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Lug 1, 2015 - libri, libri e libri, Storia&storie    Commenti disabilitati su Alla Ricerca del Libro Perduto

Alla Ricerca del Libro Perduto

scavenger-hunt-mapRambling ahead, vi avverto…

Mai cercato disperatamente un libro? Non perché vi servisse, non per motivi di studio o di lavoro: solo perché lo volevate tanto. Adesso che c’è Internet capita assai meno, ma ho trascorso la mia adolescenza e prima giovinezza cercando l’uno o l’altro libro. Sempre qualcosa fuori catalogo, o qualcosa che non si trovava più, o qualcosa di pubblicato da uno sconosciutissimo mini editore di provincia…

E ogni volta che arrivavo in una città nuova, ogni volta che passavo davanti a una libreria mai vista prima, entravo e chiedevo. Era come avere una caccia al tesoro tutta mia, e quindi continuavo anche di fronte alla crescente evidenza che la maggior parte delle librerie erano diventate come farmacie: ti procuravano quello che c’era in catalogo; per il resto potevi attaccarti al tram e fischiare in curva. Biblioteche, lo confesso, meno possibile, perché non c’era altrettanto gusto. Voglio dire, trovare il tesoro e non potertelo tenere, averlo in prestito per un misero mesetto… No, non era la stessa cosa. Nondimeno, capitavano i miracoli, le volte in cui, dopo lunghe ricerche, si trovava il libro e lo si poteva anche portare a casa. Definitivamente. Come La Bufera di Edoardo Calandra, scovata, tra tutti i posti possibili, in un istituto di vendite giudiziarie. O come la vecchia edizione BUR della Saga di Gösta Berling rinvenuta (insieme a varie altre meraviglie) al Parnaso, meravigliosa libreria pavese specializzata in edizioni fuori commercio. Ah, quante volte sono stata sul punto di chiedere al proprietario del Parnaso se non gli servisse una commessa, anche a metà stipendio… ma non divaghiamo, parlavamo di ritrovamenti miracolosi.

!B(k2puw!mk~$(KGrHgoH-CEEjlLl0F63BKdC-+pbRw~~_35.jpgLa mia storia prediletta è quella di Io sono il Barone Rosso, autobiografia di Manfred Von Richtofen. Cercato per anni, libreria dopo libreria, città dopo città: “Buongiorno, cerco Io sono il Barone Rosso, di Manfred Von Richtofen”… Per lo più mi sentivo dire che non l’avevano e tutto finiva lì. Qualche volta una ricerca (sui cataloghi cartacei, I’m that old). Più raramente una vaga promessa di ricerche. Perché l’edizione italiana esisteva eccome: Pocket Guerra della Longanesi, pubblicato negli Anni Settanta… possibile che non si trovasse da nessuna parte? Eppure no: non si trovava. Una volta, al mare, in un posto che sembrava più un magazzino navale che una libreria, un signore anzianotto con il codino grigio mi disse che certo, cavolo, come no? Von Richtofen! Ma sicuro, che ce l’aveva… volevo aspettare un attimo? Volevo, eccome, se volevo… Immaginatemi che aspetto mentre l’omino sparisce tra pile di libri. Sbuffa, impreca, chiama. Fiuta, razzola, fruga. E poi ricompare, brandendo, tutto trionfante, le memorie di Von Ribbentrop. E a questo punto, immaginatemi che non scoppio a piangere per puro miracolo. Non avevo ancora quattordici anni, mi si può perdonare.

Poi lo trovai su una bancarella di libri usati in una fiera di paese,  tra zucchero filato, bigiotteria, giocattoli, occhiali da sole taroccati… Quando il bancarellaro mi disse che l’aveva, ammaestrata dai precedenti non non mi affrettai troppo a crederci – e invece lui lo tirò fuori, ancora nel cellophane: Pocket Guerra Longanesi, Io sono il Barone Rosso, di Manfred Von Richtofen! Colpo al cuore. “Diario segreto del più grande asso della caccia mai esistito”, recita il ridicolo sottotitolo italiano. Diario segreto un bottone! Von Richtofen dettò i suoi ricordi a un giornalista, lo zio di tutti i ghostwriters, perché le folle adoranti volevano sapere, e lo Stato Maggiore voleva che sapessero… però il giornalista aveva fatto un buon lavoro, e la personalità del Barone traspare bene: un misto di spavalderia, di riservatezza e di vena malinconica.

