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Lug 13, 2018 - libri, libri e libri, teatro    Commenti disabilitati su Le Armi E L’Uomo

Le Armi E L’Uomo

armsmanShawBenché G.B. Shaw sia un altro dei miei numi tutelari, e benché nel corso degli anni abbia letto il suo Le Armi e l’Uomo (Arms and the Man) un’infinità di volte, ho impiegato secoli a rendermi conto che la connessione virgiliana andava più a fondo della citazione nel titolo.

Non tantissimo più a fondo, perché l’interesse di Shaw non risiede, come c’era da aspettarsi, nell’obbedienza al volere del fato e nelle magnifiche sorti e progressive di Roma, ma nel demolire l’idea romantica della guerra – non senza lanciare i consueti strali alla società inglese del suo tempo.

Arms_0592_DCcolour-291x300E tuttavia, state a sentire: figlia di maggiorente fidanzata (con più soddisfazione della madre che del padre) a brillante e bell’eroe di guerra; arriva estraneo fuggiasco e tutt’altro che sentimentale, ben accolto dal padre; estraneo mostra interesse alla fanciulla con disapprovazione della madre; brillante fidanzato rivela tratti assai meno ideali del previsto, ma non è disposto a cedere fanciulla; estraneo si rivela erede (e continuatore) di grandi fortune; estraneo e fanciulla convolano.

Poi naturalmente Shaw arms&manè Shaw. Il tutto è ambientato in Balcani da semi-operetta, durante la fulminea guerra Bulgaro-Serba del 1885, e i personaggi sono molto più inglesi che bulgari. Raina è una Lavinia solo per posizione: romantica, viziata, manipolatrice – maturerà prima del sipario, ma intanto non aspetta certo che altri decidano per lei. Sua madre Caterina è un’Amata senza tragedia, ossessionata dal passare per una signora viennese e dal maritare Raina al bellissimo e affascinante Sergius. Il maggiore Petkoff è un Latino da macchietta, il padre benevolo e non troppo intelligente, del tutto manovrato dalle sue donne, rassegnato a Sergius per amor di pace e vecchia consuetudine, ma pronto a simpatizzare con Bluntschli, l’Enea della situazione, un mercenario svizzero pratico, efficiente e disincantato, l’antitesi del fiammeggiante, deleterio e bel Sergius/Turno.

armsandmandNessuno muore, il duello finale tra i due pretendenti finisce col non farsi, Bluntschli eredita un impero alberghiero, Caterina non si suicida nemmeno un po’ e persino Sergius trova rapidamente un’altra fidanzata (l’ambiziosa servetta Luka), perché questa Arms and the Man, per tagliente e caustica che sia, è una commedia.

Eppure il parallelo è lì, anche se la critica tradizionale sembra ignorarlo allegramente, evidente nella trama, nei personaggi e anche a livello tematico. Se Enea è lo strumento del fato imperscrutabile che cambia le sorti dell’Italia (e del mondo), Bluntschli è l’uomo moderno che rovescia il piccolo mondo balcanico e tradizionale dei Petkoff a colpi di volontà individuale e senso pratico.

E non so – ma adesso mi è venuta voglia di mettere in scena Le Armi e l’Uomo…

Nov 28, 2016 - Storia&storie, teatro, virgilitudini    Commenti disabilitati su Il Testamento di Virgilio al d’Arco

Il Testamento di Virgilio al d’Arco

Se le ultime richieste di Virgilio fossero state onorate, il poema che conosciamo come Eneide non sarebbe mai giunto fino a noi. Ma Augusto e il poeta Lucio Vario Rufo decisero di non consegnarlo alle fiamme e all’oblio, e noi, venti secoli più tardi, associamo il nome di Virgilio prima di tutto agli esuli troiani, alla fondazione mitica di Roma, alla guerra nel Lazio… Un’ombra lunghissima e una visione della Romanitas mai tramontata del tutto – contro la volontà del suo stesso autore. Che cosa resta di chi muore? Chi decide davvero che cosa ciascuno di noi si lascia dietro? Quanto pesa l’eredità di un poeta?

Questa sera, per i Lunedì del d’Arco, ritorna Il Testamento di Virgilio (che un tempo si chiamava Di Uomini e Poeti), con la regia di Maria Grazia Bettini.

