Tagged with " libri"

Libri Sopravvalutati – A Sequel

Si direbbe che questo post abbia generato un pochino di sensazione – qui su SEdS, su Twitter, su FaceBook e tramite un certo numero di email.

La discussione è stata molto piacevole, e spero che non sia finita – ma quello che mi ha colpita è la quantità di osservazioni, tweet e commenti di questo tenore: “non ho mai osato confessarlo, ma…” oppure “sono cose che si esita a dire…” Qualcuno mi ha addirittura ringraziata per avere introdotto l’argomento. Badate che non mi sto chiamando fuori: ho detto nel post che per anni la mia delusione nei confronti de Il Ritratto di Dorian Gray è stata una faccenda vissuta clandestinamente – ma questo era prima che aprissi un blog e diventassi spudorata.

Il fatto è che tutti esitiamo (almeno un pochino) a confessare di non apprezzare troppo l’uno o l’altro monumento letterario. Genitori, amici, insegnanti, manuali di storia della letteratura e programmi radio ci hanno informati ripetutamente che si tratta di Grandi Libri con la G e la L maiuscole, libri che non si può non leggere, Libri Meravigliosi… O, in alternativa, libri che ci daranno una Coscienza Sociale* (maiuscole anche qui).

E noi abbiamo letto da bravi, ma si direbbe che non basti. Dobbiamo anche apprezzare. Ci si richiede di essere entusiasti, e se ci azzardiamo a non esserlo otteniamo sguardi increduli e severa disapprovazione. In alcuni casi si aggiungono massicce dosi di zelo missionario, ma non è detto. Molti monument-lovers non vedono la necessità di discutere sul perché si debba adorare il loro monumento – atteggiamento già non promettentissimo.

Ora, quando si è adulti si discute appassionatamente con i missionari e si leva un sopracciglio all’indirizzo degli intransigenti. Chi è capace di non andare in brodo di giuggiole per Eco, Joyce o Buzzati può convivere con la severa disapprovazione di chiunque – Alla peggio, si coltiva il suo dissenso in silenzio.

Ma quando si è implumi in via di formazione? Non vi viene da pensare che questo atteggiamento diffuso, combinato con lo snobismo di genere, abbia a che fare con lo scarso interesse dei fanciulli per la lettura? Li si esorta a leggere e poi, invece di spingerli a formarsi opinioni e gusto personali, si dice loro che il tale monumento è bello, il tale altro è imprescindibile, il tale altro ancora è un capolavoro assoluto, e tutta la letteratura di genere (ovvero buona parte di quella divertente) è, nella migliore delle ipotesi, un piacere colpevole e un po’ nocivo come le barrette al caramello. Che cosa ne deduce un implume? Una di due cose, direi – o forse entrambe: che la lettura “vera e propria” è una roba pallosa, e che le opinioni fuori dal coro vanno soffocate in culla. Not good.

Con questo non sto dicendo che se debbano lasciare i fanciulli alla mercé di Geronimo Stilton e della signora Meyer – dininguardi! Dico invece che sarebbe bello e istruttivo abituarli alla gamma di letture più vasta che si può, incuriosirli a sperimentare autori e generi diversi, indurli a tenere duro anche con i libri che non piacciono granché  e, soprattutto, incoraggiarli a capire perché un libro piace o non piace loro. Se devono diventare buoni lettori, non hanno bisogno di sentirsi dire che il Gabbiano JL è un libro meraviglioso: hanno bisogno degli strumenti critici per decidere se lo è no. Hanno bisogno di una mente indipendente. Hanno bisogno di formarsi un gusto, di scegliersi dei criteri, di imparare a difendere le loro opinioni al di là di mi piace/non mi piace.

E come impareranno, se tutto quel che si fa è indottrinarli a credere che l’uno o l’altro libro sia Bello In Assoluto?

Che ne dite?

___________________________________________________

* Questo caso è ancora più subdolo, perché subentra l’ansia da politically correct: se detestate Dan Brown, arrivano gli applausi, se non andate pazzi per Victor Hugo non succede quasi nulla, se non vi piace il Piccolo Principe vi guardano con severa disapprovazione, ma provate ad avanzare dubbi sulla statura letteraria di Tahar Ben Jelloun o Saviano… anatema!

Dieci Libri Sopravvalutati

In questo post Brian Klems dice che tutti, prima o poi, leggiamo un libro perché amici, famigliari, parenti, stampa and world at large ne parlano con incontenibile entusiasmo. Così leggiamo e… “tutto qui?”

A titolo autobiografico, Klems cita Il Grande Gatsby, cui riconosce a monumental place in the history of American literature – solo che a lui non è piaciuto. Lo giudica inferiore ad altri libri che cita, incluso Il Signore Delle Mosche.

E un po’ più sotto, nei commenti, un lettore confessa di avere avuto un’esperienza simile proprio con Il Signore Delle Mosche: sarà pure un pilastro della letteratura contemporanea, ma a lui non è piaciuto. Dove si vede che il concetto di “libro sopravvalutato” non è meno personale di quello di “brutto libro”. Si può credere di avere treni merci di inoppugnabili ragioni estetiche e tecniche per la propria delusione/disapprovazione, ma ci sarà sempre qualcuno pronto a indignarsi: “ma scherzi? È* un libro bellissimo!”

