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Gen 22, 2018 - scrittura, Utter Serendipity, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su The Name Game

The Name Game

whatnameVi è mai capitato di faticare a dare un nome a un personaggio – e, in mancanza del nome giusto, di faticare a caratterizzarlo come si deve? O, on the other hand, di vedere un nome perfetto e di immaginarci attorno una storia? A me entrambe le cose, ripetutamente.

Forse vi ho già detto della mia ossessioncella per i nomi: sono di quelle persone che al cinema restano sedute durante i titoli di coda per amore delle liste di nomi, ho molto solidarizzato con il recente Dickens cinematografico che annota i nomi interessanti sul taccuino nel corso delle conversazioni, e l’ultima volta che sono stata a Londra mi hanno guardata malissimo perché, al Temple, fotografavo le liste degli avvocati accanto alle porte delle varie chambers… E questo è il motivo per cui, per un certo numero di anni, ho annotato diligentemente nomi presi dalla cartella spam. Sapete, quei messaggi che offrono… oh, non so, di tutto: dal metodo infallibile per guadagnare un milione di dollari in 72 ore, ai fitomedicinali canadesi; da un’eredità ricevuta in Africa, alle miracolose bacche dimagranti… appunto, di tutto. E, detto tra parentesi, già su quello ci sarebbe da riflettere: chi è la gente che si lascia ammaliare da queste cose? Soggetto per una storia, non c’è dubbio… ma non divaghiamo. I nomi, dicevo. Ebbene, qualche anno fa quelle mail arrivavano da mittenti fittizi provvisti di nome e cognome – e non dico che avrei battezzato i miei personaggi nelle acque limacciose dello spam, ma ammettiamolo: c’erano un sacco di nomi con cui giocare. E vi sto raccontando tutto ciò perché, mentre cercavo tutt’altro, mi è capitato in mano il quaderno con le liste in questione – e rivederle e volerci giocare è stato tutt’uno. Giocare a cosa? Well, per esempio, ad abbozzare un personaggio…

NamePNPatricia Nielsen, per esempio, è una ricercatrice universitaria, per la precisione un’entomologa (ugh!), con una passione per i viaggi avventurosi. Una di quelle persone che leggono Bruce Chatwin e portano i capelli raccolti a coda di cavallo. E anche una di quelle persone che si ritrovano coinvolte in misteri e ricerche in compagnia di improbabili estranei.

NameBDBarry Dean, invece, è stato un divo radiofonico negli Anni Cinquanta. Naturalmente è un nome d’arte, quello con cui ha interpretato il protagonista di una soap opera che teneva incollate alla radio milioni di casalinghe americane. In seguito ha tentato il teatro, ma non è andata molto bene. Il cinema… nemmeno a parlarne, perché vedete: Barry ha una voce d’oro, ma ha l’aria più incolore e ordinaria che si possa immaginare.

nameFSE Francis Staples? Oh, lui è un impiegato della East India Company a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. Viene da una vecchia famiglia di mercanti caduta in disgrazia, ed è molto impaziente delle sue circostanze. Essendo irrequieto e dotato di troppa immaginazione, credo proprio che s’inguaierà quando il Parlamento tenterà di arginare lo strapotere della Compagnia… Spionaggio commercial-politico nella City di Londra, per Francis.

Insomma, non si tratta di cercare ispirazione: solo di abituarsi a costruire circostanze, gente e trame. Oltre ad essere divertente, è un buon esercizio. E se poi, per caso si dovesse trovare anche qualche nome perfetto, tanto di guadagnato.

Intanto, giochiamo, o Lettori: chi è Sabina Merton?

