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Set 26, 2014 - grilloleggente    3 Comments

Dieci Libri – La Lista Bigia

charlie-brown-heavy-bookParlavamo di libri che ci influenzano, ricordate? Libri a cui siamo legati – e avanzavamo il dubbio che questo possa accadere nel bene e nel male… Dove sono quei libri che ci hanno segnati – ma non troppo felicemente? Ebbene, non so voi – ma ecco la mia…

Lista Bigia

1. Il Piccolo Principe. Che devo dire? Ammesso che non sia nata cinica, Saint-Éxupéry mi ci ha resa prima dei quattro anni. E insisto nel dire che nessuna volpe che si rispetti chiederebbe mai di essere addomesticata.

2. La Bambinaia Francese. E non so, magari da piccola Bianca Pitzorno non mi dispiaceva nemmeno del tutto – ma una lettura della sua prima opera di “narrativa adulta” mi è bastata per sviluppare un’allergia violentissima nei confronti dell’anacronismo psicologico.

3. Cristoforo Colombo. E questo a suo modo è bizzarro, considerando quanto di Granzotto adoro l’Annibale… Ma letta a dodici anni per l’ora di narrativa, corredata di uno di quei terribili apparati didattici, questa biografia mi parve della stessa qualità essenziale delle piastrelle di marmo. Non solo m’indusse un’antipatia per il povero Colombo che non ho ancora superato, ma poco mancò che mi alienasse definitivamente dalla lettura delle biografie.

4. Tra gli Orrori del Duemila. Anche di questo ho già parlato. Qui basterà dire che Chelsea Quinn Yarbro fu più efficace di Granzotto: non solo soffrii di incubi per un’estate intera, ma tutt’ora – e sono passati quasi trentacinque anni – non leggo volentieri fantascienza.

5. Gertrud. No, sia chiaro – mi è piaciuto, forse è uno dei miei Hesse preferiti. Però prima di leggere Gertrud ero certa che in un’altra vita avrei suonato in un’orchestra. Dopo Gertrud… be’, non più.

6. L’Eneide. letta male, letta al momento sbagliato, letta in brutta traduzione… non so. O forse è davvero solo questione del Pio Enea… Come che sia, l’Eneide ha scatenato in me un’avversione a Virgilio del tutto irragionevole. C’è voluto Seamus Heaney perché la superassi.

7. Oliver Twist. Letto nell’infanzia, assieme a David Copperfield, in traduzioni condensate e sanitizzate per i fanciulli. La concentrazione di zucchero rischiò di uccidere la potenziale dickensiana che era in me. Di sicuro fece molto per curare qualsiasi residua inclinazione sentimentale mi fosse rimasta dopo il PP. C’è di buono che così, quando molti anni più tardi arrivai a The Old Curiosity Shop, ero abbastanza vaccinata da poter proseguire la lettura nonostante Nell. C’è di cattivo che ancora adesso sono così ossessionata dal terrore di scrivere zuccherosità che fa male a guardarmi. Too_Many_Books_student

8. L’Aristocrazia Bizantina. Questa non so se considerarla un’influenza per il bene o per il male. Una delle letture più aride e pesanti della mia vita – e a me la storia bizantina piace proprio tanto – e il primo libro che abbia consapevolmente abbandonato da adulta. Anche da bambina, devo dire, tendevo a finire tutto quel che iniziavo (con poche eccezioni – Tarzan being one). Il senso di colpa da libro abbandonato era invincibilmente forte… Ci vollero Ronchey e Kazhdan per liberarmene una volta per tutte.

9. Un Americano alla Corte di Re Artù. E perché mai, povero Twain? Ecco, il fatto è che all’epoca soffrivo di medievite. Una forma particolarmente forte. Non c’era altro che il Medio Evo. E mi prendevo sul serio assai, in proposito – in un modo che sarebbe stato imbarazzante se non avessi avuto una decina d’anni. Vederci fare su dell’ironia… well, we were not amused. Da un lato scoprii che, quando si trattava delle mie infatuazioni, il mio senso dell’umorismo si prendeva un giorno di ferie.* Dall’altro, fu l’inizio della fine dell’infatuazione stessa – insieme al Cavaliere Inesistente.

10. Viaggio a Izu. Questo non l’ho letto in senso stretto. L’ho sentito recitare. In un giardino. Al tramonto. E sono certa che la colpa è mia, e non del povero Yasunari Kawabata – ma che devo dire? L’andamento paludoso, la mancanza di struttura e  storia, l’aggraziata rarefazione e, diciamolo, la noia mortale hanno generato in me un’irragionevole quanto invincibile diffidenza nei confronti della letteratura giapponese nel suo complesso. E potrei aggiungere, giusto per contrabbandare qui un undicesimo titolo senza parere, la vicenda parallela de La Casa degli Spiriti – letto per baratto (in cambio di LJ) e all’origine della mia antipatia per la narrativa sudamericana.

E non è come se non mi rendessi conto che quel che emerge da questa lista è pù che altro l’immagine di una donna irragionevole – ma non so che farci. Le scottature per via di lettura non mi guariscono più… fatemi causa.

E voi, dunque? Ce l’avete una lista bigia, o Lettori? Raccontate…

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* Le cose sono migliorate – ma solo un po’. Provate a fare dello spirito ai danni di Marlowe. O di Annibale. O del Barone Rosso. O di Manfredi di Svevia. O di Alan Breck Stewart. O di Lord Jim. Arrossisco nel dirlo, ma…

Giu 11, 2014 - libri, libri e libri    2 Comments

Caccia Al Tesoro

106538347404460751_BSs0iTR8_c“Non hai visto A Dead Man in Deptford, vero?”

“No…”

“Davvero davvero davvero?”

“Non l’ho trafugato per leggerlo di nascosto, se è questo che intendi.”

“No, ma davvero non l’hai visto?”

“Hm… Com’è fatto?”

“Paperback, costa nera, copertina nera con illustrazione dal giallo al rosso… Anzi, aspetta – no. Quella è la copertina della biografia di Riggs. Copertina… Mi pare che ci sia una variazione di qualche tipo del ritratto, e delle foglie, e forse…”

“Fa lo stesso, tanto la copertina non la vedo da qui, giusto? Ma la costa è nera?”

“Sì, di quello sono sicura: costa nera.”

Ed è così che ci si mette in due, su e giù dalle scalette, scaffale per scaffale, costa nera per costa nera, avanti e indietro per parecchie pareti di libreria, distribuite su diverse stanze – e talvolta in doppia fila. Senza contare le pile – perché ci sono diverse pile qua e là, ad altezza ginocchio.

“Certo che se tu tenessi i libri in qualche parvenza di ordine…”

“Di solito so dove ho le cose.”

