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E L’Azione Rapita

DumasAthosParlavamo dell’Azione Orfana, giusto? Quella tecnica narrativa in base alla quale il romanziere storico affibbia ai suoi personaggi fittizi le parti non assegnate della storia.

Come D’Artagnan e compagnia, gente semifittizia – nel senso che degli originali storici Dumas conservò poco più che nomi e professione – infilata in circostanze (forse) storiche ma nebulose.

Insomma, supponendo che La Rochefoucauld non lavorasse di fantasia citando la faccenda dei puntali di diamanti della Regina, qualcuno li avrà pur trafugati, giusto? E qualcun altro li avrà pur recuperati… E allora, perché non rispettivamente Milady e i Moschettieri?

Parlavamo di tutto ciò, e concludevamo che, non pur non essendo inciso nella pietra che si debba far così, si tratta di un metodo efficace – anche perché, per la duratura fortuna dei romanzieri storici, la storia pullula di buchi interessanti.

Ma non è detto che si debba far così – e infatti si fa (e soprattutto si faceva) anche in altri modi. romanzo storico, alexandre dumas, arthur conan doyle, francesco domenico guerrazzi, r. l. stevenson, rafael sabatini

C’è il Posto in Prima Fila, ovvero un protagonista fittizio che è segretario/scudiero/amico d’infanzia/amante/prole illegittima/sarta/confessore/whatnot del personaggio storico che fa le cose interessanti. E perché debba proprio venirmi in mente per primo Rogiero, il fittizio figlio illegittimo di Manfredi di Svevia ne La Battaglia di Benevento di Guerrazzi, proprio non lo so – ma tant’è. E poi mi viene in mente l’Ascanio dumasiano, apprendista di Benvenuto Cellini. Ma per un esempio migliore, suppongo di poter citare David Balfour, che assiste all’Omicidio di Appin molto da vicino e poi scappa per le brughiere con il principale sospettato.

romanzo storico, alexandre dumas, arthur conan doyle, francesco domenico guerrazzi, r. l. stevenson, rafael sabatini Poi c’è lo Scippo d’Azione, il cui re incontrastato è probabilmente Arthur Conan Doyle con il suo Gérard. Il fittizio Gérard è ampiamente ispirato al reale Marbot, ufficiale di cavalleria, aiutante di campo e memorialista – di cui gli vengono assegnate d’ufficio varie vicende e prodezze. Come pure vicende e prodezze di varia altra gente, in una collezione di elevata improbabilità e notevole spudoratezza… Ma in realtà fa tutto parte del gioco, perché dato il tono generale e l’ottima, ma proprio ottima opinione che Gérard ha di sé, il lettore è di fatto invitato a leggere con un sopracciglio levato e il costante dubbio di avere a che fare con un contafrottole di prima forza.

E infine c’è l’Azione Rapita Con Spudorato Flair, il cui esempio più fulgido si trova, a mio timido avviso, in Captain Blood. Ora, vedete, da un lato Peter Blood è ispirato almeno in parte alla vita di Henry Morgan e alla sua pittoromanzo storico, alexandre dumas, arthur conan doyle, francesco domenico guerrazzi, r. l. stevenson, rafael sabatini ca, eminentemente seicentesca carriera da schiavo a governatore della Giamaica. Dall’altro lato Sabatini si dà qualche pena per stabilire una voce narrante che finge di comportarsi da storico. Ogni tanto, tra una scena e l’altra, il narratore cita e compara fonti, ricostruisce, opina, dubita… Oh, è tutto molto tongue-in-cheek, ma quello è il gioco a cui si gioca. E poi, mentre Peter Blood si prepara a prendere Maracaibo, ecco che il narratore esce allo scoperto.

