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Dic 16, 2011 - libri, libri e libri    2 Comments

Cave Avunculum

Ora, non dico che tutti gli zii letterari siano pessimi, perché ci sono anche zii come il Principe di Salina, Zia Ellen (Kipling), Zia Bee (Tey) o il Conte Zio – che simpaticissimo non è, ma di certo è indulgente coi nipoti – però dovete ammettere che quando compare uno zio di carta la tentazione di essere cauti c’è.

C’è perché siamo ammaestrati da gente come Re Claudio, che re di Danimarca ci è diventato assassinando il fratello e non vede l’ora di fare altrettanto con il nipote Amleto. Poi la faccenda è reciproca e, in capo a tre ore di tragedia, i due riusciranno ad assassinarsi indirettamente a vicenda, ma intanto noi groundlings abbiamo capito chi porta il cappello bianco e chi il cappello nero.

Per non parlare poi di Riccardo III, zio usurpatore che spedisce alla Torre i nipoti fanciullini e poi non ordina a Buckingham di mandare un paio di sicari a completare l’opera… verrebbe da chiedersi se John Shakespeare avesse fratelli antipatici – non fosse che si tratta di una combinazione di due fattori: da un lato Shakespeare era ansioso di sposare il punto di vista Tudor/Lancaster, e dall’altra è una verità universalmente riconosciuta che un uomo provvisto di un fratello coronato (e fornito di eredi maschi) dev’essere in cerca di un trono…

Per dire, vi ricordate la Principessa Zaffiro di animesca memoria – quella che era ai ferri corti col perfido zio? O il Principe Caspian delle Cronache di Narnia? Ecco, appunto.

E non c’è nemmeno tutto questo bisogno di una corona in ballo: pensate a Ebenezer Balfour, fratello minore che usurpa patrimonio e titolo e, al ricomparire del nipote dopo diciotto anni, prima tenta di mandarlo a sfracellarsi giù da una scala buia, poi lo fa rapire da un capitano di mare con l’incarico di venderlo schiavo nelle Caroline. E in fondo i Balfour sono soltanto landed gentry con un palazzotto in rovina e un sacco di debiti.

D’altro canto, la gelosia fraterna è un tema molto più  vecchio delle colline, e il trasferimento di ostilità nei confronti della progenie del fratello è estremamente logica. Talmente logica che a volte viene presa e passata al lettore così com’è – come nel caso di Ralph Nickleby, che non ha nessun buon motivo per averla a morte con suo nipote Nicholas, se non il fatto che si tratta del figlio del fratello che non poteva sopportare. Dickens faceva questo genere di cose, e anche lui non scherzava in fatto di zii, considerando Ebenezer Scrooge, cui il gaio e spensierato nipote Fred fa rabbia al solo vederlo, proprio perché è gaio, spensierato e generoso. That is, prima che arrivino Marley e gli Spiriti a far prendere a Scrooge lo spavento della sua vita – ma questa è un’altra faccenda. E considerando anche John Jasper, lo zio di Edwin Drood. Vero, il romanzo è incompiuto e non sappiamo se sia stato proprio Jasper a uccidere Edwin (o, se è per questo, se Edwin sia davvero morto…), ma di sicuro lo zio non è una cara persona.

I prozii sono merce più rara e non sono sicura che contino davvero. L’unico che mi viene in mente al momento è Lantenac di Quatrevingt-Treize, che però ha un buon motivo di ostilità nei confronti del pronipote Gauvain – un motivo che non ha necessariamente a che fare con i vincoli famigliari, considerando il giovane è un ardente rivoluzionario e il vecchio un difensore dell’ancien régime. Certo, a Lantenac secca che il sangue del suo sangue sia diventato sanculotto, ma ce l’ha altrettanto con il semi-estraneo e non imparentato Cimourdain, per cui…