“Vedo…”

“Ho detto di solito. E comunque questo è stato di sopra per un secolo… no, lascia stare quella pila lì: c’è da Pasqua, e ADMiD l’ho ripreso in mano più di recente.”

“Di sopra?”

Era di sopra. Poi una sera l’ho portato a lezione per leggerne un pezzo, e poi… er.”

“Poi non l’hai rimesso a posto. Figures. E questo è successo dopo Pasqua?”

“O forse prima, a ben pensarci…”

“Il che significa che potrebbe essere in una qualsiasi delle pile?”

“Oh dear.”

E riprende la ricerca – estesa anche alle pile.

“In base a quale logica hai suddiviso questi scaffali per colore?”article-0-0072D12F00000578-830_468x312

“Oh, così – mi è venuto l’uzzolo, un paio di anni fa.”

“E come fai a ritrovare un libro sulla base del colore?”

“Se c’è qualcosa che tendo a ricordarmi, è il colore della costa. E comunque, credi che l’ordine per colore sia davvero peggio dell’ordine del tutto casuale?”

“Ma che cos’hai contro un ordine vagamente sensato? Magari non servirebbero questi safari. Oh… eccolo!”

“Dove?”

“No, scusa. Altro Burgess.”

“Pittikins.”

“Be’, sai che cosa ti dico? Non c’è.”

“Ma certo che c’è. L’ho visto di recente…”

“Non l’hai prestato a qualcuno?”

“No…”

“A qualche allievo, magari?”

“Ma no.”

“Come i racconti di Crane – che poi non si sono più rivisti?”

“Questo è in Inglese, non credo che…”

“E Crane invece in che lingua era?”

“Oh… già. Ma questo sono sicura di non averlo prestato. Sicurissima.”

E dopo un po’ inevitabilmente si rimane da soli, perché la gente si stanca dei safari. E una volta rimasti da soli, si ricomincia a cercare e cercare e cercare, solo che da soli si è più inclini a distrarsi, sfilare un libro o l’altro, cominciare a sfogliare… Insomma, sono certa che sapete come funziona. Passa un’oretta buona prima che si arrivi a scendere – però lo si fa brandendo trionfalmente A Dead Man in Deptford.

index“E dov’era?”

“Di sopra. Più o meno dov’è sempre stato.”

“Lo avevi rimesso a posto?”

“Eh sì. Sono talmente abituata ad appoggiare le cose dove capita, che quando, for a wonder, le rimetto a posto, non le trovo più.”

“Non succederebbe, se tu rimettessi a posto più spesso. Mi domando però come abbiamo fatto a non vederlo prima, visto che… aspetta un momento, la costa è bianca!”

“Er…”

“Avevi detto che la costa era nera. Che di quello eri sicura. Che se c’è una cosa che tendi a ricordarti, è il colore della costa…”

“Sssssì, ma può darsi che mi si sbagliata un pochino.”

E che bisogna dire? A volte sarebbe il caso di accettare con rassegnazione il fatto di non avere memoria visiva. E di non coinvolgere gli innocenti in questo genere di caccia al tesoro – perché poi gli innocenti cui pare di aver perso mezz’ore alla ricerca di coste del colore sbagliato fanno commenti acidi.

E comunque niente mi toglierà mai di mente l’idea che ai libri – o almeno a certi libri – piaccia da matti farsi desiderare e giocare a nascondino.

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Feb 23, 2014 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Libro

Libro

Ho trovato questo fantastico video che mostra, in un montaggio di fotografie*, il processo di costruzione materiale di un libro, dalla realizzazione delle illustrazioni, alla stampa, alla cucitura a mano, alla fabbricazione della carta per la copertina. Ci sono giorni in cui vorrei saper fare qualcosa del genere… Qualcosa di manuale, raffinato, preciso, complesso e bello.

Buona domenica a tutti!

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* La didascalia dice più di 3000 fotografie… sarà un errore di battitura o è davvero possibile montare più di 3000 fotografie in meno di 5 minuti? Se sì, sono affascinata.

Ago 14, 2013 - angurie, guardando la storia    9 Comments

Di Viaggi Nel Tempo E Buone Alternative

gianconiglio_blog.jpgRicordate quando eravamo bambini e leggevamo il Corriere dei Piccoli? Ricordate il meraviglioso Gianconiglio, di Carlo Peroni?

Be’, c’era questo episodio in cui tutta la popolazione di Belpelo veniva invitata nel castello dello scienziato pazzo Professor Dindon. Nel castello c’era una biblioteca, che invece di libri aveva porte, e ogni porta era l’ingresso in una storia…

Dico tutto ciò perché qualche notte fa, in una di quelle conversazioni che si fanno aspettando di veder cadere le stelle cadenti, si è venuti a parlare di viaggi nel tempo, e dell’epoca che ciascuno di noi vorrebbe visitare se potesse. Confesso che, dopo avere lungamente esitato tra la Seconda Guerra Punica, l’età napoleonica, gli ultimi mesi di Costantinopoli, la prima Guerra di Vandea, la seconda sollevazione giacobita, il Siglo de Oro e una decina di altre possibilità, ho rinunciato al mio viaggio nella Macchina del Tempo in favore dell’accesso alla biblioteca del Professor Dindon.

“Sei matta???” hanno reagito in coro i miei co-conversatori, e forse hanno ragione. Non sono sicurissima di avere fatto una scelta saggia, ma il fatto è che non posso fare a meno di domandarmi questo: preferirei incontrare l’Alan Breck storico o quello di Stevenson? Oh, d’accordo, esempio mal scelto: non c’è gara fra i due. Allora diciamo, piuttosto: il Belisario storico o il Count Belisarius di Graves? In realtà, la risposta è entrambi, perché ancora meglio che incontrare uno dei due sarebbe poter confrontare l’originale con l’immagine che ne ha creato lo scrittore.

“Allora,” mi si è detto, “l’ideale è davvero la biblioteca. Se vuoi l’originale devi solo entrare in una biografia…” Ma non so, perché nella biografia non incontrerei il Belisario originale, bensì l’immagine ricostruita dal biografo. E tutti sappiamo che cosa sono capaci di combinare gli storici. “Cronache del tempo, allora?” Anche qui c’è da vedere. Che Annibale incontrerei entrando in Polibio? Non certo quello che mi aspetto. Nemmeno se Polibio avesse incontrato Annibale di persona, invece di discuterne con gli Scipioni. Persino nella cronaca di Sosila, se fosse giunta fino a noi, non troveremmo l’Annibale “vero”, ma l’immagine che di lui aveva Sosila. Forse, però, potremmo trovarci un Sosila passabilmente aderente al vero, o quanto meno alla percezione che Sosila aveva di se stesso. Ciò che mi fa pensare che la cosa migliore sarebbe poter entrare in versioni diverse della stessa storia per vederla da vari punti di vista… Sono abbastanza certa che, se potessi entrare nella Vita di Charlotte Brontë della signora Gaskell, nelle lettere di Charlotte e in quelle di Emily, incontrerei tre Charlotte del tutto diverse. E ho il sospetto che mettere a confronto le tre sarebbe più interessante che limitarsi a incontrare la “vera” Charlotte.

