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Set 11, 2013 - Elsewhere, Festivaletteratura, guardando la storia, romanzo storico, teatro    Commenti disabilitati su Su BooksBlog

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festivaletteratura, somnium hannibalis, booksblog, sara raniaIl post di oggi sembra essere al fulmicotone, perché di fatto consiste in un link – ma non allarmatevi: il link conduce all’intervista che, dopo avere visto Somnium Hannibalis davanti alla Rotonda di San Lorenzo, Sara Rania mi ha fatto per BooksBlog.

In pieno Festivaletteratura, sedute al tavolino di un caffè in Piazza Mantegna, Sara e io abbiamo fatto una chiacchierata su teatro e romanzi, storia e romanzi storici… Il genere di cose da cui non mi so (ne mi voglio) tirare indietro. Anzi, una volta che sono partita, per fermarmi bisogna abbattermi a sediate.

Sara è riuscita a stringare e concentrare le mie ciacole, e potete leggere il risultato qui.

Oh, e il Somnium è andato molto, molto, molto bene. Tanto che non ho nulla di esilarante e disastroso da raccontarvi… Mi verrebbe da scrivere che gli spettacoli felici si somigliano un po’ tutti e gli spettacoli infelici sono infelici ciascuno a modo suo, ma non è vero.

È che è andato proprio bene: intenso, ben ritmato, bello a vedersi… Onestamente, che si può volere di più?

Set 8, 2013 - cinema, teatro    2 Comments

Richard

Guardate un po’ che cosa ho trovato: il trailer del geniale, emozionante Riccardo III Anni Trenta di Richard Loncraine, con lo strepitoso Ian McKellen…

E quando dico “Anni Trenta” intendo che ci è ambientato. Il film è del 1995.

E buona domenica.

Set 5, 2013 - elizabethana, teatro    2 Comments

Piccolo Bollettino Diurno

E così comincia a sembrare che non sia del tutto impossibile finire la prima stesura entro il termine che mi sono fissata.

E comincia a sembrare anche che la prima stesura debba sforare il limite delle 12000 parole, ma diciamo la verità: si sapeva.

Incidentalmente, lasciate che vi dica che, dalla lettura integrale e approfondita dei Sonetti, ci si fa l’idea che Shakespeare, se ‘è alcunché di biografico in questa storia, dovesse essere un rompiscatole di tre cotte. Mi sa tanto che oggidì e la Bruna Signora e il Bel Giovane lo denuncerebbero per stalking…

Ad ogni modo, il sipario è vicino.

Storie di Teatro

Bisogna ammettere – e lo ammetto con particolare gusto perché sono nel bel mezzo di un giro di prove, con tutto ciò che questo comporta – che il teatro è perfetto da romanzare. Col suo sforzo collaborativo, con i suoi edifici vasti e complicati, con il leggendario cattivo carattere dei suoi praticanti, con la sua turbolenta storia sociale, e con il suo carattere generalmente pittoresco, si presta a fare da argomento e da ambientazione – o anche solo da incidente.

getThumbImage.jpgEpisodi incidentali di teatro si trovano in una varietà di romanzi. Mi vengono in mente la recita di Natale delle sorelle March in Piccole Donne (tutto fatto in casa, dal testo ai costumi), o ancora le pantomime scolastiche in Stalky & Co. e il Goldoni in Compagne di Collegio. Tutti ricordi d’infanzia: Kipling detestava le recite scolastiche, a differenza della Mascagni, e Louisa Alcott giocava “al teatro” con sorelle e cugini La breve carriera teatrale di Nicholas e Smike in Nicholas Nickleby è meno ludica, ma nondimeno basata sulla passione teatrale di Dickens, instancabile attore dilettante. Diverso è il caso di Jane Austen: in Mansfield Park, Fanny* rifiuta di partecipare alla recita organizzata dai suoi cugini – divertimento moralmente deplorevole, e nell’incompiuto romanzo epistolare giovanile The Three Sisters, la richiesta di attrezzare un salone a teatro è presentata come la peggiore stravaganza di una ragazza decisa a sposarsi per denaro.