È vero, c’informa, che la presa di Maracaibo è attribuita a Morgan dal suo (ostile) biografo Esquemeling*, ma Jeremy Pitt, navigatore, amico e memorialista di Blood, ce la conta diversamente nei suoi dettagliatissimi e affidabili registri. Tant’è vero che…

Io sospetto che Esquemeling— anche se non arrivo a immaginare come o dove —debba avere messo le mani su questi registri, e che ne abbia tratto le corolle brillanti di più di un’impresa per infiorarne la storia del suo protagonista, il Capitano Morgan. Questo lo dico in via incidentale, prima di passare a narrare le vicende di Maracaibo, per mettere in guardia quelli tra i miei lettori che, conoscendo il libro di Esquemeling, potrebbero rischiar di credere che Henry Morgan abbia davvero compiuto quelle azioni che invece qui si attribuiscono veritieramente a Peter Blood. E tuttavia credo che, quando avranno avuto modo di valutare le motivazioni che spingevano tanto Blood quanto l’Ammiraglio spagnolo a Maracaibo, e di considerare come l’evento s’inserisca logicamente nella storia di Blood – mentre rimane nulla più che un incidente isolato in quella di Morgan – i miei lettori giungeranno alle mie stesse conclusioni riguardo a chi tra i due autori abbia commesso plagio.**

Et voilà! Carte ribaltate. Fonte storica riconosciuta, citata, rivoltata come un calzino e ridotta a plagio. Non sul serio, ma in un gioco non del tutto implausibile, perché Exquemelin è davvero inaffidabile nella sua ansia di annerire quanto può la fama di Morgan, e la faccenda di Maracaibo sembra davvero un po’ uscita dal blu…

Un gioco quasi ucronistico, un piccolo atto di pirateria narrativa pittoresco, spudorato ed elegante – perfetto per la storia in cui è inserito.

E quindi sì: si può fare diversamente, si può eccome – a patto di farlo con la giusta combinazione di eleganza e faccia tosta, e magari strizzando l’occhio al lettore.

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* O, com’è più comunemente conosciuto, Exquemelin.

** Traduzione mia.

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Le Gioie Dell’Azione Orfana

Happy WriterSapete cos’è che fa davvero felice un romanziere storico?

Un sacco di cose, in realtà, ma c’è uno specifico genere di felicità che consiste nel trovare qualcosa che è accaduto in maniera documentata – ma non si sa ad opera di chi.

Il fatto c’è, ma non si sa chi sia stato. E questa è, dal punto di vista del romanziere storico, una situazione indicibilmente felice: se non si sa chi sia stato, che cosa impedisce di metterci in mezzo il nostro protagonista fittizio – o tanto minore che se ne sa poco più che il nome?

romanzi storici, alexandre dumas, i tre moschettieri, james aitcheson, honoré de balzac, les chouansGuardate, per esempio, I Tre Moschettieri. Dumas aveva pescato i personaggi dalle fittizie Mémoires de M. d’Artagnan – in realtà un romanzo settecentesco di Gatien Courtilz de Sandras, e aveva cucito loro attorno un intreccio preso dalle memorie di La Rochefoucauld. Ricordate i puntali di diamanti? Credevate che fossero immaginari? Ebbene no – o almeno, non è detto. Francamente non ce lo vedo La Rochefoucauld, of all people, a inventarsi un particolare del genere: Anna d’Austria avrebbe regalato una parure di puntali* a Buckingham, cui un’ex amante respinta e gelosa li avrebbe poi rubati, servendosene per un ricatto  – che qualcuno sventò recuperando i puntali…

Qualcuno. Identità non pervenuta.

Perfetto, no? C’è l’intrigo pittoresco, ci sono i personaggi reali, e qualcuno ci avrà pur fatto qualcosa – ma chi? Ecco, in questa storia Dumas distribuisce ai suoi personaggi, come dice Simone Bertière**, le parti non assegnate. romanzi storici, alexandre dumas, i tre moschettieri, james aitcheson, honoré de balzac, les chouans

Qualcuno ha recuperato i puntali, ma chi? Visto che non si sa, perché non i nostri eroi, tutti per uno e uno per tutti, e per l’onore della Regina? E l’antagonista? Una perfida inglese? Poffarbacco, e perché non può essere – di conserva con l’intrigante Richelieu – la stessa Miledi*** che in Courtilz duella d’ingegno e di seduzione con d’Artagnan? E già che ci siamo, è sempre lei che spinge il (reale) John Felton a uccidere Buckingham. Poi, siccome stiamo parlando di Dumas, Milady si rivela essere anche la pessima moglie di Athos, ma il punto è questo: I Tre Moschettieri è interamente costruito sull’idea di personaggi fittizi (o parzialmente fittizi, o molto minori) che giocano ruoli lasciati anonimi dalle scarse cronache di un evento più o meno storico.

