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Ott 7, 2016 - teatro    Commenti disabilitati su Campogalliani70 – Intervista a Francesca Campogalliani (parte II)

Campogalliani70 – Intervista a Francesca Campogalliani (parte II)

MrsHE rieccoci con Francesca Campogalliani, proprio ieri sera deliziosa Signora Higgins nella ripresa al Teatro Sociale del fortunatissimo Pigmalione diretto da Grazia Bettini.  Abbiamo parlato della nascita e dell’evoluzione dell’Accademia, e di una felicissima carriera iniziata come regalo di maturità, sotto minaccia materna d’interruzione alla prima bocciatura universitaria – bocciatura che non venne mai, per fortuna. Ma questa madre che non minacciava a vuoto mi ha incuriosita…

La sua mamma non era coinvolta nelle attività dell’Accademia?

Assolutamente no. Mia mamma aveva due lauree in materie scientifiche ed era del tutto estranea al mondo dell’arte. I miei hanno avuto una vita bellissima, per loro stessa ammissione, anche perché non sono mai entrati troppo l’uno nel lavoro dell’altro. In casa c’erano ruoli molto definiti: mia mamma era un’organizzatrice perfetta, e mio padre non sapeva niente della vita pratica, e sono andati  benissimo così. Lui ha potuto svolgere il suo lavoro a un metro da terra perché mia mamma glielo ha permesso. Non si è mai fatto una valigia, non ha mai prenotato un aereo – e come stessero le cose si è visto fin dal primo appuntamento, quando è andato a prendere mia madre nella farmacia sbagliata. Da parte sua, mia mamma lo ha seguito nelle sue attività, ma per lo più non distingueva un baritono da un tenore.  In casa si è sempre detto che in due facevano una persona completa.

E chissà se una complementarità di caratteri ben assortiti non sia anche uno dei segreti della vostra ottima e lunga riuscita. Se non sbaglio, settant’anni fanno di voi la più longeva compagnia amatoriale d’Italia: che cosa è cambiato in questi decenni, e cosa è rimasto immutato?

Sono rimasti i principi secondo i quali l’Accademia è stata fondata. Nessuno di noi viene remunerato in alcun modo. Se uno di noi occupa un posto regolare paga il suo biglietto. C’è una grande correttezza reciproca su cui nessuno ha mai discusso. Non è cambiato l’impegno, e non è cambiata la passione… Quel che è cambiato è che tutto è diventato più intenso e impegnativo. La qualità è sempre quella, ma un tempo – prima che questo teatrino fosse un teatrino – una commedia si faceva una volta o due al Sociale, poi si andava una volta a Pesaro, a Montecarlo, a Vichy – e tutto finiva. Non c’era la stagione che si è andata consolidando e allungando nel tempo, e c’era per lo più un regista unico, Aldo Signoretti. Adesso, con due registi e numerosi attori, possiamo diversificare i cast e fare tre o quattro titoli nuovi ogni stagione – e naturalmente insieme all’impegno si sono moltiplicate le necessità organizzative e di comunicazione. La sostanza non è cambiata – ma i modi sì. Gli ideali della fondazione sono rimasti intatti – e non è cosa da poco.

Prima accennava al teatrino. Come ci siete arrivati?about_2

Nei primi anni Cinquanta la marchesa d’Arco ha ceduto questa, che era la scuderia. Il pavimento era tutto a livello del palcoscenico, e noi l’abbiamo presa in carico come sala prove. Poi pian piano, a nostre spese, abbiamo fatto scavare il pavimento e aggiunto le sedie, abbiamo acquisito i camerini, i servizi, la parte di sopra e, dopo varie fasi a seconda delle necessità e del gusto, nei primi anni Settanta era già tutto più o meno come lo si vede adesso. E tengo a dire che l’abbiamo sempre tenuto perfettamente a norma – un impegno non da poco. Noi troviamo che abbia un calore e un’atmosfera particolari. C’è un rapporto speciale tra palco e platea, qui. Addirittura, quando siamo in un teatro grande il pubblico ci sembra così lontano…