Ago 26, 2016 - gente che scrive    Commenti disabilitati su Ritratti Per Iscritto – E Altri Disastri

Ritratti Per Iscritto – E Altri Disastri

Credo che uno dei modi più efficaci e sicuri di mandare al naufragio vecchie amicizie e inacidire rapporti famigliari sia ritrarre qualcuno per iscritto.

charlotte brontë, jane eyre, shirley, elizabeth gaskell, juliet barker, george richmondPerché in teoria l’idea di ritrovarsi in un romanzo può sembrare lusinghiera, ma in pratica nessun personaggio è sospeso nel vuoto e lo scrittore medio ha questa sciagurata tendenza a modellare i suoi ritratti sulle necessità narrative. Prendere con equanimità le proprie caratteristiche e intenzioni ritagliate per accomodare il gioco di contrappesi e funzioni all’interno di un romanzo è un esercizio che richiede sense of humour e sicurezza di sé in dosi industriali. Dosi non diffusissime, a quanto pare, nell’Inghilterra di Charlotte Brontë…

Ma d’altra parte, possiamo anche dire che Charlotte (di cui, tra parentesi, quest’anno ricorre il bicentenario della nascita) possedeva un talento raro per questo genere d’incidenti – un talento coltivato per tutta la sua carriera di scrittrice con una pervicacia che dà davvero da pensare.

All’inizio probabilmente era una combinazione di candore e fiducia malriposta negli pseudonimi. Sapete che Jane Eyre vide la luce sotto lo pseudonimo semi-maschile di Currer Bell, e per qualche tempo i critici scandalizzati attribuirono il tutto a qualche ineducato giovanotto del nord, magari un operaio con notions above his station.

Poi un giorno la servetta di casa Brontë se ne arrivò paonazza e scombussolata, con la notizia che il villaggio era in tumulto, scosso dalla notizia che Miss Charlotte su alla canonica aveva scritto Jane Eyre!

Charlotte cadde nel panico – e non aveva tutti i torti. All’improvviso parecchia gente di Haworth, Keighley e dintorni si scoprì con scarso divertimento tra le pagine del libro, per non parlare della scuola di Cowan Bridge, ritratta in modo assai men che lusinghiero sotto il nome di Lowood School. Fu un mezzo scandalo, seppur di portata locale. Saluti tolti, chiacchiere, lettere furibonde… tutte cose che Charlotte non era fatta per ignorare allegramente.

Verrebbe da pensare che dovesse imparare la lezione – e invece no. charlotte brontë, jane eyre, shirley, elizabeth gaskell, william thackeray, juliet barker, george richmond

In realtà, la dedica della seconda edizione di JE fu senz’altro un incidente, ma bastò a surgelare sul nascere la sua nuova amicizia con William Thackeray. Thackeray, scrittore che Charlotte ammirava enormemente, aveva fatto del suo meglio per introdurre in società la timidissima nuova stella letteraria. Il successo era stato men che moderato, ma Charlotte era grata – e per dimostrarlo gli dedicò la seconda edizione di JE.

Peccato che anche Thackeray avesse una moglie pazza e rinchiusa – come Bertha Mason, se si esclude il fatto che tutta Londra lo sapeva. E tutta Londra pensò che Charlotte si fosse ispirata a Mrs. Thackeray per Bertha. E poi tutta Londra, con una certa dose di malignità, fece qualche genere di duepiùdue: ma allora, se Thackeray era Mr. Rochester, e Charlotte era Jane…

Ops.

Imbarazzo sesquipedale per tutti quanti, nonché raffreddamento artico dei rapporti con il dedicatario e la sua famiglia. E se è vero che Charlotte poteva non saperne nulla, viene da domandarsi a che cosa pensasse il suo editore George Smith, quando le permise di aggiungere la dedica senza spiegarle perché non era una buona idea…