romanzi storici, alexandre dumas, i tre moschettieri, james aitcheson, honoré de balzac, les chouansLa faccenda è solo lievemente diversa nel caso di The Splintered Kindgdom, di James Aitcheson. Ora, per forza di cose, la conquista normanna dell’Inghilterra, Hastings e dintorni sono documentati con più abbondanza di quanto non lo siano i puntali, ma stiamo parlando di XI Secolo, e si può contare ragionevolmente che qualche utile buco ci sia. Per esempio, i cronisti concordano sul fatto che Edgar Ætheling, uno dei vari pretendenti sassoni al trono d’Inghilterra negli anni della conquista, sia stato ferito alla battaglia di York nel 1067 – ma da chi? Di nuovo, non se ne sa nulla, ed ecco l’interstizio in cui Aitcheson infila il suo protagonista fittizio, il cavaliere bretone (e normannizzato) Tancred a Dinant. Questa eminenza fittizia si rivela utile nel giustificare il modo in cui Tancred viene ascoltato nei consigli pur essendo un barone minore e si ritrova a condurre una manovra diversiva durante lo sfortunato raid gallese di Hugh d’Avranches. In fondo qualcuno l’avrà pur condotta, la manovra diversiva, ma non si sa chi – e allora, perché non Tancred? In questo Aitcheson è un dumasiano abbastanza stretto: benché la sua storia non ruoti interamente attorno all’azione orfana, la trama è costruita attorno a un certo numero di azioni orfane affidate a Tancred, i cui guai personali si snodano tra l’una e l’altra.

E il bello si è che funziona. Funzionava ai tempi di Dumas e continua a funzionare oggidì. È un buon metodo, perché consente di piazzare un protagonista fittizio abbastanza vicino al centro degli eventi da esserne partecipe anziché testimone – senza fare troppo a pugni con le fonti.

romanzi storici, alexandre dumas, i tre moschettieri, james aitcheson, honoré de balzac, les chouansBe’, poi se vogliamo c’è Balzac, che nel giovanile Les Chouans fa della protagonista fittizia, la duchessina illegittima Marie de Verneuil, la seconda moglie di Danton… Peccato che si sappia e si sia sempre saputo che la seconda moglie di Danton era la borghese parigina Louise Gély. Per cui sì, in teoria con le fonti si può fare quel che si vuole, ma tenete presente che Les Chouans è un libro un po’ così**** e che l’identificazione di Marie con la seconda Mme Danton è piuttosto gratuita – più sensazione che altro. Anche Balzac aveva le sue cattive giornate, si direbbe, e il metodo Verneuil non è nulla che mi senta di consigliare.

Poi sia chiaro, stiamo parlando di romanzi: posso essere disposta a sospenderla abbastanza in alto, la mia incredulità – però mi aspetto che mi si dia un buon motivo per tenerla sospesa. Un motivo migliore di una fasulla seconda moglie di Danton – for no very good reason.

Credo che ci torneremo sopra.

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romanzi storici, alexandre dumas, i tre moschettieri, james aitcheson, honoré de balzac, les chouans* Dite la verità: siete curiosi di sapere che diamine se ne facesse uno di una parure di puntali? Ebbene, guardate la figura qui a sinistra: i puntali erano arnesi conici di metallo – più o meno meno prezioso, più o meno lavorato, più o meno provvisto di gioielli – attaccati a nastri o cordoncini che servivano per allacciare maniche, giubbe e corpetti in un’epoca senza bottoni. Accessorio unisex.

