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Mar 30, 2016 - grilloleggente    Commenti disabilitati su Rane di Carta

Rane di Carta

Bullfrog_Diaz_EssenceMi piacciono le rane.

Le rane. Le rane sono simpatiche. Le rane sono gente. Appartengo alla categoria di persone che nelle strade di campagna, dopo il tramonto, frenano bruscamente per non investire le rane che attraversano balzellon balzelloni. Figurarsi se potrei mai mangiare una rana assassinata e cotta…

Un tempo succedeva più spesso. Di dover frenare per strada, intendo. Dalle mie parti le strade corrono tra fossi doppi e risaie, èer non parlare di un paio di seri fiumi che, da qualunque parte ci si volti, sono sempre nelle vicinanze. Un tempo, certe sere d’estate erano piene dei concerti  di rospi, rane e raganelle. E le rane bue – oh, l’epico muggito delle rane bue!

Poi… be’, poi l’inquinamento, i gamberoni della Louisiana e i pesticidi hanno decimato la popolazione batracica al punto che l’occasionale rospo in cortile si accoglie come la Regina d’Inghilterra in visita di stato. Al pari delle lucciole, a dire il vero, e dei ricci.

E tutto ciò è molto triste. Francamente, uno dei motivi per cui l’anno scorso ho messo in piedi uno stagno è una vaga speranza che, se lo costruisco, possano ritornare. Le rane, sia chiaro – non i fantasmi.* Non è come se avesse funzionato, ma ho intenzione di ripetere l’esperimento. Vi terrò aggiornati. Nel frattempo, a voler batraci, pare proprio di doverseli cercare nei libri.batracomiomachia-di-leopardi-guida_064891e8b6d140a3986332f3f49c6a45

Come Re Gonfiagote e le sue rane nella giocosa parodia omerica della Batracomiomachia – in cui, tra parentesi, le rane le prenderebbero di brutto dai topi, non fosse per l’intervento divino in forma di granchi… E anche Gonfiagote, letalmente distratto, pusillanime e bugiardo, non è proprio il batrace della mia vita.

Anche le rane di Esopo, temo, non saranno mai candidate al Nobel per la Fisica. O fanno pessime scelte politiche tra Re Travicello e la Gru, o cercano di gonfiarsi a misura bovina – con risultati… er, esplosivi.

Per fortuna che a riscattare il buon nome dei batraci ellenici pensa Aristofane, le cui Rane, eponime pur con una scena sola, battibeccano con Dioniso meritandosi il titolo di più incantevole e spassoso tra i cori greci. Brekekekèx-koàx-koáx!

Dan'lA Dan’l Webster, il ranocchio saltatore di Twain, va decisamente peggio – ingozzato di pallini di piombo per impedirgli di vincere la scommessa del suo padrone… Twain non dice che cosa ne sia del povero Dan’l alla fine, ma dubito che l’indigestione possa avergli fatto bene.

Poi però c’è Mr. Toad of Toad Hall, ne Il Vento tra i Salici, l’egocentrico signorotto in tweed, con un debole per le mongolfiere, i punts e le automobili. E sì, Mr. Toad è un pericolo per sé e per gli altri, ma il suo entusiasmo, i suoi occasionali pentimenti e la sua assoluta mancanza di buon senso lo rendono, nonostante tutto, adorabile.

Oh – e non dimentichiamoci Puddeneen Wheelan! Sospetto che non siamo in tantissimi a ricordarci di Pat O’Shea – ma tra le deliziose creature che, ne La Pietra del Vecchio Pescatore, assistono Pidge e Brigit contro gli esseri più feroci dei miti celtici, c’è anche questo rospo spudorato, simpaticissimo e con un accento irlandese da tagliarsi con il coltello.FrogPrince

E poi ci sono principi/ranocchi a non finire… Quello originale dei Fratelli Grimm, a dire il vero, è trasformato in giovanotto di sangue blu da una biglia incantata. Ma bisogna ammettere che, tra una biglia che cade a una principessa sventata e un bacio, story-wise non c’è competizione.

