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Lug 5, 2017 - grilloleggente, posti    2 Comments

10 Viaggi Storico-Letterari

LLTCRicordate la Literary London Touring Company? Nel corso di una drammatica riunione, i vertici di LLTC hanno deciso che il mercato, la congiuntura e la naturale evoluzione aziendale impongono di allargare il campo d’azione dell’agenzia da Londra all’Europa tutta, aggiungendo alle passeggiate londinesi una serie di itinerari sulle tracce di romanzi, autori e storia varia. Considerateci un incrocio tra Thomas Cook e Waterstone’s.

E siccome l’estate è giunta, ed è tempo di meditar di vacanze e viaggi, ecco una prima selezione di idee – qualcuna sperimentata, qualcuna della materia di cui son fatti i sogni:
DonQ1) Esquivias, Toledo, Almagro, Puerto Lapice, El Toboso, Mota del Cuervo e Belmonte… un sacco di Spagna rossiccia e bruciata dal sole, mulini a vento, case bianche, città medievali e laghetti incantati sulle tracce del Don Quixote, con puntata ad Alcalà de Hénares (in onore di Cervantes).

2) To(s)tes, Ry e Rouen: campagna profonda, burro, nebbia e cattedrali gotiche nella Haute Normandie di Madame Bovary. Con serata all’opera – possibilmente Lucia di Lammermoor.

3) Puntata extraeuropea: Yenbo, Weih, Aqaba, Maan, Amman, Deraa, Damasco – ripercorrendo le tappe di Lawrence e dei suoi guerriglieri arabi, su su lungo la ferrovia dell’Hijaz, in Giordania e in Siria… Con escursioni facoltative a Suez e Bersheeba. Non necessariamente tutto a dorso di cammello, però. AlanTrek

4) Per gente dai forti garretti, la sgambata di David Balfour e Alan Breck Stewart su e giù per le Highlands scozzesi, tra l’erica, le pecore e gli haggis dalla sperduta isola di Iona fino a Balquhidder, Stirling e infine Edinburgo – comprensivo di partita a carte in nascondiglio di montagna e concerto di cornamusa.

5) Una crociera da Lisbona a Cadice ad Arzila in Marocco – e da lì a cavallo ad Alcacér Quibir, il luogo della Battaglia dei Tre Re, sulle orme della tragica crociata di Don Sebastiano del Portogallo nel 1578. Ritorno garantito – senza versamento di riscatto.

6) Mosca-San Pietroburgo in treno, come Anna Karenina – lungo tragitto diritto tra boschi di betulle e piane nebbiose, allietato dai mercatini improvvisati sui marciapiedi nelle fermate, dove le babushke insciallate vendono frutti di bosco, funghi, semi caramellati e centrini. È vivamente consigliato avere al seguito musica di Tchaikowskij e qualche voluminoso romanzo russo (o francese), dalle pagine intonse. Il tagliacarte d’argento è de rigueur. Vietato attraversare i binari – servirsi del sottopasso.

ElephantCruise7) Cartagena, Sagunto, i Pirenei, il Reno (crociera fluvialelefantina), un passo alpino a scelta, Torino, la Trebbia, il lago Trasimeno, Canne, Capua, breve puntata su Roma, Taranto, traversata in Africa, Adrumeto, Cartagine, Zama. Un viaggio impegnativo: durata consigliata – una  ventina d’anni.

8) Ancora Spagna: Madrid, Alcalà, San Lorenzo del Escorial, San Yuste (che pure è più fuori mano di quanto Schiller credesse), sulle tracce di Don Carlos.

9) 12 giorni nella Francia centro-occidentale, a piedi tra Le Monastier e Saint-Jean-du-Garde, come Stevenson e la sua asina. Gli abitanti di Le Monastier allevano scuderie piene di asinelle astute e cocciutissime chiamate Modestine, e le addestrano alla nobile arte del ricatto morale prima di noleggiarle ai camminatori stevensoniani.Soliman

10) Viaggio complicato: da Lisbona a Barcellona per via di terra, poi per nave fino a Genova. Ancora per terra Milano, Cremona, Mantova, il Brennero, Innsbruck e da lì una lunga crociera fluviale via Inn e Danubio fino a Vienna. La bellezza del viaggio consiste nel compierlo a dorso d’elefante – come avvenne per il pachiderma Solimano alla metà del Cinquecento. Si tende a pensare che l’unico a scriverne sia stato Saramago, ma in realtà Solimano vanta a suo credito tutta una letteratura, dai poemi coevi, alle storie per bambini, alla saggistica, a un trattato sulla diplomazia elefantina…

Ecco. Per una volta, dieci ne avevamo promessi e dieci sono. In alternativa, potete considerarla una lista di suggerimenti per le letture estive. E si capisce che The LLTC sarà lieta di prendere in considerazione suggerimenti, idee ed ispirazioni.