Ci sono Adolfo Vaini, Diego Fusari, Andrea Flora, Francesca Campogalliani, Rossella Avanzi, Riccardo Fornoni, Mario Zolin, Valentina Durantini, Stefano Bonisoli, Alessandra Mattioli, Annalaura Melotti, Melissa Carretta, Anna Bianchi, Chiara Benazzi e Serena Zerbetto.

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L’ingresso – come per tutti i Lunedì – è gratuito. Vi aspettiamo.

Set 16, 2016 - teatro    Commenti disabilitati su Di Uomini e Poeti (Ovvero il Testamento di Virgilio)

Di Uomini e Poeti (Ovvero il Testamento di Virgilio)

LocVirgTeresiana16Tradizione vuole che, in punto di morte, Virgilio abbia chiesto con insistenza la distruzione della sua opera incompiuta, il poema epico che ancora non si chiamava Eneide. Ma Vario Rufo, poeta a sua volta e amico di Virgilio, non obbedì alla richiesta, e anzi ebbe da Augusto l’incarico di curare la pubblicazione dell’Eneide così come Virgilio l’aveva lasciata. È per una disobbedienza alla volontà di un amico defunto che l’Eneide è giunta a noi attraverso venti secoli, con l’occasionale verso imperfetto, con qualche incoerenza, con le sue asimmetrie narrative e con un eroe un nonnulla bidimensionale… I latinisti si sono interrogati a non finire sul brusco finale del Libro XII, e innumerevoli generazioni di studenti ginnasiali (me compresa) hanno storto il naso davanti al Pio Enea, più paradigma di obbedienza e abnegazione che essere umano.

Rileggendo il poema da adulta, mi sono trovata a meditare, più che sulle vicende di Enea e dei suoi, su ciò che Virgilio non ebbe tempo di compiere prima di morire. La tentazione di considerare la gelida caratterizzazione di Enea un difetto da prima stesura era irresistibile – e non ho resistito. Il mio Virgilio, che torna nei sogni di Vario Rufo per deciderlo a bruciare il manoscritto incompiuto, non si preoccupa tanto dell’imperfezione dei versi, quanto di non avere avuto il tempo di tratteggiare come avrebbe voluto personaggi e significati. Ma a complicare il dilemma di Vario, lacerato tra la lealtà e ammirazione, irrompono nel sogno i personaggi dell’Eneide – non l’eroe vincitore, ma gli sconfitti: Creusa, Turno e Amata, pieni di risentimento e certi che solo la distruzione del manoscritto li libererà dalla sorte cui Virgilio li ha condannati. E allora la lotta per il rogo dell’Eneide diventa una metafora per l’intrecciarsi di arte e vita, dovere e istinti primari, libero arbitrio e destino, amore, sconfitta, giustizia e memoria – in una parola, l’umanità.

Difficilmente la questione di che cosa davvero mancasse troverà una risposta inoppugnabile. Però dove storiografia e filologia non possono giungere,il teatro può tessere, con la richiesta di Virgilio, i dubbi di Vario e la volontà di Augusto, una riflessione sul rapporto tra l’autore e la sua opera, tra poesia e storia.

Il Testamento di Virgilio ritorna, sabato 1 ottobre alle ore 18.00, nella magnifica Sala dei Mappamondi alla Biblioteca Teresiana – per cominciare. L’ingresso è gratuito, ma i posti sono limitati. Prenotate al numero 0376338450. La locandina si può scaricare qui.

Mar 11, 2016 - Storia&storie, teatro, virgilitudini    Commenti disabilitati su Enea nei Balcani, ovvero: l’Illuminazion Tardiva

Enea nei Balcani, ovvero: l’Illuminazion Tardiva

Shaw.jpgConfessione: benché G.B. Shaw sia uno dei miei numi tutelari, e benché nel corso degli anni abbia letto il suo Le Armi E L’Uomo (Arms And The Man) un’infinità di volte, ho impiegato un’invereconda quantità di tempo prima di rendermi conto che la connessione virgiliana andava più a fondo della citazione nel titolo.

Non tantissimo più a fondo, perché l’interesse di Shaw non risiede, come c’era da aspettarsi, nell’obbedienza al volere del fato e nelle magnifiche sorti e progressive di Roma, ma nel demolire l’idea romantica della guerra – non senza lanciare i consueti strali alla società inglese del suo tempo.