E sì, credo che alla fine mi terrò Aristofane per consolazione – perché le rane di carta col lieto fine si contano sulle dita di una mano. Ne verranno ad abitare nel mio stagno? Come ho detto, vi farò sapere. Magari intanto potrei ricorrere alle rane origami? Brekekekèx-koàx-koáx…

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* E adesso ho quest’immagine mentale di ranocchi che giocano a baseball nel mio stagno…

Set 26, 2014 - grilloleggente    3 Comments

Dieci Libri – La Lista Bigia

charlie-brown-heavy-bookParlavamo di libri che ci influenzano, ricordate? Libri a cui siamo legati – e avanzavamo il dubbio che questo possa accadere nel bene e nel male… Dove sono quei libri che ci hanno segnati – ma non troppo felicemente? Ebbene, non so voi – ma ecco la mia…

Lista Bigia

1. Il Piccolo Principe. Che devo dire? Ammesso che non sia nata cinica, Saint-Éxupéry mi ci ha resa prima dei quattro anni. E insisto nel dire che nessuna volpe che si rispetti chiederebbe mai di essere addomesticata.

2. La Bambinaia Francese. E non so, magari da piccola Bianca Pitzorno non mi dispiaceva nemmeno del tutto – ma una lettura della sua prima opera di “narrativa adulta” mi è bastata per sviluppare un’allergia violentissima nei confronti dell’anacronismo psicologico.

3. Cristoforo Colombo. E questo a suo modo è bizzarro, considerando quanto di Granzotto adoro l’Annibale… Ma letta a dodici anni per l’ora di narrativa, corredata di uno di quei terribili apparati didattici, questa biografia mi parve della stessa qualità essenziale delle piastrelle di marmo. Non solo m’indusse un’antipatia per il povero Colombo che non ho ancora superato, ma poco mancò che mi alienasse definitivamente dalla lettura delle biografie.

4. Tra gli Orrori del Duemila. Anche di questo ho già parlato. Qui basterà dire che Chelsea Quinn Yarbro fu più efficace di Granzotto: non solo soffrii di incubi per un’estate intera, ma tutt’ora – e sono passati quasi trentacinque anni – non leggo volentieri fantascienza.

5. Gertrud. No, sia chiaro – mi è piaciuto, forse è uno dei miei Hesse preferiti. Però prima di leggere Gertrud ero certa che in un’altra vita avrei suonato in un’orchestra. Dopo Gertrud… be’, non più.

6. L’Eneide. letta male, letta al momento sbagliato, letta in brutta traduzione… non so. O forse è davvero solo questione del Pio Enea… Come che sia, l’Eneide ha scatenato in me un’avversione a Virgilio del tutto irragionevole. C’è voluto Seamus Heaney perché la superassi.

7. Oliver Twist. Letto nell’infanzia, assieme a David Copperfield, in traduzioni condensate e sanitizzate per i fanciulli. La concentrazione di zucchero rischiò di uccidere la potenziale dickensiana che era in me. Di sicuro fece molto per curare qualsiasi residua inclinazione sentimentale mi fosse rimasta dopo il PP. C’è di buono che così, quando molti anni più tardi arrivai a The Old Curiosity Shop, ero abbastanza vaccinata da poter proseguire la lettura nonostante Nell. C’è di cattivo che ancora adesso sono così ossessionata dal terrore di scrivere zuccherosità che fa male a guardarmi. Too_Many_Books_student

8. L’Aristocrazia Bizantina. Questa non so se considerarla un’influenza per il bene o per il male. Una delle letture più aride e pesanti della mia vita – e a me la storia bizantina piace proprio tanto – e il primo libro che abbia consapevolmente abbandonato da adulta. Anche da bambina, devo dire, tendevo a finire tutto quel che iniziavo (con poche eccezioni – Tarzan being one). Il senso di colpa da libro abbandonato era invincibilmente forte… Ci vollero Ronchey e Kazhdan per liberarmene una volta per tutte.

9. Un Americano alla Corte di Re Artù. E perché mai, povero Twain? Ecco, il fatto è che all’epoca soffrivo di medievite. Una forma particolarmente forte. Non c’era altro che il Medio Evo. E mi prendevo sul serio assai, in proposito – in un modo che sarebbe stato imbarazzante se non avessi avuto una decina d’anni. Vederci fare su dell’ironia… well, we were not amused. Da un lato scoprii che, quando si trattava delle mie infatuazioni, il mio senso dell’umorismo si prendeva un giorno di ferie.* Dall’altro, fu l’inizio della fine dell’infatuazione stessa – insieme al Cavaliere Inesistente.

