Tagged with " teatro alla scala"
Dic 7, 2018 - libri, libri e libri, musica    Commenti disabilitati su L’Opera Secondo Nizza & Morbelli

L’Opera Secondo Nizza & Morbelli

interior-view-of-the-teatro-alla-scala-in-milan-ca-1830_a-l-9231368-8880731Sì, sì – Sette di Dicembre, apre la Stagione della Scala, Attila, signore in decolleté e tutto. Io stasera l’Attila non lo vedo, perché sono a teatro – ma me lo faccio registrare e poi vedremo.

Per ora, abbiatevi Nizza&Morbelli. C’è questa scena di Due Anni Dopo, in cui i Moschettieri, prigionieri alla Bastiglia, vengono sottoposti alla tortura dell’Opera – e non si può dire che funzioni, ma l’effetto è rimarchevole. Sottoposti ai “magnifici gorgheggi” di un soprano lirico-drammatico, i nostri si rotolano per terra inebetiti, tanto che è impossibile farli parlare.

OperaTortBioletto‘A questo supplizio – dicono N&M in un aside – c’è chi si abbandona motu proprio, pagando fior di lire e facendo la coda per ore fuori dal teatro. Un nostro amico di famiglia, che sa il nome di tutti i tenori prime donne baritoni e bassi (perché quest’anno al Comunale non c’era il baritono Tromboni voleva far le barricate) per i gorgheggi della Dalpiano la farebbe a piedi fino a Bologna, quel depravato!

In fondo, a tutti i famosi appassionati dell’opera lirica, che cos’è che interessa? Le romanze e i duetti che già conoscono a memoria. Il loro solo piacere è di risentirli e gridare alla primadonna che spara l’acuto: “Brrrrrava!”. Ammesso questo, facciamo una proposta che, al solito, nessuno accetterà.

Riassumiamo le opere! Eseguiamo solo i punti salienti. Potrebbe uscire un omino* a velario chiuso, a raccontare in breve come va la faccenda:

“Signore e Signori, a questo punto lei tira fuori un pugnale. Lui fa un salto indietro e dice:
Perché pugnalarmi tu vuoi?/ Il tuo vecchio genitor son io ecc. ecc..

Lei rinfodera il pugnale, facendo considerazioni di vario ordine e, finalmente, canta la romanza del secondo atto”.Operadmd

L’omino rientra, si apre il velario e l’orchestra attacca:

CONTRABBASSI – Zum!

I e II VIOLINI, VIOLE, CELLI – Pai pai pai pai…

CONTRABBASSI – Vrum Vrum!

I e II VIOLINI, VIOLE, CELLI – Pai pai pai pai…

CONTRABBASSI – Vrum Vrum!

OTTAVINO (accorato) – Piiiiiiiii….

TEODOLINDA (entrando con le treccie** sciolte)

Ahimè figlia sventurata/ di sì tristo genitor… ecc.

OperadNoi qui lo scriviamo. Ma credete che di quello che cantano in palcoscenico, si capisca una parola? Nemmen per sogno! Tenore, basso, baritono e primadonna, non contenti di essere indecifrabili negli assoli, cantano poi a due, a tre, a quattro, con e senza coro, dandosi l’un l’altro sulla voce. Una vera babilonia! E la menano così per ore ed ore. Nel Tristano e Isotta, i due folli amanti si fermano, come una balia e un soldato, sulla panchina a ragionarsela per tutt’un atto. E lui la dice a lei, e lei la dice a lui… (Beh, la fate o non la fate questa passeggiata?) Sapete qual è la conclusione? Che alla fine dello spettacolo si perde il tranvai***. E l’ultim’atto, quando lei muore, che è il punto più bello, non lo puoi ascoltar bene perché non vuoi restar ultimo nella coda al guardaroba. Una bella scocciatura! […]’

Ecco, sì. Se avete amici e parenti melomani, prima di far loro leggere questo post, considerate bene – non tutti i melomani hanno quel simpatico accessorio, un sense of humour, specie quando si viene a parlare di opera****.

____________________________________________

* Decenni prima di Baricco, non so se mi spiego!

** Sic.

*** Sapete, vero, che per la prima parigina del Don Carlos di Verdi, la direzione dell’Opéra volle drastici tagli perché i Parigini non dovessero perdere gli ultimi treni per la periferia? E invece di levare il ridicolo balletto (dininguardi!) si finì col levare quella meraviglia che è il duetto di Carlo e Filippo nel IV Atto. Eh…

**** Se siete melomani voi stessi, non vogliatemene troppo, va’. Confesso che, a suo tempo, il mio Mentore Operistico impiegò del tempo a perdonarmi questa storia…

Dic 8, 2017 - musica, Ossessioni, teatro    Commenti disabilitati su La Rivoluzione i Figli Suoi Divora…

La Rivoluzione i Figli Suoi Divora…

Andrea-Chenier-prima-Teatro-alla-Scala-Rai-1scala-Stravizzi.com_-218x300Visto l’Andrea Chenier della Scala, ieri sera?