Corradino027Adesso, come dicevo non succede più molto. C’è Internet, c’è eBay, c’è Amazon, c’è Alibris…  E nondimeno capita. Ci sono quelle cose che non si trovano proprio – o così pare, come Il dramma di Corradino di Svevia, di Salvator Gotta e Andrea Fanton. Libro per fanciulli, e gl’inizi della ricerca difatti risalgono alla mia lontana preadolescenza, quando soffrivo di medievite grave e Manfredi di Svevia era il mio eroe… E di Manfredi Corradino era il nipote – close enough, tutto considerato – ma il libro per fanciulli proprio non si trovava. Uscito di catalogo presto, immagino, e refrattario alle mie ricerche. Anni più tardi, venuta l’era di internet, ci riprovai – e nulla. Nemmeno una traccia, davvero, da nessuna parte, se non una manciata di copie in altrettante biblioteche remote… E sì, avrei potuto ricorrere al prestito interbibliotecario, ma l’ho già detto: non è così che funziona. Non con questi libri che non servono a nulla, ma si vogliono e basta. Non li si vuole per restituirli dopo un mese, vi pare? Così mi convinsi che proprio non ci fosse modo e rinunciai una seconda volta – ma non prima di avere raccontato la storia al mio amico S., collezionista compulsivo e cacciatore in rete.

Ebbene S. non disse nulla all’epoca, poi qualche settimana fa se ne arriva con un regalo di compleanno… E indovinate un po’? Corradino! E quindi c’era, dopo tutto. Difficile a trovarsi ma non introvabile. Non avete idea di quanto mi abbia fatto felice vedere quel librino verde uscire dal pacchetto. Adesso l’ho letto, e credo di avere capito perché fosse sparito nel nulla. È un libro strano, scritto nel 1972, ma alla maniera di molti anni prima. Salvator Gotta era vecchio agli inizi degli anni Settanta – e aveva in mente il gusto di altre generazioni. Fanton, evidentemente, non aveva colto il problema o non ne aveva fatto granché… Ed è fin troppo facile immaginare insegnanti e fanciulli che storcono il naso davanti a questa storia episodica, al linguaggio un po’ antiquato, al Medio Evo di Maniera… Sarei curiosa di sapere quante classi ebbero Corradino per l’ora di narrativa. Non molte, sospetto. A me bambina sarebbe piaciuto – era il genere di storia, di modo di raccontare – e tutto sommato di linguaggio – che mi piaceva trovare nei libri. Era il tipo di luce in cui mi piaceva veder rappresentata la storia. Nulla di terribilmente realistico, sia chiaro – ma a dieci, undici anni avevo già il sospeto che la realtà sia sopravvalutata.

Ad ogni modo, trent’anni più tardi, Corradino è arrivato, e l’ho letto in un paio di tarde serate estive – con la forte impressione che a sbirciare da sopra la mia spalla, e a compiacersi di quel che leggeva, ci fosse la piccola Clarina in vacanza di tanti anni fa.

 

 

Giu 17, 2011 - anacronismi, cinema, teorie    2 Comments

Il Barone Rosso Meets La Bambinaia Francese

barone rosso, manfred von richtofen, scrittura cinematografica, anacronismiIl Barone Rosso è uno di quei personaggi su cui potrebbero esserci più romanzi e più film di quanti ce ne siano. O forse no.

Junker prussiano, asso per antonomasia della I Guerra Mondiale, un genio nel suo campo, morto giovanissimo in battaglia… sembrerebbe perfetto, no? Solo che poi leggi i suoi diari. Persino attraverso il lavoro del protoeditor che gli fu affiancato, la personalità che emerge è singolare: un rimuginatore introverso, con una passione e un’etica delle battaglie aeree, un rigore quasi monacale nel comando, delle intuizioni tattiche fulminanti e un misto di spavalderia, riservatezza e spleen che è molto attraente ma niente affatto cinematografico.