A parte le disparità di gusto, trovo che intervenga un altro fattore. Chiamatela diffidenza, chiamatelo spirito di contraddizione, chiamatelo scetticismo, ma esiste questo meccanismo di difesa che ci conduce a dubitare – a ragione o a torto – di ciò che ci viene decantato con troppo zelo. L’ultima volta che mi ci sono imbattuta è stato la settimana scorsa, e non si trattava di me. Durante una sessione antelucana di NW cercavo di convincere F. a leggere Lord Jim, e lei mi ha detto che raramente legge qualcosa che le viene suggerito col trasporto che ci stavo mettendo, perché ha imparato che la gente persa come me dietro un libro raramente è obbiettiva nel giudizio. E naturalmente mi sarei morsa la lingua, ma devo ammettere che F. ha ragione e anch’io reagisco come lei: rifiuto pervicacemente e, anche quando cedo, parto così prevenuta che di rado apprezzo – specie se c’è hype mediatica all’opera. E se non c’è hype, ma parto con aspettative troppo alte sulla base del luccichio negli occhi del consigliatore, è ancora peggio. 

Per dire:

1) Il Ritratto Di Dorian Gray. Sì, lo so, è grave – tanto che per anni non ho avuto il coraggio di confessarlo. Ma, giacché ne parliamo, non è che non mi sia piaciuto del tutto, solo che mi aspettavo di esserne impressionata di più. Molto di più. Tipico caso in cui troppe aspettative hanno giocato a sfavore del libro.

2) Siddharta. Letto da giovinetta, cedendo all’entusiasmo delle compagne di liceo. E per fortuna non era il mio primo Hesse, o mi sarei scoraggiata subito, perdendomi romanzi che invece ho amato, come Narciso e Boccadoro, Il Giuoco Delle Perle Di Vetro, L’Ultima Estate Di Klingsor, Demian, Gertrud… Quindi spiegatemi: perché Hesse deve essere identificato automaticamente con una delle sue opere più modeste?

3) Il Vecchio E Il Mare. Non ditemi che non è vero: Hemingway era insuperabile nel costruire romanzi con niente. Niente storia, quasi niente caratterizzazione, niente dialogo, niente ricchezza linguistica… Posso apprezzare the technical feat, ma francamente lo apprezzo di più quando si esaurisce in 6 parole anziché in un libro intero.

4) La Guerra Dei Bottoni. Louis Pérgaud, avete presente? Era uno dei libri prediletti di mio padre, che non ebbe pace finché non riuscì a farmelo leggere. Solo che LGDB a lui ricordava tanto la sua infanzia, e a me no. Noia mortale.

5) Dersu Uzala. Idem come sopra, salvo i ricordi d’infanzia. “È così poetico…” *Yawn*.

6) Barnabo Delle Montagne. E sia ben chiaro: a me Buzzati piace – ma se c’è Il Deserto Dei Tartari, a che serve Barnabo?

7) Il Gabbiano Jonathan Livingstone. Probabilmente I’m even mispelling the name. E non andrò nemmeno a controllare per correggerlo. Gabbianastro. Storia banale fino alle lacrime, grondante saccarina e scritta in modo indifferente. Qualcuno mi spiega perché deve essere considerata una lettura irrinunciabile?

8) Il Piccolo Principe. Chi mi legge da un po’ si stava chiedendo: “e come mai non ci ha ancora messo il PP?” Eccolo qui. Idem come sopra – anche se forse è scritto meglio. Un pochino meglio.

9) Ulisse. I’m of two minds here. Come Klems per Fitzgerald, riconosco lo status di monumento letterario, e in più ammiro la sperimentazione tecnica. Detto questo, non sono riuscita a finirlo, perché mi annoiavo oltre ogni dire. Una volta apprezzata l’originalità, nel giro di una cinquantina di pagine, ero satolla. Non ne volevo più. Non ne potevo più. Credo di aver tirato pagina 100 con le unghie e con i denti, prima di decidere che avevo sparso abbastanza lacrime, sudore e acido gastrico per la causa del flusso di coscienza.

10) Il Pendolo Di Foucault**. Sono certa che Eco si diverte un mondo a scrivere quei ciclopici tomi che traboccano erudizione… ma siamo sinceri: quanti apprezzano davvero Il Pendolo di Foucault? Quanti l’hanno letto davvero tutto senza saltare nemmeno un paragrafo***? E senza chiedersi mai nemmeno una volta quanto ne manca ancora?

E qui mi dovrei fermare ma non posso fare a meno di infilare di soppiatto un numero: 11) tutto Baricco. Baricco non narra nulla. Affastella periodi turgidi e fioriti, tratta il lettore con condiscendenza e, al tempo stesso, gli strizza l’occhio: non siamo gente raffinata e piena d’immaginazione tu e io, O Lettore? Ecco, no.

Quindi direi che per me si tratta di un misto di aspettative troppo elevate, eccesso di zelo altrui e sinceri dubbi di suggestione collettiva.

E voi? Quali libri vi hanno lasciato a chiedervi “tutto qui?” E soprattutto: perché?

 

______________________________________________

* Renzo, se stai leggendo: sei fiero di me? Tutte le È maiuscole accentate giuste, adesso. Ti sarò grata in eterno.

** E qui francamente potete sostituire a piacere con L’Isola Del Giorno Dopo o Baudolino

*** Questo, in realtà, potrebbe valere anche per Il Nome Della Rosa, che non è davvero sopravvalutato, solo implausibilmente popolare.

Libri Perduti, Libri Ritrovati

betty smith, un albero cresce a brooklyn, libri, lettureNon vi è mai capitato di leggere da qualche parte una pagina di un libro, innamorarvene, volerlo leggere tutto e poi – per un motivo o per l’altro – non riuscirci?