A me piace tanto, l’Andrea Chenier… Musica e libretto – un giovanissimo Giordano e Luigi Illica at his most (melo)dramatic. D’altra parte, con il suo intreccio di amore, morte, patriottismo e redenzione mancata* sullo sfondo del Terrore, è una vicenda perfetta per l’opera. Chissà perché mi ero convinta che il libretto  venisse da uno di quei drammoni francesi, you know – e invece no, o almeno… Il libretto riporta questa piccola Nota dell’Autore:

Da H. de Latouche, Méry, Arsène Houssaye, Gauthier e J. ed E. de Goncourt ebbe la idea di drammatizzare pel Teatro di Musica il personaggio di Chénier e attinse dettagli di verità d’epoca. (L’A. del libretto – L.I.

Tantalizing, vero? Mi sa che qui s’imponga qualche ricercuzza…

Ma intanto, ieri sera. Niente affatto male, nel complesso. Mi è piaciuta molto Anna Netrebko, ed Eyvazov è bravo, anche se non impazzisco per il suo timbro. Aspettavo soprattutto di vedere la regia di Martone, che ho trovato discontinua anzichenò: cose davvero belle (l’intero III Quadro con il “processo”), cose così così (l’intero II Quadro, con le pareti a specchio), cose un po’ gratuite, direzione dei personaggi un po’ approssimativa, folla per lo più molto bella a vedersi – ma non era come se la regia televisiva aiutasse affatto – bei costumi e belle, ma belle luci.

Ad ogni modo è stato un piacere vedere un Andrea Chenier in una produzione come si deve, e Chailly è sempre una garanzia.

Che ne dite di due piccoli video?

Questo accosta musica e immagini un po’ così, ma mette bene in risalto movimento, schema di colori e luci contro lo sfondo nero – meglio di quanto si sia apprezzato nella diretta, francamente…

E questo invece offre un bellissimo sguardo dietro le quinte, a prove, preparazione e allestimento:

E lasciatemi concludere con un momento à la Grisù: un giorno lavorerò backstage a un’opera… un giorno lavorerò backstage a un’opera!

Ecco. Felice Immacolata, o Lettori.

_______________________________

* No, per dire: secondo voi che ne è di Carlo Gerard una volta chiuso il sipario?

Dic 4, 2015 - gente che scrive, Storia&storie, teatro    Commenti disabilitati su Salamini Foscoliani

Salamini Foscoliani

FoscoloHo sempre pensato che questa storia, pur non deponendo a favore del buonsenso di Foscolo,  fosse meravigliosa. Ed è anche interessante a titolo di cautionary tale per autori – dentro e fuori da un teatro.

Dovete sapere che la sera dell’undici dicembre del 1811 – quasi duecento e quattro anni esatti orsono – il pubblico accorso alla Scala di Milano per l’Aiace, la nuova tragedia di Ugo Foscolo, si stava annoiando educatamente. In parecchi pensavano che sarebbe stato molto meglio per tutti se l’autore si fosse concentrato su odi, sonetti e poemi, standosene ben lontano dal teatro… A un certo punto, giusto per migliorare le cose, un araldo si piantò in mezzo alla scena e declamò:

“S’avanza Aiace, Re dei Salamini!”

Un certo sbalordimento, colpi di tosse per dissimulare qualche risata colpevole, zittii, e avanti si andò, fingendo di nulla. Se qualcuno sperava che l’Aiace acquistasse un po’ di passo col procedere, era destinato a rimanere deluso: monologhi infiniti, tirate, altri monologhi, altre tirate in cui un limitato numero di gente riferiva, commentava, rimuginava, malediva, delirava e si disperava variamente… Tutto molto bello, tutto molto notevole, tutto molto greco, tutto in versi squisiti, ma di una noia mortale – e ce n’erano cinque atti cinque!

Cosicché, se al quint’atto l’ormai sfoltito pubblico aveva perduto un po’ del suo beneducato riserbo, possiamo biasimarlo del tutto? Immaginate di avere passato una lunga, lunga serata ascoltando gente in chitone che declama quantità sesquipedali di poesia molto, molto aulica… E adesso immaginatevi Teucro che, in tutta solennità, prende il centro scena e intona la sua ovazione al grido di…

“O Salamini!”

Quando è troppo, è troppo. L”irritazione, la noia e la pura e semplice assurdità ebbero il sopravvento, e l’intera sala scoppiò in un scalaconvulso di risa. Alas, l’Aiace, iniziato tra le migliori attese e proseguito tra gli sbadigli, si concluse ignominiosamente tra i cachinni.

Dopo questa infelice prima, la censura volle vedere nella tragedia delle allusioni non proprio lusinghiere a Napoleone e ne proibì le repliche, which was just as well, probabilmente.

Foscolo ci avrebbe riprovato un paio d’anni più tardi con la Ricciarda, prima di decidere che il teatro non era il suo mestiere, ma nel frattempo si offese a morte con il pubblico milanese per via dei Salamini… Se non avesse davvero considerato il potenziale della faccenda, o se avesse deciso che chi non sapeva distinguere tra Salamini e salamini non meritava che ce se ne preoccupasse, è una di quelle cose che non sapremo mai – ma trattandosi del buon Ugo, a dire il vero, non mi sento di escludere del tutto la seconda ipotesi.

L’Ajace annegato nell’ilarità sta a provare che, già dal 1811, nessuna delle due era una buona idea.

 

Mag 6, 2015 - musica, Ossessioni, teatro    2 Comments

Turandot – Guida Men Che Seria

Turandot_2010_-ph-Hans-van-den-Bogaard-19-630x358 Avete visto la prima della Turandot alla Scala, venerdì sera?

