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Mag 25, 2018 - teatro    Commenti disabilitati su Le Colpe dei Padri al D’Arco

Le Colpe dei Padri al D’Arco

Continua la stagione dei saggi della Scuola di Teatro Campogalliani – e, dopo la fantasia scolastico-dantesca del Corso Ragazzi, adesso tocca al II Anno con…

Colpe dei Padri

 

L’atmosfera è decisamente cambiata, vero? Questa volta si parla di tragedia greca, di…

Padri e figli e dei, fato e libero arbitrio… attorno a una manciata di personaggi tragici e ai loro conflitti, gli allievi del Secondo Anno hanno costruito un testo che s’interroga su temi antichi e sempre attuali. Da Edipo a Giasone, da Agamennone a Creonte, qual è il prezzo per chi non sà ascoltare?
Già venticinque secoli orsono i grandi autori dell’antica Grecia raccontavano l’incapacità di comunicare tra generazioni; ne Le Colpe dei Padri, un Coro moderno dà voce a dubbi e domande – esplorando ciò che cambia e ciò che non cambia attraverso i millenni.

E sì: gli allievi hanno costruito il testo. Perché il fatto è che adesso tra le materie del secondo anno c’è anche la scrittura teatrale – per offrire un panorama sempre più completo delle arti che convergono in ciò che si vede in scena, ma anche nella convinzione che studiare i principi che governano la scrittura renda lettori più consapevoli – cosa fondamentale nel lavoro del regista e dell’attore.

Il corso prevede una parte pratica, naturalmente, e il progetto di quest’anno consisteva nella scrittura collaborativa di parte del testo: una cornice per i brani tragici che abbiamo scelto, incentrati sul rapporto padri-figli. La scelta non poteva non cadere sul device principe del teatro greco: il Coro – e così il Secondo Anno ha collaborativamente scritto un coro moderno che non solo lega narrativamente le varie vicende, ma fa da ponte attraverso venticinque secoli, dando voce alle nostre domande moderne di fronte a certe questioni universali, alle scelte, alla mentalità di questi antenati così distanti…

In un certo senso, è un’altra faccenda tra padri e figli – seppur lontani e ideali, non trovate? Se v’incuriosisce vedere che cosa abbiamo fatto di tutto ciò, andiamo in scena sabato 26 alle ore 21 e domenica 27 alle ore 17.

Gli interpreti sono Francesca Cogna, Anna Contesini, Paolo Di Mauro, Alessia Ferro, Costanza Fontana, Ramona Laconi, Rossella Mattioli, Beatrice Ruggerini, Marco Sissa, Roberta Tognoli e Monica Zanardi Lamberti – con le voci di Diego Fusari e Mario Zolin.

Vi aspettiamo!

***

Informazioni e prenotazioni, come di consueto, al numero 0376 325363 (via telefono o fax) oppure via mail all’indirizzo biglietteria@teatro-campogallian.it. La biglietteria è aperta dal mercoledì al sabato, tra le 17 e le 18.30.

Mar 7, 2018 - il Palcoscenico di Carta, teatro, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Il Critico o l’Autore?

Il Critico o l’Autore?

9b71fcee417fE così ieri pomeriggio (ieri sera? nel tardo pomeriggio? verso sera?) abbiamo concluso la più recente avventura de Il Palcoscenico di Carta, chiudendo il nostro sipario immaginario su Il Critico, ovvero Le Prove di una Tragedia.

Sheridan è davvero spassoso – pur con una quantità di ovvia bile nei confronti di certa critica, ma ancor più di certi autori. Confesso di aver sempre pensato che questa commedia dovesse chiamarsi “l’Autore”, più che “il Critico” perché, pur decisamente presi in mezzo del primo atto, Dangle e Sneer diventano la voce della ragione prim’ancora che inizi la prova – e l’artiglieria di Sheridan cambia decisamente bersagli.

RMG0513TC071-732x1100Dangle è vanesio, malguidato e un po’ sciocco, e Sneer è perfido per il gusto di esserlo – ma gli autori? Sir Fretful Plagiary è un dilettante ultrapermaloso che plagia a tutto spiano e non lo fa nemmeno bene, e Mr Puff… Puff è un mercenario della penna che in vita sua ha scritto di tutto – dalle truffe per lettera all’ur-marketing per i banditori d’asta, dalla pubblicità sui giornali alla falsa beneficenza, dai pamphlet per conto terzi al teatro… e quando approda alla tragedia, ci caccia dentro di tutto.