Ma forse Charlotte era più tetragona di quanto pensiamo, perché due anni dopo, con Shirley, rieccola lì a recidivare. Probabilmente, se non fosse morta durante la stesura, Emily non avrebbe avuto nulla da ridire sull’adorante ritratto idealizzato che Charlotte le aveva dedicato nella protagonista – anche se, trattandosi di Emily, non si sa mai… Chi ci rimase male fu l’amica d’infanzia Mary Taylor, al cui padre era ispirato l’industriale Hiram Yorke. Né si divertirono particolarmente i curati dei dintorni, satirizzati con velenosa sottigliezza sotto il trasparentissimo velo di un cambio di nomi.

charlotte brontë, jane eyre, shirley, elizabeth gaskell, william thackeray, juliet barker, george richmondNon è dato sapere che cosa pensasse di tutto ciò il più scritto e riscritto tra i modelli di Charlotte, l’adorato e immancabile professore belga Constantin Héger. Se Mr. Rochester è un incrocio tra l’eroe gondaliano Zamorna e qualche tratto hegeriano, Louis Moore, William Crimsworth e Paul Emmanuel sono tutti ritratti – da poco a pochissimo adulterati, mano a mano che Charlotte matura oltre la necessità di avere un protagonista maschile bello.

In Villette, poi, la faccenda torna ad assumere proporzioni altamente imbarazzanti. C’è un professore belga piccoletto, fiammeggiante e carismatico – Héger to a tee. Poi c’è la direttrice della scuola, una donna fascinosa e intrigante, decisa a tenere per sé il professore, che pure è innamorato dell’Inglesina autobiografica – e questa è la moglie di Héger, trasformata in strega cattiva. E poi c’è il giovane e bel medico inglese di cui l’Inglesina crede di infatuarsi per un po’ – e qui torna in scena George Smith, il giovane e bell’editore di Charlotte, più che un po’ preso della sua autrice. Forse vi ho già raccontato di come Smith seguisse con trepidazione la stesura di Villette, raccomandando caldamente di far convolare la protagonista e il dottore. E Charlotte? Charlotte tenne il povero Smith sulla corda per mesi, con una serie di lettere che erano capolavori di finta-falsa-timidezza, e con un’abbondanza di tormenti psicologici e ripensamenti della protagonista Lucy Snowe. Poi alla fine mandò il dottore all’altare con un’altra fanciulla di carta, non prima di avere dato a Lucy ottime ragioni per rimanere fedele al (forse defunto) professor Emmanuel.charlotte brontë, jane eyre, shirley, elizabeth gaskell, william thackeray, juliet barker, george richmond

E francamente non si stenta a capire perché Smith ci rimanesse men che bene. Chissà se fosse una vendetta per l’incidente Thackeray… Di sicuro, se non era una vendetta deliberata, era una nemesi poetica piuttosto feroce: Smith aveva lasciato che Charlotte s’imbarazzasse pubblicamente per iscritto con Thackeray, ed eccolo rifiutato nella più pubblica delle maniere e presentato a legioni di lettori come un giovanotto fascinoso ma, alla fin fine, egocentrico e fatuo…

E in realtà, agli occhi di noi posteri lettori di biografie, non ne esce troppo bene nemmeno Charlotte, con la sua ossessione più che decennale, a meta strada tra la mania e lo stalking. E davvero, sarebbe interessante sapere che cosa ne pensassero gli Héger, marito e moglie.

charlotte brontë, jane eyre, shirley, elizabeth gaskell, william thackeray, juliet barker, george richmondComunque, alla fin fine, Charlotte si liberò dei suoi fantasmi belgi – almeno quanto bastava per sposarsi. È bizzarro pensare che lo sposo, Arthur Bell Nichols, curato del reverendo Brontë, era stato forse l’unico personaggio ritratto in Shirley a non prendersela affatto. Anzi, si riportano storie di stentoree risate provenienti dalla sua stanza durante la lettura dei capitoli sui curati… E magari è una di quelle leggende brontiane fiorite grazie alla biografia fantasiosa di Mrs. Gaskell, ma mi piace pensare che sia vero, e che Nichols avesse quella sicurezza e quel sense of humour di cui dicevamo prima.

