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Feb 16, 2015 - elizabethana, scribblemania, Storia&storie    Commenti disabilitati su Ri-Serendipità

Ri-Serendipità

Little Moreton windowSerendipità storica, ricordate? Ne avevamo parlato qui, e qui, e altrove – perché non c’è niente da fare: ogni tanto capita.

E cominciamo con la definizione che io credevo di ricordare farina del sacco di Diana Gabaldon*, ma sono andata a ripescare la pagina in questione** e ho scoperto che DG l’attribuisce a un romanziere/a storico/a di sua conoscenza:

[La condizione per cui] quando si arriva al punto in cui diventa necessario… (gasp!) inventare qualcosa, le scelte narrative non solo sono storicamente plausibili, ma molto spesso si rivelano a posteriori per nient’altro che l’onesta verità.

Ecco, non so se a me capiti davvero molto spesso, ma indubbiamente capita. E vi ho anche già raccontato ripetutamente di che genere di enorme soddisfazione sia, per cui non lo farò di nuovo – o forse solo un pochino, per mettervi a parte del vago senso di vertigine. Più che vago, a dire il vero, perché viene con l’impressione di avere aperto una finestra su un altro secolo, e di avere visto qualcosa – qualcosa.

Ma non importa – o meglio, importa solamente perché è successo di nuovo.

In piccolo, se volete: in una scena del primo capitolo avevo mandato il celebre buffone Dick Tarlton ad assistere alle prove della Actorscompagnia del mio protagonista – e sghignazzarne – in un’altra locanda. Considerando quanto fosse competitivo e piccolo al tempo stesso l’ambiente teatrale elisabettiano, non era un enorme sforzo di immaginazione – ma nondimento è stato soddisfacente ritrovare in un documento dell’epoca la descrizione di una scena molto simile, una visita teatral-concorrenziale di Tarlton ad altri teatranti, proprio nella locanda in cui l’ho piazzata…

Finestra aperta. Qualcosa – qualcosa.

In realtà, lo ripeto, non era un salto logico particolarmente improbabile, e altrettanto in realtà, le cose sono cambiate da quando ho scritto la scena, ed è possibile che debba spostare la “mia” compagnia – e di conseguenza la scena – altrove. Ma non cambia molto le cose: Dick Tarlton faceva queste cose, e non c’è proprio nessun bisogno di considerarla un’occasione isolata e irripetibile.

E dunque credo di poterlo considerare un ulteriore piccolo attacco di serendipità storica. Se vuol succedere ancora, non ho obiezioni di sorta.

_____________________________________

* Sì, Diana Gabaldon. Ho letto La Straniera secoli orsono, quando è uscito in Italia per la prima volta. Molti e molti anni prima che se ne traesse una miniserie.

** La deliziosa introduzione al brillante A Plague of Angels, un volume dei Carey Mysteries di P.F. Chisholm – su cui non mi dilungo entusiasticamente, perché l’ho già fatto un sacco di volte.

 

 

Feb 10, 2015 - scribblemania    Commenti disabilitati su Piccolo Bollettino In (ri)Partenza

Piccolo Bollettino In (ri)Partenza

TrainE si riparte!

Ho preso una decisione? Ni.

È sufficiente per andare avanti? Per ora.

Cambierò idea? Who knows…

Ma è più che ora di ripartire – e quindi… in carrozza, signori!

Feb 6, 2015 - scribblemania, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su La Clarina Di Buridano

La Clarina Di Buridano

55327_girl-writing_lg-1Se c’è qualcosa che tutti i manuali, tutti gli articoli, tutti gli insegnanti di scrittura raccomandano di non fare, è editare mentre si scrive la prima stesura.

Finite la prima stesura, dicono tutti. Non state a disperarvi sulle minuzie a questo stadio. Poi tanto tornerete a lavorarci, a sistemare, a rifinire, ad aggiustare tutto quello che non va… Adesso buttate giù la storia. Non interrompete il flusso, sfruttate la forza propulsiva – e se vi manca qualcosa, se avete incertezze, dubbi, imperfezioni, girateci attorno. Segnatele, e lasciatele dove sono: ci tornerete.

E la cosa ha un suo perché, sapete?