Per cui, quando la prova inzia per davvero, nel secondo atto, Dangle e Sneer con i dubbi dell’uno e il sarcasmo dell’altro, diventano la voce di tutti noi…

Non si può non solidarizzare con i due spettatori perplessi, di fronte al modo in cui Puff non si (e ci) fa mangare nulla: plagi shakespeariani, allegorie fluviali, amori contrastati, storia, duelli, un diluvio di agnizioni, scene di follia, musica, esposizione, masque, richiamo patriottico, sottotrame irrilevanti, canarini, effetti speciali – e tutto doppio, ogni volta che si può. Pensiamo solo alla scena delle due nipoti che tentano, ciascuna per conto suo ma contemporaneamente, di pugnalare lo Spagnolo, i due zii che intervengono minacciando a fil di spada lo Spagnolo, che minaccia a sua volta di trafiggere le nipoti… impasse al quadrato? al cubo?  Per fortuna poi arriva il Guardiano con l’alabarda – che poi guardianissimo non è… criticphotosmanuelharlan

Tutto molto nonsense, tutto molto sopra le righe – ma d’altra parte, Sheridan si faceva beffe di un certo gusto del suo tempo, un certo tipo di teatro sovraccarico, dalle trame intricatissime e farcite di cliché e di effettoni, e dai dialoghi men che ispirati.

Satira ed eccessi a parte, tuttavia, l’Invincibile Armada di Mr Puff è un catalogo di faccende che sono ancora rilevanti in teatro – in fatto di stile e di pratica. Dell’esposizione abbiamo parlato, e poi ci sono i clichés, la concisione, l’effetto secchiaio, le necessità pratiche dei cambi di scena e di costumi, la progressione logica, il rapporto tra dialogo e azione, la caratterizzazione dei personaggi…

All in all, credo davvero che Il Critico dovrebbe essere lettura obbligatoria nei corsi di scrittura teatrale.

Intanto, però, lo possiamo considerare un’altra riscoperta del PdC – una riscoperta gradita, a giudicare dal successo dei tre incontri. È quasi un peccato aver già finito, vero? Ma torneremo presto. Abbiamo idee per il futuro… ne riparleremo a fine estate, volete?

Nov 29, 2017 - scribblemania, teatro    2 Comments

Piccolo Bollettino Vittorioso

writingbynightDa cantarsi sull’aria di Han Rubato il Duomo di Milano:

Ho finito stanotte alle tre
Una prima stesura!*

Perché il fatto si è che, quatta quatta, sto scrivendo un play nuovo… Lo sto scrivendo on spec, come usa dirsi a ovest della Manica, ovvero senza sapere troppo che farne – a parte farlo leggere speranzosamente a un paio di persone… Ma l’idea mi piace e, in un modo o nell’altro, mi ronzava in mente da un po’ di tempo. E, conoscendomi, l’avevo inserita tra le buone intenzioni di quest’anno.

E avevo anche cominciato a lavorarci, un po’ vagamente: letture e riletture di documentazione, ricerche qua e là, pagine di appunti sul taccuino, qualche esperimento di struttura… sennonché poi, tra una cosa e l’altra, si era fatto novembre e del play propriamente detto non esisteva altro che un abbozzo di tentativo di esperimento della prima scena del primo atto…

Ed è stato allora che ho deciso: volevo una prima stesura entro la fine dell’anno. Eccetto… dicembre. Voi riuscite a scrivere a dicembre, o Lettori? Io ben poco, tra preparativi natalizi e tutto quanto. Così non restava che abbracciare il principio transoceanico del National Novel Writing Month – una prima stesura entro novembre! – e applicarla a qualcosa che romanzo non è. Sicuramente, se c’è gente che butta giù cinquantamila parole in un mese, io potevo raggiungere quota nove o diecimila, giusto?

curtainE così mi ci sono messa di buona lena… O almeno di ragionevole lena – e la notte scorsa, alle tre, ho spento le luci sul finale del secondo atto. Sipario. Fine. Novemila parole e monetina: una prima stesura.

Vittoria vittoria.

È incompletissimissima, si capisce, piena di orli grezzi, punti interrogativi, particolari da ricercare, voci traballanti e parentesi che dicono [DUE/TRE BATTUTE A SCENDERE] oppure [DISCUTONO ACIDAMENTE DELLE BARRICATE]… Va rimpolpata di un terzo, aggiustata, scossa in forma, passata al Teatro Immaginario e, se tutto va bene, a workshop. E a quel punto poi andrà tirata a lucido. C’è ancora un sacco di lavoro, in realtà – ma intanto la prima stesura è completa e non ne sono troppo terribilmente insoddisfatta.