Tuttavia, state a sentire: figlia di maggiorente fidanzata (con più soddisfazione della madre che del padre) a brillante e bell’eroe di guerra; arriva estraneo fuggiasco e tutt’altro che sentimentale, ben accolto dal padre; estraneo mostra interesse alla fanciulla con disapprovazione della madre; brillante fidanzato rivela tratti assai meno ideali del previsto, ma non è disposto a cedere fanciulla; estraneo si rivela erede e continuatore di grandi fortune; estraneo e fanciulla convolano.

Poi naturalmente Shaw è Shaw. Il tutto è ambientato in Balcani da semi-operetta, durante la fulminea guerra Bulgaro-Serba del 1885, e i personaggi sono molto più inglesi che bulgari. Raina è una Lavinia solo per posizione: romantica, viziata, manipolatrice – maturerà prima del sipario, ma intanto non aspetta certo che altri decidano per lei. Sua madre Caterina è un’Amata senza tragedia, ossessionata dal passare per una signora viennese e dal maritare Raina al bellissimo e affascinante Sergius. Il maggiore Petkoff è un Latino da macchietta, il padre benevolo e non troppo intelligente, del tutto manovrato dalle sue donne, rassegnato a Sergius per amor di pace e vecchia consuetudine, ma pronto a simpatizzare con Bluntschli, l’Enea della situazione, un mercenario svizzero pratico, efficiente e disincantato – l’antitesi del fiammeggiante, deleterio e bel Sergius/Turno.

Nessuno muore, il duello finale tra i due pretendenti finisce col non farsi, Bluntschli (il cui cognome non è casuale) eredita un impero alberghiero, Caterina non si suicida nemmeno un po’ e persino Sergius trova rapidamente un’altra fidanzata nell’ambiziosa servetta Luka. Ma dopo tutto questa Arms And The Man, per tagliente e caustica che sia, è una commedia. ArmsandtheMan.jpg

Eppure il parallelo è lì, anche se la critica tradizionale sembra ignorarlo allegramente, evidente nella trama, nei personaggi e anche a livello tematico. Se Enea è lo strumento del fato imperscrutabile che cambia le sorti dell’Italia (e del mondo), Bluntschli è l’uomo moderno che rovescia il piccolo mondo balcanico e tradizionale dei Petkoff a colpi di volontà individuale e senso pratico.

Ecco, Mr. Shaw: ci ho messo qualche decennio, ma alla fine sono arrivata.

Minori

Allora, parlavamo di Cavalieri di Malta – in particolare di quelli postumi di Sir Walter Scott, ricordate? Ebbene, in coda a quel post, Antonio ha scritto questo:

Non si potrebbero considerare queste opere come quello che sono, esperimenti, abbozzi, sogni non compiuti o compiuti di un autore invece di paragonarli alle opere maggiori? […] Io considero questo genere di opere, “le opere minori”, imprescindibili per raggiungere le opere maggiori ma su di esse sospendo la mia capacità di giudizio.

Picasso2La faccenda è interessante sotto più di un aspetto – principalmente perché le cosiddette opere minori non sono tutte uguali. Ci sono le opere minori che sono per l’appunto ‘prentice work, quelle che conducono verso i capolavori, quelli che l’autore pubblica pieno di entusiasmo – salvo a volte pentirsene anni più tardi. E mi viene in mente Balzac con cose come Les Chouans, che poi avrebbe tanto preferito non dover mettere nella Comédie… Oppure The Golden Cup, opera di uno Steinbeck ventisettenne, radicalmente diversa in concetto e tono da quel che verrà dopo, ma già piena dei semi dello stile maturo, seppure a uno stato nonnulla brado.  E tutto ciò è bello e anche istruttivo, perchè scrivere è un’arte che s’impara e si coltiva, andando per esperimenti. È un po’ come vedere le opere giovanili di Picasso, prima che sviluppasse idee e stile tutti suoi: sono opere tradizionali fino all’oleografia, e mostrano l’artista che diventa padrone dei suoi mezzi, che impara a perfezione le regole prima di infrangerle – e di crearne di proprie.BarnabyRudge

Cose di questo genere sono una lettura interessante, a mio timido avviso, perché consentono di vedere lo scrittore in fieri, il formarsi della voce e dello stile, l’acquisizione progressiva della tecnica, gli esperimenti e i tentativi. Provate a pensare ai due romanzi storici di Dickens: da un lato Barnaby Rudge, seminato di cose belle, ma informe e sbilanciato, cresciuto come un fungo su se stesso; e dall’altro – e ben più tardi – Le Due Città, costruito e pianificato in anticipo, tanto più coerente e serrato. Le folle feroci di Barnaby, i temi e l’uso simbolico di un elemento nell’imagery precorrono e promettono quelle di ATOTC – solo che nel frattempo Dickens aveva imparato a tendere assai meglio i suoi archi. E leggere Barnaby fa apprezzare molto meglio certi aspetti di ATOTC.