Posso dire che vale anche dal punto di vista del pubblico: venendo qui molto spesso mi sono abituata a quel calore tra palco e platea di cui parla – e ne sento la mancanza in teatri più grandi. E credo di non essere la sola: tutta Mantova ha un rapporto speciale con la Campogalliani.

st_014_05Ogni anno vengono qui più di quattromila spettatori. Un discreto numero, perché qui i posti sono 64, e quindi significa tante serate a platea piena. D’altra parte, la Campogalliani è stata parte del tessuto culturale cittadino in modo continuativo fin dal ’46 – anche perché a suo tempo ha raccolto in sé le filodrammatiche che c’erano prima della guerra. Il contatto con la vita culturale cittadina c’è sempre stato. Le istituzioni non si sono sempre occupate di noi, devo dire. Ma c’è di buono che questo ci ha resi liberi, ci ha dato facoltà di fare qui quello che volevamo e vogliamo – nella scelta dei testi, dei tempi, della programmazione… in tutto. Però abbiamo collaborato con il comune e con tante associazioni – non soltanto in questo anno così particolare – e l’abbiamo sempre fatto con piacere. Io ho una grande nostalgia della collaborazione davvero esemplare con l’Accademia Virgiliana, durante la presidenza del professor Zamboni. Oltretutto c’erano degli intenti comuni, un senso di servizio fatto alla città che non sempre si trova. Giorgio parlava della necessità di unire le forze per creare di più. Noi non avremmo mai fatto D’Annunzio, se non fosse stato per lui – e forse avevamo qualche dubbio in partenza, ma fin dalla prima prova il testo ci ha sedotto. E il pubblico ha risposto davvero molto. E poi c’è stato Bibi e il Re degli Elefanti, e Di Uomini e Poeti… Secondo me Giorgio Zamboni vedeva lontano, e chissà con che cosa avremmo continuato. Un bell’esempio di collaborazione tra istituzioni – ammesso che noi possiamo considerarci un’istituzione.

Senza dubbio un’istituzione di fatto, come minimo…

Sì, direi che con la Campogalliani Mantova ha un bell’esempio di quello che possono la passione, la volontà, la cultura teatrale in mano a persone che veramente sanno ricreare e diffondere gli onori del palcoscenico. Abbiamo sempre perseguito un’opera di diffusione culturale, e il pubblico di Mantova e provincia ha sempre riconosciuto il nostro impegno. Questo è fondamentale, perché il pubblico per noi è l’altra metà del cielo, e ci ha sempre, ma proprio sempre gratificati e seguiti – e non è cosa da poco. Credo che un po’ ce lo siamo meritato. Lo dico senza falsa modestia, perché la falsa modestia è un peccato quasi capitale. Ci siamo fatti un nome e un seguito – e qui si sperimenta una vita particolare, sembra di vivere due volte.

E con questo abbiamo finito. Grazie, Francesca, e buon lavoro nell’intensissima stagione, nelle celebrazioni del settantennale e negli eventi di Mantova Capitale. A prestissimo. E la settimana prossima tocca a Maria Grazia Bettini.

Mag 2, 2013 - gente che scrive, Poesia    Commenti disabilitati su Heaney A Virgilio, Heaney & Virgilio

Heaney A Virgilio, Heaney & Virgilio

seamus heaney, virgilio, bann valley eclogueSeamus Heaney torna a Mantova – e per la precisione torna a Virgilio.

Ci torna per incontrare gli studenti dei Licei, sabato mattina – e dite se non è un’occasione straordinaria per questi ragazzi, che non solo lo ascolteranno parlare di Poetrty Stories – the Strange and the Familiar, ma avranno anche modo di rivolgergli delle domande e di interagire con lui…

E poi domenica Heaney incontrerà il pubblico generale all’AvisPark di Cerese per una conferenza a tre su Virgilio nella poesia contemporanea, insieme a Pietro Andreotti di Alias e a Giorgio Bernardi Perini dell’Accademia Nazionale Virgiliana. E sarà anche l’occasione per presentare Seamus Heaney – Virgilio nella Bann Valley, bel librino di traduzioni e saggi cui ho collaborato anch’io.

E adesso indovinate: chi sarà l’interprete di Heaney in queste intense giornate?

