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Feb 28, 2014 - anglomaniac, considerazioni sparse, teatro    Commenti disabilitati su Murphy Sulla Via Dell’Isoletta

Murphy Sulla Via Dell’Isoletta

55327_girl-writing_lg-1C’era una volta un concorso per atti unici – e il concorso si teneva sull’Isoletta.

C’era anche, quella stessa volta, una Clarina che viveva sul Continente – quella cosa che, dicono gli abitanti dell’Isoletta, resta isolata quando c’è nebbia sulla Manica. Tuttavia, pur abitando al di qua della Manica, la Clarina desiderava molto partecipare al concorso in questione, e aveva pronto un piccolo atto unico che le pareva adatto alla bisogna.

A dirla proprio tutta, la Clarina l’atto unico l’aveva pronto da lunga pezza – in teoria fin dall’edizione precedente del concorso isolano, solo che… Ecco, diciamo che talvolta la Clarina tendeva a… er, distrarsi.

Quella volta che c’era, tuttavia, la Clarina si annotò la scadenza ben in grande e ben in anticipo, diede un’ultima lustratina al play e si sentì a posto con la coscienza.

E ci si sentì fino a una decina di giorni dalla scandenza, quando all’improvviso la sua coscienza si risvegliò e cominciò a strillare cose poco lusinghiere sulla Clarina e sulle Poste&Telegrafi…

Perché, vedete, non solo il concorso si teneva sull’Isoletta, ma era anche uno dei non numerosissimi concorsi dell’Isoletta che richiedono di spedire per terra e per mare una o più copie cartacee. Siccome questa crisi di coscienza si teneva a un’ora talmente avanzata da essere tarda persino per la pur nottambula, nottambulissima Clarina, fu soltanto l’indomani che la nostra sciagurata si mise all’opera.

“E che ci vuole?” si disse l’improvvida, mentre sorseggiava il primo tè del mattino. “Stampo le due copie e la lettera con i miei dati, chiudo tutto in una busta e vado a spedire…”44880_guten_press_lg

Ma naturalmente questa è una storia, e tutti sappiamo che cosa succede a questo punto nelle storie, vero? Quando la Clarina avviò la stampante per stampare il suo piccolo play in due copie, la stampante sussultò una e poi due volte, ingoiò un foglio di carta, lo buttò fuori bianco, sospirò, rantolò e cadde in deliquio.

“Oh…” mormorò la Clarina, in moderato corruccio. Spense la stampante, la riaccese, reimpostò la stampa, avviò… E la tecnologia non rispose.

“Stampante non in linea,” fu la risposta della tecnologia. “Controllare che i cavi siano collegati e che la stampante sia accesa.”

Oh!” disse la Clarina, un tantino più corrucciata di prima. Controllò i cavi – che erano collegati. Controllò la stampante – che era accesa. Allora spense e riaccese la stampante, just in case, e poi riprovò.

“Stampante non in linea. Controllare che i cavi siano collegati e che la stampante sia accesa.”

E a questo punto potremmo mettere un altro Oh, ma l’incontrovertibile fatto è che la Clarina usò del linguaggio, rifece tutto daccapo e ottenne per la terza volta lo stesso risultato.

Era il tipo di momento in cui c’è soltanto una cosa da fare, e dunque la Clarina si fece una seconda tazza di tè, e sedette sul pavimento davanti alla stampante, maledicendo tra sé il dannato arnese, e pensando all’Isoletta. Il passo successivo fu di trascorrere un’invereconda quantità di tempo a consultare libretti di istruzioni e guide online a caccia di una soluzione – senza cavare dal buco una di quelle orride bestie a otto zampe che fanno le r-tele.

