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Dic 9, 2015 - musica, teatro    Commenti disabilitati su Il Ritorno della Pulzella

Il Ritorno della Pulzella

Questo post avrei dovuto farlo lunedì – prima della Prima della Giovanna d’Arco alla Scala – e poi mi sono dimenticata.

È l’età che avanza, credo… Ci vuol pazienza.

Ma in fondo, nulla impedisce di farlo oggi, giusto? E allora vi ripropongo un episodio delle Librettitudini Verdiane pubblicate a suo tempo, in onore del successone della Giovanna scaligera.

E cominciamo col dire che quando nel 1844 il librettista Temistocle Solera scelse la schilleriana Jungfrau von Orléans. Verdi non fu precisamente travolto dalla letizia. Tra l’altro, c’erano già un paio di opere tratte dal dramma tedesco, e anche un balletto del solito Viganò, ma tutto sommato non voleva dire granché – anche perché Solera non aveva intenzione di essere terribilmente fedele a Schiller.giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scala

Per dire, al grido di semplifichiamo, semplifichiamo, il librettista sfrondò due dei personaggi principali: il cavaliere inglese Lionel, di cui la Giovanna schilleriana s’innamora fatalmente, e la bella Agnes Sorel, amante del Delfino e poi re. Il che, lo capite bene, lasciava ben poche alternative per l’obbigatoria storia d’amore tenore/soprano…

Ebbene sì: Giovanna e il Re, che qui è già incoronato.

E sì, lo so – ma non era come se Schiller per primo fosse rigorosissimo in fatto di storia, giusto? E poi, francamente, chi è che va all’opera per il rigore storico? Per cui non formalizziamoci e vediamo un po’…

Il Prologo (ebbene sì, abbiamo un prologo) comincia a Dom-Remy*, con ufficiali e borghigiani che si lagnano dell’andamento della guerra. Quegli accidenti d’Inglesi vincono e vincono e vincono, e persino Orléans è sul punto di cadere. Entra il re Carlo VII e, dopo che il popolo s’è brevemente commosso sulla sua combinazione di bellezza, giovinezza e sfortunaccia nera, annuncia un’abdicazione sacrificale. Se l’è sognato, dice. Ma in realtà quel che si è sognato è un’immagine della Madonna in un bosco…

Oh, Sire – ma è qui nei dintorni! esclama utilmente il coro. È un postaccio infestato da streghe e diavoli, ma c’è. E sarà anche un postaccio, ma è là che Carlo, con uno di quei salti logici che solo all’opera, decide di dover andare a rimettere la sua corona nelle mani di Dio. Oh, e degli Inglesi, of course.

E noi lo precediamo nel postaccio boschivo e tempestoso dove, in effetti, c’è una cappellina. E ci sono anche – ciascuno per conto proprio – il canuto pastore Giacomo e sua figlia, la contadinella Giovanna. Questi due sono uno più pio dell’altro. Lei non trova altro luogo sacro per venire a pregare che il Cielo le conceda di salvare in qualche modo la Francia, e lui l’ha seguita per vedere se, come teme, la figliuola è una strega, un’indemoniata o qualche altra cosa poco raccomandabile.

Quando Giovanna si addormenta arriva Carlo e, senza accorgersi di padre nascosto e figlia ronfante, si mette in preghiera. E arriva anche un coro demoniaco che, a tempo di valzerino, tenta la Giovanna con una collezione di immortali versi che in parte vi riporto:

Quando agli anta
L’ora canta
Pur ti vanta
Di virtù
Tu sei bella,
Tu sei bella!
Pazzerella
Che fai tu?

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaE a questo punto è molto, molto chiaro che Solera non era in vena… Per fortuna a interrompere gli spiriti malvagi** intervengono gli spiriti celesti** che svegliano la ragazza con la notizia che i non meglio precisati “celesti” hanno deciso di darle retta – a patto, badate bene, che s’impegni a tenere il cuore ben chiuso a ogni affetto terreno…

E Giovanna si sveglia, afferra elmo e spada che Carlo aveva deposto per pregare e, da contadinella, eccola trasformata in eroina!

Carlo è folgorato – e non solo dall’impeto guerriero di Giovanna. I due se ne escono mano nella mano per andare a dare agl’Inglesi quel che spetta loro… E Giacomo? Vi eravate dimenticati di Giacomo, vero? E invece il padre sospettoso era nascosto in un angolo e ha visto e sentito tutto. O almeno, non deve aver sentito granché dell’estasi mistico-patriottica della figlia, ma in compenso ha visto abbastanza da decidere che Giovanna ha venduto l’anima al diavolo per amore del re… orrore, orror!

Sipario – e Atto Primo

Siamo nei dintorni di Rems*, e gl’Inglesi sono ammaccati e abbacchiati. Hanno perso Orleàno* e, in generale, le hanno prese di santa ragione da quando i Francesi sono comandati dalla diavolessa.

Ed ecco Giacomo. Il suo crine è scomposto, i suoi atti dimostrano il disordine della mente. Voi che fareste se un nemico scarmigliato e squadrellato si presentasse al vostro campo promettendovi la consegna della diavolessa da cucinare come preferite – a patto di lasciarlo combattere con voi? Dubitereste, giusto? Ma qui siamo all’opera e agli Inglesi non par vero.

Le tue ciglia gemon pianto,

osservano gli Isolani, al che Giacomo ammette che la diavolessa è un tantino sua figlia. Però poi sforna questa ineffabile variazione sul tema carne debole e spirito pronto:

Languido è il fral, ma l’anima
Maggiore è d’ogni duol!

Comprensibilmente folgorati, gli Inglesi decidono di tenerselo. giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scala

Nel frattempo a Rems* Giovanna non ne può più di guerra e dell’adorazione generale e cieca. Ha vinto, giusto? E allora può tornarsene a casa dal babbo e dalle sue pecorelle. Chi non vuol sentirne parlare è Carlo, che la farebbe tanto volentieri sua regina… Giovanna, sia detto a suo credito, resiste per trentuno versi. Ma che vogliamo fare? è un soprano e si sa come va a finire; al trentaduesimo verso cede e subito gli spiriti eterei si manifestano per ricordarle che aveva giurato: niente affetti terreni!

Ops…

E a questo punto non ci mancava altro che il popolo festante: vorrebbero, vorrebbero, vorrebbero, per favore, Carlo e la Pulzella, recarsi al tempio** per l’incoronazione***? Giovanna a dire il vero vorrebbe tanto essere morta in battaglia, ma Carlo che non ha sentito gli spiriti celesti e non capisce il motivo di tanto scombussolamento, la ricopre di futili rassicurazioni e profferte d’amore, e se la trascina via.

E non vi fate un’idea di come gongolano gli spiriti malvagi e stornellatori!

Atto Secondo

Davanti al tempio tutto è letizia ed esultanza – con l’eccezione di Giacomo, che chiaramente cammina avanti e indietro tra il campo inglese e quello francese senza l’ombra di un impiccio. Ma d’altra parte, chi si azzarderebbe a fermare un uomo che viene per detergere tutte le sue fibre di padre e diventare fulmine del Signor crucciato?

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaCosicché, quando Giovanna esce dal tempio, cercando invano di sfuggire al re e al popolo che vogliono farla santa subito, il vecchio è pronto per far scoppiare la sua bomba: altro che santa, la mia sciagurata figlia è una strega venduta al diavolo per un non meglio precisato amore terreno****…

Orrore, orror!

Carlo protesta, con singolare logica ed efficacia, che Giovanna è troppo bella per essere una strega. Il popolo chiede prontamente la testa di quella che, una pagina addietro, era la sua adorata eroina. E Giacomo è molto scosso, ma tiene duro perché, scopriamo, un bel rogo è l’unica cosa che può ancora salvare l’anima della sacrilega ragazza.

E Giovanna? Giovanna sacrilega ci si sente, visto che ha contravvenuto alle istruzioni celesti innamorandosi del re – per cui non solo non si difende, ma è prontissima a seguire il padre verso il rogo degli Inglesi. Perché non possano bruciarla i Francesi, vista la veemenza del loro pio disgusto, non è ben chiaro, ma… Oh, wait! Non funzionerebbe altrettanto bene il…

Terzo Atto.

Atto Terzo che comincia in una prigione inglese, dove Giovanna ascolta da lontano i rumori dell’ennesima battaglia, si mangia le unghie perché i Francesi stanno perdendo, si strugge per Carlo in pericolo, prega e protesta la sua innocenza davanti al cielo… giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scala

E di nuovo, celato nell’ombra a una quinta di distanza, c’è Giacomo, questo origliatore di professione, che dopo avere pensato di lei tutto il male possibile per due atti, all’improvviso le crede. Ed è vero, tecnicamente è ancora sacrilega – in pensieri e parole, se non in opere – ma, in un altro di quegli aloni lasciati dalle rimozioni della censura, in fondo a Giacomo importa che Giovanna sia a) ancora vergine; b) sempre pia. E allora la libera, le dà la sua spada e la fa scappare. Da una bifora/un verone/ una ringhiera/ la cima della torre il padre pentito&angosciato osserva le sorti della battaglia mutare dopo l’ingresso in campo della Pulzella. Peccato che si perda il finale a causa di un turbine di polvere, ma male non dev’essere andata: quando Carlo arriva è trionfante e in vena di perdono.

I due uomini si stanno felicitando a vicenda, ma si felicitano troppo presto. Il coro sciama in scena portando la defunta Giovanna – già nella bara. Carlo si dispera insieme al coro (già dimentico del finale dell’Atto Secondo), ma all’improvviso…

Gran Dio! Silenzio… Represso gemito mandò l’estinta,

esclama Giacomo, senza notare che allora forse del tutto estinta non è.