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Gen 29, 2016 - angurie, grilloleggente, libri, libri e libri, romanzo storico    Commenti disabilitati su Dentro Un Libro

Dentro Un Libro

12647153_504376653067983_4012154964606394078_nLa cosa qui a sinistra mi è giunta via Facebook – a me e ad altra gente – da parte di M. E quindi è tutta colpa sua, vedete? Non mi si può coinvolgere in una cosa del genere e pensare che mi limiti a rispondere con un titolo e basta…

E non si può perché da piccola leggevo Gianconiglio ed ero innamorata della biblioteca del Professor Dindon – che invece dei libri aveva delle porte che permettevano di entrarci, nei libri… E perché anche adesso che piccola non sono più, l’idea di quella biblioteca continua a sembrarmi almeno tanto attraente quanto quella del viaggio nel tempo. Se non addirittura lievemente di più.

Quindi non era come se potessi giocare a questo gioco a cuor leggero, giusto? O magari dapprincipio ho pensato di sì – ma dopo avere resistito alla tentazione di rispondere Lord Jim…

Sì, lo so. Non sembro nemmeno io. Ma il fatto è che ho affrontato la tentazione e ho resistito. O quanto meno… Qualche anno fa avevo scritto un piccolo racconto in proposito: la prossibilità di entrare in un libro, Lord Jim, il non-naufragio del Patna, la tentazione di interferire – ma poi… che ne sarebbe della storia se si interferisse a quel punto? Non era precisamente il tipo di esperienza su cui investire un desiderio usa-e-getta. Desktop-tablet-book-wallpapers-The-Book-of-Secrets-thumbnail

Quindi, dicevo, a quella tentazione ho resistito e, mentre consideravo possibilità alternative, ho cominciato a pormi domande di tipo tecnico. Per dire, che significa di preciso “un giorno”? Un giorno all’interno della storia – e se è così, lo scelgo io o mi capita in sorte? Oppure un giorno della mia vita – e allora a quanto corrisponde in termini del libro? Quel che posso leggere in un giorno o che altro? E mentre ponderavo questo genere di particolari, ecco che mi capita fra capo e collo la risposta di F., cui piacerebbe entrare in Uccelli di Rovo, nel ruolo di Mary Carson.

book-characters-coming-to-life-as-boy-reads-bmpE questo cambia le cose, perché avevo pensato che nei libri ci si entrasse come osservatori neutrali (e magari incorporei ed invisibili) oppure come personaggi aggiuntivi… Se invece ci si entra nel ruolo di un personaggio già scritto, è tutta un’altra faccenda. Per esempio, che succede al mio giorno quando il personaggio in questione non è in scena?  Perché se non voglio il ruolo del protagonista, odds are che sia fuori scena per parti consistenti della trama… Ammettiamo che scelga Rapito: non posso entrarci nei panni di Alan, perché Alan lo vorrei incontrare, e di sicuro non vogli entrarci nei panni di quell’idiota ottuso che è David – ma quale altro personaggio è in scena e a contatto con i protagonisti per un “giorno” intero? *

Ed ero a questo punto quando è arrivata l’ulteriore risposta di D., che invece nei libri vorrebbe book_world-1680x1050entrarci come sé stesso (I think) per visitare i posti descritti nei libri – certo di trovarci tutte le avventure che si possono volere. E questa è un’ulteriore e interessante possibilità, a dire il vero – anche se nel mio caso si tratterebbe più di tempi che di posti.

Altri tempi – o, più precisamente, la visione di altri tempi. Il Medioevo pittoresco e irreale di Scott? L’era elisabettiana da fondali dipinti di Josephine Preston Peabody? O quella tramontante e malinconica di Bryher? O quella amarognola e brillante di Burgess? O la Corfù nonsense di Durrell? O le fiamme notturne dei Gordon Riots secondo Dickens?

Cartoon Characters Coming Out Of A BookEcco, sì: credo che alla fin fine questo dovrebbe essere il mio criterio di scelta. Come R., che invece ha scelto il Segreto del Bosco Vecchio in cerca di un’atmosfera, farei bene ad andarmene in cerca dell’interpretazione di un’epoca. Di colori e luci e pittoresche occorrenze. E poi, una volta là – una volta allora – di certo le avventure arriverebbero.

Quanto a scegliere un libro… oh, non ho nemmeno cominciato. Ma almeno adesso ho un’idea di come provare a scegliere.

E voi, o Lettori? In che libro vi piacerebbe passare una giornata?

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* Be’, forse in realtà ci sarebbe Cluny MacPherson…

 

 

Questione di Chimica

ChemistryA volte sta tutto in due personaggi.