Bella edizione. Cast tra il discreto e l’ottimo – con menzione speciale per la Liù di Maria Agresta e il Ping di Angelo Veccia – magnifica direzione di Riccardo Chailly, bellissimo il finale di Berio, e visuals inconsueti ed efficaci. Confesso che, se l’avessi solo sentita descrivere, forse sarei un pochino inorridita dalle scelte registiche di Lenhoff – e invece no. Questa Cina stilizzata e immaginaria, tutta bianca, rossa e nera con l’occasionale pennellata d’oro, disseminata di elegantissimi dettagli, poteva risultare un nonnulla inquietante, ma funzionava molto bene.

Ma, come ognun sa, qui dalle parti SEdS siamo più che un pochino ossessionati dalle storie, e non siamo nemmeno capaci di goderci un’opera senza rimuginare tutto il tempo sulla tenuta narrativa del libretto… E non c’è nulla da fare: tra i grandi libretti pucciniani, questo è il più… mah. Turandot_Suite_Score_Cover

E badate che la fonte da cui si partiva, la fiaba-con-commedia-dell’arte di Gozzi, era un po’ convoluta, ma tutto sommato innocua. Obiettivamente, nonostante una certa quantità di decapitazioni e di torture, avrebbe funzionato meglio per un’opera buffa. Adami e Simoni presero la storia, aggiunsero amori incrociati, morte a carrettate, instabilità mentale  di qua e di là e un’abbondante dose di insufficienza cranica tenorile, facendo della fiaba una faccenda di travolgente passione tra una psicopatica omicida e un ossessivo manipolatore di supremo egoismo. Ah – e nel mezzo malcapita una povera ragazza con un complesso del martirio ai limiti del masochismo…

A ben pensarci, le potenzialità per una rivisitazione horror di questa storia sono maiuscole – ma passiamoci sopra.

Turandot2Voglio dire – partiamo dalla protagonista eponima. Turandot, principessa imperiale della China, non solo non vuole sposarsi, ma si diverte a mandare a morte un pretendente di sangue reale dopo l’altro perché ce l’ha con gli uomini. E sapete perché ce l’ha con gli uomini? Perché sente l’impellenza di vendicare su tutta la specie la triste fine di un’ava stuprata e uccisa la bellezza di un paio di millenni addietro.

Oddio, data l’insistenza del libretto sulle iperboli orientali in fatto di tempo, magari saranno anche solo un paio di secoli – but still, diciamo che il trauma non è dei più diretti. Nondimeno i pretendenti, ammaliati a distanza dalla bellezza di Turandot, seguitano a fioccare, a fallire e a rimetterci la testa uno dopo l’altro, per lo sconforto episodico dei sudditi, quello un filo cinico dei ministri e quello sincero dell’Imperatore. Ecco, questo Imperatore, che continua a ripetere di disapprovare nel profondo la carneficina e non poterci fare nulla per via di un Orrendo Giuramento…

Giuramento di che? A chi? Non lo sappiamo né lo sapremo mai – ma è ragionevole immaginare che Turandot la forte volontà l’abbia ereditata dalla madre. Calaf

Con queste premesse, se foste un principe tartaro in esilio, e capitaste a Pekino (dove infinite ciabatte stridono, sappiatelo), non cerchereste di tenere un basso profilo? Se mi dite di sì, è chiaro che non sarete mai eroi d’opera. Il nostro tenore Calaf – che, guarda caso, è proprio un principe tartaro in esilio, arriva giusto in tempo per veder decapitare l’ultimo mancato sposo, il bel principe di Persia, e maledire tra sé la crudele principessa che, sorda alle suppliche del popolo, manda a morte i suoi innamorati.

Poi, per la Terza Legge dell’Opera, in questa affollatissima piazza chi deve ritrovare il nostro eroe, se non il vecchio babbo detronizzato, sconfitto, esiliato e cieco? Il povero Timur, ridotto a mendicante, avrebbe già fatto una pessima fine se non fosse stato per le premure della giovane schiava Liù, che si è accollata da sé il compito di proteggere, guidare e sfamare il suo vecchio padrone – un po’ per buon cuore, e un po’ perché è innamorata di Calaf… È una vita dura, povera ragazza – ma adesso hanno ritrovato il principe, e le pene sue e di Timur sono finite, giusto?

Giusto?

Turandot_2010_-ph-Hans-van-den-Bogaard-19-630x358Ennò, nemmeno per idea, perché proprio in quel mentre, Turandot ha la brillante idea di mostrarsi al verone. Colpo di fulmine. Calaf, dopo averla intravista da lontano per qualcosa come dieci secondi, decide che la vita non ha più senso senza la bella pluriomicida. L’ha appena maledetta per i suoi metodi? Fa nulla. Ha un Vecchio Babbo Cieco a cui provvedere? Dettagli. Liù si è sfiancata per questo e non ce la fa più? Ah ecco, giusto: Liù, piccina, ho troppo sofferto nell’ultimo minuto e mezzo e tu, se mi ami devi occuparti ancora del mio VBC a tempo indefinito, mentre io vado a rischiare (e probabilmente perdere) la vita per amore di un’assassina.