E dite la verità: non vi sembrava strano che Giovanna non morisse in scena? Oddìo, magari vi sembra anche strano che sia morta in battaglia e non sul rogo – ma per quello potete biasimare più Schiller che Solera. Anche perché il rogo ci avrebbe privati dell’ultima scena in cui Giovanna ha tutto il tempo di delirare, perdonare, andare in estasi e vedersi assunta al cielo, tra le lacrime, le suppliche e la meraviglia di Carlo, Giacomo e coro tutto.

E se a chiudere ci aspettavamo gli spiriti celesti, aspettavamo male. Ecco a noi, invece, gli spiriti malvagi:

Torna, torna, esulante sorella,
Sovra i vanni dell’angelo al ciel!
È il signore, il signor che ti appella,
E ti cinge inconsuntile vel.
Più che il fuoco che n’arde e ne scuoia,
Più che il buio di notte crudel,
N’è tormento d’un’alma la gioia,
N’è supplizio il trionfo del ciel!

E non so se mi piaccia di più il velo inconsuntile o i diavoli che hanno paura del buio, mentre una siderea luce spandesi improvvisa pe’l cielo e tutti si prostrano davanti al glorioso cadavere.

Sipario.

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaE no, il buon Solera non era in stato di grazia, e poi aggiungeteci i molteplici rimaneggiamenti della censura vicereale, e… well.

Ad ogni modo, Verdi musicò tutto in quattro mesi, litigò come un dannato con direttore, orchestra e cantanti e poi, alla fin fine, si ebbe una prima abbastanza mediocre, con un successo limitato e della cattiva stampa. Lui disse che i giornalisti milanesi lo danneggiavano di proposito e alla fine, irritato e deluso, prese una decisione drastica: non avrebbe più scritto per la Scala.

Era destinato a cambiare idea – ma ci sarebbero voluti decenni. E credo che, se avesse potuto constatare l’ottima rappresentazione di lunedì (nonostante Re Carlo vestito da cioccolatino…), la bravissima Netrebko e gli interminabili applausi, persino il terribile Giuseppe si sarebbe riconciliato con la Giovanna alla Scala.

 

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* Sic, sic, sic. È la toponomastica francese secondo Solera.

** E questi in origine erano, l’avete indovinato, diavoli e angeli. E il tempio era la chiesa. Poi capitò la censura… Noi forse fatichiamo un po’ a capire che materia scabrosa fossero, all’epoca, le vicende della Pulzella.

*** Era già re, dite? Be’, lo era nel prologo. Poi aveva abdicato – o quanto meno espresso l’intenzione di farlo. E comunque, che volete che sia? Le incoronazioni fanno tanta scena. 

**** E non è che Giacomo sia diventato all”improvviso troppo prudente per accusare il re di avergli sedotto la figlia. È che nel libretto originale – come in Schiller – Giacomo si agitava molto sulla questione della supposta verginità perduta di Giovanna. Poi la censura intervenne, e rimase soltanto il sacrilegio, con tanti cari saluti alla logica generale della storia.

 

 

Lug 8, 2013 - Anno Verdiano, Storia&storie    Commenti disabilitati su Librettitudini Verdiane: Attila

Librettitudini Verdiane: Attila

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei“Perché non Attila?” disse Maffei – e Verdi, se avesse avuto delle antenne, le avrebbe rizzate.

Andrea Maffei – marito della più celebre Clarina – era un poeta, un librettista, un traduttore dall’Inglese e dal Tedesco. Per cui conosceva bizzarrie germaniche come il dramma di Zacharias Werner sul re degli Unni…

Verdi qualche tempo prima aveva letto De l’Alemagne, di Mme de Staël, in cui, tra l’altro, proprio quel dramma si riassumeva con entusiasmo. E ne era rimasto colpito. Gli pareva una bella storia cupa e romantica (nel senso meno sentimentale del termine), piena di forza tragica e ambientata in un tardo impero tanto oscuro da essere esotico di risulta. Figurarsi quando Maffei glielo propose come soggetto “barbaro”!

Dopo la batosta napoletan-peruviana dell’Alzira, bisognava andare sul sicuro: la collaudata Fenice e il fidato Solera sembravano una buona combinazione… peccato che Solera fosse a Madrid, in autoesilio per sfuggire ai creditori, e fosse men che sollecito nel consegnare i versi. Per di più aveva le sue idee su come dovesse essere il libretto, continuava a battere sull’aspetto risorgimental-patriottico, a discapito delle psicologie individuali e dell’Impero che franava a valle – che a Verdi interessavano molto di più. giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

Quando diventò evidente che Solera nicchiava con l’atto terzo – e forse in considerazione del fatto che battere troppo su un’Italia che si libera dei barbari occupanti significava cercar grane con la censura – Verdi si rivolse a Piave chiedendogli (con la consueta abbondanza di istruzioni e raccompandazioni) di risistemare e finire il tutto.

Solera, dalla Spagna, si offese a morte e non volle mai più collaborare con Verdi. Il povero Piave-Gatto si lesse Mme de Staël, si lesse Werner (forse tradotto da Maffei) e sistemò tutto come voleva Verdi.

Quindi: Verdi, Solera, Piave – e anche Werner, e probabilmente un po’ Maffei… Vediamo che ne uscì.

Il Prologo comincia ad Aquileia caduta. Eruli, Ostrogoti & Unni si aggirano tra le macerie fumanti, compiacendosi coralmente dell’abbondanza di urli, rapine, gemiti, sangue, stupri e rovine…  Credevano forse di resistere ad Attila, questi scemi di Aquileiesi? Ha!

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeiEd eccolo qui, Attila su un carro trainato dagli schiavi, duci, re, ecc…* E prima che noi possiamo farci domande su quell’affascinante ecc…, il coro barbarico accoglie il suo condottiero così:

Viva il re delle mille foreste,
Di Wodano ministro e profeta;
La sua spada è sanguigna cometa,
La sua voce è di cielo tuonar.
Nel fragore di cento tempeste
Vien lanciando dagl’occhi battaglia;
Contro i chiovi dell’aspra sua maglia
Come in rupe si frangon gli acciar.

E Attila (basso) sarebbe soddisfatto, non fosse che il suo fedele schiavo Uldino entra conducendo un gruppo di donne locali che, contrariamente agli ordini, ha salvato per offrirle in dono al Re. Dopo tutto sono una rarità esotica, e hanno pugnato in armi.

Allor che i forti corrono
Come leoni al brando
Stan le tue donne, o barbaro,
Sui carri lagrimando.
Ma noi, donne italiche,
Cinte di ferro il seno,
Sul fumido terreno
Sempre vedrai pugnar,giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

chiarisce Odabella**, il nostro soprano – e chi vuole intendere, intenda. Attila s’innamora sur-le-camp, le offre una grazia a scelta e, quando lei chiede una spada, le offre gentilmente la sua e la lascia libera di vagare a suo gusto per il campo.

Ora, voi sapete che ho una predilezione per le voci gravi, ed è mia convinzione che, in questo come in molti altri casi, nessuna donna sana di mente che non ci fosse costretta dal libretto, potrebbe preferire il tenore al basso e/o al baritono. Ciò detto, se non vi siete fatti l’impressione che Attila sia candidabile al Nobel per la fisica, non so biasimarvi…

E infatti Odabella, che ha un padre e un moroso da vendicare, gioisce tra sé – perché quella spada non ha intenzione di usarla al posto delle forbicine da ricamo. E Attila si stupisce di come l’ardire e la bellezza di Odabella dolcemente gli fiedano il cuore. 

Ma non distraiamoci. La guerra è guerra, e Attila manda tutti quanti per la loro strada, perché ha da ricevere l’inviato di Roma.

E l’inviato di Roma altri non è che Ezio, il nemico preferito di Attila, quello che gli ha rifilato una batosta di tutto rispetto ai Campi Catalaunici – e l’abbiamo già capito, ad Attila piace la gente tosta, purché non se ne venga con proposte di pace…

Peccato che Ezio se ne venga a proporre qualcosa di peggio della pace. giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

Perché Ezio, vedete, è uno di quei generali di sangue barbaro che sono più fedeli a Roma dei Romani stessi, e la cui lealtà in genere viene ricompensata così così***. Ed Ezio non ne può davvero più dell’imbelle giovine**** Valentiniano che siede sul trono d’Occidente. Seccherebbe molto ad Attila spartirsi con Ezio questo vecchio impero malconcio e tanto bisognoso di una mano energica – o due?

Poffarbacco!

Noi Ezio lo perdoniamo (o almeno sospendiamo il giudizio) perché è un baritono, ma Attila, che non è frenato da queste considerazioni timbriche ed è un nobile re guerriero, s’indigna. Se Roma è così malmessa che il suo eroe più valido pratica tradimento e spergiuro, allora è proprio tempo che gli Unni radano tutto al suolo.

Ah be’, ma se la mettiamo così, Ezio non ha altro da dire, se non: guerra! Dopo tutto, gliele ha suonate una volta, ad Attila, ed è capacissimo di farlo ancora. E i due si separano vicendevolmente furibondi.

Chiudesi il prologo dalle parti della futura Venezia, dove un coro di eremiti accoglie un coro di aquileiesi in fuga, guidati da… Foresto? Possibile? Il comandante e salvatore dei fuggiaschi è un tenore che non è poi così morto come noi e il soprano credevamo, e che si dispera perché la sua bella è prigionera del nemico conquistatore – da cui, incidentalmente, vuole liberare la patria afflitta…

E lo so, suona familiare, ma fidatevi: secolo diverso, continente diverso, costumi diversi, finale diverso. Insomma, abbastanza diverso… oh well.

E con questo siamo soltanto alla fine del prologo. Sarà meglio che ci affrettiamo all’Atto Primo.

E cominciamo con Odabella che vaga nottetempo nei boschi e pensa ai casi suoi, giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeifinché non le arriva addosso Foresto travestito da Unno. E forse anche questo vi suonerà vagamente familiare, perché a lei quasi prende un coccolone nel vedersi davanti il moroso redivivo, ma lui è furibondo perché la crede collaborazionista: com’è che se ne gira libera e armata, eh?