Non in uno solo, ma in due. La loro interazione, il modo in cui funzionano insieme, in cui discutono, bisticciano, lavorano… È quella cosa che, a ovest della Manica, chiamano chemistry – e può assumere la forma di un’amicizia, di una storia d’amore, di una collaborazione professionale, di una rivalità…

A volte è l’elemento forte di una storia. Tanto forte, a volte, che uno dei due personaggi prende vita solo in presenza dell’altro. David Balfour, che in assenza di Alan Breck è di una noia mortale, diventa un personaggio quasi accettabile appena Alan entra in scena a interagire con lui. E questo è un caso singolarmente sbilanciato, perché Alan funziona benissimo anche senza David – ma di solito la faccenda è più equilibrata, ed entrambi i personaggi soffrono dell’assenza dell’altro. pharisienne

Ora, la mia timida impressione è che questo genere di fenomeno si produca più spesso nella narrativa di genere. Non solo – ma in modo più… organico. Mi spiego: avete presente come, ne La Pharisienne, Louis Pian diventi più vivido in presenza di Jean de Mirbel? O come, ne Il Velocifero, capiti un po’ lo stesso al narratore Renzo quando attorno c’è il suo amico Gianni? Ma questo è un effetto deliberatamente cercato da Mauriac e da Santucci, per mostrare come l’amico incarni una serie di aspirazioni, idee, necessità e vaghezze assortite del protagonista, tutte cose che si risvegliano e poi prendono forma e diventano più o meno consapevoli in presenza e/o sotto l’azione dell’altro.

Quello che ho in mente è diverso. Parlo di due personaggi creati per funzionare insieme, per combinare quasi a incastro capacità e punti di vista diversi, per bisticciare con efficacia… Per esempio il protagonista/investigatore di un giallo e il suo sidekick.

In particolare, ho in mente un paio di serie di gialli di ambientazione storica, in cui parte del conflitto – oltre all’irrinunciabile delitto – viene dalla contrapposizione di mondi diversi, e il sidekick fornisce al protagonista una finestra tra i due. Il che di solito si sviluppa in qualche tipo di amicizia riluttante.

ham2È il caso delle indagini di Abigail Adams, per esempio. Sì, quella Abigail Adams – ma prima che diventi first lady. Barbara Hamilton ambienta le sue storie nella Boston immediatamente prerivoluzionaria, in cui Abigail indaga con l’aiuto del giovane Maggiore Coldstone. Coldstone è inglese e ovviamente considera se stesso l’investigatore, e questa bizzarra signora coloniale l’assistente – ma è abbastanza intelligente da vedere che lei non solo è molto aguzza, ma conosce Boston e i Bostoniani in un modo che a lui è precluso. Per parte sua, Abigail è pronta a collaborare con questo oppressore dalla mente aperta e, se qualche volta ne sfrutta l’accesso al lato inglese delle cose, ne apprezza la lealtà e il senso di giustizia. Il tutto si sviluppa ben presto nell’amicizia riluttante che si diceva: Abigail diventa quasi materna nei confronti di questo giovanotto pieno di nostalgia per l’Inghilterra, e Coldstone apprezza un volto amico tra i Coloniali – e tutto funziona molto bene, perché lei è intuitiva e lui analitico, lui ha le risorse ufficiali e lei i canali ufficiosi… Poi però, al terzo volume, la Hamilton decide di mandare Abigail in trasferta da sola, e di darle un altro sidekick, e… tutto si affloscia. Il nuovo aiutante è un Coloniale a sua volta e per giunta un nipote acquisito. Sveglio, sì – ma, una volta sparite la tensione, il margine di inconciliabilità, la difficoltà di fidarsi completamente, le lealtà contrastanti e la disapprovazione dei rispettivi ambienti, la storia si fa convenzionale e noiosetta. Abigail da sola non funziona – o almeno, non funziona altrettanto bene. airtreas

Idem – se non peggio, con i Carey Mysteries di P. F. Chisholm. Ve ne avevo già parlato, ricordate? Forse anche più di una volta. I gialli di ambientazione anglo-scoto-elisabettiana, con Sir Robert Carey a caccia di cattivi con l’assistenza dell’irrepressibile Sergente Dodd. Ebbene, quando l’elegante Carey arriva a vicegovernare una marca del Border – il turbolento confine tra Inghilterra e Scozia – Dodd si ritrova a dovergli inculcare qualcosa che somigli alla versione Borderer del buon senso. Quando entrambi scendono a Londra, è Carey a tradurre la capitale in termini che Dodd possa digerire. Il modo in cui questi due uomini passano dalla mutua incomprensibilità e sfiducia a un’altra riluttante amicizia è una delle meraviglie di questa incantevole serie. Peccato che nel sesto volume, An Air of Treason, Chisholm (che è poi Patricia Finney) abbia deciso di separare i nostri eroi e mandarli ciascuno per le proprie, seppur connesse, avventure. Risultato? Né Carey né Dodd funzionano granché, e la storia, il ritmo e il colore ne soffrono enormemente.

Apparentemente, Dodd non è fatto per andarsene attorno senza Carey a esasperarlo, né Carey senza Dodd. Così come Abigail Adams perde interesse senza Coldstone – e non ho dubbi che Coldstone sarebbe noiosissimo senza Abigail. La caratterizzazione di ciascuno dei quattro dipende in buona parte dall’interazione con il rispettivo “altro”. Questa chimica narrativa ne fa degli ottimi personaggi in coppia – ma li rende poco adatti a starsene per conto proprio.