Ne avete trovato una pagina su un’antologia, oppure avete ricevuto un prestito volante, oppure lo avete sfogliato su una bancarella e poi lasciato lì, o ne avete sentito leggere uno scrap alla radio. E dopo… magari avete annotato il titolo e perso il foglietto, oppure ve ne siete semplicemente dimenticati, benché foste certi di non farlo. Può anche darsi che non abbiate mai saputo chi fosse l’autore. Succede.

Però vi resta una curiosità, una nostalgia, un desiderio di leggere o rileggere, di sapere che mai succede a quel personaggio che vi aveva intrigato. Ogni tanto vi torna in mente, qualche volta vi capita persino di chiedere notizie a quell’amico che legge di tutto: “hai presente un libro in cui succede questo, questo e questo? Non so di chi sia. C’è un protagonista così e così, è ambientato nel tal posto, nell’epoca tale…”  O magari provate a consultare qualche libraio, non mancate mai di scrutare le bancarelle di libri usati e ripescate in soffitta le vecchie antologie. Oppure, una delle volte in cui vi torna in mente e capita che siate al computer, vi affidate a Google.

E in un modo o nell’altro, se persistete a sufficienza, finirete col trovarlo. Il libro salterà fuori su una bancarella o su internet, ritroverete il pezzetto di carta con il vostro appunto o l’antologia rilevante…

Ed eccovi lì, con il vostro Libro Ritrovato, e anni di ricordi deformati e aspettative irragionevoli fanno crepitare l’aria tra voi e il bottino. Ed esitate un po’, perché sapete che la lettura non sarà come la ricordate e come ve la aspettate. Dopo tutto può darsi che il libro non vi piaccia nemmeno, o che non sia quello che credevate. Magari il brano che ricordate riguardava un aspetto marginale o un personaggio secondario – per cui state per leggere tutt’altro. betty smith, un albero cresce a brooklyn, libri, letture

Il discorso non è completamente privo di riferimenti a fatti o persone reali: ho appena caricato sul mio Kindle un ritrovamento: A Tree Grows In Brooklyn, di Betty Smith, di cui ricordavo un brano letto su un’antologia venticinque anni fa. S’intitolava Francie e i libri. Me lo ricordo con una certa precisione – la biblioteca dove Francie prendeva in prestito le sue letture, i nasturzi così belli che guardarli le faceva male, il piccolo vaso panciuto per la colla, il nascondiglio per leggere, la coppa di vetro blu incrinata per le caramelle alla menta bianche e rosa, l’assenza del bambino dei vicini che giocava sempre “al funerale” seppellendo insetti nelle scatole da fiammiferi… Francie aveva deciso di leggere tutti i libri della biblioteca, e ne prendeva a prestito uno ogni giorno – due al sabato. E da quando aveva scoperto Amore mio se fossi re, una biografia romanzata di François Villon, lo riprendeva ogni sabato per rileggerlo. Aveva persino cominciato a copiarlo a matita su un quadernetto da 2 cents, ma non era lo stesso. All’epoca avevo persino trovato un nascondiglio per leggere, e le caramelle di menta bianche e rosa da tenere in una coppa di vetro. E so di avere assorbito un modo di dire da quella pagina…

Ecco, adesso ce l’ho, il libro. Il libro che mi ha influenzata senza che lo abbia letto per davvero. Adesso ce l’ho – originale, formato ebook – e sono pronta a leggerlo. Sto per conoscere Francie Nolan per davvero, dopo che, per un quarto di secolo, l’ho ricordata per Villon e le caramelle alla menta. Vi farò sapere.

E già che ci siamo: qualcuno ha idea di che cosa possa essere un lavoro teatrale tradotto dall’Inglese, in cui una giovane donna, dopo la sua morte, ottiene di poter tornare per una giornata con i suoi cari, nonostante le altre anime glielo sconsiglino caldamente? E quando è tornata, scegliendo un giorno di compleanno, è terribile, perché i suoi famigliari lo vivono come era accaduto a suo tempo, senza dare ascolto alla protagonista che li prega di rallentare, di godersi ogni momento, di non dare per scontato la serenità e l’affetto… Avete idea?

E voi? Non avete qualche Libro Perduto? Il lontano ricordo, o l’impressione, o il pezzetto di un libro che non riuscite a identificare?

_____________________________________________________

Oh, e semmai fosse venuta la curiosità anche a voi…

 

 

Gen 9, 2011 - Spigolando nella rete    2 Comments

Libro Origami

No, non un libro sugli origami, ma un libriccino fatto piegando e ripiegando pazientemente un foglio di carta…

Avendo io la manualità di un canguro con le zampe anteriori ingessate, dubito che ne sarò mai capace, ma vorrei tanto…

 E’ possibile che sappiate come passerò la giornata – se non divento idrofoba al quarto fallimento… Buona domenica!

Mag 10, 2010 - anglomaniac, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Libri In Regalo

Libri In Regalo

Mi è capitato qualcosa che mi ha riportata alla lontana infanzia.

A titolo di regalo di compleanno tardivo, sono stata rapita e condotta in libreria, con l’ingiunzione di scegliere “dei libri”. Da anni acquisto la maggior parte dei miei libri su Internet (adesso, poi, li scarico direttamente sul Kindle), e quindi già la cosa in sé è stata molto sul genere tè-al-tiglio-e-madeleine. Ho girellato tra gli scaffali con quel senso di anticipazione e di scoperta che un tempo apparteneva alle sere di Santa Lucia – assoluta delizia!