** Simone Bertière, Dumas et les Mousquetaires – Histoire d’un  chef-d’oeuvre, Éditions de Fallois. Librino delizioso.

*** Sic. Davvero.

**** Balzac stesso lo definì histoire de France walter-scottée e, insieme a varie altre opere di gioventù, une croûte e une cochonnerie. Lo fece in privato e, non so quanto saggiamente, anche in pubblico e per iscritto, lamentando nell’introdurre una riedizione l’imbarbarimento dei gusti dei lettori che volevano soltanto storie esotiche, sensazionali o alla moda inglese… Come vedete, nulla cambia mai troppo.

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Giu 2, 2017 - pessima gente, romanzo storico, Storia&storie    Commenti disabilitati su Realtà à la Dumas

Realtà à la Dumas

818.jpgParlavasi di irrealtà, ricordate? Di quella villa metafisica che Pirandello popola di graziosi squinternati occupati a costruirsi e vivere una realtà tutta loro… Ebbene, immaginate che il Mago Cotrone, invece di rifugiarsi a Villa Scalogna, scappi di casa, porti la sua gigantesca immaginazione a Parigi e se ne serva per modellarsi attorno un mondo di suo gusto – nella più pubblica delle maniere – e chi abbiamo? Ma Alexandre Dumas Père, che per tutta la vita non fece altro che galoppare una lunghezza avanti alla realtà – per l’ottimo motivo che non gli piaceva. Non gli pareva abbastanza pittoresca e avventurosa. Il suo stesso figlio diceva di lui che la vita di suo padre era stata tutta un romanzo storico, e in effetti è difficile dargli torto.DumaasYoung

Immaginiamocelo adolescente, l’ineffabile Alexandre, che, tanto per cominciare, si sottrae al destino deciso per lui. Altro che giovane di studio da un notaio di provincia! Il nostro ragazzo scappa di casa con un amico (un cavallo in due) e fugge a Parigi, dove per prima cosa va a fare omaggio al vecchio Talma, l’attore più osannato dell’epoca, e gli racconta tutti i suoi sogni. Talma, divertito, battezza Alexandre nel nome dell’Arte, e gli consiglia di tornarsene a casa: se è Destino, allora l’Arte si farà viva…

DumasIllustrMa no, naturalmente: Alexandre decide di andarsela a cercare, l’Arte. Torna a Parigi, cerca di rimediare un duello la prima sera, si fa passare per marchese col titolo del nonno, comincia nel più disastroso dei modi, scrive, frequenta i salotti, corteggia le fanciulle, adora i poeti, raggiunge il successo, pubblica, scrive per il teatro, ricrea meravigliosi personaggi, scrive romanzi storici prendendosi ogni genere di licenza narrativa, colleziona amanti, ci scrive sopra dei drammi, viaggia, naviga, segue Garibaldi, fonda giornali, si arricchisce e si rovina ripetutamente, si fa costruire un castello falso-rinascimentale (con annesso castelletto falso-medievale per ritirarcisi a scrivere), si sposa, divorzia, cucina, vuole un seggio all’Académie Française – o, in alternativa, in Senato – tratta principescamente collaboratori che poi gli si rivoltano contro… E alla fine muore povero e dimenticato, lasciandosi dietro delle monumentali memorie in trentotto volumi – a cui non si sa mai se credere fino in fondo.DumasIf

Ho il vago sospetto che Dumas Père fosse un tantino insopportabile, di persona. A wee bit overwhelming, maybe? E tuttavia suo figlio aveva ragione: Le Grand Alexandre non si limitò a scrivere un diluvio di romanzi storici, ma mise ogni cura nel costruirsene uno attorno, vivendolo con inesausto entusiasmo – e facendone vivere di riflesso vasti squarci a tutti noi da un secolo e mezzo a questa parte. Ci sono modi peggiori per sfuggire alla realtà che crearsene una a proprio gusto, non credete?

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Set 19, 2016 - gente che scrive, romanzo storico    Commenti disabilitati su Dumas Al Lavoro

Dumas Al Lavoro

alexandre dumas, auguste maquet, romanzo storico, chateau d'ifQuando, a partire dal 1844, Alexandre Dumas si convertì sul serio dal teatro ai romanzi storici, si accorse che la cosa funzionava diversamente.