Per contro la prozia March, bisbetica benefattrice delle Piccole Donne, s’inserisce senza scosse nel genere femminile della specie, che è decisamente meno letale. E penso ad esempio alla Zia Dete di Heidi, alla zia Barbary di Esther Summerson in Bleak House o alla zia Polly di Pollyanna, assai men cattive che acide, in genere per zitellaggio e maternità mancata – e a questo può provvedere la tenera eroina – oppure no. Poi ci sono anche le zie veramente malvagie, come la zia Reed, prima tra i molti guai di Jane Eyre, o Lady Minerva Broome che in Cousin Kate, di Georgette Heyer, tenta disperatamente di affibbiare alla nipote eponima e indifesa il proprio figlio bellissimo e squilibrato – ma squilibrato nel senso più omicida del termine. In genere la zia con figli è più pericolosa, perché non ha scrupoli nel detestare/danneggiare/eliminare/sacrificare il nipote a favore della propria prole.

E dite la verità, non è divertente vedere come l’idea abbia attraversato pressoché intatta secoli, generi e generazioni, conservandosi soprattutto nella letteratura per fanciulli? Quanti sono gli orfani letterari affidati a zii dall’insopportabile/rancoroso (i Dursley per Harry Potter) al francamente pericoloso (il conte Olaf per i fratelli Baudelaire), passando per l’indurito grave (Mrs. Timm per Serena Pepper)?

È quasi rassicurante vedere che certe cose non cambiano e che – almeno in parte – si possono conservare queste secolari certezze: quando in un libro compaiono degli zii, può non essere una cattiva idea diffidare.

Cose Minori

Confesso (senza particolari sensi di colpa) una debolezza per le cosiddette opere minori. Quelle meno conosciute, quelle meno considerate, quelle che, quando le citi, sette interlocutori su dieci ti guardano tra il blank e il sospettoso.

Se poi l’autore in questione ha scritto un singolo romanzo storico a titolo d’esperimento – e l’esperimento è unanimemente considerato non dei più riusciti – statene certi: è mio.

opere minori, charlotte brontë, shirley, edmund dulacCharlotte Brontë, per dire. Charlotte ha scritto un solo romanzo che possa essere considerato storico: Shirley, ambientato durante le guerre napoleoniche. Opera minore – scritta in cerca di evasione durante la malattia mortale di Branwell, Anne ed Emily, spigolosa e ineguale e con un principio di MarySuismo. Epperò non so che farci: adoro Shirley. Lo adoro per quel che c’è di ben riuscito (Robert Moore, la famiglia Yorke, il Reverendo Helstone, e i curati… oh, i curati!) e perché quel che non funziona del tutto è una meravigliosa finestra sul processo di evoluzione di Charlotte-La-Scrittrice, su certi meccanismi che valgono per molti scrittori, nonché sulla mente di Charlotte-La-Donna. opere minori, dickens, barnaby rudge

Dickens invece di romanzi storici ne ha scritti due: il celeberrimo A Tale Of Two Cities (uno dei più letti tra i suoi lavori) e il dimenticato Barnaby Rudge. Indovinate qual è il mio prediletto? BR è una vicendona un po’ vaga ambientata sullo sfondo dei Gordon Riots – una quasi-surreale sollevazione anticattolica nella Londra del primo Settecento – con un protagonista eponimo che dev’essere una delle meno riuscite creazioni dickensiane e una coppia di Primi Amorosi di cartoncino. Ma il povero, matto Lord Gordon e il suo perfido segretario, il corvo Grip (cui si ispirò Poe), la cameriera Miggs, la sera d’inverno nella locanda a Chigwell e l’assalto alla prigione di Newgate… Ah! Può darsi che non sia il più coerente dei romanzi, ma là dove funziona è firstest rate.

opere minori, steinbeck, cup of gold, la santa rossaSe poi veniamo a Steinbeck, sono messa ancor peggio: Cup Of Gold (pubblicato in Italia come La Santa Rossa), non solo è il mio Steinbeck preferito, ma in tutta probabilità il solo Steinbeck che mi piaccia davvero. E immagino che questa sia un’ammissione molto grave, perché CoG è ‘prentice work, e si sente che l’autore (ventisettenne all’epoca) sta cercando la sua voce. Tuttavia sono affascinata da Henry Morgan che, ben al di là del suo enorme successo piratesco, per tutta la vita insegue chimere  e s’impania nelle sue stesse menzogne in cerchi concentrici.

