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Ott 23, 2010 - scribblemania, teatro    Commenti disabilitati su Non sapevo che scrivessi per l’infanzia…

Non sapevo che scrivessi per l’infanzia…

BibiPiegh3.jpgIl titolo del post è qualcosa che mi sento ripetere spesso ultimamente – in pratica, ogni volta che accenno al debutto di Bibi e il Re degli Elefanti.

Non vi eravate dimenticati di Bibi, vero? Stasera alle 6, a Gonzaga (MN), presso l’Arena Spettacoli della Fiera Millenaria. Sono in fibrillazione. Non ho mai visto le prove, ho avuto contatti sporadicissimi con la prim’attrice, solo un po’ più frequenti con la costumista (costumista di lusso: nientemeno che Francesca Campogalliani, presidente dell’Accademia teatrale omonima), ho lo stomaco pieno di farfalle e la sensazione che le 6 di stasera non arriveranno mai.

Ma non è questo il punto. Il punto è che più di una persona ha reagito levando le sopracciglia e dicendo, con variabili gradi d’incredulità: Non sapevo che scrivessi per l’infanzia…

Tendo a rispondere che non lo sapevo nemmeno io, perché è il genere di risposte che si dà, e perché Bibi è nato in modo bizzarro, a metà via tra una commissione e una scommessa, per poi catturarmi completamente mano a mano che procedevo. Tra l’altro, è una storia contemporanea, giusto? Non mi si può più accusare di non scrivere mai nulla di contemporaneo – ma non divaghiamo.

Il fatto è che qualche volta, lo confesso, scrivo per l’infanzia. Ci sono le fiabe che ho scritto per la Scuola Materna Farinelli, c’è Bibi e il Re degli Elefanti, e poi adesso ho un adorabile figlioccio, per il quale ho cominciato a scrivere storie.

E’ una strana esperienza, scrivere per i bambini. Il linguaggio, il tono, i colori – è tutto diverso. Avevo editato storie per bambini, e quindi me n’ero occupata non solo da lettrice, ma scriverne ha richiesto una serie di affascinanti esercizi: bisogna ricordarsi molto bene della bambina che si era, e scrivere per lei senza dimenticarsi che sono passati decenni tra quella bambina e i piccoli lettori odierni. Bisogna ritrovare il senso di magia che si vedeva racchiuso nelle storie – non necessariamente nelle favole, ma nel fatto che pagine bianche e parole nere contenessero ogni possibile genere di personaggi, posti e vicende. E al tempo stesso…

Maria Rosaria Berardi, un’autrice per fanciulli del tutto fuori moda, chiudeva una sua Nota dell’Autore augurandosi che il suo romanzo piacesse ai piccoli lettori. “E se vi piacerà, sarà perché avrò saputo scriverlo tenendo gli occhi fissi al lumicino che brilla laggiù, dietro i cancelli chiusi del giardino incantato della mia infanzia.”

Linguaggio sentimentale e un po’ fané, mi rendo conto, ma il concetto mi piace ancora. Ci sono dei cancelli chiusi, tra me e i miei otto anni – l’età della mia protagonista Bibi, l’età dei miei piccoli spettatori – ma da questa distanza, il mio mestiere è recuperare il senso d’incanto di allora e trasmetterne almeno la luce e il gusto a un’altra generazione di bambini.

Fra qualche ora saprò se ci sono riuscita – almeno un po’ – per questa volta.  

 

Set 28, 2010 - teatro    3 Comments

Bibi e il Re degli Elefanti

Se volete, posso anche ammettere che, quando parlavo di compagni immaginari, non lo facevo del tutto senza secondi fini…

Gli scrittori sono gente pessima, vero? Ma il fatto è che, ormai in dirittura d’arrivo, c’è questo:

Piegh1.jpg

La storia narrata in Bibi e il Re degli Elefanti è stata desiderata, discussa e sognata ben prima di arrivare sulla carta e sul palcoscenico.

Da sempre credo fermamente nel potere dell’immaginazione che – come gli Inglesi dicono a proposito di una buona tazza di tè – forse non cura nulla, ma di certo giova a tutto, dalla malinconia alla peste nera, passando per l’unghia incarnita e le pene d’amore.

L’idea di Bibi e del suo elefante immaginario è nata discutendo questa teoria con il Professor Zamboni, pediatra acuto e sensibile, cui premeva una storia che raccontasse di malattia e di speranza. L’associazione tra la speranza e l’immaginazione – e ancor più tra l’immaginazione e quella forza di affrontare la difficoltà che genera e sostiene la speranza – è stata per me immediata e istintiva. E se qualche riluttanza mi frenava dallo scrivere in un campo delicato come quello dell’infanzia, la storia che germogliava via via da questi stimoli ha travolto le mie resistenze: nati da un incontro di pensiero e istinto, di memorie e di concetto, Bibi, Bogus e Giovanna la Pulzella chiedevano con insistenza di essere scritti.

Secondo gli studi recenti in materia, i due terzi dei bambini si creano dei compagni immaginari: amici fedeli e rassicuranti da cui ricevere appoggio, complicità e conforto, punti di riferimento all’interno di dimensioni psicologiche chiuse o perdute per gli adulti. Mi sono chiesta quanto più acuto debba essere il bisogno di queste “presenze” – così diffuso tra i bambini sani e felici – per un bambino che si sente derubato della sua infanzia e, forse, tradito dall’impotenza degli adulti di fronte al nemico invisibile chiamato malattia. Bogus e Giovanna non simboleggiano, come teme la mamma di Bibi, una fuga dalla realtà: rappresentano invece la forza interiore dell’individuo, la costruzione di un carattere e la ricerca di una bussola morale. Nei suoi compagni immaginari, senza saperlo, Bibi costruisce non soltanto la sicurezza di cui ha bisogno e un elemento magico che trasfigura la sua situazione, ma anche un senso di ciò che è giusto e sbagliato. Nel momento del bisogno, della sofferenza e dell’incertezza, in Bogus e Giovanna – ovvero nel dialogo con se stessa – Bibi trova coraggio, speranza, bellezza, perseveranza e principi: in una parola, cresce.

La dimensione teatrale restituisce alla vicenda di un piccolo essere umano che sboccia in circostanze dolorose il sogno e la magia sospesa di una favola vista con occhi bambini.