Forse era quello che ci voleva per sposare una creatura complicata come Charlotte Brontë.

E voi, o Lettori? Scrivete “dal vivo”? E vi piace(rebbe) essere ritratti per iscritto?

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Gen 15, 2016 - grilloleggente, scrittura, teatro    3 Comments

Nemmeno Una Donna

silhouette-woman-draftingHo ricevuto domande a proposito della nota a questo post, e al docente americano che si stupì perché “non scrivevo personaggi femminili”…

Spiego. C’era questo corso di scrittura teatrale, e l’idea era che facessimo pratica ed esercizio scrivendo un 10-minute-play, ovvero un atto unico in miniatura della durata di dieci minuti è giù di lì. È un genere più diffuso e praticato di quanto noi si possa credere – nel senso che Oltre l’Acqua* queste robine tascabili non sono solo per esercizio, ma arrivano in scena, hanno concorsi dedicati e generalmente riscuotono molto apprezzamento. E non a torto, perché scriverle bene, le robine tascabili, non è per niente facile.

Ad ogni modo, tornando a noi e al corso, venne il momento di sottoporre al docente la prima pagina. Nella mia prima pagina entravano in scena due giornalisti anni Trenta – il direttore di un quotidiano e il suo redattore capo. Ora non starò a dire che la pagina fosse un granché, perché non lo era. Il docente mi fece qualche osservazione sensata – ma quello che lo perplimeva e stupiva più di tutto era che, essendo io una donna, avessi scelto due protagonisti maschili e nemmeno una donna. Silhouette-teacher

Gli chiesi lumi. Trovava forse che i due fossero poco convincenti? Scritti male? Non adatti al contesto? Inefficaci, blandi o che altro? No, fu la risposta, per niente – però erano due uomini, e io una donna.

Feci notare che negli Anni Trenta le direttrici di quotidiani erano pochine – così come le redattrici capo – e mi sentii dire che non era quello il punto. Né costui mi disse, come avrebbe potuto fare con qualche ragione, che oggidì la Protagonista Forte tira moltissimo a teatro come nei romanzi – ma nemmeno questo era il punto. Il punto era, evidentemente, che secondo il mio docente le donne dovrebbero scrivere donne.

silhouette-manE badate bene, non sto facendo del femminismo spicciolo. Mi irriterebbe altrettanto sentir dire (o implicare) che gli uomini devono scrivere uomini. Perché allora, seguendo questa logica, che deve fare il povero scribacchino di fronte a un’ambientazione che gli preclude personaggi del suo stesso sesso? Bryher non avrebbe mai dovuto scrivere The Player’s Boy perché nei teatri elisabettiani non c’erano donne? E Bernanos&Poulenc** avrebbero fatto meglio a lasciare Les Dialogues des Carmelites a delle colleghe? Insomma, se una storia ha/deve avere, richiede/mi pare più adatta ad avere/mi piace di più se ha dei protagonisti maschili, allora non è una storia che dovrei scegliere di scrivere? Che non dovrei voler scrivere? E questo perché non è quel che ci si aspetta, perché ci sono dubbi congeniti sulla mia capacità di scrivere uomini convincenti, perché fa di me una donna stramba?

Come che sia, la trovo un’applicazione molto letterale, molto miope e più che un po’ deprimente del sopravvalutato (e spesso male interpretato) adagio “Scrivi ciò che sai”. E questa, tutto sommato, è ancora la migliore delle ipotesi – perché otherwise si tratta di un discorso terribilmente sessista.

Capite perché quel corso non mi piacque molto?