E in una vena simile, confesso ancora che, se parliamo di A.C. Doyle, le mie preferenze vanno decisamente alle avventure del Brigadiere Gérard, che tra tutti i lavori di Hesse prediligo Il Giuoco Delle Perle Di Vetro, che in fatto di Yourcenar ricordo con maggior piacere L’Opera Al Nero che non Le Memorie Di Adriano, che di Kipling preferisco i racconti ai romanzi… e potrei continuare a lungo.

Non so: qualche volta è per l’ambientazione storica, qualche volta perché mi piacciono le spigolosità di un autore in via di formazione, e qualche volta – sospetto – per spirito di contraddizione. Ma credo che ad attirarmi più di tutto siano le imperfezioni impigliate nella grana della scrittura, il contrasto tra ciò che funziona e ciò che non funziona, l’attrito con il genere inconsueto o inadatto, le smagliature che lasciano intravedere l’interno del meccanismo… E forse anche, lo ammetto, il piacere di una predilezione solo mia – o quasi. Che volete farci? Ciascuno è sentimentale a modo suo

E voi? Quali sono le vostre opere minori preferite? E perché?

 

 

 

Mag 4, 2011 - libri, libri e libri    2 Comments

Dieci Anni Con Amazon

Dieci anni fa, come oggi, ho ordinato il mio primo libro su Amazon. Ero internettizzata da poco, la rete era ancora hic sunt leones, e stavo scoprendo con entusiasmo crescente la posta elettronica – ma comprare libri a distanza sembrava una cosa davvero marziana. Poi il mio amico A. – che essendo un ingegnere era più tecnologico di me – ne cantava talmente le lodi…

Non so se vi rendiate ben conto. All’epoca, dopo alcuni felici anni trascorsi tra Pavia, Cardiff e Londra, ero appena tornata a vivere in un posto dove la libreria più vicina è a venti chilometri di distanza, e quando ci sei arrivata non è che si facciano proprio sempre in quattro per procurarti quel che cerchi, specie se è in Inglese. Io pensavo con feroce rimpianto al Delfino di Piazza della Vittoria e ai vari bookshops della mia vita recente, e all’improvviso, secondo A. c’era un accettabile next best thing

Oh, la prima visita su Amazon.com, questi scaffali virtuali colmi di ogni bendidio, con le immagini delle copertine e le recensioni… mi sentivo tanto Ali Baba! E ricordo benissimo di avere impiegato quasi due ore a scegliere il mio primo acquisto: The Juvenilia of Jane Austen and Charlotte Bronte, edizione Penguin, £ 10,76 più, presumo, spese di spedizione. E ricordo l’arrivo del pacchetto una settimana esatta più tardi, e la felicissima lettura*, e l’appagante sensazione di avere di nuovo a portata di mano un posto dove procurarmi i libri che volevo, non quelli che trovavo.

Negli ultimi dieci anni sono stata un’acquirente fedele di Amazon nelle sue varie branches internazionali: Amazon.com, Amazon UK, occasionalmente Amazon France e, dallo scorso anno, Amazon Italia. In realtà le Poste Italiane hanno fatto del loro meglio per rovinare questo felice idillio, ma devo dire che ho sempre trovato un ottimo servizio, e tutte le volte in cui i libri sono andati effettivamente persi (perché è capitato, and not just once), tanto Amazon propriamente detta quanto i vari dealers sono sempre stati prontissimi a rispedire senza la minima difficoltà. Posso forse registrare la volta in cui, ad acquisto pagato, un dealer mi ha informata che dei due volumi di The Elizabethan Stage di E.K. Chambers che avevo ordinato, ne aveva uno soltanto. Fortunatamente era quello di cui avevo più bisogno, e siccome non si trovavano altre copie, mi sono fatta rifondere il volume mancante e sono andata avanti. Oppure potrei raccontare l’occasionale squabble con il venditore che non vuole tre stelline di feedback, perché tre stelline contano come un voto negativo, e allora non è giusto, e posso per favore rimuovere il feedback…

Ma fa nulla: nel complesso Amazon mi ha resa e ancora mi rende molto felice. Ah, il senso di vacanza di quando arriva un pacco di libri! Tra l’altro, molto opportunamente, proprio ieri ne è arrivato uno. A dire il vero è in ritardo, ma arriva così a proposito che glielo si può perdonare.