E alla fine ho scelto Il Grande Gioco, di Peter Hopkirk, una magnifica storia della guerra di spionaggio tra Inglesi e Russi in Asia Centrale – praticamente lo sfondo di tante storie di Kipling! – e L’Uomo Dagli Occhi Glauchi, di Patrizia Debicke Van der Noot, romanzo storico incentrato su un meraviglioso ritratto tizianesco e sul servizio di spionaggio di Robert Cecil. 

E’ stato un incantevole regalo di compleanno. O di non-compleanno, se vogliamo virare sul carroliano – e io vorrei, perché il tutto è stato davvero un po’ nonsense.

Per di più, sabato è arrivato per posta The Infernal World of Branwell Bronte, di Daphne Du Maurier, e quindi adesso ho una piccola pila di tre libri che voglio tanto leggere, ma al momento non ho davvero tempo: se ne stanno lì, uno sopra l’altro come sirene rilegate, mi guardano ogni volta che passo nelle vicinanze, ammiccano, mi chiamano… Leggici, leggici, leggici! Lascia perdere il Riccio, dimenticati quel che devi recensire, prenditi una vacanzuola dalla storia bizantina. Leggi noi, noi, noi…

Per ora resisto, legata alla sedia maestra e con striscioline di to-do-lists appallottolate nelle orecchie. Fino a quando? Non si sa. 

Apr 24, 2010 - Spigolando nella rete    Commenti disabilitati su A Proposito di Fanfiction

A Proposito di Fanfiction

Per molto tempo ho pensato che fanfiction si traducesse come “adolescenti che, invece di fare i compiti, scribacchiano versioni idealizzate di se stesse in rimasticature di episodi del telefilm preferito”. Poi un’amica inglese mi ha confessato di scrivere fanfiction, e siccome la signora in questione ha due lauree e sta concludendo il secondo dottorato, e scrive divinamente, mi sono domandata se non mi fosse sfuggito qualcosa.

La risposta è sì. Guidata da V., a suo tempo, ho svolto qualche piccola indagine, scoprendo in rete una popolazione variegatissima, principalmente femminile – ma non solo – dalle adolescenti di cui si diceva fino alle insospettabili docenti universitarie: scrivono, scrivono, scrivono. Prendono personaggi altrui, li fanno agire, li interpretano, li cambiano, allungano o accorciano loro la vita, li fanno interagire con personaggi di loro creazione, con versioni di persone reali, con personaggi di altra provenienza. Qualora non bastasse, discutono, discutono, discutono. Si accendono zuffe furibonde su date, eventi, caratterizzazioni, pairings… hanno un glossario comune che distingue generi e convenzioni, e poi ogni fandom ha il suo canone, il suo universo, le sue communities, le sue usanze e i suoi tabù.

La qualità della scrittura varia abissalmente, e la sorpresa non è tanto trovare montagne di wishful writing ai limiti dell’analfabetismo, quanto imbattersi – e nemmeno troppo di rado – in storie complesse, articolate, assai ben scritte. Annoto due particolari: uno è che il livello tende a variare da fandom a fandom: è più facile trovare buona scrittura attorno a film di nicchia o serie di culto Anni Sessanta che attorno a telefilm adolescenziali, mentre per tutto ciò che è molto popolare c’è davvero di tutto. In secondo luogo, il fenomeno sembra più variegato e diffuso nel mondo anglosassone: in Italia tende ad essere limitato alle adolescenti che si aggiungono, descrivendosi coraggiosissime, bellissime e affascinantissime, nella trama del Signore degli Anelli.

Non dico che non tornerò sul fenomeno, perché presenta tutta una collezione di significative bizzarrie, ma per oggi vorrei soffermarmi sul sorprendente fatto che c’è anche chi scrive fanfiction a sfondo letterario. Questi sono un po’ di numeri presi dall’indice della sezione Books di Fanfiction.net. Ora, FF non è precisamente la crema dell’ambiente, e le communities dedicate lo guardano un po’ dall’alto in basso, ma è interessante perché ci si trova di tutto, e consente piccole indagini comparative. Per esempio:

1984, di George Orwell: 198 storie. L’avreste mai detto? Io, francamente, no.

Eneide: ebbene sì, c’è persino una fanfiction sull’Eneide: l’ipotesi sembra essere che nel Libro IV Enea non abbandoni Didone, ma non ho avuto il coraggio di leggere fino in fondo.

– Alexandre Dumas: in generale, 157 storie, più 24 storie per Il Conte di Montecristo.

– Tennyson: due poesie imitative, ispirate a The Lady of Shallot.

Angeli e Demoni: 55 storie, più 247 storie per Il Codice Da Vinci. Poche, tutto considerato.

– La Bibbia: 2862 storie. Don’t. Ask.

I Racconti di Canterbury: 9 storie.

Don Quixote: 7 storie.

– Edgar Allan Poe: 177 tra storie e poesie.

Farenheit 451: 28 storie.

Via Col Vento: 587 storie.

Harry Potter: 452.391, non del tutto imprevedibilmente.

Le Storie di Erodoto: 6 storie.

Jane Eyre: 207 storie.

Il Cacciatore di Aquiloni: 6 storie.

I Miserabili: 1838 storie (ma bisogna considerare anche l’influenza del musical).

Lolita: 1 storia.

Il Piccolo Principe: 2 storie (pensavate di più, eh?).

Il Signore degli Anelli: 43.176, 2580 e qualcosa per Il Silmarillion e solo 27 per Lo Hobbit.