CharlotteE fin qui ci siamo – ma trovo che la questione sia un po’ diversa quando si tratta di juvenilia ripescati da quaderni e diari mai intesi per la pubblicazione. Come il tema in Francese di Charlotte Brontë – che, considerando date e circostanze, potrebbe nascondere sotto l’apparenza di una storiella morale un bel po’ di amarezza dei confronti del fratello sciagurato. Di certo, tuttavia, non era stato scritto per essere visto da altri che dal professor Heger. Peggio ancora va con i racconti e le poesie faticosamente trascritti dai libricini di Angria e Gondal, cose scritte per gioco dai Brontë ragazzini… È vero che anche in questo si vede il formarsi degli scrittori in erba – ma resta il fatto che si trattava di un gioco del tutto privato tra sorelle e fratello… Non è come se non avessi letto la mia parte di juvenilia, ma ho sempre l’impressione di sbirciare. Arrow

Dopodiché c’è il caso del libro brutto – perché a molti scrittori capita di non essere sempre allo stesso livello. Tutti sapete della mia parzialità nei confronti di Conrad, giusto? Ebbene, non ho la minima difficoltà nell’ammettere che Conrad ha scritto anche un certo numero di libri che non si possono descrivere se non come brutti. Parlo delle collaborazioni con Ford Madox Ford – dalla prima all’ultima – e poi di cose come the Golden Arrow, the Rescue et similia. E questi libri brutti non appartengono a una fase particolare della carriera dell’autore: hanno l’aria di capitare ogni tanto. Scrittore disuguale – e per carità, capita. All’uomo che ha scritto Lord Jim sono disposta a perdonare molte cose e a dire che di alcuni titoli non parliamo.

Ma le opere del declino? Di The Siege of Malta si è detto: opera ultima di uno Scott malato e angosciato, abbandonata senza mai tentare di pubblicarla mentre l’autore era ancora in vita. Oppure Weir of Hermiston, che Stevenson scrisse quando era già in pessima salute – ed era intenzionato a farne il suo capolavoro, ma quel che resta non è terribilmente incoraggiante. D’altra parte, è incompiuto, e di conseguenza non è certo come l’autore avrebbe voluto presentarlo al pubblico. Come Edwin Drood, ultima fatica di Dickens… E allora è giusto esporre l’autore colto in un momento in cui non era ancora pronto?  E forse addirittura – come nel caso di Scott – era consapevole di non poterlo più essere?

eneideUn caso estremo è quello dell’Eneide, che Virgilio, morendo, chiese di distruggere perché troppo incompiuta, e poi Augusto la volle vedere pubblicata ugualmente, così com’era. Come Virgilio non avrebbe voluto… Emily Brontë, sentendo la fine vicina, bruciò tutti i suoi manoscritti – cosa che addolorò molto Charlotte, ma forse fu una mossa saggia. Non c’è nessuna certezza che gli amici rispettino i desideri di uno scrittore defunto – figurarsi i posteri! Dubito che Emily conoscesse la storia dell’Eneide, ma di certo conosceva sua sorella, e la sua incapacità di comprendere cose come un desiderio di riservatezza.

Insomma, le opere minori non sono tutte uguali. Ci sono opere di formazione e opere di declino, opere strappate all’oblio, opere pubblicate per accanimento letterario e opere frutto di un cattivo periodo o di un’idea malconsiderata… Oggetti che, per un motivo o per l’altro, orbitano nella penombra, a qualche distanza del centro luminoso dell’artistry di un autore. Confesso di avere spesso un debole per queste anatre zoppe. Mi dico che è solo perché quel che succede dietro le quinte mi interessa quasi più della storia stessa – ma, soprattutto con le opere tarde, incompiute o rifiutate dall’autore, o altrimenti non intese per la pubblicazione, non riesco mai a leggere senza qualche remora – senza l’impressione di fare qualcosa di indiscreto.

 

 

 

Apr 15, 2015 - Kipling Year, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Storie, Miti e Leggende Ad Alta Voce

Storie, Miti e Leggende Ad Alta Voce

tellingIeri doveva essere il mio Writing Day, giusto?

Hm.