Quindi sì, devo confessare che alla fin fine, tra la Macchina del Tempo e la Biblioteca del Professor Dindon, il mio voto va ancora alla biblioteca.

E voi, invece?

Consideratelo un giochino ferragostano: Macchina o Biblioteca? Quale epoca? Quale libro?

Breve Storia Dei Libri Immaginari

libro.jpgDunque, non è per prenderla alla lontana, ma da un po’ di tempo volevo postare su un vago ricordo: la recensione, letta chissà quando, di un catalogo ragionato di libri immaginari. Non ricordo il titolo, non ricordo l’autore, figurarsi se ricordo l’edizione… però ricordo che uno dei libri elencati nel catalogo era la supposta storia di un ordine di clausura i cui membri non parlavano proprio mai, limitandosi a comunicare con un insieme di schiocchi di labbra, moti della glottide e borborigmi, che nei secoli si erano sviluppati in qualcosa di comparabile a una lingua.

Naturalmente, la simil-lingua era immaginaria, l’ordine era immaginario, why, il libro stesso era immaginario, come tutti quelli contenuti nel “catalogo”… e assolutamente affascinante. Sarà perché l’idea di libri che non esistono mi intriga da matti, sarà perché è una cosa che faccio per gioco fin da bambina*, qualche che sia il motivo, la faccenda mi è rimasta impressa in mente.

E facendo una ricerchina in rete, non ho ritrovato quello che cercavo, ma mi sono imbattuta nel sito di Paolo Albani** che contiene un sacco di cose deliziosamente bizzarre – compresa una storia dei cataloghi immaginari. Perché si tratta di un genere antico, la cui nascita risale al XVI Secolo.

Il babbo e nume ispiratore del genere è Rabélais, con l’elenco dei libri dell’Abbazia di San Vittore nel Gargantua et Pantagruel. Considerando autore ed opera, non avrete difficoltà ad immaginare. E in effetti, il primo Catalogum Catalogorum durabile et perpetuo, che esce a stampa nel 1590, è opera di un traduttore tedesco di Rabélais****, che riprende in pieno il tono del suo modello: quello di uno sberleffo alla pedanteria della cultura contemporanea.

Questo è lo spirito con cui il genere viene coltivato per tutto il XVII e XVIII Secolo, da vari autori tedeschi, francesi, italiani e inglesi (tra cui persino John Donne): ci si fa gioco del sussiego che circonda la gestione della cultura giuridica, scientifica e – divertimento più rischioso – teologica, parodiando titoli esistenti o inventandone di sana pianta, come un trattato che dimostra come il 66 e il 99 siano uguali se si rovescia il foglio, una proposta per l’abbreviazione del Paternoster attribuito a Lutero, o un manoscritto groenlandese sulla febbre quartana delle balene.

Dal XIX Secolo, a quanto pare, la produzione di questi cataloghi comincia ad assumere il carattere di beffa vera e propria, come l’annuncio della vendita all’asta della biblioteca di esemplari unici del defunto conte di Fortsas, recapitata a librerie antiquarie, biblioteche e collezionisti di Francia e Belgio nel 1840. Ci fu chi gridò al millantatore, affermando di possedere a sua volta esemplari dei supposti “unici”, ci fu chi chiese al Ministero dei Lavori Pubblici un credito per l’acquisto di alcuni volumi, ci fu una famiglia aristocratica che prese contatti per acquistare discretamente le scandalose memorie di un avo donnaiolo, ci furono richieste di trattative private… E a quel punto, sconcertati dalle reazioni, gli ideatori della beffa, il presidente della Società Bibliofila Belga***** e i suoi sodali, misero fine alla faccenda con tatto e discrezione, dichiarando che l’asta non poteva tenersi, perché la città natale del conte aveva acquistato tutto quanto in blocco.

Cito ancora, più tardi, un catalogo francese del 1910 che, ai titoli immaginari, affiancava indicazioni sullo stato e le caratteristiche del volume, in questo spirito: Abelardo, scompleto – tagliato; Fenimore Cooper, L’Ultimo dei Mohicani, pelle rossa; Beaumont, Il bel Colonnello, perfettamente conservato, e via dicendo. Anche questo fu stampato come un catalogo d’asta, ma suppongo che il tenore delle indicazioni accessorie fosse un dead give-away.

Nel 1928, un Americano pubblica il catalogo di una supposta biblioteca del XVII Secolo, contenente titoli come un trattato di Magia Naturalis dedicato alla fabbricazione dei pipistrelli, e riceve richieste di informazioni e addirittura cifre in acconto… e questo lo cito a dimostrazione del fatto che i bibliofili possono abboccare a bizzarre esche, alle volte.

In realtà non esistono soltanto i cataloghi: potrei citare autori come Solber o Kostova, che corredano la loro storia immaginaria/alternativa/con elementi fantastici di elaborate bibliografie immaginarie. O, un passo oltre, Rodney Bolt, con la sua biografia immaginaria di Shakespeare/Marlowe, che mette in parodia le teorie neomarloviane e cita un misto di fonti reali e fasulle. Tutti libri assolutamente brillanti. Un caso meno innocente, magari, è quello di William Henry Ireland – che all’inizio del XIX Secolo cominciò col voler impressionare suo padre, e finì col produrre nientemeno che una falsa tragedia shakespeariana. Sembrava il ritrovamento del secolo… solo  che non lo era.

Ma Ireland era probabilmente squilibrato, e la sua era una truffa. Niente a che vedere con quel gioco letterario che consiste nell’inventare libri inesistenti per parodia, per beffa o per il puro gusto dell’invenzione.

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* Ebbene sì, lo confesso: possiedo elenchi su elenchi di titoli immaginari. Per lo più riguardano la storia, la letteratura, le leggi, la flora&fauna et caetera similia dei miei stati immaginari.

