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Ago 17, 2011 - angurie    1 Comment

Dell’Arte Della Conversazione

Sessione di nordic walking preserale con F. e L.

(Argine del Mincio, tardo meriggio estivo – tutto è azzurro, verde e d’oro.)

F. “Ti faccio notare, L., che la Clarina non trascina i bastoncini.”

L. (serenamente cool) “E io invece li trascino. Ma d’altra parte, la Clarina non spinge abbastanza indietro le braccia. Come ti dico spesso, F., ciascuno ha il proprio Cyrano de Bergerac.

La Clarina (drizza le orecchie) “Ciascuno ha il suo…?”

L. “Ciascuno ha il suo Cyrano. Il suo piccolo difetto, la sua debolezza, la sua imperferzione.”

La Clarina “Bello, bello, bello, bello. Mi piace. Posso usarlo?”

L. (serenamente cool) “Ragazza, la cultura non appartiene a nessuno in particolare. La cultura è di chi la usa.”

F. “Ok, qui comincia a esserci un po’ troppa roba. Io vado avanti. Avvertitemi quando avete finito…” (finge di camminare via)

La Clarina “Sì, ma siccome certi usi originali della cultura intitolano i loro creatori alla proprietà intellettuale, prima di usare chiedo…”

L. (ci pensa un attimo) “Giusto. Ma puoi usare.”

La Clarina (rimuginando un post) “Humble thanks.”

F. “Ehi! Posso tornare?”


(Mezzo miglio più avanti)


F. “La mia versione preferita del Cyrano è quella con Depardieu.”

L. “A me Depardieu non piace mica tanto.”

La Clarina “Nemmeno a me, ma nel Cyrano è un’altra cosa. Ruolo di una vita e tutto quanto.”

F. “No, piano: i ruoli di una vita di Depardieu secondo me sono tre. Cyrano, Olmo in Novecento e la pubblicità della pasta, quando dice Mais oui, tango cuooore italiaaano.”

La Clarina: Sìììì! Vero! Vero! Vero!

L. (un po’ meno serenamente cool di prima) “Donne! Ci ragioni una serata e non ti ninnano neanche. Dici Mais Oui, tango cuooore italiaaaaano e ci cascano…

La Clarina “Dovresti provare a ragionarci una serata con l’accento francese.”

F. “E magari aggiungerci un piatto di spaghetti.”


(Un altro mezzo miglio più avanti)

 

F. “Clarina, stai tenendo la spalla sinistra più bassa dell’altra.”

La Clarina “Lo so… lo faccio sempre, alas…”

L. “Io tiro su il braccio sinistro più del braccio destro.”

La Clarina “Si direbbe che, oltre a un Cyrano, tutti abbiamo anche un Riccardo III?”

F. “Sapete, sarà meglio che voi due limitiate l’esposizione reciproca.”

(Cue: musica epica mentre i nostri tre eroi camminano nordicamente verso il tramonto…)

 

 

nordic walking, cyrano de bergerac, riccardo terzo

Nov 12, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su 12 Titoli Che Mi Fanno Sospirare

12 Titoli Che Mi Fanno Sospirare

Si parlava di titoli, ricordate? Sono dell’idea che un titolo azzeccato possa contribuire non poco alle fortune di un libro, ma di certo un titolo infelice affossa qualsiasi cosa. Ci sono favolosi titoli – decisamente migliori del libro a cui sono appiccicati, che restano in mente secoli dopo che avete dimenticato il titolo del libro, o addirittura il libro non lo avete letto affatto, ma il titolo è talmente bello che vi rodete le mani per non averci pensato per primi…

Quali sono i vostri titoli preferiti? Non i titoli dei vostri libri preferiti, badate bene: solo i titoli.

Ecco i miei, confinandomi ai romanzi e in ordine assolutamente sparso:

* Per Favore Non Mangiate Le Margherite – anche se forse non è proprio quello che si dice un romanzo. Di Jean Kerr – un’autrice teatrale americana degli Anni Cinquanta e seguenti. Forse vi ricorderete non tanto di lei, quanto del film con Doris Day e David Niven tratto da questo libro – e potrei sbagliarmi, ma mi sa che ci fosse anche una serie televisiva. Ad ogni modo, è un titolo irresistibilmente nonsense.

* La Luna E I Falò – Pavese, e qui siamo al discorso che si diceva: non è che il libro sia nella mia lista dei Memorabili, ma evoca immagini notturne, luci che si mescolano, crepitare di fiamme, sentore di fumo e di rugiada… e sarà meglio che mi fermi qui, ma ci siamo capiti. 

* Il Vento Tra I Salici – Kenneth Grahame e idem come sopra. Evocativo, poetico, delicato, serotino. L’originale The Wind in the Willows ha il beneficio aggiuntivo dell’allitterazione, ma persino in traduzione suona proprio bene.