Dopodiché Calaf procederà per la sua strada con l’ottusa ineluttabilità di una carica di gnu, sordo a ogni dovere, misericordia e buon senso. I tre ministri gli faranno discorsi molto sensati, l’Imperatore lo supplicherà di non gettare via la sua vita, Turandot stessa non sarà mai men che odiosa e sleale nei suo confronti? E lui avanti.E gli enigmi li risolve anche, ma la gelida matta – che proprio non sa perdere – gli chiede un controenigma non protocollare, e lui glielo concede (insieme alla possibilità di decapitarlo) prima di subito. A questo punto Turandot perde definitivamente la testa: per scoprire la risposta che le serve minaccia di morte tutta Pekino, cattura Timur, fa torturare Liù che si uccide pur di non parlare… E credete che tutto ciò squota più di tanto il nostro amoroso forsennato? No, perché, you see, lui vuole Turandot. Turandot_2010_-ph-Hans-van-den-Bogaard-14-200x200

Io tendo a sorridere dei tenori  verdiani – ma ammettiamolo: Calaf è un deficiente in musica magnifica.

Sì, perché poi la musica è davvero meravigliosa, e il libretto dimostra di essere capace di humour incantevole e cattivello quando si concentra sui tre ministri Ping, Pong e Pang…

But still. E lo so che non si va all’opera per la logica narrativa, ma giochiamo per un attimo a Dopo Il Sipario. Lanterne rosse, incensi, offerte, giubilo, matrimonio imperiale, sollievo di tutti… E poi? Immaginiamoci che genere di prole possono produrre Turandot e Calaf, combinando i rispettivi senso di responsabilità, stabilità mentali e capacità di empatia…

Non so voi, ma io questa China immaginaria, la vedo proprio male.

Giu 24, 2013 - Anno Verdiano    5 Comments

Librettitudini Verdiane: Giovanna D’Arco

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaRicordate Gaetano Merelli, il direttore della Scala? Era da dopo il successone dei Lombardi che sollecitava Verdi a scrivergli qualcosa d’altro – e Verdi nicchiava.

Però nel 1844 il compositore riallacciò il sodalizio con Solera, invitandolo a scegliere un soggetto per Merelli. E Solera scelse Giovanna – o meglio, per dirla con Schiller, Die Jungfrau von Orléans. Verdi, a dire il vero, non fu travolto dalla letizia. Tra l’altro, c’erano già un paio di opere tratte dal dramma tedesco, e anche un balletto del solito Viganò, ma tutto sommato non voleva dire granché. Anche perché Solera non aveva intenzione di essere terribilmente fedele a Schiller.giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scala

Per dire, al grido di semplifichiamo, semplifichiamo, il librettista sfrondò due dei personaggi principali: il cavaliere inglese Lionel, di cui la Giovanna schilleriana s’innamora fatalmente, e la bella Agnes Sorel, amante del Delfino e poi re. Il che, lo capite bene, lasciava ben poche alternative per l’obbigatoria storia d’amore tenore/soprano…

Ebbene sì: Giovanna e il Re, che qui è già incoronato.

E sì, lo so – ma non era come se Schiller per primo fosse storicamente attendibile, giusto? E poi, francamente, chi è che va all’opera per il rigore storico? Per cui non formalizziamoci e vediamo un po’…

Il Prologo (ebbene sì, abbiamo un prologo) comincia a Dom-Remy*, con ufficiali e borghigiani che si lagnano dell’andamento della guerra. Quegli accidenti d’Inglesi vincono e vincono e vincono, e persino Orléans è sul punto di cadere. Entra il re Carlo VII e, dopo che il popolo s’è brevemente commosso sulla sua combinazione di bellezza, giovinezza e sfortunaccia nera, annuncia un’abdicazione sacrificale. Se l’è sognato, dice. Ma in realtà quel che si è sognato è un’immagine della Madonna in un bosco…

Oh, Sire – ma è qui nei dintorni! esclama il coro. È un postaccio infestato da streghe e diavoli, ma c’è. E sarà anche un postaccio, ma è là che Carlo, con uno di quei salti logici che solo all’opera, decide di dover andare a rimettere la sua corona nelle mani di Dio. Oh, e degli Inglesi, of course.

E noi lo precediamo nel postaccio boschivo e tempestoso dove, in effetti, c’è una cappellina. E ci sono anche – ciascuno per conto proprio – il canuto pastore Giacomo e sua figlia, la contadinella Giovanna. Questi due sono uno più pio dell’altro. Lei non trova altro luogo sacro per venire a pregare che il Cielo le conceda di salvare in qualche modo la Francia, e lui l’ha seguita per vedere se, come teme, la figliuola è una strega, un’indemoniata o qualche altra cosa poco raccomandabile.

Quando Giovanna si addormenta arriva Carlo e, senza accorgersi di padre nascosto e figlia ronfante, si mette in preghiera. E arriva anche un coro demoniaco che, a tempo di valzerino, tenta la Giovanna con una collezione di immortali versi che in parte vi riporto:

Quando agli anta
L’ora canta
Pur ti vanta
Di virtù
Tu sei bella,
Tu sei bella!
Pazzerella
Che fai tu?