A parte tutto il resto, flusso o non flusso, sapere che la prima stesura non deve essere perfetta è molto liberatorio, e un ottimo modo abbattere la mortalità infantile dei romanzi. Perché diciamo la verità: quante volte si comincia una storia e poi si traffica sui primi capitoli fino a perdere interesse o a scoraggiarsi? E quante volte invece si lavora di cesello e poi, a tre quarti dalla fine, ci si rende conto che dell’infanzia del protagonista non c’interessa un bottone, e i primi sei capitoli si possono tranquillamente cassare? E c’è anche da dire che, quando la necessità di modifiche drastiche si presenta, si è molto più riluttanti a farle quando riguardano qualcosa che si è – o si crede di avere – già levigato con ogni cura. Una prima stesura rough and tumble, onestamente, la si tagliuzza, decapita e stravolge con ogni disinvoltura.

E quindi sì: l’idea di non editare mentre si scrive, di finire la prima stesura e poi si vedrà, ha senso in tutta una serie di modi.

E nondimeno…tumblr_m0hyaviUSk1r1fzbqo1_500

Nondimeno la sto ignorando bellamente. Magari non ci avete fatto caso – non credo che passiate il tempo a sorvegliare il mio contaparole – ma, di fatto, il contaparole è fermo da quasi una settimana. E sapete perché? Perché ho editato quello che credevo essere un capitolo, e invece sono i primi due e l’inizio del terzo. E l’ho editato in due maniere diverse, ciascuna con una sua serie di modalità narrative, tra cui non mi so decidere. E per di più, alla classica domanda “ci sono parti della storia, più avanti, che starebbero meglio narrate in uno dei due modi?” la scoraggiante risposta è, per una volta, “E come no? Per l’uno e per l’altro…”

Eh.

Credevo che vedendole in parallelo, entrambe scritte, scegliere sarebbe stato più facile – e invece no. Mi piacciono tutte e due, damnit, ma non è solo questo. È che ciascuna ha un suo notevole vantaggio narrativo che è incompatibile con l’altra. E ho cercato di combinarle insieme, sapete – il che farebbe quasi una terza versione, se non mi fossi fermata appena mi sono accorta che non funzionava.

E quindi adesso ho due capitoli e un pezzettino – in due versioni, e due LS che ci danno un’occhiata per dirmi che cosa ne pare loro. E ieri sera una dei due mi ha annunciato che ancora non sa per certo, ma ha l’impressione che le piacciano entrambe.

“Non sono sicura di saper scegliere,” mi ha detto.  “È difficile.”

Sapesse…

Be', senza il teschio, magari - ma ci siamo capiti.

Be’, senza il teschio, magari – ma ci siamo capiti.

Morale? E non lo so. Non riesco a continuare senza avere preso una decisione in proposito – né, mi pare, sarebbe terribilmente sensato farlo.  Sono poco oltre un decimo della prima stesura: vale davvero la pena di rischiare di scrivere tutto il resto in una modalità sbagliata?

E quindi prendo appunti, strologo scene e collegamenti, provo dialoghi ad alta voce, ricerco colori araldici, opere perdute, transazioni commerciali e altre minuzie – e aspetto. Aspetto che i LS si pronuncino in maniera utile. Aspetto che la notte porti consiglio. Aspetto che mi cada in testa un’illuminazione… Non lo so, che cosa aspetto. Forse aspetto solo di prendermi per esasperazione e sfinimento, ricominciare a scrivere, finire la prima stesura e al diavolo – sperando che in qualche modo il problema si risolva da solo.

Gen 31, 2015 - scribblemania    Commenti disabilitati su Piccolo Bollettino Dubbioso

Piccolo Bollettino Dubbioso

6a014e5fb9e8aa970c016764212744970bHo finito il primo capitolo.

O forse i primi due…

Non mi è del tutto chiaro, ancora – ma ho il fine settimana e un Lettore Sperimentalissimo per cercare di capirlo.

E ieri, mentre davo lezione di Inglese, per ben due volte ho risposto “Ay” invece di “Yes”.

Direi che per essere immersa, sono immersa.

Onwards!

