson. Non scrivo poesia, ma quelle immagini che ti folgorano come un raggio di luce improvvisa e poi ti rimangono dentro, lustre e taglienti come gemme, chi è che non vorrebbe saperle mettere su carta?

5) Gli Ultimi Giorni di Costantinopoli, di Sir Steven Runciman. E’ rigorosissimo, ma si legge come un romanzo; è ricco e tumultuoso, e perfettamente chiaro al tempo stesso; e fa sperare, gioire e soffrire con i difensori, anche se sappiamo tutti benissimo come va a finire. Storia scritta al livello più entusiasmante.

6) Un libro qualsiasi di Gerald Durrel. Con la possibile eccezione di Storie Dal Mio Zoo, che posso accettare serenamente di non avere scritto io, sono tutti piccoli capolavori di humour leggermente surreale, memorie famigliari, viaggi e divulgazione scientifica, frullati con un’apparenza di disinvoltura noncurante che è tutta la mia invidia.

7) Kipling, di Renato Serra. Un gioiello di critica letteraria per profondità, intuizione, spessore, entusiasmo contagioso e bellezza della scrittura. E’ semplicemente impossibile non lasciarsi trascinare da Serra.

8) Annibale, di Gianni Granzotto. Letto e riletto così tante volte che la copertina si sta sbriciolando: una combinazione perfetta ed appassionante di rigore storico, capacità divulgativa e adesione profonda al personaggio, con l’occasionale speculazione intelligente.

9) La Figlia Del Tempo, di Josephine Tey. Già il fatto di dare ritmo a un giallo in cui l’investigatore è a letto con una vertebra fratturata non è impresa da poco. Qualora non bastasse, il giallo diventa una meravigliosa riflessione sulla storia e sulla verità, ed è anche condito di dialoghi scintillanti. Molto vicino alla mia idea di perfezione, grazie.

10) Il Pozzo Delle Trame Perdute, di Jasper fforde. Magari la trama non è la più tesa e compatta fra le avventure di Thursday Next ma, per una volta, non m’importa: è alla meravigliosa burocrazia del mondo dei libri, agli artigiani che producono pezzi di ricambio per i romanzi, al Gatto del Cheshire bibliotecario e a tutto questo splendore d’invenzioni metaletterarie che vorrei avere pensato io!

E poi, a dire il vero, è dura fermarsi qui**. La scelta non è stata facile: sono molti i libri che ammiro, e l’elenco si allunga continuamente (cosa che prendo per un buon segno). Però questa lista è già indicativa di quello che voglio non solo da quello che leggo, ma da me stessa quando scrivo. A giudicare dai titoli qui sopra, direi che intensità, idee, rigore, vividezza e personaggi che non si dimenticano sono sul menu, con un po’ di nonsense per dessert.

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* Non avevo mai fatto caso all’omonimia con l’autore precedente. Non so se ci sia parentela.

** Tant’è vero che debbo citarne almeno un altro: Jonathan Strange e il Signor Norrel, di Susanna Clarke, non foss’altro che per la brillante idea dei maghi inglesi che confondono le idee alle truppe napoleoniche spostando a destra e a manca strade, fiumi e villaggi di Spagna!