E lei fatica un po’, tra giuramenti e citazioni bibliche, a convincerlo che tutto quel che vuole è vendicarsi infilzando Attila con la sua stessa spada.

“E perché non l’hai ancora fatto?” sarebbe la domanda sensata, viste le generali circostanze…

Ma Foresto è un tenore, e invece va in estasi, chiede perdono e i due cinguettano e s’invitano a vicenda a inebriarsi nell’amplesso–

Ma no, cosa avete capito? Opera, Ottocento, censura! Tutto molto casto – e comunque fade to

La tenda di Attila che, in una scena reminiscente del Riccardo III*****, si sveglia da un incubo. Perché insomma, imman gli apparve un veglio, che l’ha preso per i capelli e gli ha ingiunto di lasciare in pace Roma, che il suo incarico divino prevedeva la flagellazione dei mortali, ma Roma è di Dio.

Raccapriccio!

esclama il fedele Uldino – ma Attila si riprende prima di subito, arrossice della sua debolezza e anzi, convoca il coro tutto: armi e bagagli, ragazzi, che si parte per Roma.

Ma…

Che d’è quella religiosa armonia che risponde alle trombe guerriere degli Unni?

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeiÈ Papa Leone, con sei anziani e un corteo di vergine e fanciulli in bianche vesti. C’è anche Foresto, nascosto in mezzo al coro, ma nessuno bada a lui. Cosa più interessante, nel vecchio disarmato, Attila riconosce l’uomo del suo incubo. E, guarda caso, Leone ripete proprio le parole del sogno: basta così, grazie, flagellato abbastanza, Roma no…

Aiuta che alle sue spalle Attila veda un paio di gigantesche figure armate di spade fiammeggianti. Chi l’avrebbe mai detto? Per lo sbigottimento degli Unni e la meraviglia dei locali (e, a quanto pare, di Leone stesso), Attila cade in ginocchio, pronto a prendere, incartare e portare a casa la divina ammonizione.

E qui (soprattutto dalle mie parti), saremmo anche disposti a considerare finita la faccenda. E invece no: è finito solo l’atto primo.

E l’Atto Secondo comincia con Ezio, di umor nero perché il pavido Valentiniano lo riconvoca in tutta fretta a Roma, proprio adesso che si potrebbe dare il colpo di grazia agli Unni in ritirata… ah, dov’è finita la potenza di Roma? Dove andremo a finire? Non ci sono più le mezze stagioni, eccetera.

Ma a interrompere le lamentazioni del generale arriva uno stuolo di schiavi d’Attila, recante richiesta di un abboccamento. E perché mandare uno stuolo di schiavi a parlamentare? Ma perché così ci si può nascondere in mezzo, e poi restare indietro inosservato, Foresto. Foresto che viene a giocare agl’indovinelli. Non chiedermi perché, non ti dico chi sono o come lo so, ma in serata si fa fuori Attila. Tu tieniti pronto e, al segnale, attacca.

E magari sarebbe legittimo dubitare, non vi sembra? Trappola, imboscata, ruse de guerre?

Ma no: ad Ezio non par vero di avere l’occasione di ignorare gli ordini imperiali. Per mal che vada, morirà in battaglia, risparmiandosi il resto del declino di Roma.

E noi facciamo appena in tempo a tornare al campo di Attila, dove Eruli, Ostrogoti & Unni gozzovigliano, e Attila presiede con Odabella al fianco vestita da amazzone, e Foresto si nasconde in mezzo al coro (again)… Facciamo appena in tempo a tornare, dicevo, che arrivano Ezio e i suoi.

E salta fuori che, nonostante il carattere piuttosto truculento dei brindisi, quel che vuole Attila è offrire una tregua e celebrarla con una buona cena. giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

Il che, fanno lugubremente notare i druidi, porta malissimissimo… E se Attila crede di risollevare gli animi con un po’ di musica, sbaglia: il vento interrompe il già non allegerrimo canto delle sacerdotesse e spegne fuochi e lucerne, e tutti cominciano a farsi un nonnulla nervosi. 

Foresto ne approfitta per sussurrare a Odabella che il fedele Uldino è in realtà pronto ad avvelenare Attila; Odabella s’indigna perché Attila lo vuole infilzare lei; Uldino, col veleno in mano, cerca di farsi coraggio; il coro si agita; Ezio torna a proporre alleanza contro Valentiniano; Attila rifiuta sdegnato ma, a mezza via tra Winnie the Pooh e (again) Riccardo III, deve ammettere che:

Oh rabbia! Non sento più d’Attila il cor!

E poi il cielo si rasserena all’improvviso, e potremmo quasi credere a un anticlimax, se non fosse che Attila, nell’ansia di superare il momentaccio, sta per bere. Per bere dal boccale che gli ha portato Uldino…

Ma no! Odabella lo ferma, gli rivela il tentato avvelenamento e, quando Attila, non incomprensibilmente, vuol sapere chi è stato, è Foresto a farsi tenorilmente avanti.

Sensazione.

Attila riconosce il capitano aquileiese che tanto filo da torcere gli ha dato in battaglia – e adesso gliela fa vedere lui.

Poco sforzo, adesso! provoca Foresto.

E Odabella chiede in premio la sua vita.

E Attila acconsente, e ci aggiunge la corona di regina degli Unni, da suggellarsi con matrimonio l’indomani.

E Foresto fugge non senza avere prima maledetto Odabella (again), e dite la verità: non potremmo quasi crederci tornati in Perù?

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeiA riprova del fatto che invece siamo ad Aquileia, Ezio si morde le nocche per il fiasco, Uldino pensa che l’ha scampata bella e che deve un gran favore a Foresto, e il coro non ne può davvero più: facciamogliela vedere, a questi Romani arroganti e avvelenatori, e che diamine!

Sipario.

Atto Terzo, e non ci stupiamo di trovare Foresto nel bosco tra il campo di Attila e quello di Ezio – lui che passa di qua e di là come se nulla fosse. Ad ogni modo, adesso è lì nella terra di nessuno a mangiarsi le unghie al pensiero di Odabella fedifraga. Ed entra Uldino a dire che la sposa è appena salita in automobile partita col corteo verso la tenda di Attila. Ed entra Ezio a chiedere che cosa stanno aspettando. E Foresto vaneggia ancora sull’infedeltà di Odabella. Ed Ezio, con tutta l’aria di avere sentito i vaneggiamenti molte e molte volte, gli fa notare che lui ha in mente cose più importanti di una ragazza poco seria – tipo il destino dell’Impero. Ed entra Odabella vestita da amazzone/sposa/regina******, vaneggiando a sua volta. Si direbbe che lo spettro del babbo sia venuto a tirarle le coperte: ma proprio Attila, doveva sposare? Foresto, ça va sans dire, concorda col fantasma.giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

E mentre Ezio cerca di affrettare i tempi, Odabella si proclama innocente e ultrice, e Foresto non le crede (again)…

Ed Ezio non aveva tutti i torti, perché arriva Attila, cercando la sua novella sposa.

E la trova abbracciata a un riluttante Foresto in presenza di Ezio.

Ops.

Ma come? s’infuria Attila. Lui ha sollevato Odabella da schiava a regina, ha risparmiato Foresto e non ha distrutto Roma – e adesso tutti cospirano contro di lui?

E a noi viene il dubbio che a Solera sia sfuggito qualcosa – o che Piave ci abbia messo parecchio di suo. Siamo sinceri: tra Foresto che passa il tempo a nascondersi tra gli alberi e le comparse e a maledire ingiustamente Odabella*******, Uldino che viene trattato come un figlio e ricambia col veleno, ed Ezio che, baritono o meno, muore dalla voglia di tradire qualcuno fin dal prologo, per chi dovremmo simpatizzare, se non per Attila?

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeiE mi sembra degno di nota che Odabella dica di non poter consumare il matrimonio con Attila perché lui le ha ucciso il padre. Non per altri motivi come, ad esempio, Foresto.

Ma a questo nessuno ha l’aria di badare troppo. Mentre si sentono in quinta le grida dei Romani che assaltano gli Unni già piuttosto su di giri, Foresto parte per pugnalare Attila, ma Odabella lo precede… Anche a voi sembra un gesto da donna innamorata? Ad Attila, devo dire, non molto.

E tu pure, Odabella?

mormora – e poi muore.

E in quella che credo sia la scena più breve della storia dell’opera, guerrieri romani irrompono da tutte le parti per informarci che

Appien sono
Vendicati, Dio, popoli e re!

Sipario.

E insomma, sì. C’erano grandi aspettative per questo Attila. Verdi ne scriveva dicendo che i suoi amici la consideravano la sua opera migliore – con quel genere di tono che implica “lo penso anch’io, ma non lo dico”, e doveva essere il riscatto dopo l’Alzira.

Tutto quel che si può dire è che la carriera di Verdi non fu un progresso trionfale di successi da far crollare il loggione, e che l’Attila andò tutt’altro che male.  

E sapete, tuttavia, quale fu la beffa più maiuscola? Verdi si aspettava grandi cose dai finali secondo e terzo, e invece la Fenice applaudì “con maggior fanatismo” proprio il più patriottico, più risorgimentale, più soleriano atto primo.

Solera, da Madrid, avrebbe potuto trarne tutta la consolazione che voleva.

 

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* Holla, ye pampered jades of Italy… No, scherzi a parte, non è bizzarro che nessuno abbia tratto un’opera dal Tamburlaine di Marlowe? Ci sono almeno un paio di Tamerlani – uno di Haendel, l’altro non ricordo – ma nessuno, per quanto ne so, tratto da Marlowe…

** Un giorno ci chiamerò una gatta.

*** Belisario, anyone? E sì, era Costantinopoli e non Roma – but still.

**** Werner, Solera e Piave ce lo fanno passare per adolescente, ma in realtà Valentiniano nel 452 aveva ben passato la trentina. Ma d’altronde nemmeno l’Imperatore d’Oriente Marciano era poi così tardo per gli anni e tremulo come vuole il libretto… Però così Ezio ci fa una figura vagamente migliore.