10. Viaggio a Izu. Questo non l’ho letto in senso stretto. L’ho sentito recitare. In un giardino. Al tramonto. E sono certa che la colpa è mia, e non del povero Yasunari Kawabata – ma che devo dire? L’andamento paludoso, la mancanza di struttura e  storia, l’aggraziata rarefazione e, diciamolo, la noia mortale hanno generato in me un’irragionevole quanto invincibile diffidenza nei confronti della letteratura giapponese nel suo complesso. E potrei aggiungere, giusto per contrabbandare qui un undicesimo titolo senza parere, la vicenda parallela de La Casa degli Spiriti – letto per baratto (in cambio di LJ) e all’origine della mia antipatia per la narrativa sudamericana.

E non è come se non mi rendessi conto che quel che emerge da questa lista è pù che altro l’immagine di una donna irragionevole – ma non so che farci. Le scottature per via di lettura non mi guariscono più… fatemi causa.

E voi, dunque? Ce l’avete una lista bigia, o Lettori? Raccontate…

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* Le cose sono migliorate – ma solo un po’. Provate a fare dello spirito ai danni di Marlowe. O di Annibale. O del Barone Rosso. O di Manfredi di Svevia. O di Alan Breck Stewart. O di Lord Jim. Arrossisco nel dirlo, ma…

Gen 29, 2014 - romanzo storico, Storia&storie    Commenti disabilitati su Sarebbe Potuto Accadere

Sarebbe Potuto Accadere

HistoryUltimamente la serendipità si diverte a piazzare lungo la mai strada piccole perfezioni in fatto di narrativa storica.

Perfezioni teoriche, intendo.

Ricordate Scott&Barnett e i loro fatti veri mai accaduti?

Ecco, poi domenica notte – ad alta notte, mentre cercavo di far cambiare ritmo ai neuroni prima di un’ultimissima revisioncina – mi sono imbattuta in The Prince and the Pauper, ovvero Mark Twain secondo William Keighley. È un delizioso film del 1937 – ma ne parleremo un’altra volta – anche perché ne ho visto solo un pezzettino.

Ma quel pezzettino iniziava con una premessa perfetta:

Questa non è storia – solo un racconto di un tempo lontano. Forse è andata così, forse no, ma sarebbe potuta andare così.

Vi racconto una storia, o Lettori. È reale? Oh, per nulla – o solo un pochino, ma potrebbe esserlo. Di sicuro ho fatto del mio meglio perché fosse vera. Mentre ve la racconto, vi sembrerà vera. Giocheremo a che sia vera, volete? Il mio mestiere è di far sì che, per il tempo che impiegate a leggerla o mentre ve ne state seduti a teatro, siate molto contenti di considerarla vera.

Il che, in fatto di narrativa storica, a mio timido avviso, il mio mestiere implica un ragionevole grado di accuratezza nell’ambientazione, un certo genere di plausibilità storica per cui sì, sarebbe potuta andare così

Ma a ben pensarci, se ci badate bene, in realtà vale per ogni genere di storia. È il consueto dilemma tra reale e vero, ne abbiamo parlato un sacco di volte – interrogandoci sempre sul perché il fatto che si tratti di una storia vera o no debba essere la prima preoccupazione del lettore…

Per quanto mi riguarda, resto dell’idea che, in fatto di narrativa di qualunque colore, la realtà sia sopravvalutata –  e la prossima volta che qualcuno mi chiederà se quello che ho scritto è una storia vera, probabilmente risponderò che forse sì, forse no, ma sarebbe potuta andare così.

Potrei quasi farmici un ciondolo…

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Sei Secoli Di Pulzelle D’Orléans

Giovanna d'arco, christine de pisan, shakespeare, voltaire, schiller, mark twain, g. b. shawAvrei creduto che la Francia si scuotesse un po’ di più per il seicentesimo anniversario della nascita di Giovanna d’Arco, ma si direbbe che la contadinella-soldato, la piccola coronatrice di re con le voci e le visioni sia un po’ passata di moda – senza per questo avere mai smesso di ispirare legioni scrittori dentro e fuor di Francia. 