 

Gen 28, 2015 - scribblemania    Commenti disabilitati su Quinto Giorno

Quinto Giorno

WritingBe’, tecnicamente il quinto giorno deve ancora venire – ma vediamo un po’.

Avete visto il contaparole qui a destra? Settemilacinquecento parole – give or take a few – in quattro giorni. Non precisamente un sacco, ma poteva andare peggio. Non è come se fosse una writing week, in cui si scrive e nient’altro. Magari, a qualche punto, me ne prenderò una – ma non è questo il punto.

La cosa promettente è che nel complesso il ritmo va aumentando. Dapprincipio mi ero posta un obiettivo da bradipo: mille parole al dì, e non meno di mille parole al dì – davvero di tutto riposo – ma subito è subentrata una soglia non ufficiale di millecinquecento parole. Ieri sono state duemila cinquecento parole. Ieri è stata una buona giornata, e non mi azzardo ancora a propormi duemilacinquecento parole al giorno – ma stiamo a vedere, eh?

Ieri è stata anche una giornata di sorprese. Non sorprese enormi – but still. Un personaggio che doveva comparire più avanti ha pensato bene di presentarsi più presto del previsto e, con il suo arrivo, quella che doveva essere un’animata discussione è diventata una rissa da taverna. Davvero, non era nei piani, e adesso richiederà qualche aggiustamento – ma funziona bene. E guardate, io a mente fredda non so impedirmi qualche ombra di scetticismo nei confronti dei personaggi che fanno quel che vogliono – ma ciò non m’impedisce di trovarci gusto quando succede. A parte tutto il resto, è sempre un buon segno: c’ è vita, lassù…

Non ho ancora una colonna sonora precisa – se non un po’ di musica elisabettiana alternata a un paio di brani della colonna sonora elisabettianeggiante di Shakespeare in Love. Va abbastanza bene, ma è suscettibile di progressi. In compenso ho una bacheca su Pinterest per facce, posti, abbigliamento* e ispirazioni visive assortite. È d’aiuto, ma va usata con cautela per evitare l’effetto Buco Nero.

È presto per dirlo – ma per ora la mia trama – delineata, per una volta, in matita e post-it multicolori – regge bene. La struttura… eh. Sia chiaro, nessuno scricchiolio, per ora, ma si è presentata un’idea, e non vuole saperne di lasciarmi in pace. Le ho dato un’iniziale maiuscola perché è di un’insistenza non comune, e perché potrebbe funzionare. Comporta, invece di una narrazione in terza persona, un alternarsi di punti di vista e prima e terza persona. Non mi dispiace del tutto, ma non vorrei che diventasse macchinosa – così ho deciso: quando avrò finito il I Capitolo in terza persona, lo riprenderò in mano e lo riarrangerò secondo Idea. Stiamo a vedere.

La fine del primo capitolo è vicina. Un giorno o due, non di più, quindi poi un po’ di tempo si perderà con la versione alternativa, e ci sono ancora un paio di punti della trama che ho lasciato volanti quando ho deciso di cominciare – ma non è del tutto impossibile che le soluzioni si presentino quando sarò un po’ più avanti. Sono cose che capitano.

Per ora mettiamola così: è il quinto giorno, e tutto va bene.

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* Stavo per scrivere “costumi”… Malattia professionale.

 

Istruzioni Dal Passato

time-capsule-ideas-for-allÈ incorniciato – in senso stretto, con una graziosa cornice Anni Dieci, un dorso di cartone spesso fermato con i chiodini e un vetro vero e proprio. È chiaro che l’arnese, prima conteneva qualcosa d’altro. Una fotografia, direi.

Era scivolato dietro una fila di libri di consultazione in uno scaffale di testa della mia libreria. Da quanto tempo sia lì, non lo so davvero. Meno di otto anni, direi, perché sono otto anni che ho preso possesso di questo angolo dello studio con il mio computer, le mie lavagne di sughero, le mie cronologie, i dizionari e gli atlanti storici, il mio leggio e i miei portamatite.*

È stampato a caratteri piccoli, in un font vagamente edoardiano, su una carta dall’aria vecchiotta – anche se le imperfezioni del vetro senz’altro la fanno sembrare ancora più vetusta.  L’ho stampato e incorniciato io. Otto anni fa? Prima? Non ne ho la più pallida idea.