Quindi non è del tutto sorprendente che gli sceneggiatori non sappiano bene che cosa fare di lui – e i risultati dei rari tentativi tendono ad essere deprimenti.

barone rosso, manfred von richtofen, sceneggiatura, filmDi Richtofen, film muto del 1929 non so proprio nulla, ma mi documenterò. Intanto però posso dirvi che nel grigio Von Richtofen And Brown, del 1971, il Barone è ritratto con una gelida cautela che sconsola. Difficile anche solo interessarsi al suo personaggio. Ma d’altra parte il suo (supposto e probabilmente anche sbugiardato) abbattitore, il canadese Roy Brown, è abrasivamente antipatico. L’intenzione di contrastare il cavaliere del cielo con il rustico ragazzo coloniale che dice pane al pane è assai poco sottile e l’inespressività degli attori, in particolare l’allucinato spilungone John Phillip Law, non giova affatto. Alla fin fine ci si ritrova con un certo numero di duelli aerei (bellini ma anacronistici nella scelta degli apparecchi) e due protagonisti con tanto fascino e tanto spessore combinati quanti ne starebbero sulla punta di un coltello. 

Dopo questo, il Barone compare come figura di contorno in un certo numero di film e telefilm – ora inavvicinabile leggenda vivente, ora mezzo matto sanguinario – e poi più nulla fino al 2008. barone rosso, manfred von richtofen, sceneggiatura, scrittura cinematografica

Nel 2008 esce Der Rote Baron, maxiproduzione tedesca girata in Inglese, in un tentativo di raggiungere un mercato più vasto. Tentativo fallito grandiosamente, visto che dopo essere stato un fiasco in Germania, il film ha avuto pochissimo successo altrove. Non so se in Italia sia mai arrivato nei cinema, ma le recensioni che si leggevano su IMDb erano tali da non far rimpiangere particolarmente il fatto. Ciò non toglie che, vedendolo passare in televisione qualche sera fa, gli abbia dato un’occhiata. Ebbene, c’è un motivo se ha fatto fiasco – e questo motivo è, signore e signori, la Cattiva Scrittura. Cominciamo col dire che, visivamente, il film non è del tutto male. Immagino che il sostanzioso budget sia andato tutto in effetti speciali, perché gli esterni girati nei teatri di posa sono un tantino evidenti, e le scene di massa sono… er, masse piccole. Gli effetti speciali, dal canto loro, sono persino un po’ troppo, con i bi/triplani di tela e legno che fanno acrobazie da F16 e combattono in formazione iperserrata… Dopodiché, onore al merito là dove spetta: costumi e ambientazioni sono molto curati e anche accurati, gli aerei finti a terra sono una bellezza (nonostante siano, ancora una volta, gli aerei sbagliati in più di un caso), e la fotografia fa qualche sforzo per creare un’atmosfera di crescente desolazione e claustrofobia – but more on that later. Gli attori… Il casting è un misto di scelte ragionevolmente felici, approssimazione e nomi stranieri finalizzati alla cassetta ma, a dire il vero, gli attori sono difficili da giudicare, costretti come sono in una sceneggiatura che soffre di molti mali in vari stadi di gravità.

Sgombriamo il campo dalle magagne ovvie: il passo della narrazione è di fatto un saltellon-saltelloni di scene episodiche, mal legate tra loro e in una sequenza che immagino incomprensibile per chi non arrivi con qualche conoscenza della vita del Barone e dello Jasta 11. La caratterizzazione dei personaggi è minima e grossolana – vedansi i quasi macchiettistici Kaiser e Hindenburg, per non parlare del Brown di Joseph Fiennes, che sembra uscito da Cambridge. La storia d’amore fittizia è convenzionale fino alle lacrime, e parrebbe stock Hollywood fare cucinato in salsa tedesca, se non fosse in realtà parte di una colpevole strategia di fondo. Idem per le spaventose libertà storiche – e con questo veniamo alla malattia più grave di questa sceneggiatura: la Sindrome della Bambinaia Francese.

Ne avevamo già parlato, ricordate? La SdBF è la forma più grave e più colpevole di anacronismo: prestare sensibilità del nostro tempo a personaggi di un’altra epoca, ritraendo automaticamente come malvagi i loro contemporanei non anacronistici. Nella sua ansia di mostrare che il Barone era “un ragazzo come noi”, e nel suo zelo missionario antibellico, l’autore/regista Nikolai Muellershoen rende il suo film fasullo, preachy e intellettualmente disonesto.