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaE a questo punto è molto, molto chiaro che Solera non era in vena… Per fortuna a interrompere gli spiriti malvagi** intervengono gli spiriti celesti** che svegliano la ragazza con la notizia che i non meglio precisati “celesti” hanno deciso di darle retta – a patto, badate bene, che s’impegni a tenere il cuore ben chiuso a ogni affetto terreno…

E Giovanna si sveglia, afferra elmo e spada che Carlo aveva deposto per pregare e, da contadinella, eccola trasformata in eroina!

Carlo è folgorato – e non solo dall’impeto guerriero di Giovanna. I due se ne escono mano nella mano per andare a dare agl’Inglesi quel che spetta loro… e Giacomo? Vi eravate dimenticati di Giacomo, vero? E invece il padre sospettoso era nascosto in un angolo e ha visto e sentito tutto. O almeno, non deve aver sentito granché dell’estasi mistico-patriottica della figlia, ma in compenso ha visto abbastanza da decidere che Giovanna ha venduto l’anima al diavolo per amore del re… orrore, orror!

Sipario – e Atto Primo

Siamo nei dintorni di Rems*, e gl’Inglesi sono ammaccati e abbacchiati. Hanno perso Orleàno* e, in generale, le hanno prese di santa ragione da quando i mangiarane Francesi sono comandati dalla diavolessa.

Ed ecco Giacomo. Il suo crine è scomposto, i suoi atti dimostrano il disordine della mente. Voi che fareste se un nemico scarmigliato e squadrellato si presentasse al vostro campo promettendovi la consegna della diavolessa da cucinare come preferite – a patto di lasciarlo combattere con voi? Dubitereste, giusto? Ma qui siamo all’opera e agli Inglesi non par vero.

Le tue ciglia gemon pianto,

osservano gli isolani, al che Giacomo ammette che la diavolessa è un tantino sua figlia. Però poi sforna questa ineffabile variazione sul tema carne debole e spirito pronto:

Languido è il fral, ma l’anima
Maggiore è d’ogni duol!

Comprensibilmente folgorati gli Inglesi lo prendono con sé. giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scala

Nel frattempo a Rems* Giovanna non ne può più di guerra e dell’adorazione generale e cieca. Ha vinto, giusto? E allora può tornarsene a casa dal babbo e dalle sue pecorelle. Chi non vuol sentirne parlare è Carlo, che la farebbe tanto volentieri sua regina… Giovanna, sia detto a suo credito, resiste per trentuno versi. Ma che vogliamo fare? è un soprano e si sa come va a finire; al trentaduesimo verso cede e subito gli spiriti eterei si manifestano per ricordarle che aveva giurato: niente affetti terreni!

Ops…

E a questo punto non ci mancava altro che il popolo festante – perché vorrebbero, per favore, Carlo e la Pulzella, recarsi al tempio** per l’incoronazione***? Giovanna a dire il vero vorrebbe tanto essere morta in battaglia, ma Carlo che non ha sentito gli spiriti celesti e non capisce il motivo di tanto scombussolamento, la ricopre di futili rassicurazioni e profferte d’amore, e se la trascina via.

E non vi fate un’idea di come gongolano gli spiriti malvagi e stornellatori!

Atto Secondo

Davanti al tempio tutto è letizia ed esultanza – con l’eccezione di Giacomo, che chiaramente cammina avanti e indietro tra il campo inglese e quello francese senza l’ombra di un impiccio. Ma d’altra parte, chi si azzarderebbe a fermare un uomo che viene per detergere tutte le sue fibre di padre e diventare fulmine del Signor crucciato?

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaCosicché, quando Giovanna esce dal tempio, cercando invano di sfuggire al re e al popolo che vogliono farla santa subito, il vecchio è pronto per far scoppiare la sua bomba: altro che santa, la mia sciagurata figlia è una strega venduta al diavolo per un non meglio precisato amore terreno****…

Orrore, orror!

Carlo protesta, con singolare logica ed efficacia, che Giovanna è troppo bella per essere una strega. Il popolo chiede prontamente la sua testa. E Giacomo è molto scosso, ma tiene duro perché, scopriamo, un bel rogo è l’unica cosa che può ancora salvare l’anima della sacrilega ragazza.

E Giovanna? Giovanna sacrilega ci si sente, visto che ha contravvenuto alle istruzioni celesti innamorandosi del re, per cui non solo non si difende, ma è prontissima a seguire il padre verso il rogo degli Inglesi. Perché non possano bruciarla i Francesi, vista la veemenza del loro pio disgusto, non è ben chiaro, ma… Oh, wait! Non funzionerebbe altrettanto bene il…

Terzo Atto.

Atto Terzo che comincia in una prigione inglese, dove Giovanna ascolta da lontano i rumori dell’ennesima battaglia, si mangia le unghie perché i Francesi stanno perdendo, si strugge per Carlo in pericolo, prega e protesta la sua innocenza davanti al cielo… giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scala

E di nuovo, celato nell’ombra a una quinta di distanza, c’è Giacomo, questo origliatore di professione, che dopo avere pensato di lei tutto il male possibile per due atti, all’improvviso le crede. Ed è vero, tecnicamente è ancora sacrilega – in pensieri e parole, se non in opere – ma, in un altro di quegli aloni lasciati dalle rimozioni della censura, in fondo a Giacomo importa che Giovanna sia a) ancora vergine; b) sempre pia. E allora la libera, le dà la sua spada e la fa scappare. Da una bifora/un verone/ una ringhiera/ la cima della torre il padre pentito&angosciato osserva le sorti della battaglia mutare dopo l’ingresso in campo della Pulzella. Peccato che si perda il finale a causa di un turbine di polvere, ma male non dev’essere andata: quando Carlo arriva è trionfante e in vena di perdono.