Le Metamorfosi di Ovidio: 5 storie.

Moby Dick: 3 storie.

Twilight: 142.128 storie.

Tenera è la Notte: 68 storie.

L’elenco completo è molto più lungo e comprende, tra l’altro, un’unica categoria in Italiano per Scusa, ma ti chiamo amore, che risulta misericordiosamente vuota. Mi pareva di ricordare di avere visto una consistente categoria dedicata a Shakespeare, ma non la vedo più. I numeri sono istruttivi, ma questo non è tutto il punto.

A parte tutto, non posso fare a meno di essere affascinata da tutte queste persone che, nel loro tempo libero (o invece di fare i compiti), appiccano seguiti, finali alternativi e scene aggiuntive a Ovidio, Chaucer e la Bibbia. Voi no? 

 

Apr 19, 2010 - cinema, libri, libri e libri, Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Sempre di Film e di Libri

Sempre di Film e di Libri

Questo post è un enorme spoiler – lo dico perché una volta su aNobii sono stata vigorosamente accusata di avere spoiled il finale del Gattopardo…

Ad ogni modo, se leggete i libri per sapere come vanno a finire, fermatevi qui. Se v’interessa la meccanica delle storie, qui sotto c’è un’analisi comparata della Struttura In Tre Atti e Tre Disastri di Morality Play – Lo Spettacolo Della Vita, di Barry Unsworth, e di The Reckoning, il film che Paul McGuigan ha tratto dal romanzo.

Morality Play – Lo Spettacolo della Vita

The Reckoning

ATTO I

Nicholas Barber, un giovane prete in fuga dalla sua diocesi per avere conosciuto (senso biblico) una donna, si unisce a una compagnia di attori in viaggio e, insieme a loro, raggiunge una cittadina ancora scossa dall’assassinio di un bambino. Gli attori hanno bisogno di denaro per far seppellire un loro compagno, morto durante il viaggio, e mettono in scena una rappresentazione sacra nella piazza.

Nicholas, un giovane prete, fugge attraverso i boschi, si taglia i capelli per nascondere la tonsura e getta nel fiume il suo abito religioso – e nel frattempo ricorda la sua parrocchia, la giovane donna con cui ha commesso adulterio, e il marito di lei che li ha sorpresi in flagrante delicto.

DISASTRO n° 1

La rappresentazione va molto male e la compagnia è in bolletta. Il capocomico propone di provare un dramma di nuovo genere, ispirato all’omicidio appena avvenuto.

Nel bosco, Nicholas crede di assistere a un omicidio. Scoperto e catturato da quelli che in realtà sono attori girovaghi che assistono un compagno moribondo, decide di unirsi a loro.

ATTO II (parte I)

Per preparare il nuovo dramma, gli attori, e Nicholas con loro, fanno domande ai cittadini, raccogliendo informazioni sul bambino morto, sulla ragazza accusata del delitto, e sul confessore del signore locale, che ha scoperto le prove della sua colpevolezza. Una volta messa in scena, la storia non risulta convincente nella sua conclusione, ma raccoglie molto denaro, e gli attori decidono di ripeterla l’indomani, in occasione della fiera.

Insieme agli attori, Nicholas giunge in un villaggio dove è appena avvenuto un omicidio. Non potendo pagare il funerale, gli attori seppelliscono clandestinamente il loro compagno nella tomba del ragazzo assassinato e Nicholas officia il rito, rivelando di essere un prete. Impossibilitati a proseguire per un guasto al carro e a corto di denaro dopo una disastrosa rappresentazione sacra, gli attori si lasciano convincere dal capocomico Martin a mettere in scena un nuovo tipo di dramma, ispirato all’omicidio appena compiuto. Dopo avere incontrato la donna accusata del delitto, Nicholas prende parte alla rappresentazione, ma la logica della storia e le reazioni del pubblico non lo convincono. Gli attori non gli danno retta e si dispongono a partire l’indomani con il carro riparato.

DISASTRO n° 2

Per raccogliere ulteriori informazioni, il capocomico Martin visita in prigione la ragazza condannata all’impiccagione, se ne innamora, si convince della sua colpevolezza e decide di servirsi del dramma per scagionarla.

Riesumando il corpo del ragazzo assassinato, Nicholas vi scopre segni di violenza e i primi sintomi della peste, e rifiuta di partire con gli attori, lasciando che una donna innocente venga impiccata per un omicidio che non ha commesso.

ATTO II (parte II)

Durante la seconda rappresentazione, trascinati da Martin, gli attori dimostrano logicamente l’inconsistenza delle accuse del confessore. Il pubblico è sconvolto, e lo ancora di più quando arriva la notizia della morte del confessore. Impauriti dalle conseguenze delle loro azioni, gli attori si ribellano a Martin, e dichiarano l’intenzione di partire immediatamente.

Nicholas interroga il confessore del castellano, la cui testimonianza è stata risolutiva nella condanna della donna, e il monaco risponde ambiguamente, lasciando intendere di avere agito per ordini altrui. Poco dopo, il confessore viene ucciso simulando un suicidio. Con l’aiuto degli attori tornati a sostenerlo, Nicholas ferma l’esecuzione e denuncia alla folla la responsabilità del castellano. All’arrivo delle guardie, l’intera compagnia si rifugia nella chiesa, dove trova il castellano.

DISASTRO n° 3

I soldati del signore locale prelevano gli attori e li conducono al castello – nominalmente per recitare davanti al castellano, ma di fatto prigionieri.