Ecco che il Barone diventa un improbabile proto-pacifista allegro e compagnone, che ordina ai suoi di abbattere gli aerei nemici rigorosamente senza uccidere il pilota, che va matto per le acrobazie aeree, che fa amicizia con Brown, che matura quando la sua dolce infermiera gli ammannisce un fervorino sulle atrocità della guerra e sulle ingiustizie sociali, che suggerisce a Hindenburg di arrendersi e occasionalmente rimbecca il Kaiser. Ora, non solo nulla di tutto questo è vero, ma tutto ciò travisa completamente la personalità e la mentalità del Barone nell’intento di far passare un messaggio pacifista e un’immagine più “simpatica” dei Tedeschi in guerra. Nel film il Barone e la sua infermiera ragionano come gente del XXI Secolo, e qualsiasi altro punto di vista è trattato come stupido, retrivo e guerrafondaio. Come dicevasi, Sindrome della Bambinaia Francese a uno stadio grave.

E la cosa si traduce in cattiva scrittura perché tutto è sacrificato alla predicazione e alla storia d’amore – ma proprio tutto: accuratezza storica, ritmo, caratterizzazione, tutta una serie di avvenimenti fondamentali della vita del Barone e, incredibilmente per un film su un asso dell’aviazione, persino i duelli aerei, di cui vengono mostrati solo generici spizzichi e bocconi qua e là, senza troppo capo né gran coda.

Ricordo di avere pensato, a suo tempo, che forse una produzione tedesca avrebbe saputo rendere meglio il personaggio. Sbagliavo e non tenevo conto dell’ansia di riabilitazione della Germania. Muellerschoen avrebbe potuto fidarsi dello spettatore, mostrandogli la parabola tragica di un giovanotto che entra in guerra pieno di entusiasmo e spirito patriottico, e continua ad ingoiare lealmente i suoi dubbi mentre il mondo che vuole difendere gli crolla attorno. Invece ha deciso di sbattercelo in testa ripetutamente, il suo messaggio, e al diavolo la storia.

Peccato.

Riuscirà qualcuno, prima o poi, a scrivere il Barone per quello che era – come un uomo del suo tempo, con le sue complessità e non quelle di qualcun altro?  

Feb 5, 2010 - blog life, considerazioni sparse, grillopensante    Commenti disabilitati su Motori di Ricerca

Motori di Ricerca

Un po’ di numeri: qualcuno sensato, qualcuno… er, meno.

Se le statistiche di MyBlog sono attendibili, nel corso della giornata del I Febbraio, i lettori che sono arrivati a Senza Errori di Stumpa via motore di ricerca lo hanno fatto con queste parole chiave:

– Alla fine della storia io tocco

– Manfred von Richtofen storia

– Parallelepipedo

– Tecniche narrative

Per quello che riguarda Cyrano e il Barone, nulla da dire, se non che sono molto contenta che si arrivi dalle mie parti cercando di loro… Ed è evidente che aggiungere “storia” alla ricerca è d’aiuto. In entrambi i casi, chiedendo lumi a Google, SEdS è nella prima pagina. Fort bien.

“Tecniche narrative” ci trova in terza pagina, il che tutto sommato non è male, ma di fare assai meglio non dispero*.

Un po’ più sconcertante è scoprire che, digitando “parallelepipedo” nella search box di Google, SEdS e io spuntiamo a metà della sesta pagina, per via di questo post… Chiunque sia sbarcato qui cercando nozioni geometriche sarà rimasto un tantino deluso!

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* Scoperta effettuata in giorni successivi al 1° di Febbraio: per “Show, don’t tell”, SEdS è a metà della prima pagina… Così va bene.

 

Dic 14, 2009 - considerazioni sparse, libri e fumetti, Natale    Commenti disabilitati su Snoopy

Snoopy

stormy.jpgSanta Lucia deve avere letto il post dell’altro giorno, perché mi ha portato un mug favoloso.

Da una parte c’è Snoopy che scrive “Era una notte buia e tempestosa…”, e dall’altra Snoopy che immagina di essere un asso della I Guerra Mondiale. In mezzo c’è il manico, utile per quando si vuole bere il tè, oltre a contemplare il bracchetto.

“Se si eccettua il baseball,” mi si è commentato, “Snoopy praticamente sei tu: o a scrivere, o persa a immaginarti delle battaglie.”

Ma io protesto, protesto vivacemente: non so se inizierei un romanzo con “Era una notte buia e tempestosa…” (oddìo, non si sa mai… peccato che l’abbia già fatto Bulwer-Lytton), ma una cosa è assolutamente certa: non immaginerei mai di combattere contro il Barone Rosso. Io immaginerei di essere il Barone Rosso, che caspita! battle.jpg

E per tutta la giornata, immaginatemi china sulle mie carte, con la tazzona fumante accanto.