A questo punto, la mattinata avanzava, l’ultimo momento utile per la spedizione in giornata non era più lontanissimo e, considerando tutto quanto, perdere un’altra giornata, non sembrava la migliore delle idee. La Clarina prese una decisione esecutiva: salvò play e carte varie su una chiavetta (ricordandosi per il rotto della cuffia di inserire i numeri di pagina che di solito si dimentica) e si recò dalla vicina D. a supplicare una stampa. D. la Clarina la conosce dall’infanzia, la sa tanto eccentrica quanto disorganizzata, ed è rassegnata a vedersela capitare a orari disparati, disperata e supplicante stampe. D. ha una stampante professionale ed è una specie di angelo. Senza battere ciglio, nel giro di un minuto e mezzo, stampò il play della Clarina e le carte accessorie in duplice copia, e la mandò via felice.

poCosì la Clarina tornò a casa, imbustò il tutto, controllò tre volte l’indirizzo, si premunì di libro e galoppò all’ufficio postale. Ora, sapete tutti che, per una legge di natura, se non ci si porta da leggere all’ufficio postale si è condannati a dover aspettare, aspettare e aspettare. Se ci si porta da leggeere, può darsi di dover aspettare, aspettare e aspettare – oppure no. Per qualche misteriosa forma di compensazione cosmica, quella volta che c’era fu un’occasione in cui oppure no: in dieci minuti la Clarina sbrigò tutto quanto e tornò a casa al piccolo trotto, lieta nella consapevolezza di avere centrato la spedizione in giornata per un pelo – un pelo molto piccolo.

E a dire il vero, fece talmente presto che sua madre, nel vedersela restituita in sì breve tempo, la accolse con disappunto e al grido di “Oh, non sei riuscita a spedire!”

E invece sì, e il play era già in viaggio verso l’Isoletta, e la Clarina brindò con sua madre alla felice riuscita, e tutti vissero felici e contenti in attesa della long list.

E se, o Lettori, volete trarre qualche utilità da questa storia, la morale è questa: vedete di non ridurvi mai a un passo dalla scadenza – perché è allora che la Legge di Murphy ama colpire. E se le poste&telegrafi possono scioperare, se la tecnologia può fallire, se la neve può cadere, se l’influenza può azzannare, se qualcosa, qualunque cosa può succedere – ebbene, è proprio allora che lo farà.

Feb 2, 2014 - Storia&storie, teatro    Commenti disabilitati su Complotti Giocattolo

Complotti Giocattolo

Ecco, in realtà non ho ancora proprio deciso se ho tutta questa simpatia per Guy Fawkes e la sua congiura delle polveri…

Però, siccome l’altro giorno era il quattrocento e ottavo anniversario della sua esecuzione, ho pensato di mettervi a parte della versione toy-theatre della sua vicenda.

L’animazione, è opera di Nigel Peever, a partire da un teatrino di Webb.

Buona domenica.

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Dic 18, 2013 - Storia&storie, teatro    2 Comments

The Circle Review – Fantasmi e Marinai

CircleRevIVÈ uscito il numero di Natale di The Circle Review – numero eminentemente narrativo, ma non solo. La sezione saggi e la sezione teatro sono forse meno estese, ma non per questo mancano di chicche, come il delizioso piccolo pezzo di Annarita Faggioni in fatto di aforismi, o il dialogo filosofico di Lucius Etruscus con dotta e godibilissima nota al seguito.

Io ci sono con due pezzi.

Il Fantasma di Passerino è una cosetta molto mantovana dedicata al povero Rinaldo “Passerino” Bonacolsi, Capitano di Mantova prima che i Gonzaga si facessero avanti, estromesso dall’ufficio in una versione trecentesca di coup, e subito passato a miglior vita in una maniera desolatamente stupida: quando vide che la battaglia nella non ancor piazza Sordello buttava male, cercò rifugio nel non ancor Palazzo Ducale – e cercando di entrare a cavallo, si fracassò il capo in un’architrave bassina. Sempre smontare di sella per rientrare… E comunque il fantasma di un uomo del genere è una tentazione narrativa troppo forte, non trovate?

E poi c’è uno stralcio di Acqua Salata e Inchiostro che forse, dopo averne sentito parlare in abbondanza, sarete curiosi di leggere.

Premesso che anche la rivista ha sofferto della recente migrazione a WordPress, potete scaricare il pdf qui.

E buona lettura.