Per ora, sipario. Se ne riparla a gennaio.

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* Il che coincide molto opportunamente con l’inizio, questa sera, del mio corso di scrittura teatrale all’Accademia Campogalliani… Se l’avessi programmato apposta, non sarebbe riuscito altrettanto bene.

Ago 25, 2017 - teatro    Commenti disabilitati su Volevo un Gatto Nero…

Volevo un Gatto Nero…

Rehearsals2No, non è vero: volevo un workshop.

Per carità, i gatti neri mi piacciono molto, ne ho avuto uno da bambina – una bella creatura ladra e molto snob – e non avrei obiezioni ad averne un altro, ma quel che volevo davvero era fare workshop in teatro. Lavorare su un testo con la compagnia, di stesura in stesura, modificando, affinando e adattando via via alla prova del palco, imparando dagli errori…

In un certo senso è andata così con Di Uomini e Poeti, se vogliamo – ma con dei limiti, su un arco di cinque o sei anni e, nel complesso, in una maniera un pochino solitaria: ho preso appunti durante il primo giro di repliche, ho riscritto dopo un sacco di tempo, e la versione nuova è andata in scena così come l’avevo riscritta, more or less.

Quel che volevo era qualcosa di più articolato, di più dinamico e, per usare una parola che trovo brutta come il peccato ma servirà alla bisogna, di più interattivo.

Ebbene, sta succedendo.

Il testo, in realtà, non è precisamente mio… a ben vedere non lo è su diversi livelli, perché si tratta di modifiche consistenti a un adattamento altrui di un romanzo di qualcun altro ancora – passando per una sceneggiatura cinematografica. Il che, se volete, è un nonnulla convoluto, ma tant’è. Non vi dico ancora di che si tratta: lo scoprirete presto e, spero, lo verrete a vedere a teatro. Intanto, però, c’è questo workshop continuo, in cui regista e attori provano, e io siedo in platea armata di taccuino e prendo appunti, e poi si discute e si modifica, e si riprova, e… e… e…

Ci lavoriamo dal principio dell’estate e, ben dopo la metà di agosto, il testo non è ancora definitivo. Be’, forse credevamo che lo fosse, ma ancora ieri sera, provando il secondo atto, ci siamo accorti che una successione di scene e passaggi temporali non scorreva bene. Sulla carta sì, ma una volta sul palco diventava macchinosa.

RhearsalWriting“Mi tirate il collo, se modifico queste tre scene?” ho chiesto agli attori. E gli attori hanno promesso di non tirarmi il collo, così sono tornata a casa e ho impiegato parte della notte a spostare una scena e combinarne due in una, e adesso l’inizio del secondo atto funziona molto meglio.

O almeno si spera, perché lo si vedrà davvero solo alla prossima prova.

E tutto ciò è bello e infinitamente istruttivo, ed è un po’ una disperazione dal punto di vista dei copioni da stampare, ed è tutto ancora molto fluido e in progress, e forse non si potrebbe fare davvero con una compagnia meno esperta – ma è meraviglioso. E per di più, succede tutto mentre lo spettacolo prende forma sotto una quantità di altri aspetti, mentre il regista modella i personaggi e modifica il progetto delle scene a seconda delle esigenze che emergono…

È complesso, è stimolante, è vivo.

E un giorno o l’altro spero di poterlo fare con un testo tutto mio, il workshop. Questa scrittura di scena. Questo rispondere e rimbalzare continuo di idee tra il quaderno e la scena…

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Giu 28, 2017 - teatro    Commenti disabilitati su Scuola di Teatro

Scuola di Teatro

scuola_2017Sono aperte le iscrizioni per l’anno accademico 2017-2018 della Scuola di Teatro dell’Accademia Teatrale Francesco Campogalliani.

Anno Primo, Anno Secondo e, novità di quest’anno, un corso per ragazzi dagli undici ai quattordici anni.

Per gli adulti le materie sono Recitazione, Dizione, Lettura interpretativa, Improvvisazione e Tecniche Teatrali, insegnate dai favolosi attori, registi e tecnici dell’Accademia. In più, da quest’anno, si aggiunge – ed è qui che entro in gioco io – un ciclo di lezioni di scrittura teatrale.