Ebbene sì, o Lettori: c’est moi.

Dire che sono elettrizzata è sottovalutare la situazione in grande stile…

Ci vediamo, se siete nei paraggi e se vi va di sentir parlare uno dei grandi poeti del nostro tempo, domenica mattina alle dieci a Cerese.

L’invito in PDF – con tanto di cartina – lo trovate qui.

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Ott 10, 2011 - teatro    2 Comments

Di Uomini E Poeti – Il Debutto

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Tradizione vuole che, in punto di morte, Virgilio abbia chiesto con insistenza la distruzione della sua opera incompiuta, il poema epico che ancora non si chiamava Eneide. Ma il poema era una straordinaria celebrazione – e ancor più un’edificazione del mito di Roma, bella nella sua incompiutezza: Vario Rufo, poeta a sua volta e amico di Virgilio, non ebbe cuore di obbedire alla richiesta e in seguito ebbe da Augusto l’incarico di curare la pubblicazione dell’Eneide così come Virgilio l’aveva lasciata.

È per una disobbedienza alla volontà di un amico defunto che il poema è giunto a noi attraverso venti secoli, con l’occasionale verso imperfetto, con qualche incoerenza, con le sue asimmetrie narrative e con un eroe cui forse – forse! – l’autore non ha fatto in tempo a instillare, a completamento delle virtù romane, la scintilla vitale.

I latinisti si sono interrogati a non finire sul brusco finale del Libro XII, e innumerevoli generazioni di studenti ginnasiali, me compresa, hanno storto il naso davanti al Pio Enea, più paradigma di obbedienza e abnegazione che essere umano. Rileggendo il poema con occhi adulti, e con la libertà e il gusto di cui non avevo beneficiato sui banchi di scuola, mi sono trovata a meditare, più che sulle vicende di Enea e dei suoi, su ciò che Virgilio non ebbe tempo di compiere prima di morire. La tentazione di considerare la gelida caratterizzazione di Enea un difetto da prima stesura era irresistibile – e non ho resistito. Il mio Virgilio, che torna nei sogni di Vario Rufo per deciderlo a bruciare il manoscritto incompiuto, non si preoccupa tanto dell’imperfezione dei versi, quanto di non avere avuto il tempo di tratteggiare compiutamente i significati e i messaggi che voleva nella sua opera.

Ma a complicare il dilemma di Vario, lacerato tra la lealtà all’amico e l’ammirazione per il poema, irrompono nel sogno i personaggi dell’Eneide – non l’eroe eponimo e vincitore, ma gli sconfitti: Creusa, Turno, Amata, colmi di risentimento e certi che solo la distruzione del manoscritto li libererà dalla sorte cui Virgilio li ha condannati. Ed ecco che la lotta per il rogo dell’Eneide diventa una metafora per l’intrecciarsi di arte e vita, dovere e istinti primari, libero arbitrio e destino, amore, sconfitta, giustizia e memoria – in una parola, l’umanità.

Difficilmente la questione di che cosa davvero mancasse al compimento dell’Eneide troverà una risposta inoppugnabile. Dove storiografia e filologia non possono giungere, tuttavia, al teatro è consentito tessere, con le incertezze di Virgilio e il rifiuto di Vario, una riflessione sul rapporto tra l’autore e la sua opera.

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Di Uomini E Poeti – ovvero Il Testamento di Virgilio – debutta venerdì 14 ottobre alle ore 21 al Teatro Bibiena di Mantova.

Ingresso gratuito e niente prenotazioni – a quanto pare, l’unica è non arrivare troppo tardi…

E se non potete venire, wish me luck! (ma non in questi termini!!)    

Mag 27, 2011 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su La Rivincita In Accademia

La Rivincita In Accademia

Venerdì 27 maggio, ore 17.30, Sala Ovale dell’Accademia (Via Dell’Accademia, 47 – Mantova)

 

Presentazione del volume LA RIVINCITA, romanzo filosofico incompiuto di don SERGIO LASAGNA

Saluti del Presidente dell’Accademia professor GIORGIO ZAMBONI e per la Diocesi di Mantova dell’Accademico mons. ROBERTO BRUNELLI.