* Col Ferro E Col Fuoco – cambiamo genere del tutto con un Sienkiewicz meno conosciuto*. Titolone epico e cadenzato che suona come un verso senario (ancor più nell’originale polacco Ogniem i mieczem). Il super editor americano Sol Stein consiglia di strologarsi un titolo originale, memorabile, con un duplice strato di significato e magari in forma di pentametro iambico, e scherza solo in parte: ritmo e facilità di pronuncia rendono il titolo più facile da ricordare. Quando poi, come qui, si utilizza un modo di dire assurto a figura retorica, direi che si è fatto centro.

* I Tamburi Della Pioggia – vedi sopra, tutto sommato, ma un pizzico più inconsueto. E’ un’ottima cosa quando il titolo risveglia la curiosità del lettore. Che poi si tratti anche di un particolare cruciale della storia lo si scoprirà leggendo: decorativo, attraente e significativo.

* Musica In Una Lingua Straniera – di Crumey. Qui siamo sul sofisticato-cerebrale. Il senso emergerà leggendo, ma intanto questo apparente sfasamento di significato è interessante di per sé. “Ma come? Non si dice sempre che la musica è il linguaggio universale?” Appunto. Procedimento contrario, se vogliamo, a quello di Sienkiewicz.

* Cento Colpi Di Spazzola Prima Di Andare A Dormire – esempio da manuale di titolo migliore del libro**. Siamo di nuovo sulla decostruzione del luogo comune e dell’immagine consolidata. Reader Beware: questa prescrizione semi-ottocentesca da brave fanciulle sta per assumere un significato moooooolto diverso.

* L’Ombra Del Vento – Posto che Ruiz Zafòn non mi piace alla follia, questo titolo è semplicemente meraviglioso per forza evocativa, per poeticità dell’immagine. Un altro emistichio carico di suggestioni – e se poi ha un legame relativo con la storia, pazienza: è talmente bello!

* La Figlia Del Tempo – questo invece appartiene al genere citazioni. E’ Shakespeare a dire che la verità è figlia del tempo – concetto perfetto per un giallo bizzarro in cui strana gente “scopre”, con qualche secolo di ritardo, che Riccardo Terzo non era il mostro che si tende a credere. Josephine Tey è stata una precorritrice (forse persino un’iniziatrice) del furore di narrativa neo-riccardiana che ancora arde nel mondo anglosassone. Dieci punti in più per avere pescato il suo titolo proprio da Shakespeare, uno dei più accaniti anneritori di Riccardo. Giustizia poetica, anyone?

* Ritratto Di Signora / Ritratto Dell’Artista Da Giovane / Camera Con Vista – che sono tre libri diversissimi, ma il concetto dietro il titolo è lo stesso: espressione di uso consolidato in un tutt’altro campo applicata a una storia (nel suo complesso nei primi due casi, nel suo complesso e a un plot device nel secondo).

* Il Giuoco Delle Perle Di Vetro – è bello, singolare, incuriosisce ed è descrittivo senza parere, visto che il Giuoco in questione è un aspetto fondamentale della trama e, al tempo stesso, un elemento simbolico all’interno della storia. Naturalmente il secondo aspetto non è merito del titolo, ma l’insieme suona molto bene.

* La Linea D’Ombra – bellissima immagine per una storia iniziatica, carica di quelle connotazioni di dubbio e di ambiguità che in Conrad sono sempre centrali.

E bisogna dire che l’ombra mi piaccia proprio, perché, fuori concorso non essendo stato tradotto, cito anche The Book Of Air And Shadows, brutto libro scritto in bello stile che ho comprato a dispetto delle recensioni negative, indotta da nient’altro che il fascino del titolo. Dove si vede una di due cose, immagino: o io sono irreparabilmente squadrellata, o il titolo conta davvero.

E adesso è il vostro turno: quali sono i vostri titoli preferiti? Quali sono i titoli che vi sono piaciuti più del relativo libro? Quelli che vi hanno sorpresi, incuriositi, fatto dire: ah, diavolo di uno scrittore!*** Sono curiosa…

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* E che a me, francamente, piace più di Quo Vadis? Polonia, Seicento, Battaglie…

** In proposito, vi consiglierei questo post di Bottega Di Lettura.

*** O, più probabilmente, diavolo di un editor!

Mar 3, 2010 - Oggi Tecnica    2 Comments

E’ inoltre consigliabile

E’ inoltre consigliabile, scrivendo narrativa ambientata in qualsiasi periodo storico, evitare distorsioni del linguaggio nel tentativo di creare dialogo d’epoca. Se i personaggi della nostra storia non suonavano antiquati ai loro contemporanei, allora non devono suonare antiquati nemmeno a noi. Può benissimo darsi che un giovanotto dicesse al suo benefattore: La vostra benevolenza mi lusinga assai, signore, e son ben conscio della gratitudine che vi spetta”, ma non è così che le sue parole suonavano all’orecchio del benefattore. Quello che il benefattore capiva era: “Grazie, signore, molto gentile.”