È un punto di forza, ma anche un problema potenziale per quando l’autore ha l’uzzolo di cercare nuove strade. Che sia per questo che, dopo Sup with the Devil, nel 2011, di Abigail Mysteries non ne sono più arrivati? Speriamo che non capiti altrettanto a Carey&Dodd – ma il fatto che il settimo volume sia incentrato su lady Widdrington anziché sui nostri eroi, non mi rassicura terribilmente…

Gen 14, 2015 - libri, libri e libri    3 Comments

L’Amico Scomodo

EnkiduNon tanto – o almeno non soltanto – nel senso che procuri scomodità, quanto perché quella dell’amico del protagonista non è una carriera particolarmente comoda.

Di lunga e onorata tradizione, questo sì – ma mai comoda. Perché l’amico del protagonista non è mai lì per caso.E badate, non stiamo parlando del fido luogotenente (anche se talvolta le due figure possono coincidere), né delle storie à la Damone e Pizia, in cui entrambi gli amici sono protagonisti. Quel che ho in mente è un amico più o meno secondario, che al protagonista serve da cassa di risonanza, chiaroscuro, motivazione o qualche altra cosa fondamentale, e per farlo va incontro a tutta una serie di malattie professionali – non di rado letali.

Perché ammettiamolo, poche cose motivano un eroe o gli cambiano la vita come perdere l’amico prediletto – e questa è un’idea vecchia come le colline. Avete presente come la morte di Enkidu spedisca Gilgamesh – a seconda delle versioni – agl’inferi per cercare recuperarlo, oppure in cerca di immortalità divina, ma sempre nella disperazione&depressione più profonde? E non cominciamo nemmeno con Achille – anche se forse in questo caso c’è anche un filo di coda di paglia. Voglio dire, se Achille non si fosse ritirato in preda all’ira funesta, Patroclo non sarebbe mai sceso in battaglia con le sue armi, giusto? E benché non fosse precisamente inaudito per un guerriero morire in battaglia, le probabilità di sopravvivenza di Patroclo sarebbero state migliori se Ettore (come tutti gli altri) non l’avesse scambiato per Achille… Per cui sì, non posso fare a meno di vedere nella reazione di Achille una componente di senso di colpa – ma questo non cambia molto le cose.

In ambito biblico, il caso di Davide e Gionata è diverso, perché la morte di Gionata non segna altrettanto profondamente e praticamente Davide – ma di sicuro l’amicizia di Gionata è piuttosto rilevante per l’ascesa e sopravvivenza del suo amico.Scara

Discendenti lontani ma abbastanza diretti di Gilgamesh ed Enkidu sono invece André-Louis Moreau e Philippe de Vilmorin in Scaramouche. Philippe, serioso idealista con tendenze rivoluzionarie, è tutto quel che André-Louis non è – né tiene particolarmente ad essere – ma nondimeno si vogliono un gran bene. Tanto che, quando il villain assassina de facto il povero Philippe, il nostro eroe si trasforma in vendicatore rivoluzionario.

Se volessimo un esempio femminile, invece, potremmo ricorrere a Helen Burns, l’amica di Jane Eyre, che muore bambina per malattia trascurata, e così facendo segna profondamente la piccola Jane, nel modo molto diretto in cui una perdita traumatica segna una bambina. Va detto che Helen è modellata su Maria, la sorella maggiore di Charlotte Brontë, morta allo stesso modo, ma da un lato le amicizie femminili in Charlotte sono quasi sempre modellate sui suoi rapporti con le sorelle, e dall’altro non è un caso se spesso e volentieri le amicizie letterarie vengano abbondantemente descritte come “fraterne”.

Guardate Don Carlos e il Marchese di Posa che, per cinque lunghi atti, si proclamano fratelli al ritmo di una volta ogni tre o quattro pagine. Come nel caso di Scaramouche, Rodrigo è l’idealista pieno di fuoco con qualche tipo di tortuoso senso pratico, pieno di carisma e pronto all’azione – tutte le qualità che mancano al sognante, depressivo e francamente molliccio Carlos. Per di più, al martirio motivatore Rodrigo ci va consapevolmente – ma del tutto invano: Tu eri destinato a regnare, e io a morire per te, dice a Carlos, poco prima di morire tra le sue braccia per essersi messo tra lui e la regia vendetta, ma Carletto ne esce maturato solo in apparenza, procede a compiere tutte le idiozie possibili e soccombe nel giro di un atto scarso.