***** Altra cosa da cui è strano che nessuno abbia mai tratto un’opera. Almeno per quanto ne sappia. Qualcuno ha qualcosa da segnalare in proposito?

****** No, davvero.

******* D’altra parte, Vedi per primo… C’è una favolosa lettera con cui chiede a Piave di verseggiargli una romanza supplementare per Foresto, su richiesta del tenore russo Ivanoff. Ed è davvero una forma di consolazione leggere che Verdi descrive Foresto come quell’imbecille di amoroso.

Giu 24, 2013 - Anno Verdiano    5 Comments

Librettitudini Verdiane: Giovanna D’Arco

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaRicordate Gaetano Merelli, il direttore della Scala? Era da dopo il successone dei Lombardi che sollecitava Verdi a scrivergli qualcosa d’altro – e Verdi nicchiava.

Però nel 1844 il compositore riallacciò il sodalizio con Solera, invitandolo a scegliere un soggetto per Merelli. E Solera scelse Giovanna – o meglio, per dirla con Schiller, Die Jungfrau von Orléans. Verdi, a dire il vero, non fu travolto dalla letizia. Tra l’altro, c’erano già un paio di opere tratte dal dramma tedesco, e anche un balletto del solito Viganò, ma tutto sommato non voleva dire granché. Anche perché Solera non aveva intenzione di essere terribilmente fedele a Schiller.giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scala

Per dire, al grido di semplifichiamo, semplifichiamo, il librettista sfrondò due dei personaggi principali: il cavaliere inglese Lionel, di cui la Giovanna schilleriana s’innamora fatalmente, e la bella Agnes Sorel, amante del Delfino e poi re. Il che, lo capite bene, lasciava ben poche alternative per l’obbigatoria storia d’amore tenore/soprano…

Ebbene sì: Giovanna e il Re, che qui è già incoronato.

E sì, lo so – ma non era come se Schiller per primo fosse storicamente attendibile, giusto? E poi, francamente, chi è che va all’opera per il rigore storico? Per cui non formalizziamoci e vediamo un po’…

Il Prologo (ebbene sì, abbiamo un prologo) comincia a Dom-Remy*, con ufficiali e borghigiani che si lagnano dell’andamento della guerra. Quegli accidenti d’Inglesi vincono e vincono e vincono, e persino Orléans è sul punto di cadere. Entra il re Carlo VII e, dopo che il popolo s’è brevemente commosso sulla sua combinazione di bellezza, giovinezza e sfortunaccia nera, annuncia un’abdicazione sacrificale. Se l’è sognato, dice. Ma in realtà quel che si è sognato è un’immagine della Madonna in un bosco…

Oh, Sire – ma è qui nei dintorni! esclama il coro. È un postaccio infestato da streghe e diavoli, ma c’è. E sarà anche un postaccio, ma è là che Carlo, con uno di quei salti logici che solo all’opera, decide di dover andare a rimettere la sua corona nelle mani di Dio. Oh, e degli Inglesi, of course.

E noi lo precediamo nel postaccio boschivo e tempestoso dove, in effetti, c’è una cappellina. E ci sono anche – ciascuno per conto proprio – il canuto pastore Giacomo e sua figlia, la contadinella Giovanna. Questi due sono uno più pio dell’altro. Lei non trova altro luogo sacro per venire a pregare che il Cielo le conceda di salvare in qualche modo la Francia, e lui l’ha seguita per vedere se, come teme, la figliuola è una strega, un’indemoniata o qualche altra cosa poco raccomandabile.

Quando Giovanna si addormenta arriva Carlo e, senza accorgersi di padre nascosto e figlia ronfante, si mette in preghiera. E arriva anche un coro demoniaco che, a tempo di valzerino, tenta la Giovanna con una collezione di immortali versi che in parte vi riporto:

Quando agli anta
L’ora canta
Pur ti vanta
Di virtù
Tu sei bella,
Tu sei bella!
Pazzerella
Che fai tu?

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaE a questo punto è molto, molto chiaro che Solera non era in vena… Per fortuna a interrompere gli spiriti malvagi** intervengono gli spiriti celesti** che svegliano la ragazza con la notizia che i non meglio precisati “celesti” hanno deciso di darle retta – a patto, badate bene, che s’impegni a tenere il cuore ben chiuso a ogni affetto terreno…

E Giovanna si sveglia, afferra elmo e spada che Carlo aveva deposto per pregare e, da contadinella, eccola trasformata in eroina!

Carlo è folgorato – e non solo dall’impeto guerriero di Giovanna. I due se ne escono mano nella mano per andare a dare agl’Inglesi quel che spetta loro… e Giacomo? Vi eravate dimenticati di Giacomo, vero? E invece il padre sospettoso era nascosto in un angolo e ha visto e sentito tutto. O almeno, non deve aver sentito granché dell’estasi mistico-patriottica della figlia, ma in compenso ha visto abbastanza da decidere che Giovanna ha venduto l’anima al diavolo per amore del re… orrore, orror!

Sipario – e Atto Primo

Siamo nei dintorni di Rems*, e gl’Inglesi sono ammaccati e abbacchiati. Hanno perso Orleàno* e, in generale, le hanno prese di santa ragione da quando i mangiarane Francesi sono comandati dalla diavolessa.

Ed ecco Giacomo. Il suo crine è scomposto, i suoi atti dimostrano il disordine della mente. Voi che fareste se un nemico scarmigliato e squadrellato si presentasse al vostro campo promettendovi la consegna della diavolessa da cucinare come preferite – a patto di lasciarlo combattere con voi? Dubitereste, giusto? Ma qui siamo all’opera e agli Inglesi non par vero.

Le tue ciglia gemon pianto,

osservano gli isolani, al che Giacomo ammette che la diavolessa è un tantino sua figlia. Però poi sforna questa ineffabile variazione sul tema carne debole e spirito pronto:

Languido è il fral, ma l’anima
Maggiore è d’ogni duol!

Comprensibilmente folgorati gli Inglesi lo prendono con sé. giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scala

Nel frattempo a Rems* Giovanna non ne può più di guerra e dell’adorazione generale e cieca. Ha vinto, giusto? E allora può tornarsene a casa dal babbo e dalle sue pecorelle. Chi non vuol sentirne parlare è Carlo, che la farebbe tanto volentieri sua regina… Giovanna, sia detto a suo credito, resiste per trentuno versi. Ma che vogliamo fare? è un soprano e si sa come va a finire; al trentaduesimo verso cede e subito gli spiriti eterei si manifestano per ricordarle che aveva giurato: niente affetti terreni!

Ops…

E a questo punto non ci mancava altro che il popolo festante – perché vorrebbero, per favore, Carlo e la Pulzella, recarsi al tempio** per l’incoronazione***? Giovanna a dire il vero vorrebbe tanto essere morta in battaglia, ma Carlo che non ha sentito gli spiriti celesti e non capisce il motivo di tanto scombussolamento, la ricopre di futili rassicurazioni e profferte d’amore, e se la trascina via.

E non vi fate un’idea di come gongolano gli spiriti malvagi e stornellatori!

Atto Secondo

Davanti al tempio tutto è letizia ed esultanza – con l’eccezione di Giacomo, che chiaramente cammina avanti e indietro tra il campo inglese e quello francese senza l’ombra di un impiccio. Ma d’altra parte, chi si azzarderebbe a fermare un uomo che viene per detergere tutte le sue fibre di padre e diventare fulmine del Signor crucciato?

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaCosicché, quando Giovanna esce dal tempio, cercando invano di sfuggire al re e al popolo che vogliono farla santa subito, il vecchio è pronto per far scoppiare la sua bomba: altro che santa, la mia sciagurata figlia è una strega venduta al diavolo per un non meglio precisato amore terreno****…

Orrore, orror!

Carlo protesta, con singolare logica ed efficacia, che Giovanna è troppo bella per essere una strega. Il popolo chiede prontamente la sua testa. E Giacomo è molto scosso, ma tiene duro perché, scopriamo, un bel rogo è l’unica cosa che può ancora salvare l’anima della sacrilega ragazza.

E Giovanna? Giovanna sacrilega ci si sente, visto che ha contravvenuto alle istruzioni celesti innamorandosi del re, per cui non solo non si difende, ma è prontissima a seguire il padre verso il rogo degli Inglesi. Perché non possano bruciarla i Francesi, vista la veemenza del loro pio disgusto, non è ben chiaro, ma… Oh, wait! Non funzionerebbe altrettanto bene il…

Terzo Atto.

Atto Terzo che comincia in una prigione inglese, dove Giovanna ascolta da lontano i rumori dell’ennesima battaglia, si mangia le unghie perché i Francesi stanno perdendo, si strugge per Carlo in pericolo, prega e protesta la sua innocenza davanti al cielo… giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scala

E di nuovo, celato nell’ombra a una quinta di distanza, c’è Giacomo, questo origliatore di professione, che dopo avere pensato di lei tutto il male possibile per due atti, all’improvviso le crede. Ed è vero, tecnicamente è ancora sacrilega – in pensieri e parole, se non in opere – ma, in un altro di quegli aloni lasciati dalle rimozioni della censura, in fondo a Giacomo importa che Giovanna sia a) ancora vergine; b) sempre pia. E allora la libera, le dà la sua spada e la fa scappare. Da una bifora/un verone/ una ringhiera/ la cima della torre il padre pentito&angosciato osserva le sorti della battaglia mutare dopo l’ingresso in campo della Pulzella. Peccato che si perda il finale a causa di un turbine di polvere, ma male non dev’essere andata: quando Carlo arriva è trionfante e in vena di perdono.