Dic 5, 2013 - teatro    Commenti disabilitati su Compagni D’Ombra Al Sant’Orsola

Compagni D’Ombra Al Sant’Orsola

Ricordate quando parlavamo di un titolo nuovo per Bibi? Ebbene, sabato 7 Dicembre, alle ore 20.45, Bibi & il Re degli Elefanti torna in scena al Teatro Sant’Orsola  (a Mantova, in via Bonomi, 3).

Adesso, però, s’intitola…

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L’incasso della rappresentazione viene devoluto a sostegno del progetto “Clinica del Sorriso” in Burundi, gestito dalla ONLUS “…Con Vista sul Mondo”, in collaboranzione con ANDI Mantova.

Dic 2, 2013 - teatro    2 Comments

Cronache Biellesi – Ovvero: Aninha E Il Pulmino Di Tespi

Noi i lupi non li abbiamo avuti - e i cavalli stavano bene.

No, noi i lupi non li abbiamo avuti – e i cavalli stavano bene.

Il pulmino era in prestito.

Il tachimetro non funzionava, così come l’indicatore della benzina, e la portiera dal lato del guidatore non si apriva – ma converrete tutti con me che erano dettagli.* Certo non era nulla che potesse scoraggiare  gli Histriones – e di fatto gli Histriones partirono nel cuore della notte alle otto del mattino, il trentesimo giorno del mese di novembre dell’anno duemila e tredici, e si misero in viaggio nella vaga direzione di Biella.

Lungo la strada incontrarono ogni genere d’impiccio, inclusi non uno, ma due incidenti con conseguente coda – e intanto la neve aveva cominciato a scendere. E in tutto ciò, badate bene, i nostri girovaghi eroi restavano tuttavia ridenti e ridanciani come tante cinciallegre teatrali.

Alla fin fine, nonostante le indicazioni tendenziose della radio e dopo essersi smarriti un nonnulla tra delle montagne che spuntavano a tradimento dal suolo, senza l’ombra di un avvertimento o di una prealpe, impiegarono cinque ore e mezza a giungere in un luogo che non era affatto Biella. Il luogo era Trivero – e non esiste.

Oh, d’accordo: esiste amministrativamente ma, giungendovi, gli Histriones scoprirono che il comune di Trivero si suddivideva in realtà in una quarantina di piccole frazioni sparse tanto orizzontalmente quanto verticalmente – alcune a pie’ dei monti, altre a mezza costa, alcune sui cocuzzoli… E fu subito chiaro che tutto era similmente sparso. In una di queste frazioncine, gli Histriones furono presi in consegna da un gruppo di attori e cantori locali, che li portarono a pranzo in un’altra frazioncina. E questi cantori e attori erano persone di staordinaria cordialità e simpatia, e anche ottimi cuochi – e gli Histriones si sentirono subito a casa e, alla fine del pranzo, si sentirono anche Histriones farciti…

Dopodiché ci si arrampicò in un’altra frazioncina, su su per boschi e tornanti, su su oltre villaggi e santuari, su su tra la neve, su su per strade asfaltate, stradicciole acciottolate e sentieri bianchi, fino a un cocuzzolo innevato, dove sorgeva un delizioso agriturismo.**

Il tempo di sistemarsi un pochino e di veder scendere il crepuscolo violetto, e si fece l’ora di scendere al teatro per le prove. Mentre il grosso della compagnia si scaldava le mani attorno al fuoco, un paio di coraggiosi montarono le catene al pulmino.

Be', non proprio...

Be’, non proprio… E comunque c’era la neve.

Ora, in una digressione metateatrale, il vostro Narratore potrebbe osservare che i due coraggiosi erano Manuel Duarte e Garibaldi, e che la cosa sembrava quasi una prova di abilità per conquistare il cuore di Aninha (che intanto si scaldava le mani al fuoco)… ma poi la faccenda si risolse grazie all’aiuto di due cantori di montagna – per cui, se Aninha fosse stata tipo da farsi impressionare da duelli di montaggio catene, avremmo rischiato un finale alternativo, con l’Eroina dei Due Monti in fuga assieme al baldo Cantore di Montagna…

Ma il vostro Narratore comincia ad avere l’impressione di smarrirsi per sentieri tortuosi e non del tutto pertinenti, e dunque tornerà a raccontare di come, debitamente equipaggiati, gli Histriones risalissero sul fido pulmino e scendessero a valle per le prove – giù giù per sentieri bianchi, stradicciole acciottolate e strade asfaltate, giù giù tra la neve, giù giù oltre santuari e villaggi, giù giù giù per tornanti e boschi, fino all’altra frazioncella ancora che conteneva il Teatro Giletti.