Poi ci sono romanzi incentrati su arte, vocazione e vita di un attore o un’attrice. La Musa Tragica, di Henry James, con theatre.jpgl’ascesa di Miriam da aspirante di scarso talento a genio delle scene, è in realtà una complicata riflessione su talento, passione, tecnica, arte, ispirazione e vocazione. La Diva Julia (Theatre), di Maugham, è – tra le altre cose – un ritratto ironico e disincantato del mondo teatrale londinese. Personalmente adoro Julia che copia sorrisi e atteggiamenti dai quadri. Penny Parrish comincia come un allegro romanzo per adolescenti, ma la cronaca della gavetta e carriera teatrali di Penny (e del suo matrimonio con un autore-regista) mi è sempre parsa incongruamente realistica rispetto all’inizio.

Altre storie hanno il teatro non solo per sfondo e cornice, ma anche per argomento. Ne Il Capitan Fracassa, Gauthier racconta con abbondanza di particolari vita, difficoltà e avventure di una compagnia di attori girovaghi nella Francia del Seicento, mentre La Barca Dei Comici, che non è un romanzo, ma parte dei Mémoirs di Goldoni, descrive con vivacità la vita teatrale dell’epoca. Qualcosa del genere fa anche Rafael Sabatini, quando aggrega il suo Scaramouche a una delle ultime compagnie di Commedia dell’Arte nella Francia quasi-rivoluzionaria. E poi c’è anche Dumas nel Kean, col suo protagonista prim’attore ottocentesco, ma ne riparliamo più sotto.

Nel mondo anglosassone c’è poi tutta una vasta produzione di romanzi incentrati su autori ed attori del teatro elisabettiano. Anthony Burgess (quello di Arancia Meccanica) ha dedicato un romanzo ciascuno a Shakespeare e Marlowe, e Bryher ha distillato la sua passione per l’epoca in The Player’s Boy – ma sono solo due dei tantissimi: dalle storie per ragazzi ai gialli, ai romanzi biografici ai fantasy, il teatro cinque-seicentesco sembra avere ispirato di tutto.

Gialli, si diceva, e allora sconfiniamo dal periodo. Agatha Christie ha spesso attori tra i suoi personaggi – di solito gente sregolata, superstiziosa, egocentrica e/o avida, che tende a non finire troppo bene (Tredici a Tavola, anyone?). Marta Hallard, l’amica dell’Ispettore Grant di Josephine Tey, è una celebre attrice, mentre Ngaio Marsh ambientava un giallo dopo l’altro a teatro, perché era un’insegnante di recitazione e regista. E della Marsh citiamo Death at the Dolphin (che mi piace tanto anche perché il protagonista è un giovane playwright che si vede affidare un teatro restaurato da dirigere, cominciando con la produzione di una sua commedia di argomento Shakespeariano…) o il meno roseo e più realistico First Night, che non si legge tanto per scoprire il colpevole, quanto per il ritratto della vita teatrale dell’epoca. In anni più recenti, Candace Robb ha incentrato parzialmente il suo Il Mistero Della Cappella sulle rappresentazioni sacre preparate dalle corporazioni nell’Inghilterra medievale, e Deryn Lake inizia una delle avventure del farmacista-detective settecentesco John Rawlings con la morte del prim’attore del Drury Lane. Anche le avventure di Cat Royal – destinate ai ragazzi – si possono considerare gialli avventurosi di ambientazione ottocentesca e teatrale. Se poi vogliamo qualcosa di davvero bizzarro, Point of Dreams, di Melissa Scott e Lisa Barnett, è un giallo-fantasy ambientato in una specie di Rinascimento alternativo, la cui trama è tutta incentrata attorno al complicato allestimento di una tragedia con risvolti politici.

La Commedia della Vita (Morality Play), di Barry Unsworth, è tutta un’altra cosa. Parte romanzo storico medievale che descrive la transizione dai Misteries di argomento religioso a forme di teatro più articolate, parte giallo in cui una compagnia di attori risolve un caso di omicidio, parte riflessione sul teatro come strumento di conoscenza – assolutamente favoloso.