Interverranno mons. ULISSE BRESCIANI e CHIARA PREZZAVENTO.

Set 28, 2010 - teatro    3 Comments

Bibi e il Re degli Elefanti

Se volete, posso anche ammettere che, quando parlavo di compagni immaginari, non lo facevo del tutto senza secondi fini…

Gli scrittori sono gente pessima, vero? Ma il fatto è che, ormai in dirittura d’arrivo, c’è questo:

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La storia narrata in Bibi e il Re degli Elefanti è stata desiderata, discussa e sognata ben prima di arrivare sulla carta e sul palcoscenico.

Da sempre credo fermamente nel potere dell’immaginazione che – come gli Inglesi dicono a proposito di una buona tazza di tè – forse non cura nulla, ma di certo giova a tutto, dalla malinconia alla peste nera, passando per l’unghia incarnita e le pene d’amore.

L’idea di Bibi e del suo elefante immaginario è nata discutendo questa teoria con il Professor Zamboni, pediatra acuto e sensibile, cui premeva una storia che raccontasse di malattia e di speranza. L’associazione tra la speranza e l’immaginazione – e ancor più tra l’immaginazione e quella forza di affrontare la difficoltà che genera e sostiene la speranza – è stata per me immediata e istintiva. E se qualche riluttanza mi frenava dallo scrivere in un campo delicato come quello dell’infanzia, la storia che germogliava via via da questi stimoli ha travolto le mie resistenze: nati da un incontro di pensiero e istinto, di memorie e di concetto, Bibi, Bogus e Giovanna la Pulzella chiedevano con insistenza di essere scritti.

Secondo gli studi recenti in materia, i due terzi dei bambini si creano dei compagni immaginari: amici fedeli e rassicuranti da cui ricevere appoggio, complicità e conforto, punti di riferimento all’interno di dimensioni psicologiche chiuse o perdute per gli adulti. Mi sono chiesta quanto più acuto debba essere il bisogno di queste “presenze” – così diffuso tra i bambini sani e felici – per un bambino che si sente derubato della sua infanzia e, forse, tradito dall’impotenza degli adulti di fronte al nemico invisibile chiamato malattia. Bogus e Giovanna non simboleggiano, come teme la mamma di Bibi, una fuga dalla realtà: rappresentano invece la forza interiore dell’individuo, la costruzione di un carattere e la ricerca di una bussola morale. Nei suoi compagni immaginari, senza saperlo, Bibi costruisce non soltanto la sicurezza di cui ha bisogno e un elemento magico che trasfigura la sua situazione, ma anche un senso di ciò che è giusto e sbagliato. Nel momento del bisogno, della sofferenza e dell’incertezza, in Bogus e Giovanna – ovvero nel dialogo con se stessa – Bibi trova coraggio, speranza, bellezza, perseveranza e principi: in una parola, cresce.

La dimensione teatrale restituisce alla vicenda di un piccolo essere umano che sboccia in circostanze dolorose il sogno e la magia sospesa di una favola vista con occhi bambini.

Giu 12, 2010 - libri, libri e libri    4 Comments

I Due Conti Pecorai

Ippolito Nievo oggi all’Accademia Virgiliana di Mantova. E qui devo confessare (cospargendomi di cenere il capo) di aver creduto a lungo che Nievo avesse scritto soltanto le Confessioni Di Un Italiano e il Novelliere Campagnuolo… Invece scopro oggi che esiste altro, tra cui Il Conte Pecoraio, romanzo d’ambiente contadino e d’ispirazione parzialmente manzoniana.

Una volta chiarito l’illuminante particolare che il protagonista eponimo e la di lui figliola Maria sono in realtà nobili decaduti da qualche generazione, una volta accennato che la trama è una storiellona d’ingiustizie, innocenza perduta, gente che legge i Promessi Sposi, coincidenze e voti, vengo all’aspetto che mi ha colpita di più nella relazione di Simone Casini, curatore dell’opera omnia. Si dà il caso che, oltre alla versione a stampa pubblicata nel 1857, del CP rimanga una prima stesura manoscritta, redatta a partire dal 1855. Ebbene, pare che la differenza tra le due sia abissale: la trama è modificata, ma la cosa più sorprendente è la metamorfosi del linguaggio.