E una volta che furono sistemati nel teatro, gli Histriones si misero al lavoro – e la Clarina fu presa da un’ombra di sconforto.

La Clarina, vedete, aveva cercato per settimane di sapere di quali e quante luci potesse disporre – giusto per adattare il suo disegno luci alla bisogna – e a furia d’insistere aveva ricevuto questa vaga, vaghissima tra le rassicurazioni: c’è tutto. Con l’appena più confortante promessa che, all’arrivo per le prove, la compagnia avrebbe trovato in teatro il tecnico delle luci.

Di fatto, mentre il resto della compagnia tendeva fili per il bucato, cercava di non urtare le quattro chitarre lasciate in scena dal coro e si dava variamente d’attorno, la Clarina costatò che “tutto” significava un’americana con sedici quarzine tutte bianche inamovibilmente puntate in una striscia unica, più quattro coppie di tagli montati fuori sipario – a loro volta bianchi e inamovibili – e che il pur bravo e simpatico Tecnico era in realtà un attore di un’altra compagnia, prestato per la serata e pressoché ignaro dell’impianto.

 

Luci

“Possiamo muovere le quarzine?” chiese la Clarina.

“No…” disse il Tecnico.

“Abbiamo dei colori, almeno?”

“No…”

“Nemmeno sui tagli?”

“No…”

“E quelli possiamo muoverli?”

“No…”

“Possiamo accenderli uno per volta?”

“No…”

“Fanno qualcosa d’altro, oltre accendersi a coppie?”

“No…”

C’è tutto, avevano detto. Tutto.

La Clarina sentiva montare l’umor tetro, e i due disegni luci che aveva al seguito, annotati su altrettanti copioni, cominciavano a sembrare una beffa… E per di più, la compagnia era ansiosa di cominciare una prova, e il Tecnico andava scoprendo che le quarzine non si potevano gestire dalla consolle – così come il controluce che gli Histriones si erano portati da casa -, che il mixer luci non funzionava granché, che il mixer audio magari funzionava, ma non era collegato a un lettore…

Mentre la Clarina cercava d’improvvisare un disegno luci tutto bianco e spartano e aveva il tradizionale Attrito con Scintille con un attore in vena di capricci divistici, il Santo Tecnico scoprì per telefono come convincere il mixer luci a funzionare almeno in parte, e recuperò un lettore cd… O Tecnico Silvio – sappi che quella sera salvasti una povera compagnia di attori girovaghi. Quanto meno impedisti che fossero in parte assassinati dalla Donna delle Luci.

Erano passate le sette quando gli Histriones cominciarono finalmente a provare. Intanto la Clarina aveva deciso di fare a meno delle quarzine, ingestibili e troppo bianche, e di arrangiarsi con le quattro coppie di tagli – che se non altro erano di un bel bianco caldo. Era questa una prova generale o una tecnica, si domandò idly la Clarina, mentre il tango di The Aninha Theme partiva e il sipario si apriva sulla scena illuminata obliquamente dal controluce. E se era la generale, quando avrebbero fatto la tecnica? Ma se era la tecnica, quando avrebbero fatto la generale?

"Se fai solo finta di recitare, io non riesco a risponderti..."