Prima di tutto, c’era la questione della documentazione: pur avendo ambientato la maggior parte del suo teatro in altri secoli, si accorse che le dimensioni, i tempi e la densità del romanzo consentivano meno scorciatoie. A teatro, i tempi si scorciano in prospettiva a favore dell’unità di azione, il secolo si suggerisce e sottintende, l’incredulità, in generale, si sospende più in alto. Un romanzo si muove a velocità diversa – e lascia molto più tempo per i dettagli della trama e, diciamo così, del décor.

Ma Dumas era già una di quelle persone di cui vien da chiedersi come facciano a far tutto: il teatro (che non abbandonò affatto dopo il ’44), i giornali, un’intensissima vita sociale fatta di salotti, legioni di amici e una quantità e varietà di amanti, le ricorrenti ambizioni politiche, i viaggi, l’occasionale rivoluzioncella… E poi, diciamocelo: anche salexandre dumas, auguste maquet, romanzo storico, chateau d'ife ne avesse avuto il tempo, e pur amando appassionatamente la storia, Dumas non era uomo da seminar diottrie andando a caccia di dettagli, date e minuzie varie. Così si procurò Maquet, un giovane professore di liceo con ambizioni letterarie. Maquet in realtà era arido come la segatura, ma aveva il dono della precisione, della sintesi e dell’attenzione per i particolari. Perfetto, no? Be’, col tempo la cosa si sarebbe rivelata un po’ meno ideale di quanto sembrasse – ma al momento lo era: Maquet faceva le ricerche, i due mettevano insieme una trama, poi Dumas scriveva, e Maquet faceva editing…

Scriveva, per l’appunto – e scriveva davvero un sacco. E se per il teatro e il giornalismo era sempre riuscito a fare quel che doveva in mezzo al caos domestico e sociale, non tardò a rendersi conto che un romanzo era un’impresa più lunga e complicata, che richiedeva concentrazione – e la concentrazione richiedeva solitudine.

alexandre dumas, auguste maquet, romanzo storico, chateau d'ifPer cui sviluppò l’abitudine di ritirarsi in campagna – ma non così isolato da non poter scambiare pacchi di fogli con il fido Maquet – e possibilmente in logge e padiglioni piccoli, pittoreschi e relativamente spartani – quasi a scoraggiare le distrazioni, le visite e gl’inviti. Non a caso, quando si farà costruire il sontuoso castello di Montecristo, ci farà aggiungere il padiglioncino neogotico dal nome di Chateau d’If – due stanzette, piccine ma col soffitto azzurro a stelle d’oro, guglie in abbondanza, una torretta col terrazzino sopra e un laghetto attorno. Ci si arrivava solo via ponticello, in un ottocentesco e stravagante equivalente di quelle tazzone “Go Away, I’m Writing.”

Ad ogni modo, che faceva una volta ritirato nel padiglione di turno? Si alzava presto e si vestiva comodo, e si metteva alla scrivania. Scriveva a penna (d’oca), in inchiostro bruno su fogli azzurri di largo formato, che si faceva produrre appositamente. E scriveva, scriveva, scriveva per tutto il giorno, fino all’ora di cena, fermandosi per un pochino soltanto a mezzogiorno, pagina dopo pagina, cancellando pochissimo. alexandre dumas, auguste maquet, romanzo storico, chateau d'if

A vederli, quei fogli celestini di quarantaquattro centimetri per ventotto, non hanno l’aria di conciliarsi con quello che sappiamo di Dumas. Il rumoroso, esuberante, sentimentale e disordinato Alexandre scriveva come una macchina: le righe si susseguono sciolte e ordinatissime – estremamente facili da leggere, se non fosse per la punteggiatura. Pare che tutta questa cura e chiarezza (probabilmente la migliore eredità dei suoi anni da giovane di studio notarile) fosse a beneficio dei tipografi… Ma non posso fare a meno di domandarmi quanti accidenti tirassero i tipografi alla punteggiatura mancante – soppressa per guadagnare tempo.