Inoltre, la Scuola offre due notevoli particolarità: da un lato, oltre alla recitazione, s’impara il backstage – illuminotecnica, costumi, scenografia e direzione di palcoscenico; dall’altro, per gli allievi si apre la possibilità di mettere in pratica le materie di studio partecipando attivamente alla vita della compagnia.Actor

E per i ragazzi? Il curriculum è a grandi linee lo stesso, perché l’Accademia Campogalliani, con la sua vocazione per il teatro di parola, dà grande valore all’impostazione – ma, come si conviene a dei giovanissimi aspiranti attori, la tecnica viene insegnata attraverso un metodo ludico e dinamico.

Per grandi e piccoli, i corsi durano da ottobre a maggio, a cadenza settimanale, e si concludono con la rappresentazione di un saggio al Teatrino d’Arco.

Insomma, non vi pare un bel modo di accostarsi sul serio al teatro – condividendo conoscenza, quinte e palcoscenico con una storica compagnia di solida tradizione e grande successo?

Per saperne di più, trovate informazioni, contatti e moduli per l’iscrizione sul sito dell’Accademia.

Vi aspettiamo!

Gen 13, 2016 - grillopensante, scrittura, teatro    Commenti disabilitati su E Intanto il Pubblico Che Fa?

E Intanto il Pubblico Che Fa?

JeffHatchHam_Edit_32514State a sentire che cosa dice Jeffrey Hatcher nell’introduzione al suo libro The Art and Craft of Playwriting. Traduzione mia:

Magari col vostro dramma volete rimediare a un torto, o espiare una colpa, o far ridere, o cambiare il mondo… Ok – ma ricordatevi sempre questa domanda – che R. Elliott Stout, il mio insegnante di teatro alla Denison University, aveva incorniciato e appeso sopra la sua scrivania:

E INTANTO IL PUBBLICO CHE FA?

David Mamet […] una volta disse che far passare al pubblico due ore in un teatro significa chiedere molto a una persona. Contate le ore che anche il più occasionale degli spettatori passa là al buio*,  e vedrete che prima di compiere ottantatre anni, a quello spettatore occasionale piacerebbe riaverne indietro parecchie, di quelle ore… Ecco, il nostro mestiere a teatro è far sì che il nostro ottuagenario non rimpianga un singolo momento di quelli che ha passato al buio in platea.

Pensate a tutte le volte in cui siete andati a teatro alla fine di una giornata lunga, dura e faticosa. Dio sa com’è che avete il biglietto, e mentre si fanno le otto, volete solo andarvene e tornare a casa il prima possibile. Dando un’occhiata al programma scoprite con orrore che lo spettacolo ha non uno ma due intervalli. Sarete fortunati se siete a casa per le undici o mezzanotte… Cercate con gli occhi l’uscita, ma prima che possiate fare la vostra mossa la folla si zittisce, le luci di sala si spengono e voi siete intrappolati – e sotto sotto sapete che mettersi a strillare “al fuoco!” sarebbe brutto… Ed ecco che sono passati quaranta minuti, le luci si riaccendono, la folla sciama verso il foyer – e voi non vedete l’ora di scoprire che cosa succederà nel secondo atto. Tornate alla vostra poltrona ben prima che si apra il sipario, perché non volete perdervi una parola. E all’improvviso è il secondo intervallo, e questa volta non vi alzate affatto, perché state discutendo il dramma con lo sconosciuto seduto accanto a voi. E poi le luci si spengono di nuovo, e prima che ve ne accorgiate il sipario si è richiuso definitivamente, gli attori hanno lasciato il palco e voi siete ancora impegnati ad applaudire, siete ancora lì al vostro posto e non volete andarvene, e state cercando di ricordarvi l’ultima volta che vi siete sentiti così a teatro…

Ecco, questo è il nostro mestiere di autori teatrali. È quel che facciamo: questa gente stanca, che avrebbe tutte le ragioni per tornarsene a casa, noi la obblighiamo a restarsene incollata alla sua poltrona. E a volerci restare. E a tornare la prossima volta.

Ecco. Sì, sì – . È quello che facciamo. Quello che vogliamo fare. Rendere lla gente in platea felice di essere obbligata in questo modo.

Credo di volerla incorniciare a appendere anch’io, questa domanda…

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* Be’, è ovvio che le ore in questione tendono ad essere di più in un paese anglosassone…

A Scuola

girlMi sono iscritta a non un uno, ma tre corsi online.