E a titolo di festeggiamento del decennale, avendo io scoperto (meglio tardi che mai!) che Somnium Hannibalis è in vendita su Amazon, credo  che infilerò qui questo:

Grazioso, vero? E so di essere del tutto spudorata, ma se qualcuno di voi avesse voglia di passare di là e lasciare una recensione, sarei molto grata.

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* Periodo di marmellata di rose, tra l’altro, e ancora adesso associo il profumo in questione a(gl)i Juvenilia.

Apr 15, 2011 - memories, tecnologia    Commenti disabilitati su Elogio Del Temperamatite Rosso

Elogio Del Temperamatite Rosso

Il mio Temperamatite Rosso mi sta abbandonando.

Il mio Remperamatite Rosso è un arnese ereditario, arrivato dall’Austria almeno venticinque anni fa. Non è uno di quei parallepipedi di plastica o metallo con un buco e una lama, grandi come la falangetta del mio pollice. Il mio Temperamatite Rosso è grosso come un brick di panna da cucina, con una manovella, una piastra scorrevole anteriore che si estrae per regolare la temperatura, due orecchie metalliche per aprire e chiudere la molla che tiene ferma la matita, e un cassettino trasparente per i trucioli.

Il mio Temperamatite Rosso, Made in Germany, ha un nome che sembra quello di un’astronave: Dahle 122. Francamente, vista l’invereconda macchinosità del meccanismo, lo trovo appropriato.

Il mio Temperamatite Rosso, quando ero piccola, non avevo il permesso di usarlo – e non avete idea di come lo concupissi. Fa delle punte spettacolari, da farci harakiri, e lascia il legno della matita setoso e liscio. Una specie di santo graal della temperatura di matite. Però si considerava (o meglio: mio zio, proprietario originario del TR considerava) che non possedessi la manualità necessaria a calibrare grado di estrazione della piastra, inserimento della matita e quantità esatta di forza da applicare alla manovella. Mio zio era un ingegnere, enough said. E tuttavia, questa supposta Conoscenza In Astratto, questa sorta di Orecchio Professionale necessari per usare il Temperamatite Rosso lo rendevano ai miei occhi una specie di Stradivari dei temperamatite.

Crescendo non ho avuto il permesso di usare il Temperamatite Rosso: ho cominciato a usarlo di nascosto, ma sempre con una specie di reverente e colpevole delizia. Oh, come tagliava bene! Oh, che punte perfette! Oh, l’appagante sensazione di imparare per tentativi ed errori l’uso ideale della manovella! Oh, i deliziosi piccoli trucioli arricciati! A un certo punto ho ricevuto in regalo un temperamatite automatico giallo. Questo non ha maiuscole, noterete: era cilindrico, somigliava a un piccolo frullatore, pesava come un demonio, consumava pile con l’allegra incoscienza della corte di Maria Antonietta, faceva tanto rumore da far sobbalzare i gatti e rompeva più punte di quante ne appuntisse. Niente finesse, niente a che vedere – neppure da lontano.

Il mio Temperamatite Rosso divenne mio una dozzina d’anni fa, in un periodo non propriamente ideale – quando temperare le matite appena arrivata in ufficio nel gelo mattutino delle sette meno un quarto, era un rituale consolante come e più della seconda tazza di tè. Per segnare l’acquisizione attaccai al fianco del TR un’etichetta che riportava una citazione di Charlotte Bronte scritta rigorosamente a matita. E’ il punto di Shirley in cui Robert prepara le matite per Caroline:

“I suppose you like a fine one?”