KidnPoi non sempre finisce così male. A volte l’amico più competente  è proprio quel che c’è scritto sull’etichetta: qualcuno di più in gamba – e per fortuna che c’è. A Stevenson la cosa piace molto. C’è Alan Fairford, l’amico di Darsie Latimer  in Redgauntlet – che è quasi un sovvertimento della faccenda, visto che Darsie ha tutte le caratteristiche eroiche, mentre Alan è un avvocatino di  salute cagionevole – ma è lui a salvare Darsie a costo di ogni genere di pericolo. E che vogliamo dire di Alan Breck Stewart? Non fosse per lui, il povero David, il Ragazzo Rapito di Stevenson, non saprebbe sopravvivere a pagina quaranta. Alan è il genere d’incontro casuale che evolve rapidamente in amicizia sotto la pressione delle circostanze. È più vecchio, più intelligente e infinitamente più smaliziato di David, cui salva ripetutamente la vita, e che conduce quasi di peso al lieto fine. Benché in teoria a separarli ci sia ogni genere di differenze politiche e religiose, benché Alan sia tutto quello di cui David dovrebbe diffidare, benché David sia tutto quello che Alan dovrebbe disprezzare, alla fine è Alan ad assumersi in pieno la causa di David, ad affrontare il malvagio zio Ebenezer, a corteggiare Catriona… tutto per conto del suo amico. In cambio, gli ruba completamente la scena…

Un po’ come Mercuzio e Romeo – altro paio d’amici asimmetrico. In teoria siamo in territorio conosciuto: è la fulminea vendetta per la morte di Mercuzio a precipitare uno sconvolto Romeo oltre il punto di non ritorno… Ma i conti non tornano del tutto, perché Mercuzio è tanto più brillante di Romeo da oscurarlo ogni volta che dividono la scena. Leggevo di recente le considerazioni di un attore inglese secondo cui gli interpreti di Romeo devono per lo più essere pazienti – e ricordarsi che Mercuzio può essere brillante, irriverente e sfrenato finché vuole, ma in fondo ha solo quattro scene… È sempre saggio dubitare di John Aubrey, e quindi non possiamo credergli quando dice che Shakespeare eliminò Mercuzio perché faceva troppa ombra a Romeo – ma la questione è interessante e, cosa più rilevante ai nostri fini, si può discutere su che genere d’influenza Mercuzio eserciti su Romeo.

Perché non è affatto detto che l’amico debba essere un’influenza positiva. Nella peggiore delle ipotesi abbiamo il cattivo amico – come James Steerforth, che è davvero affezionato a David Copperfield – per quanto ne è capace – ma non esita un istante a comportarsi male con Little Em’ly, guadagnandosi una fine che non ha nulla di sacrificale. Quella semmai – sacrificale e crudele, tutto considerato – ce l’ha Ham, ma è tutta un’altra storia. E anche Heinrich Muoth non può certo definirsi un’influenza positiva nella vita del narratore di Gertrud. Oddìo, dapprincipio magari sembra di sì – amicizia artistica, con il celebre e più vecchio Muoth che scopre e incoraggia il giovane compositore… Ma poi Heinrich si rivela autodistruttivo e rapace e incapace di soffrire da solo. Dopo avere reso infelici tutti quanti, si suiciderà, cambiando tutto per il narratore e per l’eponima Gertrud.

Português: Enjolras é capturado e fuzilado pel...Anche Grantaire, nei Miserabili, è potenzialmente una cattiva influenza – ma è un seguace per natura, troppo debole e troppo perduto in ammirazione di Enjolras per nuocergli. Chissà, magari se solo ad Enjolras importasse un pochino, riuscirebbe a redimere Grantaire prima della fucilazione doppia – ma gli arcangeli rivoluzionari hanno poco tempo da dedicare a questo genere di dettagli…

E poi non è detto: magari non ci sarebbe riuscito. Non tutti gli amici deboli si possono redimere. Anzi. Per tornare a Hesse, non sono certa che, nel Gioco delle Perle di Vetro, Knecht tenti sul serio di redimere il nevrotico e infelice Fritz. Tenta di proteggerlo, questo sì, e di riscuoterlo dalla sua situazione – ma non approda a nulla. Fritz – come forse anche Mercuzio e Muoth, e di certo come Steerforth – è irrecuperabile. E un amico irrecuperabile, alla fin fine, funziona quasi – quasi – bene come un amico che muore.

E infine c’è l’amico dell’eroe tragico, quello che, anziché morire o rivelarsi un caso disperato, sopravvive come testimone. Orazio, per dire. Orazio che per tutta la tragedia sostiene lealmente lo sconcertante Amleto, e alla fine resta a ereditarne la memoria. Oppure Kai Möln, l’amico di Hanno Buddenbrook, l’unica persona che capisse il povero ragazzo, e che resti a ricordarlo come lui desiderava vedersi. Sono gli amici narratori, gli amici riflesso – e magari sopravvivono, ma nemmeno questa è una carriera comoda… Lo avevamo detto all’inizio: nessuna di queste l0 è.

Ecco, se fossi di carta, forse, prima di stringere amicizia con un protagonista, ci penserei due volte.