Il WD è entrato in collisione frontale con la Dura Realtà prim’ancor di cominciare, e… be’, mettiamola così: la Dura Realtà non si è fatta nemmeno un graffio.

Per fortuna che ieri sera c’è stato Ad Alta Voce, il non-gruppo di lettura. Per una volta eravamo in trasferta in un delizioso B&B locale, l’Ostello dei Concari, stretto fra un fiume e quello che un fiume non è più – e il tema era quello del titolo: Storie, Miti e Leggende.

Il tema era vasto – in fondo il mito è stato per millenni il modo in cui l’umanità ha cercato di spiegarsi il mondo e se stessa – e abbiamo spaziato. Come sempre, d’altra parte.

Dalle bizzarre creature immaginarie della Bassa, raccolte a suo tempo nell’ormai introvabile Bestiario Podiense, alla luminosa e danzante cosmogonia secondo Eduardo Galeano, passando per l’Eneide rivista da Salvatore Fiume, i cupi miti del Nord, la tradizione meteomantica delle “calendre e scalendre” e le storie d’Irlanda secondo James Stephens…

Una posizione d’onore è toccata al mito di Prometeo, il Sottrattore/Donatore del Fuoco, che abbiamo visto attraverso gli occhi e l’immaginazione di Esiodo, Eschilo e Byron.*prometheus-21

E poi c’è stato… Vi ricordate dell’Angolo Elisabettiano? La mensile lettura shakespearian-marloviana, stabilita con piena fiducia nel fatto che ci fosse ben poco che, fra tutti e due, Shakespeare e Marlowe non avessero trattato in qualche modo? Ebbene quest’anno, essendosi l’anno che è, AAV si è provvisto di un Angolo di Kipling, fondato esattamente sullo stesso principio… Perché sì, ve l’ho detto e ripetuto ad nauseam: Kipling è uno scrittore vario. Ho piena fiducia nel fatto che, qualunque tema possiamo escogitare da qui a dicembre, troverò qualcosa da leggere.

E poi c’è stata la novità più bella: un piccolo lettore, un giovanissimo appassionato di mitologia che, annusando l’atmosfera, si è unito a noi – e non si è limitato ad ascoltare. T. ci ha letto – benissimo e in tutta disinvoltura – due storie di draghi, folletti e arche alternative ambientate in un Veneto magico. Quando il suo papà è arrivato per portarlo a casa ad orari scolastici, T. ha anche chiesto se può venire ancora – il che c’induce a considerare l’esperimento un successo, e una prova di vitalità da parte di AAV. Magari è presto per dirlo, ma forse… forse comincia a sembrare che abbiamo un futuro in vista…

Ma a parte questo, io continuo ad andare matta per la formula. Mi piace il fatto che ci sia un tema centrale, e mi piace la varietà di modi in cui i diversi lettori lo interpretano. Mi piace come questo finisca invariabilmente per illuminare il tema in modi inattesi. Mi piacciono le domande, le discussioni, le curiosità che nascono. Mi piace lo scambio di titoli e di impressiostorytelling-copyni. Non è soltanto lettura ad alta voce: è una fonte di scoperte, scambi, conversazione. È interessante.  È stimolante. È bello.

Se posso avere un piccolo cruccio in proposito, è che non ci sia un po’ più di partecipazione.

Ormai c’è un solido gruppo di irriducibili – lettori e ascoltatori – con qualche partecipazione più sporadica. Sarebbe bello che, qualche volta, qualche curioso provasse a unirsi a noi. Per ascoltare o per leggere – non ha importanza. Giusto per vedere com’è.

 

 

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* Prometeo è uno di quei personaggi. Voglio dire, nel corso dell’umano pensiero, è stato… di tutto. Prima o poi ne parleremo.

Feb 1, 2012 - teatro    Commenti disabilitati su Di Uomini E Poeti – Le Foto

Di Uomini E Poeti – Le Foto

Qualche immagine di Di Uomini E Poeti, tratta dalle riprese del debutto al Bibiena, il 14 Ottobre 2011.

Con Andrea Flora (Clito), Diego Fusari (Lucio Vario Rufo), Rossella Avanzi (Creusa), Francesco Farinato (Turno), Francesca Campogalliani (Amata), Adolfo Vaini (Virgilio), Stefano Bonisoli (Enea), Valentina Durantini (Lavinia), nonché Anna Bianchi, Matteo Bertoni, Giulia Cavicchini, Alessandra Mattioli e Annalaura Melotti (Le Ombre).