Nel 1855, in una lettera, Nievo aveva dichiarato l’intenzione di scrivere “un romanzo semplice semplice”, poi evidentemente cambiò idea. Fossero i consigli dei colleghi scrittori (gente come Tenca e Fusinato…) a cui aveva mostrato la prima stesura, fosse qualche insoddisfazione nei confronti di una certa inconsistenza espressiva, fosse un’improvvisa folgorazione stilistica, qualcosa indusse il venticinquenne Ippolito a riprendere in mano il suo romanzo e riscriverlo puntigliosamente, frase per frase, quasi parola per parola, caricando il tutto “in senso aulico ed espressivo”.

Il risultato è stupefacente: un linguaggio dal registro indefinibile, affollato di impossibili toscanismi fianco a fianco con espressioni dialettali, calchi, echi dei Promessi Sposi (ma, badate bene, dell’edizione del 1827, pre-bucato in Arno), scelte lessicali eccentriche, costruzioni convolute e bizzarrie miste assortite – compresi i contadini friulani che parlano un Toscano tanto aulico da sembrare trecentesco… Quali che fossero le perplessità di Nievo sulla sua prima stesura, non si può certo dire che il linguaggio della seconda abbia giovato alla fortuna del Conte Pecoraio, la cui storia editoriale è singolarmente scarna.

Adesso esce, per l’appunto, pubblicato da Marsilio, e non esce una volta sola: tra qualche mese sarà la volta di un nuovo volume, dedicato alla prima stesura, quella manoscritta, quella “semplice semplice”, quella non ancora “rassettata”.

Non sono certissima che leggerei il Conte Pecoraio se ne esistesse soltanto la versione a stampa… forse potrei essere curiosa di dare un’occhiata al romanzo che ha preceduto le Confessioni, forse potrei voler leggere le scene quasi metaletterarie in cui Maria s’ispira o si paragona alla Lucia manzoniana, ma nulla di più. Le due versioni così disparate tra loro, però sono un cavallo di tutt’altro colore: una metamorfosi congelata nella carta anziché nell’ambra, una porta aperta sul modo in cui uno scrittore ripensa il suo libro parola per parola… come resistere all’opportunità di vedere il funzionamento di un meccanismo del genere? Personalmente so già che non resisterò affatto – non proverò nemmeno a resistere, che diamine!

Intanto, per chi si fosse incuriosito, qui c’è, insieme ad alcuni altri titoli, Il Conte Pecoraio (versione a stampa 1857) in PDF.

Mar 21, 2010 - musica    Commenti disabilitati su Magda Olivero

Magda Olivero

Magda Olivero, grande dame della lirica italiana, compie cento anni. E’ lucidissima, brillante, spiritosa, ricorda i suoi trionfi senza modestia e senza millanteria, rivive con trasporto le sue interpretazioni e trabocca ancora di passione per la sua arte. Ieri, in un pomeriggio all’Accademia Virgiliana, ha incantato tutti con i suoi ricordi affascinanti e il suo brio.

Qui potete sentirla cantare Tosca, nel suo debutto al Met.

 

Buon compleanno, meravigliosa Signora Magda!

Nov 30, 2009 - grilloleggente, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Alfredo Oriani

Alfredo Oriani

oriani.jpgVenerdì scorso, all’ Accademia Virgiliana, Marco Debenedetti (nipote dello scrittore e critico Giacomo, detto en passant) ha presentato il suo libro su Alfredo Oriani (1852-1909), che era uno scrittore estremamente prolifico e un uomo privo di buon senso.

Era, tra le altre cose, convinto che tutti ce l’avessero con lui: editori, politici, scrittori, critici, tutti accaniti a relegare nell’oscurità proprio lui, che era il più grande scrittore vivente… Insomma, un ego delle dimensioni di un’anguria, combinato con delle manie di persecuzione di tutto rispetto, un’incapacità completa di convivere con la realtà, un gran desiderio di gloria e un talento spaventosamente inuguale.