Immaginate che si tratti dei due sullo sfondo.
“Se fai solo finta di recitare, io non riesco a risponderti…”

Qualunque cosa fosse, era nata sotto una cattiva stella. Le sequenze di movimento non funzionavano; le voci erano rauche; la Primadonna desiderava, non incomprensibilmente, risparmiare la voce per la rappresentazione – e l’attore che prima aveva fatto i capricci con la Clarina non era punto d’accordo; il mixer audio funzionava ma non troppo, con discreto pregiudizio delle musiche; il controluce non si lasciava gestire; una discreta fetta degli Histriones sembrava avere smarrito il concetto di ingresso in scena e quello di uscita; la Clarina sperimentava con i suoi tagli e la Regista se ne innervosiva; ci furono interruzioni, riprese, scambi di… er, linguaggio, atti di ribellione, strilli sul palco, sussurri tra le quinte, sguardi biechi, incidenti, inciampi, modifiche dell’ultimo istante, momenti inconsultamente shakespeariani…

In fondo al teatro, nello sgabuzzino della consolle, la Clarina tormentava la sua Vita di Shakespeare in miniatura, e invocava lo Spirito del Bardo, e si sentiva viepiù acida.

Ma intanto si erano fatte le otto e mezza passate, e il coro che doveva aprire la serata cominciava ad arrivare, e gli Histriones dovettero cedere il palco prima di avere finito la prova, e si avviarono nei camerini per cambiarsi.

Alle nove e qualcosa la Clarina salì sul palco a scambiare i convenevoli di rito con l’assessore che introduceva la serata, ringraziò la compagnia ospite e Trivero tutta che devolvevano il ricavato della serata alle associazioni culturali del Mantovano terremotato, introdusse brevemente Aninha e poi scese in platea ad ascoltare il coro.

Ora, vedete, sul fatto del coro gli ospiti erano stati abbastanza misteriosi. Per settimane gli Histriones avevano domandato più o meno obliquamente che cosa cantasse il coro prima di Aninha – e il fatto di non riuscire ad avere risposta li aveva un nonnulla allarmati. Per di più, trovando quattro chitarre sul palcoscenico, i nostri eroi erano giunti alla conclusione di non doversi aspettare cori risorgimentali – ma il vostro Narratore confesserà che, pur credendosi preparata a qualunque sorpresa, la Clarina sobbalzò un nonnulla quando il Coro Parrocchiale di un’altra frazioncina ancora avviò il suo programma di musica leggera: Battisti, Celentano, gli 883 e via cantando, arrangiati… be’, non c’è altra definizione: arrangiati per coro parrocchiale. Gautier

E così fu che Aninha andò in scena dopo Celentano – qualcosa che nessuno degli Histriones si era mai aspettato.

Ma insomma, andò in scena.

Buio in sala, Aninha Theme, sipario, la più lieve ombra di tagli bianchi sui tangheiros… “Si parte,” sussurrò la Clarina al Tecnico, nella penombra dello sgabuzzino della consolle.

E Aninha fu. E qualcosa di misterioso e bianco rotolò in scena sul fondo. E una delle coppie di tagli prese a lampeggiare prima di subito, e la Clarina dovette sopprimerla e rinunciare al suo disegno luci e improvvisarne un altro con tre coppie di tagli. E si smarrì una zucca. E Garibaldi s’impappinò un pochino all’inizio. E più di un Histrio tagliò extempore una battuta o due. E il mixer audio fece un solo capriccio – ma per farlo scelse il momento di maggior pathos…

Eppure le magagnette si notarono appena – e si notarono appena perché sul palco la Primadonna faceva scintille, trascinando tutti gli Histriones nella migliore Aninha di sempre. E lo spettacolo rotolò liscio ed efficace fino all’ultima scena. Aninha Theme, buio in scena. Applausi.

“È andata…” sussurrò un tantino incredula la Clarina, nella penombra dello sgabuzzino. Ed era andata, ed era andata singolarmente bene, e tutti erano molto felici – pubblico, e ospiti, e Histriones, e Regista, e la Clarina.

E così fu che gli Histriones raccolsero armi e bagagli, si attrezzarono per il freddo, rimontarono sul fido pulmino, risalirono su su – ma… e badate al finale perfetto: giunti alla fine dell’asfalto, parcheggiarono il pulmino e, mentre novembre trascorreva in dicembre, si arrampicarono a piedi, tra i boschi innevati,*** sotto un cielo scintillante di stelle che occhieggiavano tra i rami nudi, facendosi luce con qualche torcia, su su fino alla locanda – dove trovarono il fuoco acceso e la cena pronta. E allora mangiarono, e brindarono, e risero fino a tarda ora insieme ai loro ospiti.