Di Uomini E Poeti – ovvero Il Testamento di Virgilio, per la splendida regia di Maria Grazia Bettini e con le musiche originali di Stefano Gueresi, torna in scena al Teatrino di Palazzo D’Arco (Mantova) dal 9 al 19 febbraio. Informazioni e prenotazioni qui.

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Ott 10, 2011 - teatro    2 Comments

Di Uomini E Poeti – Il Debutto

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Tradizione vuole che, in punto di morte, Virgilio abbia chiesto con insistenza la distruzione della sua opera incompiuta, il poema epico che ancora non si chiamava Eneide. Ma il poema era una straordinaria celebrazione – e ancor più un’edificazione del mito di Roma, bella nella sua incompiutezza: Vario Rufo, poeta a sua volta e amico di Virgilio, non ebbe cuore di obbedire alla richiesta e in seguito ebbe da Augusto l’incarico di curare la pubblicazione dell’Eneide così come Virgilio l’aveva lasciata.

È per una disobbedienza alla volontà di un amico defunto che il poema è giunto a noi attraverso venti secoli, con l’occasionale verso imperfetto, con qualche incoerenza, con le sue asimmetrie narrative e con un eroe cui forse – forse! – l’autore non ha fatto in tempo a instillare, a completamento delle virtù romane, la scintilla vitale.

I latinisti si sono interrogati a non finire sul brusco finale del Libro XII, e innumerevoli generazioni di studenti ginnasiali, me compresa, hanno storto il naso davanti al Pio Enea, più paradigma di obbedienza e abnegazione che essere umano. Rileggendo il poema con occhi adulti, e con la libertà e il gusto di cui non avevo beneficiato sui banchi di scuola, mi sono trovata a meditare, più che sulle vicende di Enea e dei suoi, su ciò che Virgilio non ebbe tempo di compiere prima di morire. La tentazione di considerare la gelida caratterizzazione di Enea un difetto da prima stesura era irresistibile – e non ho resistito. Il mio Virgilio, che torna nei sogni di Vario Rufo per deciderlo a bruciare il manoscritto incompiuto, non si preoccupa tanto dell’imperfezione dei versi, quanto di non avere avuto il tempo di tratteggiare compiutamente i significati e i messaggi che voleva nella sua opera.

Ma a complicare il dilemma di Vario, lacerato tra la lealtà all’amico e l’ammirazione per il poema, irrompono nel sogno i personaggi dell’Eneide – non l’eroe eponimo e vincitore, ma gli sconfitti: Creusa, Turno, Amata, colmi di risentimento e certi che solo la distruzione del manoscritto li libererà dalla sorte cui Virgilio li ha condannati. Ed ecco che la lotta per il rogo dell’Eneide diventa una metafora per l’intrecciarsi di arte e vita, dovere e istinti primari, libero arbitrio e destino, amore, sconfitta, giustizia e memoria – in una parola, l’umanità.

Difficilmente la questione di che cosa davvero mancasse al compimento dell’Eneide troverà una risposta inoppugnabile. Dove storiografia e filologia non possono giungere, tuttavia, al teatro è consentito tessere, con le incertezze di Virgilio e il rifiuto di Vario, una riflessione sul rapporto tra l’autore e la sua opera.

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Di Uomini E Poeti – ovvero Il Testamento di Virgilio – debutta venerdì 14 ottobre alle ore 21 al Teatro Bibiena di Mantova.

Ingresso gratuito e niente prenotazioni – a quanto pare, l’unica è non arrivare troppo tardi…

E se non potete venire, wish me luck! (ma non in questi termini!!)    

Feb 26, 2011 - grillopensante    Commenti disabilitati su Troppo Zelo E Altri Tronchi Sui Binari

Troppo Zelo E Altri Tronchi Sui Binari

Non vorrei mai azzardare paragoni tra Virgilio e Anthony Hope – lèse majesté!! – e poi, se non fosse morto prima di poter rifinire l’Eneide a suo piacimento, forse Virgilio avrebbe modificato qualcosa, ma resta il fatto che Enea/Turno ha tutta l’aria di un caso massiccio di deragliamento delle intenzioni autoriali. A livello di Rassendyl/Rupert nel Prigioniero di Zenda, anzi peggio.