I due uomini si stanno felicitando a vicenda, ma si felicitano troppo presto. Il coro sciama in scena portando la defunta Giovanna – già nella bara. Carlo si dispera insieme al coro (già dimentico del finale dell’Atto Secondo), ma all’improvviso…

Gran Dio! Silenzio… Represso gemito mandò l’estinta,

esclama Giacomo, senza notare che allora forse del tutto estinta non è.

E dite la verità: non vi sembrava strano che Giovanna non morisse in scena? Oddìo, magari vi sembra anche strano che sia morta in battaglia e non sul rogo – ma per quello potete biasimare più Schiller che Solera. Anche perché il rogo ci avrebbe privati dell’ultima scena in cui Giovanna ha tutto il tempo di delirare, perdonare, andare in estasi e vedersi assunta al cielo, tra le lacrime, le suppliche e la meraviglia di Carlo, Giacomo e coro tutto.

E se a chiudere ci aspettavamo gli spiriti celesti, aspettavamo male. Ecco a noi, invece, gli spiriti malvagi:

Torna, torna, esulante sorella,
Sovra i vanni dell’angelo al ciel!
È il signore, il signor che ti appella,
E ti cinge inconsuntile vel.
Più che il fuoco che n’arde e ne scuoia,
Più che il buio di notte crudel,
N’è tormento d’un’alma la gioia,
N’è supplizio il trionfo del ciel!

E non so se mi piaccia di più il velo inconsuntile o i diavoli che hanno paura del buio, mentre una siderea luce spandesi improvvisa pe’l cielo e tutti si prostrano davanti al glorioso cadavere.

Sipario.

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaE no, il buon Solera non era in stato di grazia, e poi aggiungeteci i molteplici rimaneggiamenti della censura vicereale, e… well.

Ad ogni modo, Verdi musicò tutto in quattro mesi, litigò come un dannato con direttore, orchestra e cantanti e poi, alla fin fine, si ebbe una prima abbastanza mediocre, con un successo limitato e della cattiva stampa. Lui disse che i giornalisti milanesi lo danneggiavano di proposito e alla fine, irritato e deluso, prese una decisione drastica: non avrebbe più scritto per la Scala.

Era destinato a cambiare idea – ma ci sarebbero voluti decenni.

 

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* Sic, sic, sic. È la toponomastica francese secondo Solera.

** E questi in origine erano, l’avete indovinato, diavoli e angeli. E il tempio era la chiesa. Poi capitò la censura… Noi forse fatichiamo un po’ a capire che materia scabrosa fossero, all’epoca, le vicende della Pulzella.

*** Era già re, dite? Be’, lo era nel prologo. Poi aveva abdicato – o quanto meno espresso l’intenzione di farlo. E comunque, che volete che sia? Le incoronazioni fanno tanta scena. E a ben pensarci, non è l’ultima volta che vediamo incoronare un re già regnante. Ne riparleremo.

**** E non è che Giacomo sia diventato all”improvviso troppo prudente per accusare re di avergli sedotto la figlia. È che nel libretto originale – come in Schiller – Giacomo si agitava molto sulla questione della supposta verginità perduta di Giovanna. Poi la censura intervenne, e rimase soltanto il sacrilegio, con tanti cari saluti alla logica generale della storia.

 

 

Giu 3, 2013 - Anno Verdiano    Commenti disabilitati su Librettitudini Verdiane: I Lombardi

Librettitudini Verdiane: I Lombardi

…alla Prima Crociata.

Se già quello del Nabu(c)co(donosor) era considerato un titolo tipograficamente lungo, figuratevi questo…

giuseppe verdi, temistocle solera, i lombardi alla prima crociata, tommaso grossiE il libretto era di nuovo di Temistocle Solera.

Ci si trovava bene, Verdi con Solera – figlio di un magistrato imprigionato allo Spielberg, educato a Vienna, fuggito da scuola per unirsi a una troupe di funamboli tzigani*, poeta, musicista, impresario teatrale, antiquario, neoguelfo, agente segreto, riorganizzatore di polizia in Egitto** e, soprattutto, librettista.

E Solera aveva occhio. Dopo il Nabucco aveva saccheggiato un poema epico di Tommaso Grossi – I Lombardi alla Prima Crociata. Grossi, vedete, era un poeta e romanziere occasionale, che intendeva scrivere una nuova Gerusalemme Liberata – solo più aggiornata e scorrevole. Francamente non saprei dire se i Lombardi fossero più scorrevoli e aggiornati della Gerusalemme, ma di sicuro furono un bestseller. Oggi ci si caverebbe un film, nel 1843 ne fecero un dramma e poi un’opera. 

Un’opera piena di ammenicoli religiosi: non solo la crociata del titolo, ma anche un subisso di preghiere e processioni, nonché un battesimo. Tanto che furono le autorità religiose a richiedere l’intervento della censura… Avremo modo di riparlare di Verdi&censura – ma con i Lombardi andò bene. Quando già Solera e Verdi cominciavano a sudare freddo, il capo della polizia in persona richiese perentoriamente una sola modifica al primo atto: l’Ave Maria in teatro non si poteva cantare. Prima che Verdi, feroce anticlericale, potesse inalberarsi, Solera parafrasò la preghiera in un capolavoro di diplomatica bizantineria che dimostra come, a volte, non ci volesse poi moltissimo a danzare attorno alla censura… 

Ma, Ave Maria a parte, che genere di storia avevano messo insieme Grossi e Solera? Vediamo un po’.

giuseppe verdi, temistocle solera, i lombardi alla prima crociata, tommaso grossiL’Atto Primo si apre con il consueto coro che, questa volta, funge anche da espositore. Siamo nel Duomo di Milano nel 1097, e apprendiamo che il nobile Arvino (incidentalmente il capo designato dei crociati lombardi) è occupato a perdonare in tutta solennità il fratello Pagano, esiliato a lungo per avere cercato di uccidere il fratello per i begli occhi di Viclinda. Adesso che Viclinda è moglie di Arvino e che gli anni sono passati, Pagano si dichiara pentito e rientra a Milano.

Non è che il coro si fidi molto – e a dire il vero non ha tutti i torti. Pagano non perde tempo a confidarsi con il suo bieco scudiero Pirro: altro che perdono! Lui (Pagano) era un bravo ragazzo, ma respingendolo Viclinda ha fatto di lui una bestiaccia*** e adesso che tutti ne paghino le conseguenze. Pirro la prende allegramente, e promette sangue insieme a un’allegra combriccola di sicari che imperterriti, tacenti, d’un sol colpo in paradiso l’alme altrui godon mandar… 

Ma qualcosa va storto. Mentre Viclinda e la figlia Giselda, che si sentono ancor l’anima tutta tremante, fan voto di andare pellegrine a Gerusalemme se nulla di brutto accade ad Arvino, Pagano e Pirro irrompono, incendiano e assassinano – e tentano di rapire la scalpitante e presumibilmente vedovata Viclinda. Ma Arvino appare a difendere la sposa… 

E allora chi è che è morto sotto il pugnale di Pagano?

Ma Folco, il vecchio padre di Pagano e Arvino!

Ops…

Arvino, Viclinda e i coro maledicono il parricida – che si maledice anché da sé, e non avrebbe obiezioni a lasciarsi uccidere dal fratello. Ma Giselda intercede, e il coro conviene che una vita di rimorso è una punizione peggiore della morte…

Sipario. giuseppe verdi, temistocle solera, i lombardi alla prima crociata, tommaso grossi

L’Atto Secondo si sposta nel palazzo di Antiochia, dove il tiranno Acciano e i suoi lamentano l’arrivo dei ferocissimi crociati guidati da Arvino. Intanto il principe Oronte spasima per una bella prigioniera cristiana che, la sua criptocristiana madre Sofia lo (e ci) informa, è disposta a ricambiare il suo puro affetto solo se lui si converte. E adesso? Dosi massicce di conflitto interiore? Macché: lo sappiamo tutti come sono i tenori… Apparentemente, la bella prigioniera val bene una messa…

Ma spostiamoci per un attimo nella caverna un santo eremita vive in solitudine e in attesa dei crociati, cui vuole unirsi per cercare riscatto ai suoi peccati. Noi, che ne sappiamo più della maggior parte dei personaggi perché abbiamo letto il libretto, sappiamo benissimo che il santo veglio è Pagano – ma Pirro non lo sa. Ricordate Pirro, che era così disinvolto in fatto di omicidi? Ebbene, si direbbe che abbia avuto anche lui una crisi di coscienza, e così si è fatto musulmano, diventando il custode della porta di Antiochia. Però adesso preferirebbe riscattarsi anche lui. Ottimo, dice l’eremita, che ha riconosciuto il suo ex scudiero – e non ne è stato riconosciuto a sua volta: perché non apri le porte della città ai crociati?

Neanche Pirro – che pure è un basso – ha molto spazio per i dubbi nella sua composizione: senza nemmeno domandarsi se sia bello tradire la gente che lo ha accolto a beneficio della gente che ha a suo tempo tradito, abbraccia il piano. E bisogna dire che Pagano sia molto cambiato, perché nemmeno Arvino, arrivando molto opportunamente a ricevere notizia della breccia nella sicurezza di Antiochia, lo riconosce affatto. Ah, i prodigi di una barba di stoppa e un po’ di cerone…

giuseppe verdi, temistocle solera, i lombardi alla prima crociata, tommaso grossiSe sapessero che i crociati sono in arrivo, forse le ancelle dell’harem di Acciano perderebbero meno tempo e meno fiato a dileggiare la bella straniera che ha fatto innamorare il principe Oronte eppure sospira notte e dì. E chi può mai essere la bella straniera, se non Giselda – che evidentemente in pellegrinaggio c’era andata davvero, ha perso la madre, è stata fatta prigioniera e si è innamorata (orror!) di un nemico e di un infedele?