E tutti, come si diceva, furono molto felici.

E qui, o miei Lettori, il vostro Narratore si congeda da voi e chiude il sipario su… Le Cronache Biellesi – ovvero Il Pulmino di Tespi.

 

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* E tuttavia vi prego di notare che qui, a tutti gli effetti, abbiamo il carro. Magari mancano i cavalli da tiro, ma il carro c’è.

** E qui, signori, abbiamo l’accogliente locanda. E forse potrete pensare che abbiamo avuto anche la sgambata nei boschi – ma siete in errore.

*** Ecco, adesso abbiamo avuto la sgambata nei boschi. E magari “qualche torcia” significa due cellulari – ma vi prego, non roviniamo la perfezione del momento sottilizzando…

Nov 13, 2013 - teatro    3 Comments

Acqua Salata E Inchiostro

Si può dire che me l’abbiate vista scrivere, questa faccenda. L’avete seguita – stesure, blocchi, illuminazioni, burrasche, revisioni e gioie – via piccoli bollettini e contaparole e Pinterest. E adesso è arrivato il momento.

Lunedì prossimo…

i lunedì del d'arco, accademia teatrale campogalliani, trame d'acqua, teatrino d'arco, chiara prezzavento, acqua salata e inchiostro, andrea flora, joseph conrad, emilio salgari


Un po’ lo sapete già – ma lasciate che vi racconti. È una storia di mare e di scrittori, o di scrittori e di mare. Una storia di gente che sceglie il mare sulla forza delle parole altrui, e poi si scontra con la realtà implacabile. Una storia di cose che non si possono avere. Una storia di tradimenti, sconfitte, vento salmastro e un certo genere di felicità trionfante.

C’è Conrad, c’è Salgari, c’è John Masefield – e c’è il mare. Anzi, il Mare, che è una signora impenetrabile e senza cuore.

E ci sono i bravissimi attori dell’Accademia Campogalliani, che portano in vita le mie parole, guidati da Andrea Flora.

E dunque, se siete da queste parti e se vi va, vi aspetto lunedì sera al Teatrino D’Arco.

Ott 11, 2013 - teatro, Vitarelle e Rotelle    3 Comments

L’Età Dei Titoli

bibi e il re degli elefanti,titoli,accademia teatrale campogallianiDomenica scorsa Bibi ha avuto successo.

Gli interpreti sono sempre più bravi e più intensi ogni volta che li vedo, il teatro era pieno nonostante piovessero cani e gatti, un sacco di gente si è commossa e tutto è andato molto bene.

Ma…

“Cambia il titolo,” mi ha detto Capitan Grace, la regista. “Cambia titolo, perché così com’è penalizza lo spettacolo.”

E sapete una cosa? Capitan Grace ha ragione.

Bibi & il Re degli Elefanti

È un titolo da fiaba.

Un titolo da bambini.

E Bibi, ne abbiamo già parlato, è una storia di bambini e ha una seria componente fiabesca, ma non è una storia per bambini. Non solo per bambini.

Mi si dice che è difficile da collocare, mi si fanno paragoni lusinghierissimi, non passa replica senza che qualcuno arrivi a proporre di farla girare per i reparti di pediatria – ad uso dei genitori e del personale, non meno che dei pazienti*…

Però.

Però c’è un sacco di gente che guarda la locandina, storce il naso e commenta che ah, ma è una cosa da bambini. E questo restringe preliminarmente il pubblico, limita l’interesse degli altri teatri, induce pregiudizi nelle commissioni dei concorsi e nuoce al play in generale.

Così sono a caccia di un titolo nuovo.