 

 

 

 

 

Ott 15, 2009 - cinema e tv, considerazioni sparse, fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Noterella

Noterella

Dunque, mi si chiedono notizie della trasposizione televisiva di Kidnapped citata nel post su Alan.kilt2.jpg

Personalmente sono certa, più che certa, certissima che lo sceneggiato (allora si chiamavano così) sia stato trasmesso anche in Italia. Dalla RAI, ovviamente, nei primissimi anni Ottanta. Andava in onda all’ora di cena. O forse, date le abitudini di casa mia, a un’ora che potrebbe essere considerata “subito dopo cena”. Solo che, a quanto pare, me ne ricordo soltanto io. Lo sceneggiato fantasma: io sola l’ho visto, e persino la RAI, interpellata in proposito, nega che sia mai avvenuto alcunché di simile. Però io me ne ricordo benissimo, e non posso essermi sognata delle scene intere, inquadratura per inquadratura, giusto? Per non parlare della colonna sonora… Se qualcun altro ne ha memoria, please, fatemelo sapere. Mi sarebbe di grande consolazione.

Ad ogni modo, di adattamenti cinematografici e televisivi di Kidnapped se ne contano a decine… be’, no, non esageriamo: se IMDb è degno di fiducia, se ne contano 13 fra il 1917 e il 2005. Di questi 13 ne ho visti (in parte o totalmente) 6, e lo sceneggiato di cui parlo, produzione anglo-tedesca del 1978, pur avendo quell’inevitabile Seventish feel, è piuttosto fedele e piuttosto curato. I punti di forza sono la fotografia, la colonna sonora e David McCallum nel ruolo di Alan. Concesso: McCallum è troppo “carino” per il ruolo (altra caratteristica dello Sbregaverze: non è mai bello in senso convenzionale), ma oltre ad avere il vantaggio di un accento scozzese autentico, trovo che catturi molto bene l’irascibilità, la volubilità e lo spirito sardonico di Alan. Può darsi che sia un pochino carente nel dipartimento “dancing madness”, ma che vogliamo fare? E comunque, ha quell’aria da bantam da combattimento che associo ad Alan, senza diventare caricaturale. E’ un rischio che chiunque interpreti uno sbregaverze corre, e non sempre il risultato è ideale. Per esempio, Iain Glen nei panni di Alan è, per usare la definizione della mia amica Victoria, “più Jack Sparrow che Stevenson.” Ugh. Delusione nera: mi aspettavo di meglio da Glen. Ma d’altro canto, benché Michael Caine sia uno dei miei attori preferiti, non l’ho mai visto tanto fuori parte come nell’interpretare Alan. Caine magari erra nell’altro senso: talmente rigido ed inespressivo! E anche Peter Finch… no, no, no.

Un’altra cosa che mi piace di questa produzione, è che fa uno sforzo per definire il background di Alan, anche se per farlo deve discostarsi dal romanzo.* Per esempio, il Nostro ci viene mostrato alla battaglia di Culloden, forse in un ruolo un po’ più centrale di quello che sarebbe toccato persino all’Alan fittizio, ma efficacemente brusco e combattivo. Più tardi, lo vediamo alla non-corte francese di Bonnie Prince Charlie (che non esce troppo bene da questa sceneggiatura), mentre legge invece di partecipare a una partita di qualche sport. Anche questa è una scena che non esiste nel libro, ma fa riferimento alla pagina in cui Stevenson, attraverso David, parla delle molteplici perfezioni artistiche e intellettuali di Alan. Tutto ciò nel romanzo è detto e non mostrato, con l’eccezione dell’abilità nel suonare la cornamusa; lo sceneggiatore fa uno sforzo per mostrarlo, anziché dirlo. Nello stesso contesto, ci viene mostrato anche che Alan non è un buon cortigiano, che ha poca pazienza per le esitazioni del principe, e non ne ha affatto per le frivolezze dell’entourage. Se ne può dedurre che la Causa non abbia soverchie speranze, e che Alan lo sappia fin troppo bene. Ma tutti sappiamo, nevvero? che la Causa Persa è per lo Sbregaverze come il miele per l’ape.

Ad ogni modo, dubito molto che lo sceneggiato sia reperibile, men che meno in Italiano. Se qualcuno avesse voglia di dare un’occhiata comunque (non fosse altro che per sentire la bella colonna sonora), se ne può avere un assaggio su YouTube. Digitando “Kidnapped Stevenson” nella search box, si arriva a questa pagina, dove si trovano varie cose, tra cui un po’ di clip di questa versione** qualche pezzetto di una versione del 1938 (in bianco e nero, terribilmente holliwoodiana e solo vagamente imparentata con il libro), il video di un blogger che ha sgambato per tutte le Highlands ricostruendo il viaggio di Alan e David*** e anche, credo, qualche scena dalla versione con Michael Caine.