È un elenco di nove… chiamiamoli buoni principi di scrittura.

Sono in Inglese. Non ricordo dove li ho trovati, né se vengano tutti dalla stessa fonte o se li abbia raccolti qua e là, un poco per volta. Di sicuro un certo numero di anni fa mi è parso bello stamparli, incorniciarli e metterli bene in vista – almeno nelle intenzioni, visto com’è andata in realtà. Eccoli qui:

1. Ogni cosa dovrebbe svolgere più di una funzione.

2. Il finale dovrebbe essere presente nell’inizio, e l’inizio nel finale.

3. Qualche volta meno vale di più. qualche volta invece ci vuole proprio di più. È capire che cosa serve quando, che è complicato. E allo stesso modo…

4. Talvolta è necessario assassinare i propri prediletti, e talvolta è necessario assassinare tutto il resto. Anche se questo significa riscrivere tutta la dannata storia.

5. Non c’è una regola numero cinque. In realtà, non ci sono regole affatto.

6. Meno consapevolezza di sé ha un personaggio, più diventa facile da scrivere.

7. Il ritmo e il passo sono importanti quanto la semantica delle singole parole.

8. Infila tutto quel che puoi nel dialogo.

9. E piantala di taggare ogni singola dannata battuta di dialogo!

Ritrovamento bizzarro. Una specie di capsula del tempo, una lettera un tantino perentoria da parte di una Clarina di Otto Anni Fa, che ancora non aveva ricominciato a scrivere teatro, che evidentemente cominciava a scrivere in Inglese…

Be’, o Clarina Di Otto Anni Fa, che posso dire? I numeri 1, 2 e 4 ho imparato a metterli in pratica con ragionevole sicurezza, credo. Sul 3… be’, sul numero 3 sto ancora lavorando. Il n° 5… non dobbiamo commentarlo davvero, giusto? Del n° 6 confesso che non so troppo bene che cosa fare. Lo so, grazie. Adessi mi sembra più lapalissiano di quanto, evidentemente, mi sembrasse otto anni fa. E adesso che lo so? Sul n° 7 ho avuto una folgorazione un paio di anni fa, e adesso sono molto felice in proposito**. Per il n° 8, tornare a scrivere teatro è stato infinitamente istruttivo. E per il n° 9… ci sono giorni peggiori e giorni migliori, ma ho fatto notevoli progressi.

Progressi, già. È bello vedere che le cose sono cambiate. Che ho imparato qualcosa in questi ultimi otto anni. Ed è interessante vedere che cosa mi preoccupava otto anni fa, writing-wise. Tanto che sono tentata di rifarlo – ma questa volta deliberatamente. Potrei fare una lista di… principi? Obiettivi? Intenzioni? Desiderata? Poi chiudere la lista in una busta, indirizzarla a me stessa – tra otto anni. E vedere che cosa sarà cambiato per allora. Che cosa avrò imparato e che cosa richiederà altro lavoro. E se penserò ancora che le mie preoccupazioni attuali valgano la pena di preoccuparcisi e lavorarci sopra. Supponendo che tra otto anni sia ancora qui, a scrivere…

Fanciful? Può darsi, ma guardate come ha funzionato benino la prima volta – e non l’avevo nemmeno fatto apposta… Ne riparliamo nel 2022, volete?

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* Oh – e il temperamatite rosso a manovella. Non scordiamoci del temperamatite.

** Soprattutto in Inglese – ma questo è un altro discorso.

Gen 24, 2015 - scribblemania    Commenti disabilitati su Piccolo Bollettino Iniziale

Piccolo Bollettino Iniziale

AnchorE così ieri mattina ho salpato le ancore – e iniziato sul serio la prima stesura.

Non dico di avere finitofinitofinito con letture e ricerche, perché non si sa mai che cosa può capitare sottomano… Ma intanto adesso si scrive.

 

Dic 6, 2014 - scribblemania    Commenti disabilitati su Piccolo Bollettino Tardivo

Piccolo Bollettino Tardivo

draft-stamp-14608998Sì, non è come se l’avessi finita adesso – ma volevo comunicarvi che ho finito un’altra prima stesura.

Nottetempo, ma qualche notte fa.