Ogni tanto lo faccio. Le possibilità sono infinite, in ogni genere di campo e argomento, dall’astrofisica alla scenotecnica, dalla storia antica alla pollicoltura.* Poi non è che sia straordinariamente brava in proposito. Sono pigerrima, dispersiva, con una tendenza alla procrastinazione su cui vi ho intrattenuti fin troppe volte. E tutto sommato, va ancora relativamente bene se ci sono tempi, scadenze ed esercizi da consegnare… Se il corso è self-paced – ovvero una serie di lezioni da seguire a discrezione dello studente – le mie possibilità di arrivare in fondo sono bassine, indipendentemente dal mio interesse per l’argomento. Capirete, credo, se vi dico che le lezioni di scrittura teatrale scaricate dal sito del MIT sonnecchiano in un angolo buio del mio hard disk dall’agosto del 2011.

Appunto.

E quindi forse è stato un tantino imprudente, da parte mia, iscrivermi ai tre corsi che vi dicevo.

Uno è una specie di storia performativa dell’Othello di Shakespeare. Come è stata rappresentata la tragedia, in questi quattro secoli? Che cosa sappiamo? Che conclusioni possiamo trarre da atteggiamenti registici, interpretazioni e attualizzazioni? Fascinating stuff.

Poi c’è un’introduzione alla scrittura cinematografica. Secoli fa ne avevo già seguito uno della Scuola Holden. Mi era piaciuto, soprattutto perché avevo trovato una tutor molto in gamba, che mi faceva lavorare un sacco e a cui piaceva quel che scrivevo. Riconosco che quest’ultimo non dovrebbe essere un requisito per valutare un corso e trarne beneficio – ma siamo onesti: chi è che non lavora con più zelo e più gusto quando il suo lavoro viene apprezzato? Adesso trovo che sia ora di rinfrescare l’argomento, dopo quindici anni o giù di lì – e di farlo in Inglese. girls

E questi due sono MOOC, ovvero Massive Open Online Courses. Da un lato hanno di buono i tempi e le scadenze che vi dicevo. Dall’altro, hanno una componente di interazione con gli altri studenti, in cui sono pessima. In teoria l’idea di discutere di quel che studio e imparo mi piace molto; all’atto pratico, forse non so usare bene la roba a forma di forum, ma fatto sta che una discussione tra centinaia di partecipanti mi sfugge rapidamente di mano, e tendo a rinunciarci e a interagire ben poco.

Infine c’è un corso di scrittura teatrale. Ci avevo già provato qualche anno fa, e non mi ero trovata bene con il docente.** Un secondo tentativo altrove era andato meglio, ma non posso dire di averne cavato granché. Adesso ci riprovo. Questo sembra un po’ più avanzato, ha un sacco di esercizi pratici e la possibilità di farseli leggere e commentare… Purtroppo è self-paced e, a peggiorare ulteriormente le cose, ho accesso al materiale vita natural durante. Con i miei precedenti, non metterei la mano sul fuoco.

E poi ce ne sarebbero altri – corsi di storia che m’interesserebbero parecchio… ma ho deciso che prima farò meglio a vedere come me la cavo con questi tre.

Quindi forse farò bene a formulare un’ulteriore buona intenzione per l’anno nuovo: seguire i corsi e finirli. Vi farò sapere, eh?

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* No, davvero: l’Università di Edinburgo ne ha uno su comportamento e benessere delle galline. Non è uno di quelli che ho scelto.

** A parte tutto il resto, leggendo il mio esercizio, si stupì moltissimo del fatto che fosse popolato da due personaggi maschili su due. Perché, essendo una donna, non scrivevo donne? Sessista.

Scrivendo Teatro: Dieci Considerazioni Di Ordine Pratico

Sì, lo so: ve l’ho già detto ieri sera.

Ho fatto un PB apposta per mettervi a parte del fatto che ho finito il mio play-che-non-è-un-play.

Quindi questo post non è un annuncio, però contiene un po’ di considerazioni in fatto di scrittura, stupidità generale, piccole perfezioni, scoperte, Pinterest, le morte stagioni e la presente e il lavello di cucina.

Cominciamo?