Nicholas affronta il castellano con le prove della sua colpevolezza e rivelandogli la presenza del Giudice al villaggio. Quando il nobiluomo dichiara orgogliosamente la propria immunità dalla giustizia, Nicholas gli rivela che il ragazzo da lui violentato aveva la peste. Il castellano pugnala Nicholas.

ATTO III

Condotti davanti al castellano, gli attori danno inizio ad una terza rappresentazione, nel corso della quale Martin accusa, dapprima copertamente e poi con sempre maggiore sicurezza, “colui che il confessore serviva”. Il dramma è interrotto dalla figlia del castellano, venuta a chiedere l’assistenza religiosa di Nicholas per un moribondo. Separato dai suoi compagni, Nicholas fugge dal castello e raggiunge il Giudice del Re che alloggia in città, al quale riferisce la situazione. Il Giudice rivela a Nicholas di essere venuto ad arrestare il figlio del castellano, colpevole di avere violentato e ucciso quattro bambini, e promette di far rilasciare gli attori.

La folla, inferocita dall’omicidio del bambino, dal tentativo di far condannare un innocente e dall’attacco a Nicholas, assalta il castellano e lo uccide. Nicholas muore, e gli attori si preparano a lasciare il villaggio, dichiarando l’intenzione di continuare a rappresentare il nuovo dramma in omaggio a Nicholas, morto per amor di giustizia e verità.

Notate come alcuni eventi siano stati spostati (ad esempio l’incontro con la donna condannata a morte), e come il film tagli sulla preparazione del dramma, e sula parte che esso ha nel disvelamento della verità. Notate anche il finale del film, molto più drammatico di quello del romanzo.

Ma la differenza più significativa, strutturalmente parlando, risiede nel punto di vista. Nel romanzo, Nicholas è il narratore in prima persona e il testimone degli eventi, ma la storia è incentrata su tutta la compagnia, e sul dramma, per cui i disastri sono tali dal punto di vista collettivo degli attori. Nel film, invece, Nicholas è il protagonista e il propulsore degli eventi, e i disastri costituiscono gli snodi della sua vicenda e della sua indagine.

Nel libro, Martin comincia per amore dell’arte e poi prosegue per amore della ragazza muta. Alla fine molti interrogativi rimangono aperti (che sarà successo agli attori nel frattempo? Cosa ne sarà della compagnia che è venuta meno al suo ingaggio? Vorranno ancora gli attori fidarsi di Martin? Nicholas resterà con loro?) ma la cosa importante è che il dramma, come esperienza di arte e conoscenza, e come simbolo dell’avventurarsi della mente umana in territorio inesplorato, ha condotto alla verità e alla giustizia. Nel film, al contrario, Nicholas* agisce fin dapprincipio per amor di giustizia, e così va incontro alla sua fine. E’ la sua ostinazione a portare alla luce la verità e scagionare l’innocente, e alla fine tutte le domande trovano risposta.

Francamente, l’arco narrativo del film è più solido, ma al romanzo resta la superiorità di una magnifica, originale e potente metafora della conoscenza che il film sacrifica alla trama gialla.

______________________________________________________________

* Vero è che nel film Nicholas ha anche ucciso il marito della sua bella, per cui ha più da redimere e meno da perdere… Ma, a parte le motivazioni del tutto diverse, il Nicholas del libro e quello del film non hanno poi molto in comune.

Apr 15, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Non i miei dieci libri preferiti, ma dieci libri che sono davvero seccata di non avere scritto io. E’ diverso.

1) Lord Jim, di Joseph Conrad. Ma va’? direte voi. E’ una questione di potenza, di bellezza, d’intensità e di nitidezza. Nonostante la selva di narrazioni indirette, Conrad riesce a mettere tutto quanto in una prospettiva vertiginosa, centrata su un singolo errore del protagonista, conseguenza dopo conseguenza. Credo che potrei mentire, rubare, truffare e uccidere per saper fare questo…

2) History Play, di Rodney Bolt. Il più brillante, raffinato, intelligente e spiritoso gioco letterario che mi sia capitato di leggere – e ci sono pure cascata in pieno. Ci ho messo un bel po’ di pagine a capire che i dubbi su Shakespeare erano costruiti ad arte e che parte delle fonti erano immaginarie… e quando me ne sono accorta, ero talmente catturata dal gioco che non mi sono nemmeno seccata. Vorrei saper barare con tanta finezza e grazia.

3) Un Uomo Per Tutte Le Stagioni, di Robert Bolt*. Francamente non è che mi piaccia molto, e di sicuro non ho simpatia per Thomas More, ma accidenti, se vorrei saper mettere in scena dei personaggi storici (per tacere dell’occasionale figura allegorica) e farli parlare di ragion di stato, di Dio, di coscienza e di massimi sistemi con la plausibilità e naturalezza che a Bolt riesce così bene!

4) Poesie, di Emily Dickinson. Non scrivo poesia, ma quelle immagini che ti folgorano come un raggio di luce improvvisa e poi ti rimangono dentro, lustre e taglienti come gemme, chi è che non vorrebbe saperle mettere su carta?

5) Gli Ultimi Giorni di Costantinopoli, di Sir Steven Runciman. E’ rigorosissimo, ma si legge come un romanzo; è ricco e tumultuoso, e perfettamente chiaro al tempo stesso; e fa sperare, gioire e soffrire con i difensori, anche se sappiamo tutti benissimo come va a finire. Storia scritta al livello più entusiasmante.