Teatro. Altra faccenda. Commissione.

E non sono insoddisfatta.

E sì, lo so – qui fioccano prime stesure. Ma ormai s’è visto che, se non molto altro, il teatro tendo a finirlo. E poi c’è Gente Che Aspetta. E, o GCA, se tutto va bene, dovrei poter consegnare entro…  diciamo entro la Dodicesima Notte?

Fine del Bollettino.

Nov 28, 2014 - scribblemania, teatro    6 Comments

Su Commissione

Mail:

Come fai a scrivere su commissione? Ne parli spesso, quindi penso che ti capiti normalmente. E io non capisco come fai: come riesci a ispirarti per un argomento che ti impone qualcun altro? E se poi il committente vuole dei cambiamenti che a te non vanno? Ma soprattutto, come fai se è un argomento che non ti interessa – o ti fa addirittura schifo?

Potrei cavarmela dicendo che l’ispirazione è sopravvalutata – ma in realtà è una buona domanda. Vediamo un po’.

CommissionSì, è vero: scrivo abbastanza spesso su commissione. Teatro, per lo più, ma anche l’occasionale racconto. Menzionerei anche gli articoli e le prefazioni – ma poi mi si direbbe che non contano… Il che, se vogliamo è un nonnulla bizzarro, perché a nessuno salterebbe in mente di sobbalzare all’idea che scriva articoli su commissione, giusto? Però la narrativa o il teatro… Apparentemente, il problema non è quello di piegare la mia scrittura alle necessità di una commissione. Il problema sorge con… la mia immaginazione?

E a questo punto farò bene a dire che non ho minimamente l’impressione di prostituire la mia immaginazione, la mia scrittura o alcunché d’altro. Ho scritto e scrivo su commissione – e, udite udite, tendo a trovarci gusto.

Si capisce, ci sono commissioni e commissioni. C’è chi arriva con richieste specificissime e non vuole nient’altro – ma di solito non funziona così. Soprattutto a teatro.

Le compagnie si fanno avanti con un’idea generale. Una richiesta. Un’esigenza. Di solito si comincia con qualcosa di vago tipo Acqua, Sonetti, Shakespeare, Anita Garibaldi. Virgilio… E qualche volta è un argomento che vi riempie di vibrante anticipazione, e qualche volta… er, no.

Acqua era parecchio generico. Anita Garibaldi la detesto con passione. Virgilio poco meglio.

E allora che si fa?

Quel che faccio io è una di due cose, a seconda del committente: o mi prendo un po’ di tempo per pensarci, o discuto fin da subito opzioni, possibilità e paletti. In realtà, spesso le due cose si combinano in ordine variabile. E a questo punto, in genere, succede. Succede che l’idea acquisisce un minimo di forma. Succede che capisco quel che voglio fare con l’argomento distante o poco congeniale. Succede che un’idea o due bussano alla porta, si presentano e si accampano per restare.

Perché mi ci sono voluti anni per capirlo, ma non c’è argomento così infelice, così vago, così ostico che non ci si possa trovare qualcosa – qualcosa da scrivere. Un taglio inaspettato. Una luce nuova su qualcosa che mi sta a cuore. Nella peggiore delle ipotesi, l’occasione di riesaminare un’avversione, e qualche volta correggere il tiro… E una volta trovato questo germoglio, non è più solo quel che vuole il committente: è diventato qualcosa chevoglio scrivere io.

Poi è chiaro – non sempre va bene. Ci sono i committenti irragionevoli, ci sono le incompatibilità di vedute, ci sono gli errori che si fanno, ci sono le diverse idee di non-negoziabilità, ci sono le ostinazioni… Il trucco, visto da qui, sembra risiedere in un certo grado di flessibilità, e nello scegliersi i committenti, più che le commissioni.

E alla fin fine, no: scrivere su commissione non è il male. Non è la tomba della creatività o dell’immaginazione. Potrei persino spingermi a dire che alcune delle mie cose migliori le ho scritte su commissione. Se non altro, perché spesso è una sfida. Un’occasione per lavorare fuori dalla propria zona di sicurezza – il genere di stimolo di cui chi scrive ha bisogno anche quando non lo sa.

 

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