E Giselda dovrebbe essere contenta dell’arrivo dei crociati, giusto? Dopo tutto sono i suoi, dopo tutto vengono a liberarla… ma no. Quando Sofia le annuncia che Oronte è morto in battaglia, la nostra fanciulla prorompe in maledizioni. Ora: è uno dei misteri buffi dell’opera quello per cui la gente non sente quel che viene cantato a mezzo metro di distanza, ma arriva dall’altro capo di Antiochia/un continente/l’orbe terracqueo giusto in tempo per udire quel che non dovrebbe. E così Arvino entra, ode, inorridisce, maledice la figliuola ritrovata – e l’ucciderebbe sui due piedi, se non intervenisse l’eremita, sant’uomo, pieno di simpatia per gli eccessi che amore&dolore dettano a Giselda.

Essì, i soprani ne passano di tempo a farsi rinnegare e disconoscere per amore… ma sipario. giuseppe verdi, temistocle solera, i lombardi alla prima crociata, tommaso grossi

Comincia l’Atto Terzo, e ci siamo spostati nella Valle di Giosafat, in vista (lontana) di Gerusalemme. Qui i crociati seguitano ad avanzare, ma Giselda non è felice, e così è uscita per una passeggiatina ristoratrice nel deserto – dove trova… indovinate un po’? Oronte! Travestito da cavaliere lombardo! Oh giusto ciel!

Ma non era morto? E no, era solo ferito e adesso, braccato e malconcio, vuol solo rivedere Giselda e poi morire. Sennonché, non bisogna mai sottovalutare il cuore di un soprano: Giselda è pronta a fuggire con lui – ovunque e comunque. Due cuori e una caverna. E un corsiero arabo per la fuga.

Arvino arriva troppo tardi per fermarli e ri-maledice la figlia. Un’altra volta. E già che c’è, ri-maledice anche il fratello che, qualcuno lo informa, è stato visto aggirarsi per il campo cristiano…

Possibile, ci chiediamo noi, che nessuno abbia capito che Pagano è l’eremita e l’eremita è pagano? Possibilissimo: siamo all’opera, ricordate?

Cosicché non ci stupiamo poi troppo nemmeno quando Giselda barcolla in una grotta in riva al Giordano sorreggendo Oronte ferito**** e ci trova di nuovo l’eremita, pronto a convertire in articulo mortis il giovanotto – che poi muore, cristiano e felice, tra le braccia della sua fanciulla.

Disperazione, lacrime a fiotti, conforti religiosi, sipario.

giuseppe verdi, temistocle solera, i lombardi alla prima crociata, tommaso grossiEd ecco l’Atto Quarto. Giselda, non incomprensibilmente, non ha preso benissimo la dipartita di Oronte, e ha somatizzato in un febbrone da cavallo. Tanto che Arvino, convocato dall’eremita, si commuove e pente di avela maledetta. Tanto più che poi Giselda vede in sogno Oronte, che le svela dove trovare l’acqua per dissetare i Lombardi che, attorno a Gerusalemme, stanno morendo di sete.

E mentre muoiono di sete, cantano O Signore dal Tetto Natio, il coro più celebre dell’opera – con cui, secondo me, Verdi&Solera speravano di ripetere lo hit del Va Pensiero… Ma mentre lamentano la lontananza da casa e l’abbattimento dello spirito, ecco Arvino, Giselda e l’eremita, ad annunciare l’impresa rabdomantica: acqua! Acqua! Acqua!

E non è che i Lombardi bevano, ma l’idea dell’umidità basta a rianimarli e spingerli in battaglia – e fuori scena.

E si direbbe che vincano, perché nell’ultima scena, dopo lungo rumore di battaglia, rientrano trionfanti. Oddìo, forse un po’ meno trionfanti di quanto potrebbero essere, perché l’eremita è ferito, e tutti se ne dolgono assai. Persino quando il moribondo si svela, tutti restano commossi oltre ogni dire. Persino Arvino, di fronte a tanto pentimento e a tanto riscatto, si scioglie. Cosicché Pagano redento può morire beato tra le braccia del fratello e della nipote, mentre i Lombardi eponimi celebrano la vittoria e la presa di Gerusalemme.

E, per l’ultima volta, sipario.

 

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* No, davvero…

** No, davvero.

*** Suona familiare? Abigaille, anyone? E non è l’ultima volta che sentiamo questo genere di giustificazione.

**** È ancora la ferita della battaglia che si è aggravata? O una nuova raccattata durante la fuga? Buona domanda.

Mag 27, 2013 - Anno Verdiano, musica    Commenti disabilitati su Librettitudini Verdiane: Nabucco

Librettitudini Verdiane: Nabucco

Ricordate? Dopo il disastro di Un Giorno di Regno, il Giovane Verdi aveva fatto tempestoso voto di non comporre mai più. L’opera, aveva detto a Gaetano Merelli, non era la sua strada…

Merelli, il direttore della Scala, per un po’ lo lasciò dire. Forse aspettava di avere in mano il libretto giusto. E il libretto giusto arrivò nella forma di Nabucodonosor, che Temistocle Solera (quello dell’Oberto) aveva scritto a partire da un intricatissimo dramma francese e dall’argomento del balletto che ne era stato tratto.

giuseppe verdi, temistocle solera, nabuccoSì, il balletto: personaggi ridotti in numero e semplificati in carattere, trama sfrondata e resa più lineare… quel che ci voleva per l’opera. E Solera (una volta o l’altra parleremo anche di lui) era un buon verseggiatore, capace di graziosi nonnulla da salotto come di una certa grandiosità facile e martellante. Il libretto, insomma, funzionava – ma Verdi non voleva nemmeno dargli un’occhiata per accertarsene, perché con l’opera aveva chiuso. Merelli, che non era tipo da prendere no come risposta, glielo cacciò in mano lo stesso, e il compositore se ne andò stizzito e depresso. Una volta a casa, se stiamo a sentir lui, in depressione e stizza scaraventa il manoscritto sul tavolo, e quello si apre a una pagina che comincia con un certo verso:

Va, pensiero, sull’ali dorate…

Verdi legge tutta la parafrasi biblica verseggiata per coro, e ne riporta, parole sue, una grande impressione. Doppdiché si mette a letto con l’intento di dimenticare tutto – ma non c’è verso. Le parole di Solera lo tormentano e lo tengono sveglio. Si alza una volta, due, tre, e ogni volta legge e rilegge il libretto. L’indomani, prima che i suoi ferrei propositi comincino a scricchiolare troppo, si affretta a restituire il manoscritto.

“Bello, eh?” dice Merelli, con un sorriso sornione.
“Bellissimo.”
“Eh! Dunque mettilo in musica.”
“Neanche per sogno,” protesta Verdi. “Non ne voglio sapere.”
“Mettilo in musica, mettilo in musica!” e Merelli spinge Verdi fuori dalla porta con il manoscritto in tasca.

E che potevo fare? domanda Verdi, nel raccontare tanti anni dopo l’episodio a Giulio Ricordi. Oddìo, tante cose, a ben vedere. Per esempio, lasciare il Nabucodonosor sul primo tavolino e non pensarci più. Invece se lo porta a casa e… un giorno un verso, un giorno l’altro, una nota una volta, un’altra volta una frase, a poco a poco l’opera fu composta.

E non so se la gente di teatro vada mai presa del tutto sul serio quando racconta di genesi, miracoli e folgorazioni, ma fatto sta che il 9 marzo del 1842, a fine stagione, Nabucodonosor debuttò alla Scala e, nonostante i costumi riciclati dal famoso balletto, nonostante una Strepponi in crisi di salute e d’ugola, fu un successo travolgente.giuseppe verdi, temistocle solera, nabucco

Di che si trattava? Be’, di una disinvolta rivisitazione di vicende bibliche. 

Siamo nel VI Secolo avanti Cristo, e gli Assiri hanno appena amministrato una sonora sconfitta alle truppe israelite. Il coro che apre le danze, per una volta, non è intento a gioire di un matrimonio imminente… anzi. Leviti & Vergini se ne stanno rifugiati nel tempio in tremante attesa, perché

Di barbare schiere l’atroce ululato
Nel santo delùbro del Nume tuonò!

Entra Zaccaria, Gran Pontefice degli Ebrei e basso profondo, ed esorta il suo popolo ad avere fede. Dopo tutto, Dio li ha sempre guidati e protetti, giusto? Non guasta poi il fatto che Zaccaria abbia convenientemente sottomano Fenena, soprano e principessa assira: l’ostaggio perfetto. Che se ne occupi Ismaele, comandante e nipote del re Sedecia, mentre Zaccaria & C. se ne vanno per un ultima resistenza contro gli Assiri.

E adesso, dite la verità: vi sembra saggio affidare il soprano alla custodia del tenore?* Nel giro di pochi versi biecamente espositivi, scopriamo che Ismaele e Fenena s’amano di tenero affetto dacché lei a Babilonia lo liberò dopo una missione diplomatica andata male – nonostante la feroce gelosia della sorella di lei, Abigaille, una specie di ur-stalker in abiti regali.

E naturalmente, parli del diavolo e… chi deve arrivare a bloccare gli innamorati fuggitivi? Ma Abigaille, si capisce, come principessa guerriera alla testa di un commando di Assiri celati in ebraiche vesti. Segue una scena un po’ confusa, in cui Abigaille si dichiara disposta a salvare gli Israeliti se Ismaele le cede, Ismaele rifiuta e Fenena, per nessuna ragione in particolare, sente pruderle in cuore l’impulso di convertirsi alla fede nel Dio verace d’Israello.

Rientrano Zaccaria e gli Israeliti, che tentavano, ricordate? di fermare Nabucodonosor e non ci sono riusciti. Ma se cercavano rifiuto nel tempio, una brutta sorpresa li accoglie, nella forma di Abigaille e nei suoi.