** Ricordate l’OuLiPO? Ecco, Albani è un esponente della parente OpLePo.

*** A quanto pare, i traduttori di Rabélais sono sempre gente notevolmente eccentrica. Tipo Sir Thomas, per capirci.

**** Maggiore dell’Esercito belga in pensione. E poi dicono che i militari non hanno sense of humour.

Apr 3, 2013 - pessima gente, scrittura    4 Comments

Sulla Letizia Del Lieto Fine

Mi si fa notare che tendo a parlare – e scrivere – di lieto fine con lo stesso enfatico disgusto con cui parlerei e scriverei di scarafaggi, e adesso sento la necessità di spiegare un pochino.

Pare che non abbia mai avuto fiducia nel Vissero Per Sempre Felici E Contenti. Pare che, a quattro anni, dopo una lettura di Cenerentola con il finale canonico, continuassi a chiedere: ma proprio per sempre? Proprio proprio? E non succede più niente? Forse avevo qualche dubbio sulla capacità di Cenerentola, col suo passato da colf, di adattarsi alla vita di corte…

Ma di fatto, non posso fare a meno di chiedermi: e dopo? Siamo certi che a gennaio Scrooge non torni avaro e bisbetico? O che Lizzie Bennet e Mr.Darcy non si scoprano dopo tutto incompatibili? O che Sigognac non si vergogni un po’ di Isabella che per sedici anni è stata un’attrice girovaga? O che Lauretta e Rinuccio prima o poi non si lasceranno coinvolgere dall’ostilità fra le famiglie?

Insomma, di solito un lieto fine arriva o per conciliazione di estremi o per ricostruzione di un intero distrutto dalle circostanze. Tra la prima e l’ultima pagina ci sono stati guerre, rivoluzioni, drammi familiari, adulteri, crimini, separazioni e disastri misti assortiti, o almeno dovrebbero esserci stati. Il lieto fine è, nella migliore delle ipotesi, un equilibrio precario, e mi rifiuto di credere che sia definitivo.

Guardate Il Barbiere di Siviglia: il sipario si chiude con il Conte Almaviva che impalma Rosina, liberandola dal tutore tiranno. Eugè, giusto? Be’, non proprio, visto che all’epoca delle Nozze di Figaro il Conte è già un farfallone amoroso abituale. Si direbbe che il fine non sia stato poi così lieto. O, ancora meglio, si direbbe che il lieto fine sia una circostanza effimera e non una certezza incisa nella pietra.

Oppure Dobbin: per tutta la considerevole durata di Vanity Fair, William Dobbin ama in silenzio Amelia, la aiuta con discrezione e delicatezza in un’infinità di circostanze, la salva dal disastro finanziario senza farglielo sapere, sopporta devotamente ogni stupidità e mancanza di considerazione e via dicendo. Admirable fellow. Alla fine, Amelia si scopre innamorata di lui e lo sposa. Felici e contenti? Non proprio: dopo averla amata tanto a lungo, Dobbin scopre Amelia un po’ al di sotto di tanta devozione. Oh, continua ad essere ammirevole, resta un marito affettuoso e protettivo e tutto quanto, ma il lieto fine non l’ha reso felice*.

Morale? Il lieto fine ci manda a dormire più contenti per una sera, ma siamo franchi: come antidepressivo funziona solo fino alla prima piccola, semplice, ovvia domanda: e poi? E a parte questo, non è come se i finali tristi non fossero soddisfacenti. “Ti è piaciuto?” chiesero a mia madre, all’uscita dal cinema dove aveva visto Il Dottor Zivago, e lei: “Oh sì! Ho pianto tanto!”

Mi si dice che dico così in un affanno di autogiustificazione, perché i miei romanzi finiscono tutti maluccio anzichenò. Non saprei. Il mio primo protagonista, secoli fa, l’ho gettato sotto un taxi mentre partiva per arruolarsi nella Guerra di Spagna. Allora la mia amica F., una dei miei lettori sperimentali preferiti, m’informò sentitamente che ero un’omicida, e che non mi avrebbe mai, mai, mai perdonata. E infatti, quasi vent’anni dopo, ogni tanto me lo rinfaccia ancora. Non posso dire di essermi riformata, da allora, ma credo di avere delle attenuanti. Potrei dire, a parte il povero Ned, che è difficile scrivere romanzi storici incentrati su guerre, sollevazioni e assedi senza un conto vittime… Ma in realtà il punto è l’ineludibile piccola domanda: e poi? Che ne sarà dei miei personaggi dopo la fatidica paroletta di quattro lettere? In un certo senso – e se volete dire che è morboso, fate pure – uccidere i propri personaggi è l’unico modo di assicurarsi definitivamente del loro destino: una volta che sono morti, non può succedere loro più nulla, giusto?

Oddìo, forse non proprio, considerando la storia che sto scrivendo, in cui i guai del protagonista non fanno che raddoppiare in numero e grado nel momento in cui muore, ma in via generale e fantasmi a parte… Non tanto i cornicioni che cadono, quanto Pascoli, you know, e gli aquiloni, e l’unico, unicissimo merito che sia disposta a riconoscere al detestabile L’Eleganza del Riccio

Be’, d’accordo – non è detto e mi rendo conto che suona un po’ allarmante. Però diciamo che, mercato permettendo, e se non ci sono ulteriori volumi in programma, personalmente appartengo alla scuola di pensiero** secondo cui muore giovane chi è caro al suo autore.

E voi? Li assassinate, i vostri personaggi? E perdonate gli autori che assassinano i loro?

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* A titolo di paradosso, si può sostenere che Dobbin sarebbe morto più felice se l’avesse presa nelle costole a Waterloo, prima che – eccetera eccetera.

** In compagnia, a quanto pare, di Victor Hugo… 

La Notte dei Desideri

Ende.jpgNon sono mai stata una patita dell’ultimo dell’anno. Non dico di non essermi mai divertita a qualche festa o cena, ma non è il tipo di ricorrenza che aspetti di festeggiare. Per capirci, non è Natale. Un passaggio di data non è particolarmente emozionante, non porta con sé nessun senso di attesa o di sospensione… D’accordo, ne ha portata un filo la notte del 31 dicembre 1999, perché ci domandavamo se tutti i computer del mondo avrebbero saputo inghiottire il Bruco del Millennio senza eccessivi patemi. Tolto quello, però, ho sempre pensato che l’ultimo dell’anno fosse una festa assolutamente priva di atmosfera. Per di più, ogni 31 dicembre ha il grave difetto di essere seguito da un gennaio, questa sorta di lunedì mattina cosmico… No, grazie: l’Ultimo dell’Anno è un’occasione per andare a teatro e vedere i fuochi d’artificio sul lago, nulla di più.

E però c’è stato un libro, a suo tempo, che mi ha fatta ricredere per il tempo di leggerlo: La Notte dei Desideri di Michael Ende.