Scrisse di tutto un po’: trenta (grossi) volumi di romanzi, racconti, articoli, saggi, drammi teatrali, ranging dal capolavoro (Vortice, Gelosia) al misericordiosamente dimenticabile. E intanto, siccome nella tenuta di campagna dove si era rifugiato gli avanzava del tempo, scrisse anche un epistolario che, pubblicato, occupa un trentunesimo volume di seicento pagine.

Quando l’editore milanese Treves, interessato a pubblicare il suo saggio storico La Lotta Politica in Italia, gli chiese di modificare il titolo polemico e di eliminare l’ultimo capitolo, Oriani rispose che avrebbe tanto preferito di no. Treves gli fece capire come, a sua volta, preferisse proprio di sì… e Oriani? Abozzò? Nemmeno per idea. Cercò un compromesso? Ma giammai! Negoziò? Per carità! Scrisse a Treves (in Latino) che o il libro restava com’era o non se ne faceva nulla, e l’editore lo accontentò: non ne fece nulla. Oriani pubblicò a sue spese con un altro editore molto meno prestigioso, molto meno rilevante sulla scena culturale italiana, e il libro fu un disastro.

Quando Francesco Crispi acconsentì a riceverlo, passò tutto il tempo a litigarci e, apparentemente, non in quel modo che nei romanzi funge da burrascoso preludio a lunghe e durature amicizie, no.

Non è il genere di comportamento che conduca ad una diffusa e ammirata benevolenza: Oriani morì solo e complessivamente dimenticato nel 1909, a 57 anni. Al suo funerale c’era una manciata di persone appena. Poi, giusto per affossare definitivamente la sua reputazione, il Fascismo in cerca di legittimazione culturale lo elesse a precursore e artista emblematico. Ci furono un sacco di licei Alfredo oriani, un cacciatorpediniere Alfredo Oriani e, a guerra finita, decenni di silenzio completo.

Adesso lo si riscopre con cautela ma, prima che lo si riscopra troppo, diciamolo: Alfredo Oriani meriterebbe un romanzo tutto per sé. Madre autoritaria, fratello più amato e morto giovane, scrittura ossessiva, manie di persecuzione, esilio volontario in campagna, fiaschi giornalistici e teatrali, un figlio illegittimo, baruffe editoriali, errori clamorosi, velleità politiche, funerale desolato, gloria postuma (e dannosa)… mancano soltanto le crisi mistiche perché quest’uomo sembri uscito dalla penna di un autore russo!

Intanto, Marco Debenedetti dice che i suoi romanzi migliori (Vortice e Gelosia, già citati, in un ordine d’importanza aperto a dibattito) non sfigurano in un confronto con Flaubert. Se dicessi di non essere incuriosita, mentirei. Se qualcun altro lo fosse, qui c’è il sito della Fondazione Casa di Oriani, qui si parla del libro di Debenedetti e qui ci sono diverse opere di Oriani in formato elettronico (.pdf, .rtf o .txt a scelta) presso il mai abbastanza lodato Progetto Manuzio.

Nov 5, 2009 - musica, pennivendolerie    Commenti disabilitati su Martucci in Accademia

Martucci in Accademia

Martucci_image_01.jpgOggi, in occasione del centenario della morte, l’Accademia Nazionale Virgiliana di Scienze, Lettere e Arti dedica al compositore napoletano Giuseppe Martucci una giornata al Teatro Bibiena di Mantova. Convegno oggi pomeriggio, iniziando all 17.00, e concerto alle 21.00, tutto in omaggio all’autore della Canzone dei Ricordi, l’unico ciclo di lieder del panorama musicale italiano.

Ho smarrito il mio invito con programma, e quindi non sono in grado di essere terribilmente precisa, ma quello che posso dire con certezza è che, durante il convegno, Francesca Campogalliani, dell’Accademia Teatrale Campogalliani, leggerà “I Ricordi della Canzone”, novella martucciana di Chiara Prezzavento. Essì, credevate che fosse un post informativo, e invece è spudorata autopromozione…

Per redimermi, almeno parzialmente, qui c’è un sito dedicato a Giuseppe Martucci, IL compositore sinfonico del secondo Ottocento italiano (vale a dire, l’unico a non scrivere nemmeno un’opera…)

Adesso mi piacerebbe inserire un video di musica martucciana, ma YouTube non me lo consente: tutti i pezzi di Canzone che ci sono (la scelta è fra Mirella Freni e Violeta Urmana) portano la dicitura “incorporamento disattivato su richiesta dell’utente”. Vuol dire che dovrete andarli a cercare qui.