Nel corso degli ultimi sei secoli, Giovanna è stata scritta in poesia e romanzo, e ancor più a teatro e all’opera, caratterizzata in ogni possibile luce: santa, vittima, eroina nazionale, pedina politica, pastorella ingenua, fanatica, protofemminista, pastorella ingenua, strega…

Si cominciò molto presto, considerando Le Ditié de Jehanne D’Arc, il poema che Christine de Pisan compose nel 1429, quando Giovanna era ancora viva. E non stupisce particolarmente che la pia, coltissima e battagliera Christine, alla fine di una carriera letteraria senza precedenti per una donna del suo tempo, racconti Giovanna in elegia. 

Né, tutto sommato, stupisce troppo la ben diversa Pulzella nell’Enrico VI, Parte I. Shakespeare la ritrae bifronte – vergine ispirata agli occhi adoranti dei Francesi, strega per gl’Inglesi sconcertati dalla ragazza in armatura. Il punto di vista è quello inglese, naturalmente, e Giovanna è la principale antagonista, pericolosa, indecifrabile, eretica e in combutta con il demonio – no matter quante statue i Francesi (che dopo tutto sono Francesi!) vogliano innalzarle nelle chiese. Alla fine, al suo processo, Giovanna comincia col presentarsi virginale, ardente e pia ma, quando i giudici inglesi non si lasciano impressionare, cambia linea di difesa e si dichiara incinta, suggerendo un possibile padre dopo l’altro, alla disperata ricerca di un comandante francese che i suoi nemici possano rispettare… caratterizzazione molto umana e molto poco celeste

E ben poco di celeste c’è anche ne La Pucelle d’Orléans, il poema tra epico e sgiovanna d'arco, shakespeare, henry VI part Iatirico che Voltaire iniziò per scommessa letteraria e lasciò incompiuto. Parte demistificazione religiosa, parte divertissement licenzioso, la Pucelle destò scandalo, fu proibita e – come accade in questi casi – circolò clandestinamente in lungo e in largo.

Se invece volete vedere Giovanna presa sul serio, si può sempre contare su Friederich Schiller, uno che non si lasciava mai intralciare dai fatti storici sulla strada del dramma. La sua Pulzella è una protagonista visionaria, piena della saggezza dei semplici, preternaturalmente coraggiosa – e invincibile (per magia, mica per intervento divino) fino al giorno in cui s’innamora di un cavaliere inglese. Seguono sensi di colpa, allontanamento dalla corte, prigionia e morte in battaglia. Il processo? Il rogo? Dettagli – ma è di Schiller che stiamo parlando, e con la licenza poetica persino gli dei combattono invano.

Se state pensando che la Giovanna di Schiller sembra perfetta per l’opera, non siete i soli. Verdi, Tchaikowskij, Pacini e una mezza dozzina di altri, alla ricerca di un soggetto pulzellesco, scelsero proprio l’Inaffidabile Friederich, che in fatto di storia non soffriva di soggezioni*, ma aveva senso teatrale da vendere. Ci fu persino un balletto, ad opera di Salvatore Viganò, IL coreografo del primo Ottocento milanese. 

Ancor più sul serio faceva Le Brun de Charmettes, oggi dimenticatissimo but worth a mention, visto che a Giovanna, oltre a una biografia in vari tomi, dedicò l’Orléanide, per un certo numero di decenni il poema nazionale francese.

Sorprende semmai che a prendere sul serio Giovanna fosse Mark Twain – che non prendeva sul serio troppe cose**. Eppure le sue Personal Recollections Of Joan Of Arc sono un romanzo biografico pieno di trasporto e adesione sentimentale. Va’ a sapere quel che può fare uno scrittore quando s’innamora attraverso i secoli…

giovanna d'arco, g. b. shaw, saint joan, anne-marie duffNaturalmente non ci si può aspettare nulla del genere da George Bernard Shaw, e però la sua Saint Joan è a suo modo quasi altrettanto singolare. Qui abbiamo una ragazzina ignorante e piena di buon senso, che trascina soldati, capitani e re per pura incrollabilità di proposito, pur restando del tutto umana. Candida, sensata e devota, la Pulzella (“Ma in Lorena mi chiamano Jenny”) sale al rogo con i suoi dubbi di proto-protestante e la sua fede, e torna – in spirito o in sogno – a discutere con Carlo VII.