Ora, se dovessi dire che mi ricordo la trama, o se dovessi spiegare in dettaglio composizione e funzioni dell’Archibugiardinfernalcolico Grog di Magog, sarei in seria difficoltà. Chiedo venia: devono essere passati un po’ più di vent’anni da quella prima e unica lettura, ma questo dice qualcosa sul fatto che mi ricordi ancora, se non i particolari della trama, l’atmosfera del libro. 

Potrei recuperare da qualche parte la trama, se volessi, ma non voglio: quel che m’interessa al momento è quella specie d’impronta che alcuni libri lasciano, un’impressione a volte più vivida persino della storia che raccontano. LNdD è un libro scuro: se ben ricordo, si svolge tutto nel corso di una notte, e ha un quadrante d’orologio in testa a ciascun capitolo, per significare il passaggio delle ore –  accorgimento semplice, ma sufficiente a creare un senso di sospensione e di urgenza che non ho scordato a distanza di due decenni. E poi ricordo un gatto che voleva essere un trovatore provenzale, e un corvo, e una coppia di stregoni, zia e nipote, e l’archibugiardinfernalcolico* intruglio di cui ho dimenticato la funzione, e una vecchia casa, e un giardino innevato, e San Silvestro alla fine… E buio, e ombre, e sussurri, e cigolare di porte, e rintocchi nella notte.

Ecco, questa è una delle cose che fanno gli scrittori. A volte si sforzano di raccontare storie che nessuno ha mai raccontato prima. Altre volte si accontentano di prendere qualcosa di vecchio come le colline** e lo raccontano in un altro modo, lo rivestono di un colore e un’atmosfera nuovi. Per quanto riguarda me, la faccenda ha funzionato: Herr Ende mi ha spinta, quando ero ragazzina, a considerare diversamente la notte dell’Ultimo dell’Anno, in un modo che, dopo più di vent’anni, non è ancora svanito del tutto.

Chiunque abbia mai scritto per essere letto sa di che cosa parlo: certo non è il solo motivo per cui si scrive, ma la capacità di creare o risvegliare qualcosa in una mente sconosciuta ed estranea con le nostre parole è un brivido potente. E’ qualcosa da augurare a chi traffica in parole e inchiostro. Qualcosa da desiderare con tutte le forze prima dell’ultimo rintocco di mezzanotte, questa sera.

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* Questa parola mi piace, si era capito? Nutro la massima ammirazione per chi crea parole, e questa è una parola notevole. Non ricordo molte cose di questo libro, ma ricordo che la parola era stata creata apposta, come parte di un incantesimo la cui potenza derivava in parte dalla quantità di parole diverse incastrate insieme. Il potere delle parole pronunciate e scritte… ah, che meraviglioso tema!

** Nello specifico: Protagonista Piccolo e Maldestro con Sogni da Realizzare VS Antagonista Malvagio e Potente Deciso a Conquistare il Mondo.

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Oh, e come mi si dice si dica in Trentino: Buon Termine a tutti!

Oltre A Leggerli

È tutta colpa di Pinterest.

Sì, da un paio di settimane ho una bacheca su Pinterest – l’ho sottotitolata “a visual appendage to Senza Errori di Stumpa” e non ho pensato a dirlo qui.

Be’, lo dico adesso: ho una bacheca su Pinterest. Si chiama Histories, Stories, Books & Theatre, e oltre a divertirmici un sacco, sto trovando la faccenda interessante.

libri,pinterestPer un paio di settimane I pinned happily away – un paio di immagini al dì, ogni volta che trovavo qualcosa di interessante. Poi è successo che su Twitter F. mi abbia chiesto: “ma come? Una bacheca sola? Non ti viene voglia di metterci di tutto?”

Confesso di essere rimasta lievemente sconcertata e, come il millepiedi di Kipling, mi sono fermata con la zampetta sollevata.

“Non ti senti limitata da una bacheca sola?” Ha insistito il fellow-twitterer, e gli ho risposto che in realtà mi ero tenuta il titolo abbastanza vago da poterci mettere parecchie cose… Quello che non gli ho detto, è stato che all’inizio ero partita con l’idea di tre o quattro bacheche diverse – una per i libri, una per il teatro e così via – e poi ho deciso che perdere del tempo a decidere se un’immagine ricadesse sotto la voce Libri o sotto la voce Storie non era proprio quello che volevo fare. Così mi sono limitata a una bacheca ragionevolmente generica e, come ho già detto, mi ci sto divertendo molto. 

Tuttavia, una volta che ha concepito dubbi sulle sue zampette, il millepiedi… er, considerando le mie difficoltà entomologiche, preferirei che Kipling avesse scelto una diversa creatura per la sua storia. Vi secca molto se passo dal millepiedi all’echidna? So che ha solo quattro zampe – but still.

Ma in realtà possiamo accantonare il regno animale nel suo complesso e tornare a noi: il fatto è che la conversazione mi ha spinta a badare a quello che stavo facendo con Pinterest, e sono giunta a due conclusioni.

La prima, è che Storia, storie, libri e teatro coprono abbastanza dei miei interessi perché “tutto il resto” possa starsene fuori dalla mia bacheca senza pregiudizio particolare. Ammetto che è una coperta piuttosto ampia, e ammetto che ci sono molte altre cose che restano fuori – ma può andare benissimo così.libri,pinterest

La seconda è che la mia ossessione per i libri sta assumendo aspetti nuovi. O se c’erano anche prima, non li avevo notati in modo consapevole. Si direbbe che limitarmi a leggerli non sia più sufficiente, dal modo in cui sulla mia bacheca sono comparsi libri alterati, oggetti a forma di libro e disposizioni pittoresche – come la suddivisione per colore. Ebbene sì, lo ammetto: sabato scorso ho iniziato a rivoluzionare la mia libreria suddividendo i libri per colore della costa****. Non è molto pratico (del che mi consolo pensando che l’ordine era molto casuale anche prima), però è grazioso a vedersi. Che posso farci? Scaffali come quelli nelle foto sono piccole soddisfazioni che ho coltivato per un paio di mattine di sabato*. Col che non voglio dire che riorganizzerò così tutta la mia libreria**, o che sia diventato più facile trovare i libri che cerco, ma potrei andare avanti per un po’. Mi piace l’idea che i libri, oltre a contenere storie, siano qualcosa che abita con me, con cui fare esperimenti decorativi, con cui giocare… I libri sono gente, dopo tutto. libri,pinterest