I due uomini si stanno felicitando a vicenda, ma si felicitano troppo presto. Il coro sciama in scena portando la defunta Giovanna – già nella bara. Carlo si dispera insieme al coro (già dimentico del finale dell’Atto Secondo), ma all’improvviso…

Gran Dio! Silenzio… Represso gemito mandò l’estinta,

esclama Giacomo, senza notare che allora forse del tutto estinta non è.

E dite la verità: non vi sembrava strano che Giovanna non morisse in scena? Oddìo, magari vi sembra anche strano che sia morta in battaglia e non sul rogo – ma per quello potete biasimare più Schiller che Solera. Anche perché il rogo ci avrebbe privati dell’ultima scena in cui Giovanna ha tutto il tempo di delirare, perdonare, andare in estasi e vedersi assunta al cielo, tra le lacrime, le suppliche e la meraviglia di Carlo, Giacomo e coro tutto.

E se a chiudere ci aspettavamo gli spiriti celesti, aspettavamo male. Ecco a noi, invece, gli spiriti malvagi:

Torna, torna, esulante sorella,
Sovra i vanni dell’angelo al ciel!
È il signore, il signor che ti appella,
E ti cinge inconsuntile vel.
Più che il fuoco che n’arde e ne scuoia,
Più che il buio di notte crudel,
N’è tormento d’un’alma la gioia,
N’è supplizio il trionfo del ciel!

E non so se mi piaccia di più il velo inconsuntile o i diavoli che hanno paura del buio, mentre una siderea luce spandesi improvvisa pe’l cielo e tutti si prostrano davanti al glorioso cadavere.

Sipario.

giuseppe verdi, giovanna d'arco, temistocle solera, friedrich schiller, teatro alla scalaE no, il buon Solera non era in stato di grazia, e poi aggiungeteci i molteplici rimaneggiamenti della censura vicereale, e… well.

Ad ogni modo, Verdi musicò tutto in quattro mesi, litigò come un dannato con direttore, orchestra e cantanti e poi, alla fin fine, si ebbe una prima abbastanza mediocre, con un successo limitato e della cattiva stampa. Lui disse che i giornalisti milanesi lo danneggiavano di proposito e alla fine, irritato e deluso, prese una decisione drastica: non avrebbe più scritto per la Scala.

Era destinato a cambiare idea – ma ci sarebbero voluti decenni.

 

________________________________________

* Sic, sic, sic. È la toponomastica francese secondo Solera.

** E questi in origine erano, l’avete indovinato, diavoli e angeli. E il tempio era la chiesa. Poi capitò la censura… Noi forse fatichiamo un po’ a capire che materia scabrosa fossero, all’epoca, le vicende della Pulzella.

*** Era già re, dite? Be’, lo era nel prologo. Poi aveva abdicato – o quanto meno espresso l’intenzione di farlo. E comunque, che volete che sia? Le incoronazioni fanno tanta scena. E a ben pensarci, non è l’ultima volta che vediamo incoronare un re già regnante. Ne riparleremo.

**** E non è che Giacomo sia diventato all”improvviso troppo prudente per accusare re di avergli sedotto la figlia. È che nel libretto originale – come in Schiller – Giacomo si agitava molto sulla questione della supposta verginità perduta di Giovanna. Poi la censura intervenne, e rimase soltanto il sacrilegio, con tanti cari saluti alla logica generale della storia.

 

 

Mag 20, 2013 - Anno Verdiano, musica    12 Comments

Librettitudini Verdiane: Un Giorno Di Regno

giuseppe verdi, felice romani, un giorno di regno, teatro alla scalaRicordate Oberto? Ebbene, Oberto fu un considerevole successo, tale da valere al suo autore un contratto per altre tre opere.

La prima doveva essere, dopo la storiellona medieval-veneta dell’Oberto, una storiellona medieval-scozzese chiamata Il Proscritto. Non è che a Verdi il libretto piacesse alla follia, ma ebbe modo di rimpiangerlo quando, del tutto fuori dal blu, il direttore della Scala Brtolomeo Merelli se ne uscì con un contrordine e quattro alternative: dopo tutto, pensandoci bene, voleva un’opera buffa. E casualmente aveva sottomano quattro libretti buffi del celeberrimo Felice Romani. 

Ora, dovete capire: Verdi, uomo d’umore poco lieto per natura, si era fatto addirittura lugubre dopo avere perduto due bambini piccoli e la giovane moglie in rapida successione. L’idea di scrivere un’opera buffa non lo allettava nemmeno da lontano, e dei libretti non ce n’era uno che gli piacesse… E tuttavia, la Scala era la Scala, il contratto era un contratto, e i tempi erano strettini anzichenò. Nella necessità di scegliere il meno peggio, il povero Verdi si rassegnò a Un Giorno di Regno – ovvero Il Finto Stanislao che, già dal titolo, si rivelava per un relitto di un’altra epoca.* 

E in effetti, UGdR il buon Romani ce l’aveva pronto dal 1818 e, lui che era stato il librettista di Rossini, Donizetti e Mayr tra molti altri, non si disturbò certo a rinfrescarlo per questo compositore semisconosciuto. Potete immaginare che l’opera non nascesse proprio sotto i migliori auspici. Lontano dal suo genere e assai poco in vena, Verdi la compose distrattamente, rifacendosi a Rossini e Donizetti a piene mani. Il risultato, discontinuo dal punto di vista musicale e zoppicante sul lato drammatico, debuttò alla Scala agli inizi di settembre del ’40, con un cast svogliato, un’orchestra incerta e un pubblico scettico.