Chi passo agli empi apriva?

s’infuria Zaccaria. E Ismaele, invece di starsene zitto, si lagna del fatto che sono entrati sotto mentite spoglie. Oh, i tenori!

giuseppe verdi, temistocle solera, nabuccoMa irrompe Nabucodonosor alla testa dei suoi Assiro-Babilonesi, e Zaccaria afferra Fenena e le punta un coltello alla gola in una di quelle situazioni-ostaggio…** Tutti supplicano Nabucodonosor di avere pietà  – tranne la ferocissima Abigaille che, se la sorellina morisse a questo punto, saprebbe farsene una ragione. Chi rompe l’impasse è il consueto Ismaele, che libera Fenena – senza pensare che questo consente a Nabucodonosor di decretare strage, saccheggio e distruzione senza più remore.

Non incomprensibilmente, Zaccaria e compagnia cantante maledicono il giovinotto, e finisce l’atto primo.

Il secondo atto, che s’intitola L’Empio (mentre il primo era Gerusalemme), si svolge a Babilonia e comincia con Abigaille che legge una pergamena sottratta al padre. Ora tutti sappiamo che le pergamene nascoste andrebbero lasciate dove sono… sennò si rischia di scoprire di non essere principesse affatto, ma schiave adottate*** e, come tali destinate ad essere escluse dalla successione. Con l’equivalente musicale della schiuma alla bocca, Abigaille promette vendetta indistinta a sorella, padre, regno di Babilonia, Israele… E dire che ero una cara ragazza, si duole, prima di essere rifiutata da Ismaele e scoprirmi illegittima!

Ed ecco che, con tempismo perfetto, giunge il Gran Sacerdote di Belo (che sarebbe poi Baal), indignato perché Fenena, reggente in assenza del padre, sta liberando gli Ebrei. Perché non spargiamo la voce che il re è morto in battaglia e proclamiamo te regina? Abigaille non se lo fa ripetere due volte. giuseppe verdi, temistocle solera, nabucco

Salgo già del trono aurato
Lo sgabello insanguinato,

proclama, e si avvia per mettere in atto il suo simpatico piccolo coup.

Segue ancora una certa quantità di confusione: Zaccaria, deportato insieme al resto degli Israeliti, si prepara a solennizzare la conversione di Fenena, e quando i leviti tentano di cacciare Ismaele, ammette che dopo tutto il ragazzo ha qualche merito nella conversione – al confronto della quale, ci si lascia capire, un duplice tradimento perde molta della sua gravità.

Ma la commovente riunione è interrotta da Abigaille con i suoi golpisti. Le due sorelle si accapigliano un po’ per la corona ma – colpo di scena nel colpo di stato! – piomba su di loro Nabucodonosor, che non solo non è affatto morto (cosa che noi sapevamo), ma si proclama dio.

Zaccaria, ce lo potevamo immaginare, non è contento e contesta l’autopromozione. Il neodivino re di Babilonia decreta la morte per tutti gli Ebrei – cui si unisce la convertita Fenena.

Nabucodonosor pesta i piedi, strattona la figlia, si dichiara un’altra volta dio e… un fulmine lo colpisce, strappandogli dal capo la corona che si era appena rimesso. E fisicamente sta abbastanza bene, considerando – ma diventa subito chiaro che gli si è fritto il ben dell’intelletto.

Zaccaria gongola cupamente, ma farebbe meglio a preoccuparsi di Abigaille, che si affretta a proclamarsi regina. E dopo questa grandinata di colpi di scena, sipario!

Whew.

giuseppe verdi, temistocle solera, nabucco

Parte terza – La Profezia. Abigaille siede in trono nei celebri orti pensili, sviolinata dal coro e fingendosi riluttante a firmare la condanna a morte della sorellastra. Entra Nabucodonosor, vaneggiante ma non troppo. Tra uno sprazzo di lucidità e l’altro, Abigaille riesce a fargli condannare tutti gli Ebrei. Tutti, capite? Troppo tardi l’ex re si rende conto che quel “tutti” comprende anche Fenena. Cerca di revocare l’ordine, di intimidire Abigaille rinfacciandole le sue origini – ma noi sappiamo chi ha la pergamena. Abigaille la fa a pezzettini davanti agli occhi inorriditi di quello che non è affatto suo padre. E se Nabucodonosor crede d’intenerirla supplicandola di risparmiare il suo cuore di padre, mi sa tanto che abbia sbagliato i suoi calcoli in una maniera epica.

Ed è a questo punto che, sulle rive dell’Eufrate, il coro degl Ebrei esorta il pensiero ad andare sulle ali dorate, a posarsi sui clivi e sui colli dove olezzano tepide e molli l’aure dolci del suolo natal, eccetera eccetera.

E sapete? Checché se ne pensi da centosettantuno anni a questa parte, a Zaccaria il Va Pensiero non piace nemmeno un po’. Che si riscuotano, anziché fissare le arpe appese ai salici!

O qual foco nel veglio balena!

E la parte terza si chiude con gli Ebrei decisi a rompere l’indegna catena. Sipario.

giuseppe verdi, temistocle solera, nabuccoLa parte quarta, L’Idolo Infranto, comincia con Nabucodonosor svegliato dalle grida che preludono all’esecuzione di Fenena. Deciso a salvarla, prega il dio degli Ebrei e così riacquista la ragione – oppure riacquista la ragione e si rivolge al dio degli Ebrei. Non è chiaro. Ad ogni modo,

Rischiarata è l’egra mente,

e i soldati rimasti fedeli sono fin troppo felici di aiutarlo a riprendersi il soglio. Fade to gli orti pensili. E adesso io non so quale fosse il concetto ebraico di rompere l’indegna catena, ma quel che succede è che Fenena va al macello e Zaccaria la sollecita ad affrettarsi al martirio e al cielo…

Ma irrompe Nabucodonosor risanato, che ferma l’esecuzione, fa abbattere la statua di Belo, libera gli Ebrei, promette un nuovo tempio, annuncia la sua conversione, informa tutti quanti che Abigaille ha perso la testa e si è avvelenata**** e tutto va bene.

Mentre tutti esultano, entra Abigaille, avvelenata, pentita, implorante perdono, ansiosa di ricongiungere Fenena e Ismaele (il quale, ci avete badato? non canta una nota tutta sua dalla metà della parte seconda)…

Or chi mi toglie… al ferreo
Pondo del… mio… delitto?

Singulta la poveretta – e tutti quei puntini Solera li mette per indicare che Abigaille non sta affatto bene. Ed essendo questa l’opera che è, anche lei trova conforto ultimo nel convertirsi un istante prima di cadere con due punti esclamativi e altri tre puntini di sospensione.

Spirò…

costatano tutti, con l’aria generale di chi se ne fa una ragione.  giuseppe verdi, temistocle solera, nabucco

Zaccaria rende la corona a Nabucodonosor, perché adesso sì che è un re degno del nome.

Sipario.

E che volete mai? Il finale del dramma è, se possibile anche peggiore, con Abigaille che fa uccidere Fenena, Nabucodonosor che accoltella Abigaille e poi piange, si pente e si converte – e allora un raggio celeste resuscita Fenena per il gaudio generale…

Ma fa nulla. La cosa rilevante è che alla stagione successiva il Nabucodonosor – ribattezzato Nabucco perché il pubblico aveva adottato con entusiasmo la versione apocopata richiesta dalle dimensioni delle locandine – raggiunse il record di cinquantasette repliche consecutive.

E Verdi, dopo tutto, non era più così sicuro che l’opera non fosse la sua strada.

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* Scopriremo, con l’andar delle settimane, che il tenore medio, quali che siano il suo grado, la sua clearance, i suoi legami famigliari, la responsabilità di cui è investito, non spende mai un singolo pensiero prima di tradire patria, amici, famiglia, esercito, missione di una vita e chi più ne ha più ne metta – basta che il soprano gli si pari davanti.

** Nel dramma francese era un Assiro che cercava di uccidere Ismaele, e Fenena lo salvava. Solera rimescola le carte.

*** Evidentemente una figlia adulterina (come nel dramma) doveva sembrare indigesta per un pubblico d’opera…

**** Nella mia edizione Ricordi del libretto, la sinossi c’informa invece che Abigaille il veleno l’ha bevuto per sbaglio. Affascinante.

Mag 13, 2013 - Anno Verdiano    Commenti disabilitati su Librettitudini Verdiane: Oberto

Librettitudini Verdiane: Oberto

Non vi chiedevate come mai su SEdS non si fosse ancora vista nemmeno l’ombra dell’Anno Verdiano? Ebbene, ecco l’ombra. Da oggi cominciamo a parlare di opere, ma ma più per iscritto che in musica – dal lato dei libretti, il lato trascurato. E detto così magari non sembra, ma preparatevi a dosi massicce di nonsense, perché la musica… ah, la musica è (nella maggior parte dei casi) magnifica – ma avete mai provato a badare a quel che dicono?

È mia teoria – teoria eterodossa, mi rendo conto, ma d’altra parte non sono una melomane vera e propria – che l’opera richieda una buona dose di sense of humour

giuseppe verdi, temistocle solera, oberto conte di san bonifacioAllora, da qualche parte bisogna pur cominciare – e Verdi cominciò, giovanissimo, con Oberto, conte di San Bonifacio. O forse non è nemmeno del tutto vero, perché nel 1836 nella sua corrispondenza il compositore ventitreenne diceva di avere in gestazione un Rocester, vale a dire il Rochester su libretto di Antonio Piazza, destinato al Ducale di Parma. A Parma non andò mai in scena nulla del genere, ma in compenso, nel novembre del ’39, Verdi debuttò alla Scala di Milano con l’Oberto.