6) Un libro qualsiasi di Gerald Durrel. Con la possibile eccezione di Storie Dal Mio Zoo, che posso accettare serenamente di non avere scritto io, sono tutti piccoli capolavori di humour leggermente surreale, memorie famigliari, viaggi e divulgazione scientifica, frullati con un’apparenza di disinvoltura noncurante che è tutta la mia invidia.

7) Kipling, di Renato Serra. Un gioiello di critica letteraria per profondità, intuizione, spessore, entusiasmo contagioso e bellezza della scrittura. E’ semplicemente impossibile non lasciarsi trascinare da Serra.

8) Annibale, di Gianni Granzotto. Letto e riletto così tante volte che la copertina si sta sbriciolando: una combinazione perfetta ed appassionante di rigore storico, capacità divulgativa e adesione profonda al personaggio, con l’occasionale speculazione intelligente.

9) La Figlia Del Tempo, di Josephine Tey. Già il fatto di dare ritmo a un giallo in cui l’investigatore è a letto con una vertebra fratturata non è impresa da poco. Qualora non bastasse, il giallo diventa una meravigliosa riflessione sulla storia e sulla verità, ed è anche condito di dialoghi scintillanti. Molto vicino alla mia idea di perfezione, grazie.

10) Il Pozzo Delle Trame Perdute, di Jasper fforde. Magari la trama non è la più tesa e compatta fra le avventure di Thursday Next ma, per una volta, non m’importa: è alla meravigliosa burocrazia del mondo dei libri, agli artigiani che producono pezzi di ricambio per i romanzi, al Gatto del Cheshire bibliotecario e a tutto questo splendore d’invenzioni metaletterarie che vorrei avere pensato io!

E poi, a dire il vero, è dura fermarsi qui**. La scelta non è stata facile: sono molti i libri che ammiro, e l’elenco si allunga continuamente (cosa che prendo per un buon segno). Però questa lista è già indicativa di quello che voglio non solo da quello che leggo, ma da me stessa quando scrivo. A giudicare dai titoli qui sopra, direi che intensità, idee, rigore, vividezza e personaggi che non si dimenticano sono sul menu, con un po’ di nonsense per dessert.

__________________________________________________________________________

* Non avevo mai fatto caso all’omonimia con l’autore precedente. Non so se ci sia parentela.

** Tant’è vero che debbo citarne almeno un altro: Jonathan Strange e il Signor Norrel, di Susanna Clarke, non foss’altro che per la brillante idea dei maghi inglesi che confondono le idee alle truppe napoleoniche spostando a destra e a manca strade, fiumi e villaggi di Spagna!

 

Apr 14, 2010 - libri, libri e libri, Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Liberamente Tratto – Parte II

Liberamente Tratto – Parte II

morality.jpgParlavamo di libri&film, ricordate?

Qualche tempo fa ho inavvertitamente noleggiato un film chiamato The Reckoning, con Paul Bettany* e Willem Dafoe, credendo che parlasse di Christoper Marlowe. Insomma, c’era il titolo, c’era il “boh, credo che parli di attori, di teatro…” di M.T… Come potevo non pensare che parlasse di Marlowe?

Invece era tutt’altro, la storia di un giovane prete nei guai che, nell’Inghilterra del tardo Trecento, si unisce a una compagnia di attori girovaghi. Naturalmente accadono cose impreviste, hanno bisogno di denaro, hanno un capocomico con delle idee eterodosse, c’è un omicidio… E’ un buon film, cupo e asciutto, ben fatto e bene ambientato, con un numero limitato di anacronismi minori, un arco narrativo solido e un finale parzialmente inaspettato. Se ho un’obiezione, è che è doppiato così così. Di solito i doppiatori italiani sono stratosferici… qui non proprio, ma pazienza – un momento o l’altro troverò il modo di vederlo in versione originale.

A film visto e restituito, una rapida indagine ha rivelato che The Reckoning è tratto da un romanzo storico di Barry Unsworth, Morality Play, tradotto in Italia come Lo Spettacolo della Vita (Frassinelli 1997, poi CDE 1998), e ho deciso che dovevo leggerlo. E’ stata una buona idea. Non è bizzarro come a volte un caso si leghi a un altro caso? Morality Play, scoperto noleggiando il film sbagliato, si è rivelato uno dei migliori libri che abbia letto da qualche tempo in qua.