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* So perfettamente che cosa avete pensato, là dove c’era l’asterisco. Avete levato gli occhi al cielo, e vi siete detti: figurarsi se, trattandosi di Alan, la Clarina non perdona l’infedeltà al testo! Fosse stato qualunque altro personaggio, fosse stato il povero David (Idiota Ottuso), figurarsi gli alti lai! Vero che l’avete pensato? 🙂 

** Sotto il nome di “Kidnapped, aka David Balfour”, oppure “Fo Bhruid”, che è Gaelico per “Rapito”.

*** Sì: c’è gente strana, a questo mondo…

 

Alan Breck Stewart: Lo Sbregaverze Quintessenziale

Cominciamo da Alan, con il quale sarebbe forse più logico finire, perché Alan è la pietra di paragone su cui ho modellato l’intera categoria, ma fa lo stesso. Quando ho scoperto che Henry James ha definito Alan “il personaggio più perfetto della letteratura inglese” mi si è allargato il cuore. Perché adoro Alan.

statuevert.jpgAlan entra in scena a pagina 83* di “Rapito”, di R.L. Stevenson, balzando a bordo di un brigantino da una barca speronata nella nebbia e, da quel momento in poi, ruba la scena a tutti gli altri, compreso il protagonista nominale. Sgombriamo subito il campo, qui: il protagonista semi-eponimo e narratore è David Balfour, ma David, ci viene fatto capire, è un ragazzino singolarmente ottuso, il cui ruolo effettivo è quello di sidekick. Non c’è rischio che David (o chiunque altro nel libro, se è per questo), possa competere con Alan, che ripete a chiunque voglia o non voglia sentire che lui porta “un nome regale”, che si compone da sé una ballata per celebrare un duello ben riuscito, e che ha occhi nei quali brilla “una specie di luce danzante un po’ folle che attirava e allarmava nello stesso tempo.”**

Ora, questo Alan è largamente una creatura dell’immaginazione di Stevenson, perché l’originale storico era meno attraente.  

Ailean Breic Stuibhairt, per citare la versione gaelica del nome, era il nipote orfano di un capo di seconda schiera all’interno del clan Stewart di Appin, nelle Higlands scozzesi. Per qualche motivo si arruolò nell’esercito inglese (non oso immaginare cosa avranno pensato di lui i suoi parenti…), da cui disertò nel 1745, alla battaglia di Prestonpan, per unirsi ai Giacobiti scozzesi. I Giacobiti erano Scozzesi cattolici, per lo più delle Highlands, che sostenevano le rivendicazioni al trono di Scozia (e già che c’erano, anche d’Inghilterra) da parte degli Stewart esiliati dopo la Glorious Revolution. Nel 1745, appunto, il principe Charles Edward Stewart sbarcò in Scozia per guidare una sollevazione. Non andò a finire bene. Sconfitto a Culloden, Bonnie Prince Charlie dovette tornarsene in Francia armi e bagagli, con un vasto seguito di ex insorti, tra cui Alan. Una volta in Francia, Alan si arruolò in un reggimento scozzese del Re di Francia, tornandosene in Scozia in incognito, di quando in quando, a raccogliere/estorcere il tributo dei clan per il sovrano in esilio. Fatto si è che, durante uno di questi suoi passaggi in patria, nel 1752, un agente scozzese del Re d’Inghilterra venne assassinato ad Appin. Alan non godeva di buona fama: era violento, collerico e imprudente, e persino il suo padre adottivo lo descriveva come “uno sciocco furioso”. Per di più, aveva dichiarato in pubblico sentimenti poco affettuosi nei confronti della vittima… Per farla breve, Alan fu accusato di omicidio, ma riuscì a scappare, e al suo posto venne impiccato il padre adottivo, come mandante. Fine.

O meglio, “fine” se non fosse per R.L.Stevenson, che ebbe modo di leggere le carte del processo e si appassionò alla vicenda, tanto da costruire il suo “Kidnapped” attorno all’omicidio di Appin, e all’innocenza di Alan. Peccato che l’Alan storico non andasse molto bene. Insomma, siamo onesti: chi è che vuole uno sciocco furioso per eroe?

Ed ecco allora entrare in campo la sbregaverzizzazione.

Alan è l’opposto di tutto ciò che è stato inculcato al nostro narratore ottuso. Mentre David è un buon protestante e un buon suddito, allevato nella massima sobrietà morale e materiale, Alan è un cattolico, un fuorilegge, allegramente spavaldo nei suoi abiti sgargianti, pronto di lingua e di spada, pronto a mentire, rubare, truffare e uccidere per il suo re in esilio – a patto che il suo onore non debba soffrirne. Però, quando il capitano del brigantino (buon protestante e whig, lui, ma non proprio di specchiata onestà) decide di assassinare il nuovo venuto per impadronirsi dell’oro che porta, David non impiega molto a decidere da che parte stare. E noi lettori impieghiamo ancor meno.

Questo è il primo di molti episodi in cui David è costretto a rivedere le sue convinzioni (e noi siamo costretti ad ammettere che anche le migliori %7B8C264151-BB67-4059-85CF-F841B174DFB1%7DImg100.jpgconvinzioni possono essere riviste). Per diciotto anni si è sentito ripetere che i Giacobiti sono gente pericolosa, eretica e immorale, e certo Alan non è molto rassicurante, con la sua enorme spada, il carattere irascibile e la luce un po’ folle negli occhi… ma si rivela onorevole, leale e generoso, ed è uno contro nove!