E con questo ho esaurito le Giovanne che ho letto di persona, ma ce n’è ancora un’abbondanza e varietà: dalla sindacalista di Brecht alla (quasi) partigiana di Anouilh, dall’aliena pericolosa di Farmer all’immortale di Michael Scott… E non dinemtichiamo una quarantina di film, un certo numero di canzoni (Leonard Cohen, anyone?) e, mi si dice, persino un paio di videogames.

E in realtà, il fatto è che Giovanna ha tutto quanto: il viaggio dell’eroe, le umili origini, il ruolo maschile, le accuse di stregoneria, le visioni, il martirio, la guerra, la religione… Di lei sappiamo molto più che della sua contemporanea media (sentiamo persino la sua voce nelle trascrizioni del processo) e al tempo stesso sappiamo abbastanza poco da poterle dare le intenzioni, il carattere e le funzioni simboliche che vogliamo. Con o senza coloriture particolarmente religiose, Giovanna può essere molte cose*** – e questa è sempre un’otttima base per una fortuna letteraria postuma.

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* Quando penso a tutti gli sforzi che Goethe profuse per fargli ottenere una cattedra di Storia all’Università di Jena… what was he thinking?

** Be’, a voler vedere, prese sul serio anche Delia Bacon, la squadrellata che sosteneva Francis Bacon come Vero Autore del canone shakespeariano. La cosa grave è che Delia sosteneva di sapere com’era andata più o meno per illuminazione…

*** Mi ci metto anch’io: nel mio Bibi e il Re degli Elefanti, atto unico per fanciulli, Giovanna è una degli amici immaginari della piccola protagonista, che trova in lei un simbolo di determinazione e resilience.

Gen 18, 2012 - Oggi Tecnica, scrittura    3 Comments

L’Aggettivo Perfetto

Mail:

Ok, ho fatto il safari e sterminato la maggior parte degli aggettivi, come dice Mark Twain. Non dico che le cose non siano migliorate, però gli aggettivi che sono rimasti erano un po’ così prima e sono un po’ così adesso. Semmai hanno l’aria di farsela un po’ addosso: metti mai che ci ripensi e faccia fuori anche noi? No, scherzi a parte: mi pare che mi manchi ancora qualcosa. Quelli che ho lasciato li ho lasciati perché il sostantivo da solo non bastava proprio, ma come faccio a renderli significativi?

Confesso che l’idea degli aggettivi superstiti con le crisi di panico mi ha divertita. Mi par di vederli, tutti ammucchiati in un paragrafo che cercano di farsi coraggio… Ma non lasciamoci intenerire. Gli aggettivi non sono graziose bestiole spaventate. Gli aggettivi sono subdoli, prolifici e anche un po’ parassiti: quelli più blandi sono talmente abili nel volare sotto il radar che a volte li usiamo senza nemmeno farci caso, mentre l’abitudine a usarne molti si cronicizza e, senza accorgerne, ce ne ritroviamo intere colonie su ogni pagina, tutti occupati a succhiare significato alla nostra prosa…

Comunque, una volta effettuato un safari, che si fa con i superstiti? Ci si accerta che ciascuno di loro sia perfetto, significativo, irrinunciabile. Come si fa? In un certo numero di casi ci pensernno il subconscio, il gusto esercitato e il dizionario interiore, e l’aggettivo scintillerà al posto giusto in tutta la sua gloria di connotazioni. Otherwise bisogna strologarci su – operazione per la quale ciascuno elabora il proprio metodo. Ho messo il mittente della mail a parte del mio, che a suo tempo avevo illustrato in questo post. Il mittente ha letto, meditato e poi ha risposto:

E tu fai questa roba per ogni singolo aggettivo? Ci credo che impieghi vent’anni a scrivere un romanzo! Mi sa tanto che adesso riprendo la doppietta e vado a sterminare anche i pochi che mi sono rimasti…

Dite che questo faccia di me l’Erode degli aggettivi? No, sono quasi certa che Erode è il Mittente, e io… hm, never mind. Per la pace generale, ad ogni modo, sappiate che ho dissuaso il Mittente dai suoi truculenti propositi e l’ho invece incoraggiato lungo una strada di duro lavoro. Non voglio spingermi a dire che faccio “questa roba” per ogni singolo aggettivo, ma – indovinate un po’ – scrivere è hard work. Scrivere bene, even harder. E temo che un uso “un po’ così” degli aggettivi sia una di quelle debolezze traditrici…

Facciamo un paio di esempi specifici e uno generico.