E che storia si ritrovò davanti questo pubblico scettico?

Vediamo un po: quando il sipario si alza, ci ritroviamo ad ascoltare un coro che rapsodizza sulle nozze imminenti al castello… dite che suona familiare?

No, fermi – aspettate. Non è di nuovo l’Oberto. Vero: è un’altra faccenda di matrimoni imminenti, mentite spoglie, giuramenti traditi, innamorati divisi, regnanti longanimi e paraninfi, padri decisi a vendicare in duello l’onore delle figliuole rifiutate… solo che qui è tutto in chiave buffa e, per quanto gli ingredienti possano sembrare gli stessi, le cose non sono quel che sembrano.

Per esempio, il coro di camerieri e vassalli è di animo più prosaico, e si compiace dei doppi sponsali in vista sì della gloria del casato, ma ancora di più per le mance che i servitori possono aspettarsi e l’abbondanza culinaria in arrivo.

Perché, vedete, al bretone Barone di Kelbar non par vero di maritare la figlia Giulietta al ricchissimo Tesoriere reale e, nel contempo, la nipote vedova al Conte d’Ivrea, comandante della piazza di Brest – il tutto sotto la benevola egida di Stanislao, re di Polonia in esilio. giuseppe verdi, felice romani, un giorno di regno, teatro alla scala

Ma noi sappiamo dal sottotitolo che qualcosa non va proprio come il Barone crede – e in effetti, al primo aside, il baritono quasi eponimo provvede ad informarci** di essere in realtà uno scapestrato giovane ufficiale, incaricato di lasciar credere a tutti che il Re di Polonia se ne stia quieto e inoffensivo in Bretagna. In realtà, Stanislao è segretamente in viaggio per Varsavia per reclamare il suo trono, ma questo nessuno lo deve sapere, e così il finto Re/Cavalier Belfiore deve mantenere la finzione ad ogni costo. 

I guai cominciano subito, nella forma della seconda sposa imminente: si dà il caso che la nipote del Barone sia la Marchesa del Poggio, l’innamorata di Belfiore. Il nostro eroe si affretta a scrivere a corte, chiedendo di essere rimosso dall’incarico, se possibile, prima che la Marchesa arrivi e lo scopra… Ma è raro che all’opera qualcuno arrivi a scrivere una lettera in pace, e infatti enter Edoardo di Sanval che è: a)un giovane ufficiale squattrinato; b)l’innamorato di Giulietta; c)il nipote del Tesoriere. 

Stanislao poteva non sapere chi fosse la nipote del suo ospite ma, senza che nessuno glielo dica, è informatissimo dei tristi casi di Edoardo, di cui sposa la causa senza un filo di esitazione. E quando il nostro tenorino chiede di poter seguire il Re in Polonia per annegare nel sangue e nell’alloro le sue pene d’amore, Belfiore lo prende come scudiero, e risolve privatamente di approfittare del suo giorno di regno per far trionfare l’amore sul vile calcolo mercenario.

Arriva poi la Marchesa, che riconosce il Cavaliere (di cui, presumiamo senza che il libretto sia molto chiaro in proposito, non aveva notizie dacché aveva intrapreso la sua missione segreta) e decide di metterlo alla prova fingendo di accettare le nozze con l’anziano comandante di Brest. 

Poi, con un altro passaggio limitatamente logico, ci ritroviamo in giardino, ad ascoltare Giulietta che apre il suo cuore a beneficio di un coro di contadinelle e servette, e poi si dichiara d’umor malinconico in presenza del padre e dello sgradevole fidanzato… ma niente paura, Giulietta: giunge infatti il Re con il suo nuovo scudiero. Fingendo di richiedere l’opinione del Barone e del Tesoriere su questioni di politica polacca, Belfiore fa in modo da lasciare Edoardo in compagnia di Giulietta. Gl’innamorati cinguettano, i consiglieri consigliano – fino all’ingresso della Marchesa, che si stupisce di trovare Belfiore riverito come Re di Polonia e pieno di (finta) indifferenza nei suoi confronti. 

Cosicché, rimasta sola con Edoardo e Giulietta, la povera e frastornata Marchesa fatica alquanto a concentrarsi sui loro casi. E assicura sì il suo aiuto ai due giovani, ma è chiaro che ha altro per la testa.