Segue scena di battaglia nel castello di poppa, che forgia questa bizzarra amicizia tra due uomini che non potrebbero essere più diversi. D’altra parte, si può capire David: chi potrebbe resistere a un nuovo amico che, appena ricacciati indietro i nemici in schiacciante superiorità numerica, vuole subito sapere se è o non è uno spadaccino tosto?*** Ed è qui che Alan si compone la ballata… scena meravigliosa. Perché Alan, dice David, “se apprezzava il coraggio negli altri uomini, lo ammirava soprattutto in Alan Breck.”

Poi, sia chiaro: Stevenson sa il suo mestiere, per cui non c’è nulla di manicheo. David rimane riluttante, e Alan è tutt’altro che immune da difetti: vanesio, irascibile, occasionalmente irresponsabile, insopportabilmente orgoglioso, e con un codice morale un tantino tortuoso, che a noi non fa troppo effetto, ma doveva sconcertare non poco i contemporanei di Stevenson. Eppure, il successo di “Kidnapped” fu enorme fin dal principio, a riprova del fatto che Stevenson sapeva far amare e ammirare Alan con tutti i suoi difetti, prima tra tutti la tendenza a vedere offese ovunque. Notatelo bene, questo tratto, perché lo ritroveremo. Oh, se lo ritroveremo…

Ma non c’è nulla di caricaturale, in Alan. Stevenson, attraverso David, ci informa che Alan non è affatto un soldataccio zotico o un avventuriero da quattro soldi: oltre ad essere un buon tiratore e l’eccellente spadaccino che sappiamo, ha viaggiato molto, parla diverse lingue, ha letto molti libri in Inglese e Francese, suona diversi strumenti ed è un buon poeta. Un uomo colto e un artista.

Stevenson non si è limitato a cucire una personalità completamente fittizia su un nome trovato in un vecchio atto processuale, e non ha tentato di farne un “bravo ragazzo” a tutti i costi. Invece, ha preso le caratteristiche negative dell’Alan storico, ci ha mescolato una manciata di buone qualità del tutto fittizie, e le ha modellate in un insieme a tutto tondo. La facilità alla collera, la mancanza di buon senso, la diserzione a Prestonpan, gli abiti sgargianti, l’arroganza, la propensione alla violenza dell’originale (e francamente, chi non pensa che fosse un individuo sgradevole, alzi la mano), vengono rivoltati come guanti in altrettanti tratti di caratterizzazione, la cui somma è ben diversa dall’intero da cui eravamo partiti: un Alan Breck Stewart talmente affascinante, che vogliamo a tutti i costi credergli, quando sostiene di essere innocente. Vogliamo credergli perché si affeziona a David non superando le differenze, ma nonostante le differenze; e perché è così ostinatamente, irragionevolmente fedele al suo Re Oltre il Mare; e perché regala a David uno dei suoi bottoni d’argento come salvacondotto per Appin (“come se fosse stato un principe, con un esercito ai suoi ordini”), e il bottone funziona; e perché dopo avere perduto in una notte di vino e di carte tutto il denaro proprio e di David è terribilmente contrito, ma troppo orgoglioso per ammetterlo; e perché non avrebbe nessun bisogno di David, ma lo aiuta per buon cuore… e per un’infinità di altre ragioni.

Stevenson credeva nell’innocenza dell’Alan storico. Ci credeva tanto da creare un Alan fittizio che ha trascinato generazioni di lettori a condividere la sua certezza. Studi recenti sembrano dargli ragione, ma onestamente, non credo che abbia molta importanza. Quello che conta è l’Alan di Stevenson, che fugge attraverso le Highlands trascinandosi dietro David, che si cruccia di non essere un po’ più alto, che si costringe a perdere con buona grazia una tenzone di cornamusa, che porta un nome regale, musicista, poeta occasionale, spadaccino, soldato di una causa persa e buon amico: il più perfetto degli Sbregaverze.

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* Edizione BUR del 1982, traduzione di Piero Gadda Conti (non da morirci sopra, ma con più meriti che colpe)

** Nell’originale: [His eyes had] a dancing madness in them, that was both engaging and alarming.

*** Nell’originale: “Am I no a bonnie fighter?”, frase che trovo intraducibile nel suo senso più sbregaverzesco e più scozzese. Ok, giuro che mi tratterrò da ulteriori citazioni dall’originale.

In compenso, ecco qui un filmatino da una trasposizione televisiva di Kidnapped della fine degli Anni Settanta. E’ piuttosto accurata e fedele, e secondo me David McCallum è il migliore Alan dello schermo. Notare: a 2.25: “Oh David, I love you like a brother!” e subito dopo, a 2.28: “Am I no a bonnie fighter?” [E credete che quell’idiota di David gli dica di sì? Andiamo, o stoccafisso! Ti ha appena salvato la vita…]