“Such as you usually make for Hortense and me, not your own broad points.”

Ripensandoci ad anni di distanza, dev’essere lo scambio di dialogo più stupido di tutto il libro: se Robert prepara le matite usually, che bisogno ha Caroline di spiegargli come le vuole? Dialogo espositivo: orrore, orror! Ma allora ero ansiosa di brontizzare il mio Temperamatite Rosso. Me lo faceva sentire più mio.

Poi, quando lasciai l’ufficio, il TR migrò insieme a me, continuando a prestare servizio punta dopo punta, matita dopo matita, anno dopo anno.

Adesso il mio Temperamatite Rosso dà segni di stanchezza, e non mi ci so rassegnare. Probabilmente le lame sarebbero da affilare, ma dubito che sia possibile. E così, dopo un quarto di secolo, dovrò rassegnarmi all’idea di cercarmi un altro temperamatite. Forse potrei procurarmente un altro uguale, anche se non sarebbe facile: cercando un’immagine per illustrare questo post, scopro che si tratta di un temperamatite professionale, che il modello 122, entrato in produzione nel 1967, ormai è fuori commercio e gli esemplari rossi e neri si vendono su eBay come pezzi da collezione…

Quindi dopo tutto il mio Temperamatite Rosso è un esemplare da collezione di temperamatite professionale, e forse mio zio non aveva tutti i torti, a suo tempo… ma il punto è: se anche riuscissi a procurarmene un altro, non sarebbe più il mio TR, quello che ho concupito lungamente, usato di nascosto, brontizzato, portato a casa con me.

E in fondo è giusto, perché è l’irripetibilità a rendere unici e significativi persino i temperamatite. Ma adesso che Dahle 122 va in pensione, chi mi tempererà le matite così aguzze, e liscie, e perfette?

Dove Confesso Di Essere Una Creatura Timorosa

C’è quest’idea per un romanzo che ho in mente da anni, con un personaggio perfetto – e con questo intendo narrativamente perfetto: complesso, sfaccettato, pieno di zone d’ombra, seri ostacoli da superare, dubbi, passioni, forte personalità e piccinerie. Un personaggio che, lo so bene, adorerei scrivere. Potrei farne qualcosa di davvero buono e, per una volta, sarebbe anche una vicenda di ambientazione contemporanea. Però non posso. La persona in questione è vera e reale, la conosco bene e viceversa, e il ritratto che ho in mente non è esattamente lusinghiero. Non negativo in senso assoluto, sia ben chiaro, ma – si parva licet… – nessuno può pensare che un ipotetico Julien Sorel reale avrebbe apprezzato il ritratto che Stendhal fa di lui, giusto?

Ecco, credo che questa da parte mia sia una mancanza di coraggio, e temo che finirà col rivelarsi un ostacolo. Probabilmente, pur rinunciandoci davvero a malincuore, posso sopravvivere senza scrivere il mio personaggio perfetto, ma temo che non sia un caso isolato. Ho diverse altre idee del genere, condannate in partenza perché non so indurmi a rischiare di offendere le persone in questione. In generale i miei personaggi non sono ritratti dal vero, e tendo piuttosto a costruire i caratteri mescolando tratti di varia provenienza. Solo una volta ho scritto in un romanzo un personaggio modellato da vicino su una persona reale, e lasciate che lo confessi: la possibilità che la persona in questione se ne accorga mi dà ancora una certa ansia…

Al tempo stesso, senza bisogno di preoccuparsi di romanzi interi, ci sono volte in cui qui su SEdS parlerei di persone ed episodi e poi non lo faccio per lo stesso motivo. In un’altra vita ho avuto un altro blog nel quale parlavo del mio lavoro (e della gente annessa e connessa) in termini molto ironici. Postavo sotto uno pseudonimo ed ero ragionevolmente certa che nessuno dei miei personaggi avrebbe mai scovato o letto il blog in questione… sì, credo che si possa proprio dire che sono una pusillanime.