playwithinaplay.jpg E poi c’è qualcosa di diverso: il teatro nel teatro, o metateatro. Teatro che racconta se stesso. Per esempio il Piramo e Tisbe messo in scena da Bottom e compagnia nel Sogno Di Una Notte Di Mezza Estate. Assai meno gaia è la tragedia che Amleto fa rappresentare come trappola per lo zio Claudio, resa ancor più meta dalle riflessioni sull’arte dell’attore (What is he to Ecuba? And what is Ecuba to him?) e dalla possibile polemica contenuta nelle raccomandazioni registiche del principe – c’è chi ha voluto vederci una bordata diretta allo stile declamatorio di Edward Alleyn e dei suoi seguaci. E che dire de Il Critico di Sheridan, satira distribuita con gaio e imparziale abbandono tra attori, direttori di scena, patrons e critici? Scendendo di un altro secoletto scarso troviamo Dumas e il suo Kean, dramma biografico cum riflessione sulla condizione dell’artista, nonché sulla forza dell’arte e della finzione. Per la cronaca, il sottotitolo Genio e Sregolatezza non è casuale, e la faccenda non va a finire veramente bene, nonostante l’apparente trionfo dell’amore su tutto il resto. Chez nous, a questo gioco ha abbondantemente giocato Pirandello – Questa Sera Si Recita A Soggetto, Sei Personaggi In Cerca D’Autore**, Enrico IV, Trovarsi, solo per citarne qualcuno. La finzione è straniamento, l’attore perde la sua identità nella continua finzione, e c’è sempre un prezzo per l’identificazione con il testo o i personaggi. In ambito anglosassone, sapevate che avrei citato Jeffrey Hatcher, con il suo relativamente recente Compleat Stage Beauty – dramma che parte dalla fine dei boy players nella seconda metà del Seicento per parlare di arte e identità – e son tutt’altro che rose e fiori. Rumori Fuori Scena, di Michael Frayn, è tutt’altro tipo di metateatro, un divertissement di variazione sul tema, giocato sulle dinamiche di una compagnia teatrale male assortita, molto più nello spirito dello smontare il giocattolo che della riflessione sul suo funzionamento.

Non è una lista completa, ovviamente, ma dà un’idea, spero, della quantità e varietà di storie che si possono raccontare a proposito di gente che, per mestiere e talvolta per diletto, finge in pubblico di essere altra gente.

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* Fanny è l’unica eroina austeniana che trovi insopportabile – ma non posso esimermi dal ricordare qui una “lettera al direttore” in cui, nei primi Anni Ottanta, un’insegnante lamentava con la redazione di Famiglia Cristiana la mancanza di un’adeguata produzione teatrale per fanciulle, perché era sconcertante e di cattivo gusto far recitare insieme bambine e bambini…

** Curiosità: alla fine degli Anni Quaranta, Ngaio Marsh portò una  compagnia di allievi in tour per tutta l’Australia con un Otello e Sei Personaggi. Scelta molto coraggiosa, premiata da successo.

Piccolo Bollettino Ipotetico

Periodo ipotetico dell’irrealtà estrema:

Se fosse appena un po’ saggia, la Clarina cercherebbe di finire la prima stesura entro il 6 di settembre.

*L’enunciatore di periodi ipotetici esce di scena sospinto dal fragore delle risate generali.*

Nel dubbio, meglio mettersi al lavoro…

Lettere D’Amore

Post un nonnulla atipico per argomento, forse – ma germoglia da un concorso cui non ho partecipato – no, due concorsi cui non ho partecipato – pur avendoci fatto un pensierino a dispetto dell’uncongenial theme.

E dalla considerazione che la lettera d’amore letteraria era, un tempo, device assai diffuso. All’opera, a teatro, in prosa e in poesia… a ben pensarci, la letteratura è piena di gente che riversa il proprio cuore sulla carta non per la pubblicazione, ma per conquistare il cuore dell’amata/amato. Il corteggiamento per iscritto è un aspetto particolare del romanzo epistolare oppure compare più o meno episodicamente in opere che epistolari non sono.

Roxane-et-Cyrano.jpgMi viene in mente per primo il Cyrano de Bergerac, in cui le lettere che Cyrano scrive a Roxane per conto di Christian, immedesimandosi appena un po’ troppo, sono qualcosa di più di un device della trama. Attraverso le lettere meravigliose, Roxane (précieuse pronta ad andare in deliquio per un concetto ben espresso) s’innamora senza saperlo dell’uomo sbagliato. E nel quint’atto, l’ultima lettera macchiata di sangue resta il simbolo del ricordo non veritiero di Christian che si frappone fra Cyrano e Roxane fino a quando è troppo tardi. L’anima era la vostra! Ma il sangue era il suo… Le lettere partono come una graziosa menzogna, diventano l’unico sbocco per l’amore che Cyrano si ostina a considerare senza speranza e finiscono col rivelarsi un inganno crudele che rovina un paio di vite. Che cari piccoli pezzetti di carta!