J. mi ha chiesto se riesco a indurmi a separare i libri dello stesso autore for the sake of colour. Francamente, i miei libri non sono molto abituati a vivere in gruppi famigliari – non lo erano nemmeno prima. Scegliendo uno scaffale a caso (tra quelli non riordinati per colore) trovo uno dopo l’altro Bryher, Aristofane, Erich Fromm, Stuart Kelly, Virgilio, Magdi Allam, Ben Jonson, Juliet Barker, Patrick Rambaud, D. G. Chandler, Susanna Clarke… senza logica particolare oltre ad associazioni mentali e una certa dose di serendipità. Oltre al resto, consulto, sposto e rileggo abbastanza spesso – e raramente ho la pazienza di rimettere esattamente dove ho preso. Mi piace vedere gli accostamenti che saltano fuori, nessuno dei quali è definitivo. Per cui non credo che i miei libri siano traumatizzati perché li ho risistemati per colore… Al massimo parrà loro un criterio vagamente più comprensibile di tanti altri.

anagram bookshop, libri alteratiDopo gli scaffali a colori, sulla bacheca sono comparse altre cose che, viste tutte insieme, cominciano ad avere qualche senso – come i meravigliosi libri-scultura di Anagram Bookshop, la custodia per l’iPad*** a forma di libro, i libricini-ciondolo, i libri ricoperti con carta da musica o mappe antiche… Tutto ciò perché non c’è niente da fare: un parallelepipedo di carta contenente una storia è un’irresistible combinazione di bellezza e concetto. Se volete, mi spingo persino ad ammettere che un ciondolo a forma di Kindle non sarebbe la stessa cosa.

E quindi, per riassumere: prima credevo di leggerli soltanto, i libri, poi ho cominciato con Pinterest, poi mi sono ritrovata a suddividere i libri per colore, e adesso mi vo scoprendo qualcosa di molto simile a una mania.

Sarà una brutta china? What next?

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* Dopodiché è arrivata F., ha storto la bocca e ha detto che la cosa le dava un’impressione di omologazione e appiattimento. “Ma vedi,” ho pigolato, “non sono in solid colour: ho cercato di ottenere delle sfumature…” F. non si è commossa – né io mi sono scoraggiata.

** A parte tutto il resto, troppe coste bianche. E non mi sono mai piaciute le coste bianche. Oh well.

*** Ma possibile che non ci sia qualcosa del genere per il Kindle?

**** Verosimilmente in preda a un attacco di quella che P. chiama “dorsomania”. Avete presente la febbre gialla di salgariana memoria e la peste nera? Ecco, si direbbe che io soffra di attacchi di dorsomania multicolore…

Libri Tribali

Ricordate che si parlava di milionidicopie, annessi e connessi? Quel post ha condotto a quest’altro post over at strategie evolutive, che v’invito nuovamente a leggere, se non l’avete già fatto.

Vi si dice, tra molte altre cose, questo:

Ed il fatto che tutti abbiano letto il romanzo di un certo autore è un fenomeno culturale – a meno che non ammettiamo che l’acquisto (e non necessariamente la lettura) di quel libro, avvenga per segnalare l’appartenenza ad un gruppo, come metodo di rassicurazione sociale e segnale di appartenenza tribale.

Ebbene, sì, sì, . Questo è uno degli aspetti che cercavo di far notare a Mme X: è mia ferma convinzione che l’acquisto e/o la lettura di uno o più libri funzionino come segni di appartenenza tribale – in un modo o nell’altro.

Il caso più facile e ovvio è – mi si dice – nell’ambito della letteratura di genere. Tolkien, per dirne uno – culto che si divide tra ortodossi rigorosi, ecumenici shannariani, convertiti via film e ogni genere di sette e confessioni. Tuttavia il possesso de Il Libro è il segno di appartenenza almeno al più esterno dei cerchi concentrici e contigui che formano la tribù, nonché un segno di distinzione rispetto a Tutti Gli Altri.

Poi c’è il caso dei Seguaci di Un Autore – e questo può trascendere il genere sconfinando nel mainstream. Da Richard Bach a Camilleri a Baricco, ci sono quelli che leggono tutto ciò che l’autore in questione scrive, lo seguono su Twitter, su Facebook o dovunque l’autore appaia, discettano su aNobii – e possono sviluppare uno spirito semiproprietario nei confronti dell’autore stesso. Mi si racconta una storia a proposito di un’autrice che non ricordo. Costei aveva una vasta quantità di lettori di questo tipo e una lunga storia di successi editoriali. Qualcosa come una trentina di titoli – tutti scritti in terza persona. A un certo punto, sentendosi avventurosa (o forse un tantino satolla) decise di tentare la prima persona. O forse era viceversa, ma fa lo stesso. Ciò che conta è che la sua tribù reagì con orrore e sconcerto. Il romanzo non era affatto peggiore dei precedenti, né diverso in contenuto, tono e ambientazione – ma il tipo di narrazione era cambiato e la tribù si sentiva tradita. Orrore – orror! Non ricordo il finale della storia, ma dal modo in cui la mia memoria l’ha rimosso, temo che l’autrice se ne sia tornata in carreggiata con la coda tra le gambe e le orecchie basse. Comunque questa è una storia anglosassone – ovvero di un mondo in cui la segmentazione del mercato editoriale tende(va?) a raggiungere livelli che noi ingenui Continentali non possiamo nemmeno immaginare.

Ma ci sono altre e più sottili forme di struttura tribale.

C’è Il Libro Di Pochi (o L’Autore Di Pochi, o anche L’Argomento di Pochi), e allora la faccenda diventa simile a una piccola massoneria letteraria. Ci si riconosce dalla citazione buttata lì, dalla copertina sbirciata in treno, dal paragone eccentrico, dalla dichiarazione d’interesse – quando tutti gli altri sobbalzano o guardano con occhi vitrei, tutti tranne una persona, e allora ci si saluta con un sorriso d’intesa e comprensione. “Ah, anche a te piace Lord Jim…” E non cito LJ a caso, perché quest’altra persona che condivide il nostro raro interesse letterario la guardiamo con affetto quasi possessivo. È uno di noi.

E naturalmente, oltre a riconoscersi, ci si fa riconoscere. Di recente parlavo della mia ossessione marloviana e gl’interlocutori cominciano a levare gli occhi al cielo. “Oddìo, un’altra…!” Levo un sopracciglio e… “No, è che abbiamo questa amica che parla sempre di Marlowe. Bisogna che vi mettiamo in contatto.”*

Variante speculare di questa forma è “Ah, anche tu detesti…” diciamo un titolo a caso? Diciamo Le Petit Prince? In un mondo che venera il marmocchio siderale, un’avversione comune è un vincolo forte. Ci si sente una carboneria – noi che a nominarci il colore del grano ci vengono le convulsioni.