Bd-Aeneas.jpgPeggio, perché nell’Eneide Virgilio racconta il mito della nascita di Roma, ed è logico che Enea incarni programmaticamente tutte le virtù più romane (pietas in prima fila). Per di più, il nostro eroe eredita anche le personali convinzioni filosofiche del suo autore, praticando il sereno distacco e il rifiuto delle passioni violente predicati da Epicuro. Virgilio si è impegnato molto nel rendere Enea un paradigma di obbedienza agli dei, un campione di tutte le più nobili virtù e un esecutore delle magnifiche sorti e progressive di Roma…

Si è impegnato tanto che il risultato è proprio questo: un paradigma. Nella sua gelida e virtuosa perfezione, Enea manca di un tratto fondamentale per un personaggio: la personalità. Che cosa vuole personalmente? Che cosa è diposto a fare per averlo? Che cosa fa davvero? Che cosa impara prima della fine? Come cambia? Tutte domande senza risposta, perché Enea non possiede esigenze drammatiche – è trascinato dal volere del fato e basta.Turno.jpg

Per contro, l’antagonista Turno, il giovane re dei Rutuli cui Enea toglie la fidanzata Lavinia – per poi ucciderlo in duello (con la collaborazione di mezzo Olimpo) alla fine del Libro XII, è una figura a tutto tondo. Turno è pieno di difetti: impulsivo, sfrenato, arrogante – ma Virgilio esce di strada continuamente per mostrarci che non ha tutti i torti neanche lui, che è tanto giovane, innamorato di Lavinia, pieno di risentimento, e tutt’altro che indegno a sua volta. Turno ci viene presentato come un giovanotto di nobili istinti, coraggiosissimo e abile, amato dai suoi sudditi, fiero, onorevole, eloquente quando serve, leale. E’ anche violento e occasionalmente crudele, ma poi la sua sicurezza si frantuma alla fine, davanti all’evidenza che Enea, con tutto l’aiuto divino di cui può disporre, non può essere sconfitto in nessun modo. Nondimeno, Turno non si sottrae al suo destino e affronta il duello fatale con la malinconica certezza di non uscirne vivo.

A_5th_Century_Portrait_of_Virgil.jpgInsomma, si ha l’impressione che Virgilio si sia lasciato prendere la mano. Lo zelo programmatico nei confronti della perfezione di Enea forse lo ha tradito, e l’eroe eponimo, fatale e filosofico, gli è riuscito un tantino bidimensionale. L’antagonista – che incarna il disordine e la dissennata ribellione contro il destino (di Roma in particolare) – gli è riuscito meglio, più sfaccettato, più complesso, più… non c’è niente da fare: più simpatico. Chi ha letto l’Eneide senza dispiacersi per Turno alzi la mano.

Il che ci conduce a una conclusione: è pericoloso fare di un personaggio una figura simbolica di una causa o di un credo che ci stanno a cuore. Presi dall’ansia dimostrativa, non osiamo aggiungere ombre per timore di appannare la nostra tesi, ma un personaggio senza ombre, senza dubbi e senza difetti diventa uno zelota. E’ difficile affezionarsi agli zeloti – anche agli zeloti rassegnati, come nel caso di Enea. E la storia ne soffre.

Apparentemente, il sereno distacco non è facile da praticare in poesia. Nemmeno quando ci si chiama Virgilio.

Gen 4, 2010 - libri, libri e libri    6 Comments

I Terribili Dieci

“Qual è il libro più brutto che hai letto?” chiede F.

La domanda non mi prende tanto alla sprovvista da non poter rispondere, perché ho il vivido ricordo della tormentosa lettura in questione, ma è inconsueta. Di solito la gente ti chiede qual è il tuo libro preferito, non il più brutto che hai letto. Però la faccenda aveva il suo fascino, e ci ho rimuginato su. Per cui, o F., pur essendo passati diversi mesi dalla fatale conversazione, ecco una risposta più ragionata e meno lapidaria: non tanto i più brutti (perché tutto è relativo, anche se credo che un libro brutto sia un libro brutto), ma quelli che ho detestato con maggiore passione.

1. The Admirable Crichton, di W.H. Ainsworth. Qui è dettagliatamente spiegato perché. Adesso mi limiterò a dire che raramente mi è capitato di leggere una simile accozzaglia di incidenti gratuiti e di personaggi privi di qualsiasi personalità. Come facesse a suo tempo Ainsworth a rivaleggiare con Dickens, non lo capirò mai…

2. La Bambinaia Francese, di Bianca Pitzorno. Che posso dire? Gli anacronismi e il politically correct sono due tra le mie allergie più violente, e questo libro è farcito di atroci anacronismi per amore del politically correct… I’ll leave the math to you. Per di più ha la pretesa di bistrattare Jane Eyre.