1) Una volta di più, non c’è niente di basso, materiale e meschino nelle commissioni – anzi. Non solo le commissioni non sono il Male, ma nella maggior parte dei casi offrono magnifiche possibilità. Vi si chiede di scrivere qualcosa su cui non siete certi di avere granché da dire, o su un argomento a cui non avete mai dedicato molta ginnastica neuronale, o in un genere/campo che non v’interessa molto o non vi piace nemmeno granché*… Voi accettate per una o più buone ragioni e poi, o mentre ci strologate su o mentre state già scrivendo, vi albeggia in mente che diamine! questa è l’occasione per parlare di quel tema che avevate in mente da tempo, o per esplorare quella tale tecnica, o per introdurci quel personaggio che v’intriga ma non avete mai saputo dove piazzare… E in linea di massima, più credete di essere fuori dalle vostre corde, più scoperte fate.

2) Parallelismi, simmetrie, giochi di prospettiva, tagli inattesi, specularità, rifrazioni, strati di sottotesto e complessità strutturali e concettuali di varia natura non sempre si presentano al primo appello. Però in compenso si divertono un mondo a saltare su a danze iniziate – proprio dove servivano, proprio dove nemmeno sapevate di volerle, e perfette oltre ogni dire. E sì, lo so, è il subconscio che lavora per bene, e se dice che ci vuole Salgari è molto probabile che abbia ragione, per poco che a me Salgari piaccia. Sto imparando a lasciarli fare a lui, gli inviti.**

3) Al mare si scrive bene. Ma proprio bene. O forse era solo questione di essere via da casa per qualche giorno. Perché mi rendo conto che è perfettamente ridicolo scapicollarsi a scrivere “via” da un’enorme casa fresca, silenziosa e provvista di un’abbondanza di alberi… e però non c’è niente da fare. Qui non riesco a nessun patto a scrivere come ho scritto al mare. Be’, c’è sempre il problema di Internet, che è un pozzo di informazioni e una dannazione al tempo stesso. Ma c’è anche la vita quotidiana che fa del suo meglio per sconfinare. E magari non è che al mare non riesca a raggiungervi, ma non ci riesce altrettanto bene.

4) Quando ho cominciato a rimuginare questo progetto, una delle prime cose che ho fatto è stato di creare una bacheca su Pinterest. E sì, l’avevo già fatto in precedenza, ma questa volta ha funzionato meglio. Non so se ho lavorato meglio io o se il progetto fosse più adatto, o se abbia trovato immagini migliori – ma fatto sta che è stata utile. Quanto meno, alcune idee da decenti a buone sono zampillate mentre appuntavo immagini, suggestioni, colori e l’occasionale citazione. Il che, a ben pensarci, è un terrificante alibi per la peggior forma di procrastinazione – quella che vi dà l’impressione di fare qualcosa di non del tutto inutile – but still.

5) Sono, sappiatelo, sei tipi di idiota. Sei tipi misti assortiti. E la cosa peggiore è che non imparo mai. Domenica pomeriggio, in un momento di idiozia pura, sono riuscita a cancellare 5500 delle 8000 e qualcosa parole della seconda stesura. Lo ripeto: avevo quasi finito la seconda stesura e ne ho cancellato più di due terzi. Non sono ancora praticissimissima di Scrivener, e quindi non so nemmeno troppo bene come ho fatto – il che è allarmante in un modo tutto suo – però mi si dice che potrei lavorare per i Servizi, perché come cancello del testo io non è cosa di tutti i giorni. E naturalmente non è come se avessi fatto il backup. L’ultimo risaliva al completamento della prima stesura… Immaginatevi: gloom, doom, despair, furore tremendo, riscossa, pasti saltati, notti in bianco, improperi&imprecazioni, molte ore di duro lavoro, et multa caetera similia. Per fortuna ho una famiglia comprensiva e una buona memoria. 
Adesso come adesso salvo continuamente e faccio backup due o tre volte al giorno, ma mi conosco: quanto durerà? Sei tipi d’idiota, remember? E dei sei, almeno uno è l’idiota patologicamente recidivo.***

6) A un certo punto, dando la caccia a una citazione, ho finito col rileggere le prima sessanta o settanta pagine di Lord Jim. E, come tutte le volte, mi ha bouleversée. Cosicché all’avvilimento dovuto all’incidente del n° 5, si è aggiunta una di quelle crisi, sapete come funziona: Che Diavolo Credo Di Fare? Come Se Potessi Mai Pensare Di Raggiungere Questi Vertici Di Intensità E Finezza – O Almeno Qualcosa Di Simile! E dopo sapete come prosegue: ci si grogiola un pochino  in una crisi di Dubbi, ci si fa un’altra tazza di tè, ci si rannicchia nella poltrona adatta, a sospirare semitragicamente con la tazza di tè in mano e la musica adatta. E la musica è importante, perché quando raggiunge il suo climax, ci si morde un labbro, si appoggia la tazza, si riprende il computer e ci si rituffa nel duro lavoro.