 

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* Abbiate pazienza, devo ancora smaltire un lieve mood giacobita…

** Presumo che, se vale per gli scrittori di parole, valga anche per quelli di note?

Ago 29, 2014 - Vitarelle e Rotelle    4 Comments

Compagnia Di Repertorio

Che sembra – ma non è – un altro post sul teatro. Almeno non del tutto. In realtà parliamo di scrittura in generale, e cominciamo con Gore Vidal. Gore Vidal diceva che…

“Ogni scrittore nasce con una compagnia di repertorio in mente. Shakespeare ne ha una ventina, Tennessee Williams più o meno cinque, e Samuel Becket uno – e un possibile clone di quell’uno. […] L’abilità nell’assegnare i ruoli è qualcosa che migliora con la maturità.”*

Immagine1Non so voi, ma personalmente la trovo un’idea meravigliosa – per le implicazioni teatrali (tutta la narrativa è teatro e lo scrittore diventa anche regista…) e per la faccenda in sé: non personaggi ricorrenti, badate, ma tipi di personaggi. Ruoli. Archetipi personali, se volete, che naturalmente dipendono dalle intenzioni, dai temi prediletti, dal gusto, dalla formazione, dalle paure, dai desideri e dalle ossessioni dell’autore – ma anche dal genere in cui scrive e dal contesto storico, letterario e culturale in cui legge, pensa, lavora.

Gente che ritorna.

La fanciulla preternaturalmente perfetta di Dickens, memoria della defunta cognata Mary Hograth, ripetut(issim)amente idealizzata nelle varie Nell, Rose, Emma, Florence, e con lei l’Orfanello/a, il Padre Inutile, il Giovane di Belle Speranze Intralciato dai Postumi di un’Infanzia Infelice, l’Amico Inaffidabile… Poi c’è l’ambizioso di umili origini, inarrestabile e amorale, di Marlowe, combinazione di autoritratto e wishful thinking. Il marinaio sradicato e inquieto di Conrad, sempre affiancato da una donna che cerca di ancorarlo a sé e da un amico-mentore-figura semipaterna.  Il byroniano bello, spregiudicato e tragico della giovane Charlotte Brontë, cui fanno da contrappunto da un lato il professore spigoloso e intelligente modellato sul suo amore impossibile, e dall’altro l’essenziale mascalzone che occupa sempre il centro nelle storie di suo fratello Branwell…

Col che non voglio dire che tutti costoro scrivano sempre la stessa storia o lo stesso personaggio – anzi. Guardate Tamerlano, Barabbas e Faustus: sono personaggi molto diversi tra loro, ma incarnano diversamente un certo tipo di preoccupazioni, una certa visione dell’umanità, un certo attrito con un ambito sociale e culturale. Una voce. E se cito Marlowe non è perché Marlowe sia una mia ossessione… Oh, d’accordo – anche per quello, ma il fatto è che Marlowe è perfetto per illustrare il tema, perché è meno condizionato di altri dalle convenzioni di genere, e perché i tre personaggi in questione furono interpretati per la prima volta dallo stesso attore – Edward Alleyn – in un elegante parallelismo tra metafora e realtà. 55105408

Il fatto che Shakespeare invece di questi “attori” ne abbia a decine, ce lo fa immaginare meno ossessionato da se stesso e dalla sua vita, più interessato di altri all’osservazione dell’umanità at large. Una compagnia talmente numerosa e variegata che l’autore sparisce e si confonde tra i suoi attori…

Così adesso ho deciso di mettermi a fare un piccolo inventario, e vedere chi ho nei camerini del mio teatro immaginario. Chi è che mando in scena e come. Magari ne parleremo. E intanto, ditemi, o Lettori: da chi è costituita la vostra compagnia di repertorio?

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* E a dire il vero mi è capitato d’incontrare anche un’altra versione, in cui gli “attori” di Shakespeare sono ben cinquanta, e ad averne uno solo è Hemingway… sospetto che sia inaccurata, ma la cito lo stesso, seppure in nota, perché mi piace la parte su Hemingway.