E l’Oberto, scrisse l’autore molti anni più tardi,

fu aggiustato e ampliato da Solera sopra un libretto intitolato Lord Hamilton di Antonio Piazza…

E dunque? Un’opera? Due? Tre? Ebbene, mistero. Dei due libretti di Piazza – sempre che fossero davvero due – non resta traccia, e l’Oberto di Solera, traslocato da qualche epoca inglese al Veneto medievale, è una di quelle spostabilissime storiellone di amore, onore, vendetta & virtù oltraggiata: cambiate nomi e costumi, e andrà bene per tutti i secoli e tutti i climi.

Noi però, condotti dal Temistocle Solera, la vediamo in quel di Bassano nel 1228.

Andiamo a incominciar. giuseppe verdi, temistocle solera, oberto conte di san bonifacio

Sappiatevi che il sipario si apre su una scena di deliziosa campagna. Non sghignazzate: l’ha scritto Solera. Alla sinistra, in poca lontananza, scorgesi Bassano.

La deliziosa campagna, benché sia appena l’alba*, pullula di cavalieri, dame e vassalli che tripudiano all’indirizzo di Riccardo, conte di salinguerra e tenore, giunto per sposare la principessa Cuniza da Romano. Riccardo risponde con altrettanto entusiasmo, e noi non ci stupiamo che, oltre a cantare la celestiale collezione di virtù della sua promessa sposa, il giovinotto pregusti il momento in cui prostrate a terra vedrà le balde cervici degl’invidi nemici… È chiaro che Riccardo ha qualche piccola intenzione preterimeneale – ma il coro non ha l’aria di volergliene e tutti escono in inabbattuto giubilo.

E subito entra il nostro soprano. Ora, noi sappiamo dalla distribuzione che questa fanciulla misteriosa è Leonora di San Bonifacio, figlia dell’Oberto eponimo. E Leonora, nel corso di una scena&cavatina, procede a informarci che, avendola Riccardo di Salinguerra sedotta sotto mentite spoglie e poi abbandonata, ella è qui oggi nell’amabile intento di impedire le nozze con Cuniza e, possibilmente, vendicare il suo onore oltraggiato. Ah sì, ci sarebbe il piccolo particolare che è ancora innamorata dell’ingrato seduttor spergiuro, ma son dettagli…

Quando anche Leonora si allontana per mettere in atto il suo piano, entra Oberto che, con voce di basso, canterebbe la sua gioia nel rivedere le terre natali – non fosse che si trova in territorio nemico e in pericolo mortale, in cui s’è cacciato per riprendersi la sciagurata figlia disonorata…

Sapete come si dice – parli del diavolo… Manco a farlo apposta, eccola qui, Leonora, di ritorno dopo avere scoperto che da queste parti ci si sposa di sera. La nostra eroina passeggia per il palco cantandosi i suoi truci propositi, quando scorge qualcuno, spalanca gli occhi, si porta la mano alla gola…

“O ciel! chi vedo!”
“Qual voce! È dessa!”
“Tu…! Padre!”
“Son io!”

Perché è così che ci s’incontra all’opera. Ma non aspettatevi una lieta riunione: Oberto è pieno d’amarezza e di rimproveri, almeno finché la povera Leonora non dichiara l’intenzione di vendicarsi o morire – o magari entrambe le cose. Questo vale alla ragazza un perdono condizionato e poi padre e figlia, indipendentemente dall’ora delle nozze, s’involano verso Bassano.

La scena cambia per spostarsi nel castello di Ezzelino, dove il coro è intento a rapsodizzare sulla bellezza, la nobiltà d’animo, il candore di Cuniza, e le sante gioie che l’attendono nel matrimonio. Cuniza, a quanto pare, è meno ottimista in proposito. Noi sappiamo che fa bene. Lo sapremmo anche se non avessimo appena sentito le doléances di Leonora, perché Cuniza è un mezzosoprano, e il mezzosoprano medio la fortuna in amore non sa nemmeno che cosa sia. Ad ogni modo, la povera Cuniza se lo sente nelle ossa, e si confida con un men che allegro Riccardo. I due cercano di risollevarsi l’animo a vicenda, ma siamo seri: che ci verremmo a fare all’opera se ci si sposasse tutti alla fine del primo atto?

E badate che, fino a questo momento, noi non avremmo nessun motivo per fidarci davvero di quel che dice Leonora. Nemmeno il fatto che suo padre sia il protagonista eponimo è una garanzia di granché. No: quello che ci fa schierare con lei è il timbro della sua voce: soprano = innocenza oltraggiata. E difatti anche Cuniza, nel momento in cui vede la misteriosa fanciulla e ode da lei i poco edificanti precedenti di Riccardo, ci crede senza esitare nemmeno il tempo di una biscroma. La misteriosa fanciulla è la figlia del Nemico? Fa nulla. La figlia del Nemico si è tirata dietro al castello il Nemico stesso? Fa meno ancora. Cuniza non finge nemmeno di pensare che Riccardo possa essere innocente – e anzi, si schiera prima di subito con Leonora e Oberto, cui promette ogni sostegno e appoggio.

giuseppe verdi, temistocle solera, oberto conte di san bonifacioD’altra parte qualora fossimo disposti a concedere il beneficio del dubbio al giovane Salinguerra, ci andrebbe storta: accusato davanti a tutta la corte, Riccardo (primogenito di tutta una schiera di tenori verdiani men che eroici) non trova miglior difesa che respingere al mittente l’accusa d’infedeltà. How ungentlemanlike! Nessuno gli crede, ma il maldestro tentativo basta a stanare Oberto, che esce dal suo nascondiglio con la spada in pugno per difendere l’onore della figliola. Sgomento generale, sfida a duello, amarezza, furia, dolore delle due donne e caos diffuso- in uno dei finali primi più confusi della storia dell’opera.

Sipario.

È all’inizio dell’atto secondo che scopriamo come, in qualche modo, sia Oberto che Riccardo abbiano tagliato momentaneamente la corda. Cuniza ha preso Leonora sotto la sua protezione e, con quella longanimità che rasenta l’idiozia e che si trova tanto spesso all’opera, intende costringere Riccardo a sposarla. Al coro, alla confidente Imelda e a Leonora stessa, per qualche motivo, questa sembra una buona idea…

Intanto, nella foresta del primo atto, dopo uno sconsolato intervento della sezione maschile del coro, giunge la notizia che Ezzelino, dietro intercessione della sorella, ha perdonato Oberto che però, più interessato alla vendetta che alla pace, non accoglie la notizia con quel gioioso sollievo che si potrebbe immaginare. Giunge Riccardo, e per un po’ i due conti non fanno nulla di peggio che dirsene di tutti i colori. Il fatto è che, pur essendo l’apripista di tutti gli antitenori verdiani, il nostro giovanotto pare avere sviluppato un briciolo di coscienza durante l’intervallo, e gli par brutto duellare a morte con un uomo tanto più vecchio di lui – e offeso a ragione. Ma Oberto lo insulta sempre più sanguinosamente, finché, tenore o no, Riccardo s’infuria e sguaina la spada…

Si sbranerebbero a vicenda, se non irrompesse Cuniza con Leonora, dame, vassalli, cavalieri e compagnia cantante, per proibire il duello, perdonare tutti e spingere Riccardo tra le braccia dell’estatica Leonora. Dunque, ricapitoliamo: Oberto è perdonato, Riccardo è pentito e il matrimonio riparatore è combinato. Non c’è più motivo di battersi, giusto?

Sbagliato.

Siamo all’opera, cari miei, e nessuno toglie a un basso la sua vendetta. Seccatissimo per l’ondata di novità pacificatrici, Oberto sibila a Riccardo di fingere di accettare – così Cuniza e seguito si levano dai piedi e ci si può battere in privato. E che può fare un povero tenore? Una finta pace è suggellata, e le donne se ne vanno con l’impressione che tutto sia bene quel che finisce bene. I cavalieri, meno ingenui, lamentano la scarsa convinzione dei conti rappacificati – e lo! 

La musica esprime improvvisamente l’azione di un duello.**

Oh! Qual rumor! Feroce
Cozzo è di nudi acciar.
Oh! Qual sospetto atroce!
Si corra ad osservar.

Il coro corre ad osservar, ma immagino che arrivi troppo tardi: Riccardo rientra con la spada insanguinata in pugno, lamenta quel che ha combinato aristotelicamente fuori scena, si dichiara oppresso dal rimorso e taglia la corda – un istante prima che rientri Cuniza con le sue donne.

giuseppe verdi, temistocle solera, oberto conte di san bonifacio


Orrore orror! Oberto è morto, Riccardo manca all’appello*** e Leonora è arrivata giusto in tempo per vedere l’uomo che ama uccidere suo padre. Quando si dice trauma… Serve a poco che la principessa, la confidente e l’intero organico del coro la consolino, e ancor meno confortante suona il messaggio in cui il fuggitivo si dichiara pentitissimo, avviato all’esilio, ansioso di perdono e riparazione. Altro che perdono! Squassata dal dolore e dai sensi di colpa, Leonora dichiara cupe intenzioni claustrali in termini che lasciano qualche dubbio sulla sua salute mentale.

Infelice! Un rio tormento
Già l’assale e stringe il core,

lamenta difatti il coro.

Ella geme… il suo lamento
Possa il cielo impietosir.

Accordi finali – sipario.

Ecco, vi siete fatti un’idea. Sovrabbondanza sentimentale e linguistica, una sovrana indifferenza per la logica e il buon senso, l’occasionale perla lessicale e la più pittoresca inverosimiglianza. È così che si scriveva per l’opera nel secolo decimonono…

 

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* Del che Solera c’informa magnificando la luce “della stella che il sembiante d’Amatunzia in ciel vestì.” La mia prossima gatta…

** Solera scripsit. Oh essere una mosca sul muro e vedere la prima reazione di Verdi alla lettura di questa didascalia!

*** Cercate Salinguerra? Era qui un attimo fa – or or s’allontanò a sinistra.