Perché, ed ecco che dietro il semi-asceta rispunta il compulsivo, tutto era calcolato per guadagnare tempo. Una pagina ogni quarto d’ora. Ogni pagina 40 righe. Ogni riga 50 lettere. A duemila lettere (oggi diremmo battute) al quarto d’ora, e anche considerando che ogni tanto dovesse pur fermarsi per pensare, otto dieci ore al giorno di quarti d’ora ammontano a una produzione impressionante…

E d’altronde, per i suoi ritmi editoriali non ci voleva nulla di meno.

Poi cenava, si prendeva la sera libera, dormiva come un ghiro e ricominciava al mattino. Un andare forsennato, che ogni tanto pagava con qualche giorno di febbre. Allora dormiva per un paio di giorni, ed era pronto a ricominciare.

Col che non voglio dire che dal 1844 Dumas perdesse la capacità di scrivere in altra maniera. Rimase capace di interrompersi, fare tutt’altro e riprendere dove aveva lasciato, e di scrivere in luoghi affollati e rumorosi. Però questo andava bene per gli articoli e per i drammi, e quasi tutti i suoi romanzi li scrisse asserragliato nella quiete dell’uno o dell’altro padiglione pittoresco.

alexandre dumas, auguste maquet, romanzo storico, chateau d'ifCosicché, Alexandre Dumas Père: romanziere prolificissimo, playwright, giornalista, uomo d’affari con vicende alterne, costruttore di castelli, buongustaio, senatore e accademico mancato, aspirante rivoluzionario, storico dilettante, viaggiatore, collezionista di amanti e, badate bene, sistematizzatore del writer’s retreat.

 

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Dic 23, 2015 - Natale    4 Comments

Natale per Iscritto – Parte II

large_a-christmas-carolE poi ci sono le storie completamente natalizie. In genere si tratta di racconti e, nella maggioranza dei casi, di uno tra due schemi collaudati, mututati dalle fiabe: a) qualcuno di malvagio/duro/egoista riceve dimostrazione/prova/spavento e si converte/redime/convince/riscatta/raddolcisce giusto in tempo per Natale; oppure b) qualcuno di innocente e buono viene a trovarsi (o si trova già) nei guai ma poi tutto si risolve, in genere nel corso della notte di Natale. Qualche volta si può anche avere una combinazione di a) e b).

Suona familiare? Potete giurarci: da Canto di Natale alle innumerevoli commedie americane dicembrine, gli autori non fanno altro che combinare una tra le più vecchie e collaudate strutture narrative con questo elemento dall’irresistibile appeal, il Natale. Aggiungete vischio, porporina, l’occasionale intervento superno e il fattore L (come lucciconi), perché non è che gli autori di racconti siano al di sopra di un po’ di ricatto.

Così si può cominciare con il tenero e lievemente oleografico I doni dei Magi, di O. Henry, il cui piccolo conflitto (due giovani sposi squattrinati che non possono permettersi il regalo perfetto per l’amato bene) si risolve in una celebrazione stagionale della generosità dell’amore.gift-magi-o-henry-hardcover-cover-art

Nella più perfetta tradizione del tipo a) s’inserisce il Racconto di Natale di Dino Buzzati, il cui pregio maggiore, secondo me, risiede nell’atmosfera sospesa e misteriosa, a partire da quel meraviglioso palazzo arcivescovile, “tetro e ogivale”, “stillante salnitro dalle pareti”.

Guido Gozzano ha tentato di non essere convenzionale nel piccolo Il dono di Natale, affidando il ruolo di strumento dell’intervento superno a un giovane ladro dal cuore d’oro (e dall’infanzia infelice). Viene da chiedersi se i due orfanelli “beneficati” non finiranno nei pasticci per tutti quei giocattoli rubati proprio nel negozio accanto, ma non stiamo a cercar peli nell’uovo, giusto? È Natale, dopo tutto… Come pure è Natale in Natale a Ceylon, una delle lettere dalla Cuna del Mondo, in cui il narratore/viaggiatore cerca di non struggersi troppo nella lussureggiante calura cingalese – finché non lo colgono a tradimento le campane della cappella cristiana all’altro capo della valle, e allora come cambierebbe tutte le meravigliose orchidee del suo giardino in prestito per un ramo d’agrifoglio e la neve di Casa, all’altro capo del mondo!