Poi ci sono le tribù che trascendono il singolo libro, autore e genere in favore del fine. Per esempio una Coscienza Civile. Con le maiuscole. Un tempo c’era un’implume che veniva da me a lezione di Italiano, Latino, Inglese, Francese e Storia. Le lezioni di Geografia erano rese superflue dal fatto che l’insegnante in questione interrogava a libro aperto. Le lezioni di Matematica erano state richieste e rifiutate a motivo della mia caprina ignoranza. Il tutto era reso doloroso dall’indole generale della fanciulla e dalla necessità di spiegarle ogni parola che avesse più di due sillabe… “Ma tu leggi?” Le chiesi una volta, in un momento di disperazione. “Oh, sì,” ribatté l’implume facendo gli occhi tondi. “Ho letto Il Razzismo Spiegato A Mia Figlia. Per la scuola.” Era l’epoca in cui, scoprii, tutti gli adolescenti leggevano Ben Jelloun, e non c’era insegnante  che si sentisse a posto se non l’aveva propinato ai suoi discenti. E i discenti si sentivano esclusi se non l’avevano letto. Esclusi dalla tribù della gente per bene e non razzista, in definitiva. In questo senso e in anni più recenti, Saviano è assurto al rango di totem tribale: quanta gente è convinta di avere acquisito una coscienza civile perché ha letto Saviano? E qui si tratta di un’appartenenza feroce e onnicomprensiva. Bisogna condividere ogni parola che Saviano dice, bisogna apprezzare ogni comparsata televisiva o otherwise che Saviano fa. Se si critica Saviano, anatema**!

Ma non è detto che si tratti di coscienza. C’è anche la Cultura. Sempre con la maiuscola. Forse ho già citato la signora che, ogni volta che si parlava di libri, citava a) Verdi Colline d’Africa e b) Via col Vento. Se poi si virava sulla musica, ecco che compariva il Triplo Concerto di Beethoven. Era il suo modo di dire “sono una persona colta. Vero che sono una persona colta? Ma certo che sono una persona colta.” Quella che Davide Mana chiama rassicurazione sociale.

Claro que, a seconda della tribù di appartenenza, le letture legittimanti cambiano in quantità e qualità. A Mantova, per esempio, leggere gli autori del Festivaletteratura è socialmente indispensabile. Un’altra signora, un’altra volta, m’informò che lei leggeva tantissimo***: “Saviano, Hosseini, Mazzantini, L’Eleganza del Riccio…” E siccome me ne stavo lì con il sopracciglio levato e l’aria di chi attende, la signora si arenò, un po’ sconsolata e non del tutto certa di avere prodotto l’impressione cui mirava. Sì, lo so: sono malvagia.

Il che mi porta ad esaminare un’altra funzione tribale – il proselitismo. Avete idea di quanta gente mi abbia consigliato (con maggiore o minore insistenza) di leggere il dannatissimo riccio barberiano? E mi colpiva una costante su cui, in un modo o nell’altro, tutti i miei would-be evangelizzatori arrivavano a battere: la certezza che Il Libro avrebbe aggiunto un quid di luce e gioia alla mia vita. Alla fine – come forse qualche lettore di vecchia data ricorderà – cedetti, lessi e riversai le mie tenere impressioni in un diario di lettura*** che, a rileggerlo, mi sconsola per la sua acidità. E comunque non credete che razzoli come predico: quanta gente ho tentato di indurre a leggere Lord Jim? Sono abbastanza convinta di non possedere spirito missionario – ma ci sono alcune piccole eccezioni, come LJ, le Fosse di Katyn…

Epperò non divaghiamo, e giungiamo invece a conclusione con la più semplice, la più diffusa, la più informe e forse la più potente varietà di libro-come-rito-tribale. Quella che scatena i grandi numeri, che rassicura tanto, che parte in automatico, che non ha nulla a che vedere col libro (forse, a ben vedere, neppure con il fatto che sia un libro) e che fa felici i Ragazzi del Marketing. Il puro e semplice istinto del branco, quello per cui lo gnu va nella direzione in cui vanno tutti gli altri gnu. Se tutti gli gnu leggono Volo, allora il singolo gnu leggerà Volo. Ma quando tutti gli gnu leggevano Hosseini, Barbery, Tamaro, Baricco, Eco, il nostro gnu singolo leggeva… you guessed it. Perché c’è sicurezza nel numero e, forse ancor più, c’è pericolo senza il numero. Pericolo in senso lato (metti mai che al guado ti capiti un coccodrillo che vuole discutere di poesia persiana…), diversità, emarginazione… Tutta roba vecchia come le colline.

Per cui, la mia teoria è che sì: il libro è un arnese eminentemente tribale – nei casi più estremi totem, tatuaggio e prova iniziatica in un unico grazioso pacchetto parallelepipoidale.

Che ne dite?

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* Ci si fa riconoscere, e sospetto che si sia anche un cilicio per i non adepti, perché questi “vi mettiamo in contatto” hanno sempre un curioso tono a mezza via tra la rassegnazione e un barlume di sollievo – come se la padrona di casa stesse macinando tra sé “così la prossima volta a tavola le metto vicine, parlano tra loro e riduciamo il rischio di incidenti…”

** Ah no, dimenticavo: ci fu un caso in cui Saviano rischiò di perdere il favore della sua tribù, e fu quando partecipò alla maratona oratoria per Israele. In quella circostanza, un buon numero dei suoi seguaci lo bollò come traditore e proclamò a gran voce la necessità di togliergli la scorta. Fickle things, this tribes…

*** Va bene, lo confesso: all’inizio dei corsi lo dico sempre – per scrivere bisogna aver letto tanto e leggere ancora di più, taran taran taran. Vorrei che fosse un’ovvietà un tantino superflua, ma non è sempre così.

**** Prosegue qui. E qui. E finisce qui. Sono ancora convintissima di quel che ho scritto – solo che sono stata un nonnulla abrasiva – forse.

Gen 2, 2012 - libri, libri e libri    6 Comments

Neither A Borrower Nor A Lender Be

libri, prestiti, prestare libri, lettureNon so più in quale puntata di Downton Abbey (bellissima serie, a proposito: l’avete vista?), il conte di Grantham informa il neoassunto autista irlandese con aspirazioni intellettuali che può prendere a prestito i libri che vuole dalla biblioteca, a patto di segnare tutto sull’apposito registro.

Mi par di capire che le cose con l’autista sfuggiranno un tantino al controllo di Lord Grantham, ma il principio di tenere un registro dei prestiti mi sembra molto, molto, molto saggio. Quante volte mi sono ripromessa di fare altrettanto? Innumerevoli. L’ho mai fatto? No – e ne ho pagato le conseguenze, alas.