E questa era Josephine Tey, nella Nota al suo romanzo The Privateer. Questo significa che, nel 1952, JT anticipava di una buona sessantina d’anni quello che, negli ultimi anni, è diventato il dibattito sul Nuovo Corso del romanzo storico. La faccenda è maturata in ambito anglosassone, quando alcuni autori hanno cominciato a scrivere antichi romani e sovrani Tudor che parlavano un linguaggio decisamente ‘XXI Secolo’. L’idea generale, come la zuppa inglese, ha più di uno strato.

Da una parte c’è la volontà di rendere più facile l’identificazione al lettore. Bisogna ammetterlo, non è sempre facilissimo simpatizzare per cinquecento pagine con gente che procede a forza di “Dei possenti!”, “calami” e “guantiere”. Poi sia chiaro, non si tratta di modernizzare i personaggi: mentalità e atteggiamento restano rigorosamente period, ma il trucco sta nel renderli in un linguaggio tale che il lettore contemporaneo non abbia l’impressione di essere appena sbarcato su Marte.

Ed ecco l’altro lato della questione, che ci riporta al discorso di JT: la maniera cinque, sei o settecentesca, non pareva affatto maniera a chi la usava, e pertanto il romanziere storico dovrebbe produrre l’impressione che i suoi personaggi parlino in modo normale. Quando Riccardo III dice “Zounds!”, non dice nulla di particolarmente esotico o pittoresco, si limita a usare un’imprecazione che è moneta corrente ai suoi tempi. E a quelli di Will Shakespeare, se vogliamo, per cui l’esempio non è del tutto calzante, ma avete capito quello che voglio dire. Supponiamo tuttavia che un romanziere contemporaneo riprenda in mano Richard*, e che lo ritragga in un momento di furore: un’imprecazione contemporanea aiuterebbe il lettore a simpatizzare meglio con la sua rabbia? E glielo farebbe sentire più vicino? Più vero? Più vivo?

Quel che è certo è che un linguaggio troppo desueto produce distacco, intralcia l’identificazione e trascina il lettore fuori dalla storia. Not good. Per rendersene conto (e per vedere che JT non era l’unica precorritrice) basta leggere il primo capitolo dei Promessi Sposi, con il supposto scartafaccio secentesco: fittizio senz’altro, ma ricalcato sullo stile dell’epoca e poco meglio che illeggibile. Per renderlo appetibile al lettore, dice Don Lisander, bisogna rivestire la bella storia di parole diverse, parole che si possano capire a prima vista.

E in realtà oggi sono veramente pochi gli autori che riproducono fedelmente la lingua del loro periodo: per lo più, chi rifiuta l’idea del Nuovo Corso cerca una via di mezzo tra comprensibilità e un certo qual gusto d’epoca, il che risulta in una vasta gamma di linguaggi immaginari, più o meno riusciti, più o meno deliberati, più o meno leggibili**.

E allora? Vexata quaestio… Personalmente, confesso di avere sempre avuto un debole per il linguaggio d’epoca***, per le costruzioni desuete, per i vocaboli astrusi e specialistici, ma devo aggiungere anche che non è la caratteristica della mia scrittura che mi ha procurato più lettori. Da un lato, capisco che se voglio ricreare un’altra epoca, renderla viva per il mio lettore, un linguaggio contemporaneo (purché privo di anacronismi) è di sicuro uno strumento potente. D’altra parte, dove va a finire quella specie di “patina del tempo” che contribuisce tanto al fascino di tutto quello che è antico?

Aneddotino. Secoli fa, per una rappresentazione de L’Uomo del Destino, atto unico napoleonico di G.B. Shaw, avevo fatto fotocopiare dei pezzi di mappa catastale, perché servissero da mappe militari. Nonostante avessi preso la precauzione di procurarmi della carta color avorio (un mestieraccio, trovarne in formato A3!), vedermele in mano mi causò un istante di delusione: non avevano un’aria antica… Ovviamente non dovevano averla! Ovviamente Napoleone aveva mappe nuove con sé, magari un po’ sbrindellate e macchiate dall’uso, ma senz’altro non antiche. E però, da un punto di vista scenografico, non sarebbero parse fuori posto tra le crinoline e le spade e le candele, nell’atmosfera d’epoca creata dalla regia?

Ecco, credo che questo sia un po’ il nocciolo del problema: che cosa si vuole, che cosa si cerca in un romanzo storico? Un senso della sostanziale parentela che ci lega a questi antenati, o uno sguardo agli usi, costumi e pensieri di un mondo che il passare dei secoli ha reso estraneo? Il dibattito è ampiamente aperto.

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* Ipotesi tutt’altro che peregrina: nel mondo anglosassone esiste una folta schiera di romanzi riccardiani. C’è persino una Richard III Society, dedita alla riabilitazione storica del povero Richard.

** Per un gustoso simil-mantovano secentesco, La Pantoffola di Matilda, di Stefano Scansani, vale la pena di un’occhiatina.

*** A dieci anni, giocando “a Medio Evo”, ero solita riprendere i miei amici quando per errore si rivolgevano al re con il lei, anziché il voi, che a me sembrava più period… Me lo rinfacciano ancora.