Charlotte Bronte si alienò diversa gente (compreso il suo innamoratissimo editore George Smith) ritraendola nei suoi libri in termini che a lei parevano semplicemente realistici e che di fatto non erano proprio lusinghieri. A giudicare dalla sua corrispondenza, dapprima non aveva valutato bene le conseguenze di quello che scriveva, né previsto la popolarità che i suoi romanzi finirono con l’ottenere, ma in seguito continuò con i suoi ritratti dal vero, senza preoccuparsene soverchiamente. Forse è questione di rompere il ghiaccio? Forse, dopo aver fatto la frittata una volta – e constatato che non ci sono morti, feriti o dispersi – non ci si bada più troppo? Non saprei: è quel genere di cose che si scopre solo provandoci, ma non so, davvero non so se ne avrò mai il coraggio.

Mar 8, 2010 - considerazioni sparse    5 Comments

Festa della Donna

charlotte-bronte-image.jpgFrancamente non l’ho mai festeggiata granché: non sono una femminista, e non ho nessunissima obiezione quando un uomo mi cede il passo alla porta.

Ciò detto, per l’occasione, piccola storia letteraria al femminile.

La promessa della famiglia Bronte non era Charlotte né Emily, e tantomeno Anne. La promessa era l’unico figlio maschio Branwell, il ragazzo brillante, pieno di fascino e di talento, che studiava pittura e pubblicava le sue poesie sulle riviste. Poi andò a finire che Branwell non combinò mai nulla di buono e morì alcolizzato, mentre le sue sorelle diventavano l’astro del mondo letterario inglese. Scandaloso astro: dapprima pubblicarono sotto gli pseudonimi di Currer, Ellis e Acton Bell, scelti con cura per sembrare nomi maschili, ma non troppo. Le nostre ragazze avevano l’impressione che gli editori avrebbero più facilmente preso sul serio degli aspiranti scrittori, ma non volevano nemmeno spacciarsi completamente per uomini… Victorian feminine delicacy. Solo che i loro romanzi erano così potenti, così audaci e così originali che persino i supposti “Fratelli Bell” furono accusati di grossolanità. C’era talento, dicevano i critici, ma rozzo. S’intuiva benissimo l’opera di tre autodidatti di poca educazione, tre giovanotti dalla fantasia spontanea e priva di finezza, con una volgare propensione ad occuparsi degli aspetti più sgradevoli dell’umana natura…  E invece erano le tre figlie zitelle del Reverendo Bronte. Venne il momento in cui, nonostante la feroce resistenza di Emily, l’anonimato andò a farsi benedire, e la notizia della vera identità di Currer, Ellis e Acton Bell sollevò nuovo scalpore: come potevano tre giovani signore scrivere così poco fini? Poi, in realtà, soltanto Charlotte fece in tempo a diventare davvero famosa da viva, ma era brutta, timida e non vestiva alla moda. Insomma, visto che non era un uomo, Charlotte avrebbe potuto almeno essere una romanziera tutta glamour. Forse al pubblico sarebbe piaciuto sapere che Charlotte aveva rifiutato il corteggiamento del suo giovane e bell’editore George Smith perché era innamorata di un uomo sposato in Belgio… ma Miss Bronte teneva i suoi segreti per sé, e se ne stava nelle sue brughiere, e non faceva nulla per essere alla moda.

Insomma, eccola qui, la nostra eroina: una scrittrice di genio, tosta in una maniera quieta e tutta sua, tanto indipendente quanto poteva esserlo una donna della sua epoca, appassionata senza scandali (a mimosa.jpgparte quelli letterari…), determinata nel perseguire i suoi sogni a dispetto degl’impedimenti posti dal suo sesso, dalla sua condizione sociale e dall’isolamento geografico. Niente rivendicazioni, niente sguaiatezze, niente trasgressioni: solo una donna che ha lasciato il segno con i suoi libri, a forza di talento, perseveranza, disciplina e passione. Non è un bel modello femminile, per un 8 marzo?

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