Ott 16, 2009 - considerazioni sparse    Commenti disabilitati su Virgilio in Pillole

Virgilio in Pillole

Ieri, 15 ottobre, era il cosiddetto Compleanno di Virgilio.

L’Accademia Nazionale Virgiliana di Scienze, Lettere e Arti ha celebrato la ricorrenza con un convegno in Santa Maria della Vittoria, e la Clarina era là, nonostante debba confessare una simpatia limitata per il poeta in questione. O forse questa è un’ingiustizia, perché in realtà tutto si risolve nel fatto che la Clarina proprio non regge il Pio Enea. Una volta o l’altra ne parleremo.

Ad ogni modo, il convegno ha avuto tra i suoi meriti quello di occuparsi di Virgilio in modo inconsueto, scegliendo temi poco frequentati, come la storia delle traduzioni virgiliane in Russia, la duplice (e polemica) traduzione dell’Eneide del letterato e diplomatico mantovano Ercole Udine, e la traduzione delle Bucoliche in dialetto alto-milanese di Edoardo Zuccato.

Spero di non suonare irriverente se condenso qui alcune pillole tra le molte cose interessanti che si sono dette.

– Dopo ventuno secoli di letture, riletture e interpretazioni, a quanto pare, non siamo ancora sicurissimi sul significato di certi versi virgiliani. E d’altro canto, abbiamo perso definitivamente la conoscenza di come i Romani pronunciassero effettivamente il Latino. Sono, come si diceva altrove, alcune di quelle cose che non sapremo mai. Ma ciò non impedisce di continuare a cercare. 

– Il mito non si propone come affermazione di verità, ci ha spiegato il Professor Dario Cosi (Storia delle Religioni, Brescia-Bologna), ma come strumento d’interpretazione della realtà. In fondo, pare a me, il mito è si comporta in modo più filosofico/scientifico che religioso…

– Tanto nella Russia zarista quanto poi nell’Unione Sovietica, ci ha spiegato l’ex sindaco di Mantova Vladimiro Bertazzoni, si studiava e traduceva Virgilio. Non molto, ma abbastanza perché Puskin lo citasse in mezzo al bagaglio culturale di dubbia utilità di Onegin, e perché nel XVI secolo il poeta fosse raffigurato tra i precursori  della Cristianità sulle pareti della Chiesa dell’Annunciazione a Mosca. Mi affascina sempre scoprire come parti del nostro paesaggio culturale vengano percepite altrove.

– Ercole Udine ha tradotto l’Eneide non una, ma due volte. E disapprovava Annibal Caro con tutta l’anima sua. Caro è così profondo nell’interpretare l’Eneide, dice Udine, che ci vede cose che nessun altro può arrivare a vederci. (Sottinteso: perché infatti non ci sono per niente. Prendi, incarta e porta a casa, Annibal). Molto più occupato a confutare il Caro, dice la mia amica Elena Coppini (Università di Padova) che a tradurre sul serio. Comincio a pensare che sarebbe un buon personaggio, narrativamente parlando.

I Bucoligh in dialetto alto-milanese, di Edoardo Zuccato, non sono sempre di facilissima comprensione per i non alto-milanesi (nemmeno per un esperto di dialetti come il professor Mario Artioli), ma sono una delizia. Confesso che al sentire le Muse apostrofate come “Bei gagiòt dal Piero”* è stato difficile mantenere un contegno serio e decoroso.

Buon compleanno, Virgilio!

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* Le belle Pieridi, figlie di Pierio, che potrebbero essere le Muse oppure no (be’, secondo Virgilio sì, evidentemente), che forse avevano gli stessi nomi oppure no… Secondo una versione del mito, tentarono di fare le scarpe alle Muse e non ci riuscirono. Secondo altre, furono le vere madri dei figli delle Muse. A scelta e a piacere di ciascuno.

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