Se vi capita, leggetelo, perché Unsworth sa il suo mestiere, ha un favoloso senso del periodo e sa come trasmetterlo vividamente al lettore. Nicholas Barber, narratore in prima persona, è credibile e attraente fin dalla prima riga: il suo sistema di valori, il suo terrore dell’inferno, il suo rimpianto per i suoi peccati e per il mantello perso, i suoi piccoli sfoggi di latino, di logica e di teologia suonano sinceri e perfettamente medievali. Il linguaggio è meraviglioso: niente contrazioni, qualche costruzione arcaica, un lessico pertinentissimo senza stravaganze**, ed abbiamo questo senso di secoli passati, ma non di estraneità. Poi non tutto è perfetto: il finale è un po’ floscio rispetto al resto della storia (anche se devo ammettere che la conversazione notturna con il giudice itinerante trasmette un serio senso di spiazzamento e di conclusione al tempo stesso: l’atmosfera è giusta, peccato che gli eventi siano tronchi), sir Roger de Yarm sembra un personaggio un po’ buttato lì, e non tutto è debitamente risolto. Ma la cosa davvero straordinaria è il modo in cui l’arte dei teatranti viene usata a fini narrativi. I dettagli della vita quotidiana della compagnia, pittoreschi e mai gratuiti, sono di per sé una gioia, ma Unsworth fa ben di più che portarci dietro le quinte. Morality Play è un giallo, in qualche modo, ma per una volta, individuare il colpevole e gl’innocenti prima di subito non toglie granché alla lettura. Quello che importa è il modo in cui la preparazione di un dramma diverso dai canoni viene usata per risolvere il delitto. Il teatro assurge da forma d’arte a forma di conoscenza: gli attori abbandonano il repertorio della sacra rappresentazione per l’ambizione del capocomico Martin, un visionario ansioso di sperimentare forme nuove, ma poi continuano trascinati dal modo in cui la logica narrativa del dramma rifiuta le facili soluzioni per l’omicidio commesso nel villaggio. Il dramma viene recitato tre volte, e ogni volta cambia e ramifica in direzioni diverse, sulla base di nuovi elementi che da soli non sembravano significare molto, ma che prendono vita appena portati in scena. Arte, conoscenza, verità e paura s’intrecciano in modo sempre più intricato, portando Nicholas e i suoi nuovi amici in direzioni inattese e molto, molto pericolose. E’ un po’ un peccato che tanta tensione non regga fino alla fine, ma l’insieme è così intelligente e profondo che si possono perdonare molte cose.

E il film? Ecco, il film è tutta un’altra cosa. Ho già detto che è un buon film, ma pur essendo tratto dal libro, non si può negare che racconti un’altra storia. I personaggi portano gli stessi nomi (tranne un paio di casi, per motivi meglio noti alla divinità che veglia sui cervelli dei produttori), ma sono molto diversi, così come sono molto diversi i rapporti tra loro, i loro peccati e le loro intenzioni. Più cinematografici, si capisce. E più cinematografico è il finale che, una volta di più, mette tutta la vicenda in una luce completamente diversa.

Ora, il fatto è che sarebbe stato impossibile finire il film nel modo in cui finisce il libro, o caratterizzare i personaggi del film come quelli del libro, o tenerli lungamente a guardare un torneo da una finestra, o lasciare al dramma, alla sua preparazione e alle sue implicazioni intellettuali il peso che hanno nel libro. Non avrebbe mai funzionato sullo schermo, e questo è fuori discussione. Però, per renderlo cinematografico, gli sceneggiatori hanno dovuto amputare a Morality Play proprio quegli aspetti che ne fanno un libro straordinario. Hanno fatto, tutto considerato, un buon lavoro, ma hanno raccontato un’altra storia, con un significato diverso e gente diversa. Che cosa dobbiamo dedurne? Probabilmente che Morality Play non si prestava ad essere ridotto per lo schermo. E allora? Vale davvero la pena di trarre un film da un libro che non si presta?

Lo dico una terza volta, a scanso di equivoci: The Reckoning è un buon film, molto buono, ma con Morality Play ha in comune l’ambientazione, alcuni nomi, l’atmosfera cupa e la forma base della trama. Come si chiama, davvero, il rapporto tra film e libro in un caso come questo?

Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensa Barry Unsworth.

______________________________________________________________

* Sì, mi piace Paul Bettany, perché?

** Credo che persino Josephine Tey l’avrebbe considerato accettabile.

Mar 22, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su La Sovrana Lettrice

La Sovrana Lettrice

Alan Bennet è, fra l’altro, l’autore de La Pazzia di Re Giorgio, un testo teatrale intelligente, raffinato e amarognolo, da cui è stato tratto anche un film. Sia in teatro che sugli schermi, Re Giorgio era Nigel Hawthorne, e ho ancora il rimpianto di non essere riuscita a procurarmi un biglietto per vedere la commedia al Festival di Edimburgo.

Nel 2007, sedici anni dopo Re Giorgio III e la sua supposta porfiria, Bennet è tornato ad occuparsi della Corona d’Inghilterra (e delle teste che la portano), con The Uncommon Reader, tradotto in Italiano come La Sovrana Lettrice. La “paziente” questa volta è Elisabetta II, e la “malattia” è meno preoccupante della porfiria: tutto comincia quando la Regina scopre il piacere della lettura, che una vita fitta d’impegni regali non le ha mai permesso di coltivare. Ma naturalmente nulla è del tutto privato a Buckingham Palace: l’improvvisa passione per i libri non è senza conseguenze per Sua Maestà, il numerosissimo (e alquanto cinico) staff che la circonda, i sudditi  in udienza e, in definitiva, tutta l’Inghilterra…

Bennet dipinge un quadro graffiante della monarchia inglese, ma la Regina ne esce a testa alta – altissima – come una deliziosa anziana signora, lievemente eccentrica, ma di buon senso, determinata e provvista di un certo tipo di sovrano candore. Benché gli eventi siano immaginari, mi piace immaginare che il ritratto sia, almeno in parte, veritiero: l’idea della Regina d’Inghilterra che discute di Dickens con i suoi sudditi in udienza è troppo incantevole per essere completamente dismessa.

La Sovrana Lettrice (gradevolissima traduzione di Monica Pavani per Adelphi) è un libro di una sera, delizioso, spassosissimo e intelligente. Dall’iniziale sconforto del Presidente della Repubblica Francese interrogato su Jean Genet, Bennet ci conduce, di libro in libro, fino al coup de théatre finale – proprio all’ultima riga – regalandoci una piccola storia perfetta, leggermente nonsense e dalla prospettiva inattesa. E, volendo, c’è anche di che meditare: di più non si può chiedere.

Pagine:«1234567»