3. Il Soccombente, di Thomas Bernhard. L’esempio classico di qualcosa che non è un romanzo. E insisto: a pagina 5 sappiamo perché il Soccombente si è suicidato, dopodiché Bernhard si gira attorno senza sosta e senza costrutto visibile… E’ possibile che io sia ossessionata dalla fabula, ma mi piace che i romanzi vadano da qualche parte, grazie.

4. Il Piccolo Principe, di A. de Saint-Exupéry. Sì, lo so: questa è un’eresia grossa, e mi attira sempre occhiate colme di orrore. “Ma cooooome? Non ti piace il Piccolo Principeeeee?” Ebbene, no. Non mi piace, ed è una vita che ne sono perseguitata, a partire da uno dei primi libri illustrati avuti in regalo da piccina, per proseguire per un intero campo scuola dell’Azione Cattolica Ragazzi (15 dannati giorni!!), e tutto un quadrimestre della IV Ginnasio… Personalmente lo trovo la fiera della più zuccherosa ovvietà. “Per favore, addomesticami! Ci guadagno il colore del grano…! *Rolls eyes*

5. Il Gabbiano Jonathan Livingstone, di Richard Bach, a cui si potrebbe aggiungere anche Uno, dello stesso autore. Stesso motivo del n° 5: Pace! Amore! Gioia! Oh umanità, vola più alto! Sigh. E non sono nemmeno scritti bene!!

6. Dersu Uzala, di Vladimir K. Arsenev. Questo la maggior parte della gente se lo becca sotto forma di film (A. Kurosawa), ed è già noioso la sua parte. Io ho avuto la fortunaccia di leggere anche il libro da cui il film è tratto: le memorie di un ufficiale russo alle prese con questo Uiguro o Calmucco, o qualunque cosa fosse, che vaga nella tajga e sforna perle di saggezza all’infinito. Nel duplice senso che sembra non esserci limite alle perle stesse, e che Dersu parla come gli Indiani nei film d’un tempo, tipo “adesso Dersu cucinare pesce”.

7. L’Eneide, di Publio Virgilio Marone. Ho un’incapacità congenita di simpatizzare con il pio Enea, che ops… dimentica provvidenzialmente la moglie a Troia, abbandona Didone, si lascia proteggere dalla mammina dea in battaglia al punto che il duello con Turno è al limite dell’omicidio! E tutto con quel fare lesso…

8. Cristoforo Colombo, di Gianni Granzotto. Considerando che il meraviglioso Annibale dello stesso autore è invece uno dei miei livres de chevet, posso solo immaginare che si sia trattato d’incauta esposizione. In fondo, avevo solo dodici anni, e oltre a leggerlo, mi toccava anche fare terrificanti esercizi come “confronta l’atteggiamento della Regina Isabella e di Colombo nel dialogo a pagina 37, ed elenca in due colonne distinte le reazioni positive e negative di ciascuno dei due.” A volte mi chiedo se l’ora di Narrativa non faccia più danni che benefici.

9. Verdi Colline d’Africa, di E. Hemingway. [Ma tanto Addio alle Armi quanto Il Vecchio e il Mare farebbero al caso: H. non è il mio scrittore…] Ne ricordo solo interminabili scene di caccia descritte con sadica indifferenza e altrettanto interminabili dialoghi con il boy africano, il cui sugo era “no, non lo voglio, il maledetto ciai!” Non ho intenzione di rileggere per sincerarmi se ci fosse altro.

10. Il Cavaliere Inesistente, di I. Calvino. Posto che anche Marcovaldo troverebbe posto nella lista, se andassi avanti, devo confessare che in gioventù il mio sense of humour era limitato: quando ho letto questo libro ero in piena medievite, e non l’ho presa bene…

E so che ho detto Dieci, ma posso citare un undicesimo titolo che non appartiene in pieno alla lista? Revolt in the Desert di T.E. Lawrence è davvero un caso di amore/odio. Adoro la storia (un arruffapopoli che si trascina dietro una guerriglia improbabile e compie imprese inaudite), ma detesto di cuore l’egocentrico, presuntuoso, autocelebrativo Lawrence.

Ecco qui. Non sono tanto fortunata da avere detestato solo dieci libri in vita mia, ma questi sono quelli che salgono alla mente per primi. Evidentemente quelli a cui porto più rancore…