Avrei dovuto cominciare prima – anche perché, a dirla tutta, il dubbio ce l’avevo. Che poi, chiariamo: il titolo è opera mia, e andava bene nel contesto per cui avevo scritto – ma poi il play ha cominciato a camminare con le sue gambe al di là della commissione originaria, è cresciuto (letteralmente), e il titolo gli è diventato stretto.

E allora sono a caccia di un titolo nuovo – un titolo più adulto, che renda giustizia al lato grownup di Bibi, senza perdere del tutto di vista la fiaba. Un titolo iridescente e versipelle, se vogliamo, come sarebbe bello che tutti i titoli fossero – ma questo è un altro discorso.

Per cui adesso è questione di brainstorming, di liste, di taccuini, di penne di più di un colore, di lavagne di sughero, di consultazioni balenghe**… Il che, a parte tutto, è un gran bel gioco.

Vi farò sapere. 

 

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* E guardate, non è che noi (as in la compagnia e io) ci si tiri indietro. Saremmo felicissimi di girare per i reparti di pediatria: chiamateci e parliamone.

** “Dimmi un aggettivo, possibilmente di due sillabe, che suggerisca X e Y al tempo stesso – e magari anche un tocco di Z, ma in una maniera obliqua… Oh, e senza troppe consonanti nasali.”

Ott 10, 2013 - elizabethana, scribblemania, teatro    Commenti disabilitati su PBD

PBD

Ultimissima revisione in corso. Pur riuscendo a lavorarci solo a bocconi&spizzichi, sono pressoché a metà.

Il che, probabilmente, non è una cattiva cosa.

Voglio dire – prima mi è venuto un dubbio su un sonetto, di cui non ricordavo il numero.

Non c’è nulla di strano nel fatto che non ricordassi il numero: i numeri non li ricordo a nessun patto. In compenso – e questo sì, che trattandosi di me è strano – ricordavo perfettamente la posizione sulla pagina, e se si trattasse di una pagina pari o di una pagina dispari…

E d’accordo, ricordavo anche prima di che cosa e dopo che altro veniva, ma il fatto resta che, con la mia scarsissima memoria visiva, ricordavo perfettamente dove fosse il sonetto in questione.

Ad occhi chiusi, per così dire.

E un’amica mi ha detto che, se non la pianto di citare i Sonetti alla minima provocazione e spesso anche senza, vedrà di perdere il mio numero di telefono finché non avrò cominciato a scrivere qualcosa d’altro.

Per cui, sì: numeri a parte, direi che i Sonetti sono assorbiti.

Ott 9, 2013 - libri, libri e libri, teatro    Commenti disabilitati su Assassinio Sul Palcoscenico

Assassinio Sul Palcoscenico

 

teatro, gialli, agatha christie, josephine tey, n'gaio marsh, nicola upson, barry unsworthImmaginate un posto labirintico e pittoresco, pieno di angoli bui e ogni genere di bizzarri attrezzi, popolato di gente temperamentale con tendenza all’egocentrismo che pratica la finzione per mestiere, percorso da rivalità e carrierismo di notevole ferocia… 

Non vi sembra perfetto per quantità industriali di omicidi? 

Be’, siete in buona compagnia: da decenni sembra perfetto a un sacco di giallisti che ambientano le loro storie a teatro e nell’ambiente teatrale…

In realtà dubito che attori, registi e autori teatrali abbiano una tendenza a delinquere superiore alla media. Al momento mi viene in mente soltanto Ben Jonson che uccide Gabriel Spenser in duello – ma ammetto che, essendo successo quattrocento e tanti anni fa, non è terribilmente significativo.

E se vogliamo, anche Marlowe passò un paio di settimane a Newgate per concorso in omicidio (compiuto più o meno per autodifesa da un altro autore teatrale, Thomas Watson), e morì accoltellato in una rissa… ma di nuovo, stiamo parlando di Elisabettiani.