C’è questo libro un po’ strambo, The Nine Lives Of Kit Marlowe, che è ho letto di recente rimanendone molto delusa. È irritante sotto molti aspetti, ma uno di essi è l’uso degli aggettivi. Per esempio, tutto è exotic. I due protagonisti inglesi attraversano tutta l’Europa (passando anche per un paio di posti immaginari), e dappertutto salta fuori qualcosa di exotic. Le dame francesi indossano abiti di corte exotic… del che non so immaginare il senso, visto che nel tardo Cinquecento la moda francese non era affatto sconosciuta in Inghilterra. Poi si arriva a Roma e il cibo è exotic, le maschere del carnevale sono exotic, ma anche l’accento dei Nostri è exotic… E non parliamo dell’isola immaginaria, dove non c’è nulla che non sia exotic. E una volta a Venezia, la misteriosa dama emana un profumo – l’avete indovinato! – exotic. Ebbene, Esotico è uno di quegli aggettivi che, logorati dall’uso e dagli ananas, non vogliono più dire granché. Quando poi non sappiamo rispetto a chi si applichi, siamo proprio a post. Rispetto agli Inglesi? Ai Romani? All’Europa tutta? Uno di quei casi in cui l’uso indiscriminato si accompagna al pallore dell’aggettivo con effetti deprimenti.

E passiamo per un attimo al buon Salgari. Un corsaro di qualche colore – sinceramente non ricordo – aveva nella sua biblioteca “scaffali di metallo dorato di foggia antichissima.” Ah. A parte il fatto che gli scaffali di metallo dorato, per qualche motivo, mi fanno tanto Anni Ottanta, che cosa è mai una foggia antichissima? L’intera espressione è mal congegnata*, ma l’aggettivo che vuol mai dire? Scaffali di foggia minoica? Libreria in stile assiro-babilonese? Moduli componibili mod. Ziqqurat? E vi dirò: “antica” sarebbe stato un po’ meno disastroso. Non molto, ma un po’. Ripetete con me: se un aggettivo fa danno, ci sono buone probabilità che il suo superlativo ne faccia esponenzialmente di più. 

Infine, un pet peeve tutto mio: ampio. Non so se sono solo io, ma mi pare che Ampio sia diventato ubiquo quasi quanto Hello Kitty. Ampie finestre, ampi corridoi, ampie vallate, ampi balconi… provate a farci caso. Non sempre nei corsi di scrittura gli allievi fanno i compiti, ma una che li faceva una volta mi portò la descrizione di una villa antica: su cinquecento parole scarse, un’ottantina erano aggettivi, e il dannatissimo Ampio ricorreva quattordici volte. A parte tutto il resto, il sovraffollamento è abuso, l’abuso logora e il logorio rende l’aggettivo blando.

E l’aggettivo blando non fa da prisma, non cattura la luce, non la rifrange sul suo sostantivo in inattese iridescenze… D’accordo – mi fermo qui, ma dopo lungo peregrinare ecco il sugo della mia esortazione al Mittente: vale sempre la pena di cercare l’aggettivo perfetto con l’ardore di una quest medievale.

E ripensandoci, a riprova del fatto che razzolare e predicare sono due sport ben diversi, sono amaramente pentita di non avere scelto, a suo tempo, Labirintina invece di Labirintica. E so bene che in Italiano Labirintino non esiste, ma è – era – sarebbe stato esattamente quello che volevo, in suono, colore, immagine, consistenza, associazioni mentali… Traviata – no, non traviata, ma sviata dal Treccani. Che faccenda triste.

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* Non so a voi, ma a me suscita immagini del Corsaro occupato a fare shopping di mobili da Centomo (reparto mobili in stile) nel periodo dei saldi…