Siamo singolarmente allegri quest’oggi, vero? Ma c’è di peggio. Essendo i Russi il gaio popolo che sono, Checov scardina lo schema per offrirci il desolato Attorno a Natale (solo traduzione inglese, sorry): due anziani genitori analfabeti fanno scrivere una lettera per la figlia sposata di cui non hanno notizie da anni. Nonostante uno scrivano pubblico disonesto e un marito brutale, la figlia segregata riceve la lettera, ma non ci sarà risposta. Non c’è redenzione, non c’è lieto fine, non c’è intervento divino, non ci sono ladruncoli di buon cuore: solo una buona dose di pessimismo slavo e la crudeltà del destino.

matchgirl3Natalizia ma tutt’altro che allegra è anche la Piccola Fiammifferaia – che in teoria appartiene alla categoria b), con la povera orfanella cui capita proprio di tutto, senza che nulla si rislova per il meglio… A meno di voler considerare un lieto fine il meraviglioso albero di Natale che appare nella luce dell’ultimo fiammifero e la nonna defunta che viene a recuperare la defungenda bambina… Be’, immagino che a suo modo sia un lieto fine, con il fattore L a livelli himalayani.

Per proseguire con una nota meno cupa, parliamo di omicidi, volete? Ad Agatha Christie non dispiaceva ambientare qualche storia nel periodo natalizio, ogni tanto. Così al volo me ne vengono in mente almeno due: Il Natale di Poirot, in cui il vecchio capofamiglia avaro e dispotico non ha il tempo di ravvedersi per Natale, visto che viene assassinato. E poi c’è The adventure of the Christmas pudding, un racconto breve di cui non ricordo il titolo tradotto, in cui Poirot viene invitato in una casa di campagna per indagare su una faccenda di rubini rubati e pasticci avvelenati*. Mi ha sempre divertita il fatto che l’intrusione di un investigatore belga nel Natale altrui fosse giustificata con il desiderio dello straniero di vedere “un vero Natale inglese”.

Poi ci sono piccole bizzarrie fiabesche, come lo Schiaccianoci – nella versione tedesca di Hoffmann e in quella francese di Dumas – che secondo me funziona per due terzi. Non so che farci: trovo incantevoli l’attesa, i giocattoli nell’armadio, l’albero di Natale, la festa, il padrino Drosselmayer, i regali meravigliosi, l’incidente con lo Schiaccianoci, il Re dei Topi, la battaglia notturna… Poi si può dire che la storia finisce, perché tutto il viaggio nel regno fatato… mah. Non c’è più nessuna tensione, nessuna attesa, nessun mistero. Ma pazienza – la prima parte è deliziosa. DickensTree2

E finisco con qualcosa che, a rigor di termini, un racconto non è. Dickens scrisse altre cose natalizie oltre ad A Christmas Carol – o quanto meno le scrisse per Natale. Non tutte sono ambientate per Natale, ma A Christmas Tree lo è. Però non è un racconto. È un bozzetto, sono ricordi… Più di tutto, il ricordo dolceamaro di tutti i Natali passati, che nell’immaginazione dello scrittore prende la forma di un abete capovolto che germoglia dal soffitto della sua stanza per fargli compagnia la notte di Natale.

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* Qui il pudding si fa in casa, ogni anno. Senza veleno. Di solito è molto buono – e nessuno dei miei ospiti è mai morto mangiandone…

 

Dic 18, 2015 - gente che scrive, Storia&storie, teatro    Commenti disabilitati su Revisioni in Corsa

Revisioni in Corsa

dumas-william-henry-powellAdoro quelle storie dietro-le-quinte in cui gli autori modificano i loro drammi dopo il primo contatto con il pubblico – per lo più in risposta alla reazione del pubblico stesso, ma qualche volta… be’, perché hanno cambiato idea. Le adoro almeno al pari – e in almeno un caso persino di più – delle opere di cui parlano.