E tuttavia, svariati secoli più tardi, nell’epoca d’oro del giallo classico inglese, si sviluppò una considerevole tendenza a far maturare delitti tra le sensibilità arroventate e le scarse inibizioni dei teatranti.teatro, gialli, agatha christie, josephine tey, n'gaio marsh, nicola upson, barry unsworth

Cominciamo pure da Agatha Christie, i cui attori – dalla Lady Edgware di Tredici a Tavola al Charles Cartwright di Tragedia in Tre Atti, non sono sempre creature equilibratissime. Badate, non sto dicendo che siano necessariamente assassini – ma di sicuro muovono parecchio la trama a furia di temperamento, ambizioni e mancanza di scrupoli.

Con Ngaio Marsh, poi, non c’è gioco. La signora era una regista e insegnante di teatro, per cui l’ambientazione le riusciva naturale. Tanto che, lo confesso, i gialli della Marsh li leggo, più che per l’indagine, per l’aguzzo ritratto dell’ambiente teatrale. Aguzzo e vario: per citare solo un paio di titoli, se il gaio e ironico Death at the Dolphin è costruito intorno al sogno di ogni autore teatrale degno del nome (meno l’omicidio, magari…), il più tardo First Night non risparmia nulla della fatica, delle perfidie e dell’occasionale squallore nascosti dietro le quinte di una produzione.

Dopodiché non sempre i delitti avvengono tra camerini, boccascena e magazzino degli attrezzi. Nessun romanzo di Josephine Tey è ambientato a teatro (anche se The Man in the Queue inizia davanti a un teatro del West End, e la Christine di A Shilling for Candles è un’attrice), ma Marta Hallard, la grande amica dell’Ispettore Grant, è un’attrice teatrale – e frequenta di conseguenza, cosicché attori, autori, registi e produttori non mancano mai.

teatro, gialli, agatha christie, josephine tey, n'gaio marsh, nicola upson, barry unsworthA questo proposito, potrei citare la contemporanea Nicola Upson, che proprio della Tey ha fatto la protagonista della sua serie di gialli. Nel primo volume, An expert in murder, Josephine e Archie Penrose indagano su due omicidi commessi durante l’ultima settimana di repliche del successone teyano Richard of Bordeaux. Per un motivo o per l’altro, mezza popolazione del teatro si ritrova ad avere mezzo, movente od occasione – e forse la maggiore delizia di questo libro sta nei personaggi modellati su gente come John Gielgud o le sorelle Harris di Motley, autentica fauna del West End anni Trenta.

Quindi, vedete, la tradizione continua ininterrotta ai giorni nostri. Spesso, è  vero, continua nei gialli storici. Qualche volta i protagonisti sono fittizi, come l’ur-direttore di scena elisabettiano Nicholas Bracewell di Edward Marston, o il farmacista settecentesco John Rawlings di Deryn Lake – che teatrante non è, ma a un certo punto della sua carriera si ritrova a investigare sulla morte di un primattore assassinato in scena al Drury Lane. Altre volte, il protagonista/detective è un personaggio storico, come il Tom Nashe di Mike Titchfield, o i (plurale) Kit Marlowe di M.J. Trow e Sarah D’Almeida.

Discorso a parte merita il bellissimo e già citato Mystery Play – La Commedia della Vita di Barry Unsworth, in cui un capocomico tardomedievale e i suoi attori risolvono un omicidio abbandonando la vecchia tradizione teatrale dei Misteri. Francamente, in questo caso, l’omicidio non è del tutto rilevante, se non come indovinello viscerale, cui offrono soluzione l’arte e la conoscenza.

Col che non voglio dire che il filone sia confinato ai secoli passati. Non vi stupirete se confesso di non leggere molti gialli di ambientazione contemporanea, ma basta contare quanti episodi de La Signora in Giallo siano ambientati a teatro e abbiano per vittima o assassino un attore, un autore, un regista, un produttore. O un critico – non dimentichiamoci dei critici. Ed è vero, eravamo tra gli anni Ottanta e Novanta, but still.

Perché alla fin fine, il teatro è sempre quel luogo di buio e luci parimenti artificiali, di illusioni, di corde, di armi finte, di gelosie, di apparenza che inganna, di false prospettive, di controllo supremo unito all’impulsività più scoperta. E se niente e nessuno è quel che sembra, torno a chiedervelo: c’è posto più adatto a mettere in scena un assassinio?

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