Forse sarà bene che cominci col dire che a mia volta non sono del tutto senza biasimo. Ho ancora il Baudolino prestatomi dal mio avvocato l’estate scorsa – e non ne ho ancora letto una pagina; sto avanzando con criminale lentezza attraverso un’intera borsa di prestiti da parte di P. – ne ho restituita una parte man mano che leggevo, ma il bulk è ancora qui e comincio a sentirmi una bestiolina); ho ritrovato una grammatica tedesca che non deve essere mia, ma non ho idea di chi me l’abbia prestata: o Prestatore Anonimo e Paziente, se leggi qui, batti un colpo e riavrai la tua grammatica. E, se ti consola, sappi che il karma funziona e son punita.

Una volta, quand’ero una piccola ginnasiale ingenua, prestai Ivanhoe a un compagno di classe che, a differenza della sottoscritta, studiava Inglese. Ci ero affezionata – a parte tutto, era il libro su cui, a dodici anni, avevo tentato il mio primo esperimento di riduzione teatrale*. Non l’ho mai più rivisto. Immagino che il mio compagno di scuola l’abbia perso, perché nel corso degli anni di Liceo glielo richiesi più di una volta, senza esito alcuno. E per di più non doveva essergli servito a granché per l’interrogazione: all’epoca non lo sapevo, ma si trattava di una versione abbreviata e ridotta, circa un quinto rispetto al librone scottiano.

A volte invece c’è il lieto fine. Ero in III Liceo quando, durante una lezione di matematica, ricevetti un bigliettino che diceva così: Cara Chiara, se per caso ti chiedevi dove fossero finite le tue Ultime Lettere di Jacopo Ortis, sappi che le avevo io. So che ti ho detto di no quando me l’hai chiesto, ma ero davvero convinta. Invece le avevo: le ha trovate ieri mio padre riordinando la libreria. Adesso le ho dimentcate a casa, ma domani te le porto. S. Nonostante le premesse poco incoraggianti, riebbi davvero il mio libro – che avevo dato per perso – e, come Miss Prism nel vedersi restituire la borsa da viaggio, fui molto soddisfatta di riaverlo.

Poi c’è la gente che ti chiede in prestito “un libro per il viaggio”. Pericoloso. In questa maniera, un amico dei miei lasciò in un albergo siciliano la mia copia de L’Amico Ritrovato di Uhlman. Me lo ricomprò in una traduzione diversa e che mi piace meno, ma come si fa? Dopodiché dovevamo essere recidivi entrambi: un paio d’anni più tardi, il signore in questione tornò in Sicilia e di nuovo mi chiese di prestargli “un libro per il viaggio.” Per qualche motivo, gli permisi di portare via con sé una raccolta di drammi di Schiller. Indovinate un po’? Anche Schiller rimase in Sicilia, e per di più il prestatario disse di averlo trovato una lettura noiosissima. A titolo di scuse ebbi una scatola di caramelle – poi ricomprai i singoli drammi uno per uno. Il Don Carlos è di seconda mano, un’edizioncina bigia della BUR con un ex libris che lo dichiara scampato a non so più quale alluvione del Ticino.

Questi, devo ammetterlo, sono casi in cui un registro dei prestiti non sarebbe stato di nessun aiuto: so benissimo chi è il colpevole (e la seconda volta ammetto concorso di colpa…). Ben diversa è la faccenda di una delle mie numerose edizioni di Lord Jim, che prestai e dimenticai di avere prestato. Quando mi accorsi della sua mancanza, non ricordavo più chi avessi cercato di evangelizzare… Passarono sei o sette anni e poi una sera, ospite a cena, mi ritrovai a scorrere i titoli nella libreria della padrona di casa, fino a imbattermi in una copia di Lord Jim che aveva qualcosa di famigliare. In un altro momento à la Miss Prism, aprii, rigirai e sfogliai, riconoscendo qua una macchia di limonata, là le mie iniziali incise sulla chiusura… Fu nel bel mezzo di questa agnizione che la padrona di casa piombò su di me. “Quello lì? Non ti fai idea di che libro palloso sia. Non l’ho mica comprato io, me l’hanno prestato, non so più chi. Ho letto due pagine e poi non…” E a questo punto una scintillina di riconoscimento cominciò a balenarle in fondo alle pupille.** “Te l’ho. Prestato. Io,” dissi con un’ombra di gelo. “È. Mio. Lo. Cerco. Da. Anni.” Ammetterete che un registro dei prestiti avrebbe risparmiato patemi e imbarazzi a tutti quanti.

Fu in seguito a questo incidente che mia nonna mi regalò un bellissimo timbro a secco che permette d’imprimere le mie iniziali in alto a destra sul risguardo. L’idea era ottima, peccato che l’abbia messa in pratica solo in parte. Il fatto è che non mi sono mai saputa indurre a timbrare sistematicamente a secco varie migliaia di volumi… Non più di quanto mi sia saputa indurre ad avviare un registro dei prestiti.

E dunque? Non c’è soluzione per la gente non sistematica? Non saprei. Il mio metodo è quello di essermi fatta più selettiva nei prestiti. Mi piace molto prestare libri, ma se ve ne presto è perché ho piena fiducia in voi***. Per contro, ho smesso di chiedere in prestito**** e accetto i prestiti offerti solo in caso di buona confidenza. Chi lo sa – magari aveva ragione Polonio… and all the same, guardate che fine hanno fatto lui e i suoi figli!

E voi? Siete peggiori come prestatori o prestatari? Avete mai distrutto relazioni pluridecennali over a book? Tenete un registro? Avete ideato metodi alternativi? Non prestate per principio? Raccontate, raccontate…

 

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* Ssssì, lo so… Una volta o l’altra ne parleremo.

** No, non eravamo in buoni rapporti. Nemmeno prima dell’incidente LJ. Ripensandoci, non so nemmeno troppo bene perché le avessi prestato il libro. Non era nemmeno una gran lettrice – citava sempre solo Via col Vento e Verdi Colline d’Africa. Li citava solo per titolo. Non sono affatto certa che avesse mai letto altro in vita sua. Non sono affatto certa che avesse letto per intero nemmeno quelli. No, che non porto rancore. Come vi salta in mente una domanda simile?

*** Ciò che mi fa venire in mente: O Tu, cui ho prestato una raccolta di novelle di Stephen Crane in lingua originale (you know who you are), le hai ancora, per caso?

**** Definitivamente, dopo la volta in cui, alla persona che mi cantava con insistenza le lodi di The Woman in Black, dissi “Be’, vuol dire me lo presterai.” Risposta: “No.” Levar di sopracciglia e domanda successiva: “Sei di quelle sagge persone che non prestano mai libri?” Risposta: “No.” Er…

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