7) Musica, dicevo. Ah, la musica adatta. Sono abbastanza abituata ad ascoltare musica mentre scrivo, ma stavolta – come per Pinterest – per qualche motivo ha funzionato meglio del consueto. Una combinazione di Debussy, Vaughan-Williams, Britten e Roylance. Tutto molto marinaro, tutto molto appropriato. Ha fatto da sfondo, da luci e da musica di scena per le prove nel Teatro Immaginario. E non credo proprio che la cosa avrà alcun seguito pratico quando il play andrà in scena per davvero, ma fa parte di quelle cose che non vanno tradotte tra la pagina e il palcoscenico. E anzi, forse vale la pena di chiarire che…

8) Il Teatro Immaginario non è un’eccentricità – e, per una volta, nemmeno una forma di procrastinazione. È una tecnica che personalmente trovo piuttosto efficace, e che consiste nel immaginare in scena quel che si scrive. Immaginarlo nel modo più concreto possibile, completo di voci, regia, luci, costumi e, se del caso, musica. Tenendo ben presente che, nella maggior parte dei casi, poi non è affatto così che succederà. E per lo più è un bene. Oh, e funziona molto bene anche con la narrativa – per la quale si può scegliere tra teatro immaginario e cinema immaginario.

9) Per andare da Oràtow (nell’Ucraina polacca) a Marsiglia nel 1878, usando una combinazione di carrozze e treni, si impiegavano cinque o sei giorni. A scoprire che per andare da Oràtow (nell’Ucraina polacca) a Marsiglia nel 1878, usando una combinazione di carrozze e treni, si impiegavano cinque o sei giorni si possono impiegare parecchie ore ma poi, internet essendo ciò che è, ci si arriva. Il guaio è quando ci si accorge, dopo averci impiegato tutte quelle ore, che la battuta che contiene l’informazione appesantisce inutilmente il dialogo. Non serve. E vi dite che avreste potuto pensarci prima di impiegarci tutte quelle ore, e che adesso lo sapete ed è un peccato non metterne a parte il pubblico… Ma in realtà al pubblico non interessa un bottone sapere quanto ci si mettesse ad andare da Oràtow a Marsiglia nel 1878. Al pubblico interessa che i dialoghi funzionino bene – o, più ancora, il pubblico si accorge benissimo di quando l’orario ferroviario interferisce con il funzionamento dei dialoghi. E allora si taglia spietatamente la battuta e si mette da parte la durata del viaggio. Magari servirà altrove. Magari nell’altra versione…

10) Quale altra versione, o Clarina? Eh… Il fatto si è che questo play non è davvero un play. Serve per una lettura drammatica e, di conseguenza, è molto parlato. Però questa storia potrebbe essere raccontata molto diversamente, con abbondanza di Cose Che Accadono In Scena. È il motivo per cui, dopo avere finito la mia prima stesura, mi sono messa di buzzo buono e, in un giorno, ho buttato giù tre scene complete di… be’, di un’altra versione. Una versione in cui le Cose Accadono In Scena. Segno che, come tende ad accadermi, con questa storia non ho ancora finito.

Però ho finito per il momento. Così ieri sera ho festeggiato con un gelato a lume di lanterna (una lanterna decorata a velieri), e poi ho riguardato il musical de Le Due Città, just because. Adesso lascio riposare per qualche giorno, poi dò un’ultima lucidatina e poi consegno alla compagnia.

Ed è allora che il gioco comincia per davvero…

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* Quest’ultimo non era assolutamente il caso, stavolta, ma è capitato.

** Essì, insalata di metafore. Non è come se stanotte avessi dormito un numero sufficiente di ore…

*** Magari una volta o l’altra vi racconterò le mie catastrofi miliari.

Come La Prendi?

Sono curioso di sapere come prendi il fatto che questa cosa prenda vita in modi non completamente controllabili, o forse del tutto incontrollabili. Sembra che tu la prenda bene,

scriveva A. in un commento a questo post in cui si parlava di Bibi & il Re degli Elefanti e si traevano conclusioni sul recente giro di repliche – e “questa cosa” era l’interpretazione registica dei miei plays.