Feb 26, 2011 - grillopensante    Commenti disabilitati su Troppo Zelo E Altri Tronchi Sui Binari

Troppo Zelo E Altri Tronchi Sui Binari

Non vorrei mai azzardare paragoni tra Virgilio e Anthony Hope – lèse majesté!! – e poi, se non fosse morto prima di poter rifinire l’Eneide a suo piacimento, forse Virgilio avrebbe modificato qualcosa, ma resta il fatto che Enea/Turno ha tutta l’aria di un caso massiccio di deragliamento delle intenzioni autoriali. A livello di Rassendyl/Rupert nel Prigioniero di Zenda, anzi peggio.

Bd-Aeneas.jpgPeggio, perché nell’Eneide Virgilio racconta il mito della nascita di Roma, ed è logico che Enea incarni programmaticamente tutte le virtù più romane (pietas in prima fila). Per di più, il nostro eroe eredita anche le personali convinzioni filosofiche del suo autore, praticando il sereno distacco e il rifiuto delle passioni violente predicati da Epicuro. Virgilio si è impegnato molto nel rendere Enea un paradigma di obbedienza agli dei, un campione di tutte le più nobili virtù e un esecutore delle magnifiche sorti e progressive di Roma…

Si è impegnato tanto che il risultato è proprio questo: un paradigma. Nella sua gelida e virtuosa perfezione, Enea manca di un tratto fondamentale per un personaggio: la personalità. Che cosa vuole personalmente? Che cosa è diposto a fare per averlo? Che cosa fa davvero? Che cosa impara prima della fine? Come cambia? Tutte domande senza risposta, perché Enea non possiede esigenze drammatiche – è trascinato dal volere del fato e basta.Turno.jpg

Per contro, l’antagonista Turno, il giovane re dei Rutuli cui Enea toglie la fidanzata Lavinia – per poi ucciderlo in duello (con la collaborazione di mezzo Olimpo) alla fine del Libro XII, è una figura a tutto tondo. Turno è pieno di difetti: impulsivo, sfrenato, arrogante – ma Virgilio esce di strada continuamente per mostrarci che non ha tutti i torti neanche lui, che è tanto giovane, innamorato di Lavinia, pieno di risentimento, e tutt’altro che indegno a sua volta. Turno ci viene presentato come un giovanotto di nobili istinti, coraggiosissimo e abile, amato dai suoi sudditi, fiero, onorevole, eloquente quando serve, leale. E’ anche violento e occasionalmente crudele, ma poi la sua sicurezza si frantuma alla fine, davanti all’evidenza che Enea, con tutto l’aiuto divino di cui può disporre, non può essere sconfitto in nessun modo. Nondimeno, Turno non si sottrae al suo destino e affronta il duello fatale con la malinconica certezza di non uscirne vivo.

A_5th_Century_Portrait_of_Virgil.jpgInsomma, si ha l’impressione che Virgilio si sia lasciato prendere la mano. Lo zelo programmatico nei confronti della perfezione di Enea forse lo ha tradito, e l’eroe eponimo, fatale e filosofico, gli è riuscito un tantino bidimensionale. L’antagonista – che incarna il disordine e la dissennata ribellione contro il destino (di Roma in particolare) – gli è riuscito meglio, più sfaccettato, più complesso, più… non c’è niente da fare: più simpatico. Chi ha letto l’Eneide senza dispiacersi per Turno alzi la mano.

Il che ci conduce a una conclusione: è pericoloso fare di un personaggio una figura simbolica di una causa o di un credo che ci stanno a cuore. Presi dall’ansia dimostrativa, non osiamo aggiungere ombre per timore di appannare la nostra tesi, ma un personaggio senza ombre, senza dubbi e senza difetti diventa uno zelota. E’ difficile affezionarsi agli zeloti – anche agli zeloti rassegnati, come nel caso di Enea. E la storia ne soffre.

Apparentemente, il sereno distacco non è facile da praticare in poesia. Nemmeno quando ci si chiama Virgilio.