Per esempio, c’è questa storia di Alexandre Dumas Père che, dopo la prima del suo dramma storico Christine, fece le ore piccole insieme ai suoi amici Victor Hugo e Alfred the Vigny, per riscrivere qualche centinaio di versi che erano parsi un po’ legnosi. Viene da chiedersi quanto sia piaciuto agli attori dover mandare a memoria “qualche centinaio di versi”  tra il debutto e la prima replica – ma l’idea di questi giovani scrittori che collaborano febbrilmente per tutta una nottata primaverile è meravigliosa. Dalle due alle sei del mattino, dice l’aneddoto. Che nottata per il Romanticismo francese! FeliceCavallotti

Poi c’è Cavallotti – di cui abbiamo parlato a proposito di Agnese e Nulla Più. Cavallotti vendette la sua agnese ad Alamanno Morelli, celebre capocomico, che la fece debuttare a Roma. E il pubblico apprezzò moltissimo fino al quarto atto – e poi diventò freddino… E questo continuava a succedere rappresentazione dopo rappresentazione… Nondimeno, Morelli portò l’Agnese a Firenze, e poi a Torino, e la Freddezza da Quart’Atto continuò a prodursi, e ci vollero mesi prima che a qualcuno venisse in mente di consultarsi con l’autore. Cavallotti seguì a una rappresentazione, osservò il bizzarro fenomeno e fece una cosa molto sensata: chiese lumi a qualche membro del pubblico. E soprattutto le signore espressero la loro disapprovazione nei confronti di una scena che pareva loro “troppo violenta.” Avendo letto la tragedia nella versione originale, posso dire che a noi cinici del XXI Secolo sembra tutto molto blando – ma è chiaro che nel 1873 l’effetto era diverso. Cavallotti, uomo saggio, potò la scena -e l’Agnese continuò in scena con gran successo.

schillerIl caso del Don Karlos è un pochino diverso, visto che Schiller cambiò idea ben prima che il dramma arrivasse in scena – ma dopo che il primo paio d’atti era stato pubblicato (con gran successo e non poco scandalo) sul Deutsche Merkur. Solo allora A Schiller venne in mente di leggersi un po’ di storia spagnola* – e scoprì che non solo aveva fatto un gran pasticcio storico, ma anche che Re Filippo era un personaggio molto più complesso e interessante del Carletto eponimo. Peccato che quel che era già stato pubblicato non si potesse più cambiare… E così Schiller fece un’inversione di marcia là dove era arrivato e, quando si legge il Don Karlos per intero, si vede perfettamente il punto in cui l’autore cambiò idea, levò la scena al povero Karlos e concentrò il dramma sul Re e su Rodrigo di Posa, l’amico fittizio di Karlos. Marlowe

E che dire dell’unica pagina manoscritta del Massacro a Parigi arrivata fino a noi – forse** autografa di Marlowe – che contiene una versione del monologo di Guisa più lunga di quella che si vede nell’unica (e dubbia) pubblicazione in octavo sopravvissuta? In qualche modo fatico a immaginare Marlowe che cassa anche uno solo dei suoi preziosi versi – e comunque morì appena pochi mesi dopo il debutto del Massacro ad opera della Compagnia dell’Ammiraglio… Forse la versione pubblicata è un’edizione pirata dettata da qualche attore con poca memoria e ancor meno scrupoli? Oppure è una versione abbreviata, fatta per essere portata in provincia? E se sì, chi la adattò? Magari Shakespeare e Munday, come suggeriscono alcuni studi recenti? Sia come sia, le differenze tra la pagina manoscritta e il decisamente inferiore testo a stampa aprono un’affascinante finestra su pratiche e abitudini del teatro elisabettiano.

E vedete perché adoro queste storie? Ciascuna ci lascia intravedere il processo creativo e la personalità di un autore, la vita dietro le quinte in un altro secolo… È sempre dove le cuciture non sono perfette, dove si apre qualche crepa e si possono sbirciare le ruote del meccanismo, che si annidano le storie, in attesa di essere scritte.

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* E a costui Goethe procurò una cattedra di Storia all’Università di Jena…

** Saremmo tutti più felici in proposito se la pagina l’avesse trovata qualcuno che non fosse John Payne Collier – notevole studioso ma, alas, anche falsario compulsivo.