E il commento mi ha dato da pensare. In effetti, come prendo il fatto che quel che si vede sul palcoscenico finisca quasi sempre con l’essere diverso da quel che avevo immaginato?

Come prendo il fatto che registi e attori afferrino le mie parole e le trascinino in direzioni inattese?

Come prendo questa cosa nuova che germoglia, tridimensionale e variopinta là dove prima c’erano soltanto parole sulla carta? 

Ah, well…

Credo di voler cominciare citando Shaw che, nella prefazione alle Tre Commedie per Puritani, raccontava di avere tirato infiniti accidenti ai pur bravi regista e primattore di una fortunata produzione londinese de Il Discepolo del Diavolo, colpevoli di avere stravolto le sue intenzioni al punto di indurre il pubblico a credere che Dick Dudgeon fosse innamorato di Judith.

Da bambina, quando leggevo Shaw e, a chi mi chiedeva cosa intendessi fare da grande, rispondevo “la commediografa”, la consideravo una specie di cautionary tale, e mi immaginavo a tirare accidenti a registi e attori colpevoli di fraintendimento deliberato e grave…

Ma, a distanza di un quarto di secolo e dopo diversi plays prodotti, devo dichiararmi fortunata: nessuno ha mai stravolto nulla di mio in scena. 

E nonostante questo, e nonostante abbia avuto la fortuna di lavorare sempre con registi bravissimi, se dicessi che è sempre facile, mentirei.

Perché non c’è nulla da fare: nello scrivere del teatro non si può fare a meno di metterlo in scena nel proprio teatro immaginario. Si elucubrano voci, movimenti, scene, luci, costumi e regia completa… E a lavoro finito, quando si consegna il tutto alla compagnia, quel che rimane è un’idea piuttosto precisa del tipo di vita che lo spettacolo dovrebbe assumere.

Solo che poi, nella maggior parte dei casi, non funziona così.

E voi non andate a vedere le prove, perché la regista preferisce non avere autori tra i piedi, e usa motivazioni diplomatiche tipo “non c’è, credimi, nulla di bello come la sorpresa la sera della prima.” Oppure “Voglio che tu veda lo spettacolo solo quando è completo.”

Solo che, ogni tanto, la regista stessa o l’uno o l’altro membro del cast si lasciano sfuggire un particolare…

Ed è diversissimo, ma diversissimo da qualsiasi cosa voi aveste immaginato – e siete così tentati di dirlo… ma in linea generale non lo fate.

A dire il vero, la prima volta non lo fate solo e soltanto perché non vi par vero di scrivere per questa gente, e non avete il coraggio di mettere becco… Però avete misgivings. Temete molto che non sarà come voi credete che dovrebbe essere.

Però poi…

Poi viene la sera della prima, e scoprite che la regista aveva ragione e voi avevate torto – e forse è un bene che non siate mai andati alle prove. Scoprite che il vostro mestiere è fornire la storia, le parole, e soprattutto le occasioni perché gli attori possano comportarsi in modo significativo. Il comportamento significativo, i colori e la magia in generale sono affare della compagnia.

Sono loro a portare in vita quel che avete scritto – e che diamine! Loro lo fanno da decenni, hanno le idee chiare su che cosa produrrà quali effetti sul pubblico. Sanno come cavare il meglio teatrale da quello che avete scritto. Sanno come tradurre in tre dimensioni il vostro linguaggio.

Lo sanno così bene che quello che hanno fatto finisce col prendere completamente il posto di quello che avevate immaginato.

Sul serio: mi ricordo a malapena il Bogus-ombra, serioso e un po’ solenne, che avevo immaginato scrivendo Bibi. E dapprincipio ero davvero perplessa nello scoprire che il mio impalpabile elefante sarebbe stato un attore in scena, con un costume di panno e la proboscide… E invece è perfetto, e il play ha tutto da guadagnare dal Bogus buffo e tenero e concreto, perché il mio era l’elefante immaginario visto da un’adulta – ma in scena è andato il compagno immaginario di una bambina. Infinitamente più teatrale ed efficace.

Magnifico, no? 

E molto istruttivo. E appagante – non avete idea di quanto.

E così, credo che alla fin fine la risposta sia questa, A.

La prendo con qualche trepidazione ogni volta, perché si tratta di lasciare ad altri il compito di soffiare nelle narici delle mie statuine d’argilla. E la prendo con infinito entusiasmo, perché – per quanto mi piaccia scrivere romanzi – credo che nulla batta l’aprirsi del sipario e il veder succedere quello che si è creato.