Un caso meno estremo lo troviamo all’opera. Andrea Chenier, poeta e chenier.pngrivoluzionario in odor di bruciaticcio, riceve quelle che lui per primo definisce “strane lettere”: or gravi, or soavi, or rampogne, or consigli. Lettere di una donna misteriosa che gli fa da coscienza. Un’egeria rivoluzionaria non sembrerebbe la più tenera delle faccende, ma Chenier, essendo un poeta, è già perso dell’ignota scrittrice, perché… in quelle sue parole vibra un’anima. Gli va relativamente bene: nonostante la cinica vivisezione dell’amico Roucher, che dopo avere analizzato carta, scrittura e profumo dell’ultima missiva dichiara l’autrice essere una “meravigliosa”*, Chenier scopre che l’ognor celata amica sua è la bella Maddalena di Coigny, contessina tempestosamente incontrata al primo atto e ora terribilmente in disgrazia. Non c’è bisogno d’altro: lei ricordando un’appassionata arringa di lui, lui sulla sola forza delle lettere, si ritrovano già innamorati del più puro amore spirituale – e non soltanto. Tempo un atto e finiranno insieme alla ghigliottina, ma tutti concorderete con me sul fatto che questi sono dettagli.

Werther.jpgUn altro che di lettere ne scriveva assai era il giovane Werther – tanto che i suoi Dolori sono tutto un romanzo epistolare. A me, se devo essere sincera, il giovane Werther tanto simpatico non è: si macera per varie centinaia di pagine mentre la fanciulla del suo cuore va sposa a un altro (che non è affatto un vilain, ma un bravo e buon ragazzo) e, quando è troppo tardi, si suicida prendendo a prestito le pistole dello sposo felice. Che caro ragazzo! E intanto riversa i suoi dolori in fiumi d’inchiostro, culminando nell’ultimo, cattivo, ricattatorio bigliettino a Lotte… Viene da pensare che le lettere di Werther siano tutto un protratto, compiaciuto esercizio di cupio dissolvi, inteso molto più a gratificare lo scrivente che a far felice in alcun modo la destinataria. E, detto tra noi, non avrei mai creduto Goethe capace della noterella (non spedita, se ben ricordo) in cui Werther supplica Lotte di non asciugare l’inchiostro con la sabbia, perché sennò, quando bacia i suoi biglietti, la sabbia stessa gli va tra i denti!

Ma forse, la mia lettera letteraria preferita è quella di Tatjana nell’Evgeni Onegin. Lei sì che versa Tatjana.jpgl’anima sulla carta, la tenera e ingenua Tatjana che per tutta una notte estiva cerca prima le parole e poi il coraggio per dichiararsi all’uomo dei suoi sogni, comparso inaspettato e meraviglioso come un principe nelle favole, la risposta a tutte quelle vaghe aspirazioni senza nome che nascono da una solitudine condita di romanzi… La lettera di Tatjana non è un inganno, non è la maschera di un anonimato, non è un compiacimento di sé: è semmai troppo sincera, e come tale Evgeni la respinge e la restituisce, freddo e un po’ cinico, affettando saggezza, ostentando ennui. Mal ne incoglierà a lui e ad altri – e intanto la lettera diventa segno di un amore non ricambiato per incapacità.

Insomma: menzogne, paura, ricatto morale, affetti mal riposti… fossi il personaggio di un romanzo, forse starei attenta prima di scrivere (e ricevere) lettere. E’ una di quelle circostanze in cui sono lieta di non esserlo.

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* Simpatico eufemismo dell’epoca per indicare una meretrice.

Ago 27, 2013 - scribblemania, teatro    2 Comments

Piccolo Bollettino Serale

E si può pensar di detestare un ritmo di scrittura a bocconi e spizzichi – ma poi, quando si tratta di scrivere a bocconi e spizzichi o non scrivere per niente…

Oh, d’accordo: magari in altri tempi non avrei scritto per niente, però si vede che vado maturando. O forse è solo un buon periodo. O magari è merito dei Sonetti…

Ad ogni modo, tutto ciò per dire che: a bocconi e spizzichi, ma si procede.

E voi?

Come ve la cavate a scrivere (o leggere, for that matter) a bocconi e spizzichi?

Ago 24, 2013 - elizabethana, scribblemania, teatro    Commenti disabilitati su Piccolo Bollettino Finesettimanale

Piccolo Bollettino Finesettimanale

E piacendo allo Spirito del Bardo, abbiamo passato la boa di un terzo del percorso – e tutto va ragionevolmente bene.

Comincio a pensare che mi servirà qualcosa di simile a un araldo, un sergeant-at-law, un… oh! Chissà se posso avere un Beefeater? 

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