Più promettente sembra il piano di Belfiore che, fingendosi colpito dall’acume politico del Tesoriere, gli offre un ministero, un titolo, terre, la mano di una principessa – tutto in Polonia, e a patto che rompa il fidanzamento con Giulietta. Il Tesoriere accetta al volo ma, inutile dirlo, il Barone è men che elettrizzato dalla rottura del cogiuseppe verdi, felice romani, un giorno di regno, teatro alla scalantratto matrimoniale. La faccenda degenererebbe in una sfida a duello, se non intervenissero Edoardo e le due donne. La Marchesa suggerisce di vendicarsi dell’affronto dando subito in sposa Giulietta a un altro – magari proprio il nipote del tesoriere che, guarda caso, è proprio sottomano… Ma ormai lo sappiamo come sono i padri di sangue blu, vero? Il Barone non intende farsi sottrarre la sua vendetta. Ci vuole l’intervento del finto sovrano per placare le acque – almeno per il tempo dell’intervallo.

L’atto secondo si apre con un coro perplesso, un Edoardo speranzoso e un Tesoriere e una Giulietta che cercano il consiglio del Re. Come convincere il Barone a dare la figlia in sposa a Edoardo – che, a parte tutto, è uno spiantato? Facilissimo, spiega Belfiore. Basterà che il Tesoriere ceda al nipote un castello e una rendita. Il sacrificio è grosso e il Tesoriere nicchia, ma poi chiude gli occhi e pensa alla Polonia -e questa faccenda sembrerebbe sistemata – se non fosse che al Barone, proibizione regia o meno, interessa assai meno delle sostanze di Edoardo che della macchia sul suo onore. Suona familiare? Però qui siamo in territorio buffo, e il Tesoriere se la cava pretendendo un duello a colpi di barile di polvere da sparo. Il Barone s’infuria, ritira la sfida e promette una buona  bastonatura – il che sarebbe un’offesa sanguinosa, ma il Tesoriere è uomo pratico: di offese, dopo tutto, non si muore…

Nel frattempo il nostro eroe ha altre gatte da pelare. La Marchesa torna a minacciare di sposare il Conte. Belfiore freme, ma non può scoprirsi. Indispettita, la Marchesa accoglie il Conte come suo sposo – sempre che Belfiore non si presenti entro un’ora…

E parrebbe proprio di no, visto che Edoardo se ne arriva per annunciare a Giulietta che il Re parte e lui, come suo scudiero, deve seguirlo. La nostra fanciulla non la prende affatto bene, e nemmeno la Marchesa… ma fa male a dubitare. Il finto Re in partenza reclama la presenza al suo fianco del Conte d’Ivrea per segretissimi motivi di stato. Quali? Non si sa, ma dopo tutto l’importante è che la Marchesa non si sposi, giusto? giuseppe verdi, felice romani, un giorno di regno, teatro alla scala

Ed è a questo punto, con operistico sense of timing, che arriva il corriere da Parigi con LA lettera. Belfiore legge, esulta, sospira di sollievo. Poi ordina, come ultimo atto del finto Re di Polonia, il matrimonio tra Edoardo e Giulietta. Il Barone accetta – che può fare? E poi, a titolo di dénouement, il nostro eroe dà lettura della missiva, svelando l’arcano, annunciando l’avvenuta incoronazione a Varsavia del vero Stanislao e, ça va sans dire, chiedendo la mano della Marchesa.

Gaudio generale… o quasi. Perché a ben pensarci, il Tesoriere, il Barone e il Conte, raggirati, usati e beffati, potrebbero avere qualcosa da dire, potrebbero rimangiarsi le promesse estorte, potrebbero sfidare a duello il millantatore patentato… ma forse non è del tutto prudente – tanto più che Belfiore è appena stato ricompensato delle sue prodezze col bastone di maresciallo di Francia. E poi, che diamine, siamo all’opera! serve forse una ragione logica per concludere un’opera buffa in un diluvio di fiori d’arancio?

Facciamo l’uom di spirito… tacere converrà,

mugugnano in coro i nostri tre. Doppie nozze, esultanza generale, sipario.

E, alla prima scaligera, più fischi che applausi. Insomma, ricapitoliamo: il libretto era antiquato, la musica così così, gli interpreti approssimativi, il pubblico scontento… A quanto pare, di questa povera operina non importava un bottone a nessuno – tanto che, dopo l’accoglienza fredda incontrata dalla prima, Merelli si affrettò a disdire le cinque repliche previste, e Verdi, amareggiato e disgustato, decise che non avrebbe composto mai più…

Ma sappiamo tutti come va a finire, giusto? Merelli scioglie Verdi dal contratto, poi torna alla carica con tatto, diplomazia e un gran bel libretto – ma ne parleremo la settimana prossima. Però una cosa è certa: scottato dal Finto Stanislao, Verdi impiegherà cinquant’anni e rotti a decidersi a mettere mano di nuovo a un’opera buffa!

_______________________________________

* Per bizzarro che sembri, la commedia da cui Romani trasse il libretto, poggia su un granello di verità storica. Stanislao Leszczynski, Re di Polonia on and off nella prima metà del XVIII secolo, nel 1733 se ne tornò avventurosamente in patria travestito da cocchiere, nell’intento di farsi (ri)incoronare dalla Dieta. Intanto, in Francia, c’era questo ufficiale incaricato di spacciarsi per lui, così che i suoi nemici lo credessero inoffensivo e lontano… In realtà al vero-vero Stanislao non andò terribilmente bene. Niente elezione, fuga, nuovo esilio e, tanto per dire, Guerra di Successione Polacca.

** Dite la verità: voi non adorate la maniera in cui, al grido di “non sappia il ver!”, la gente ulula i suoi segreti con tutti i suoi decibel, a un metro e mezzo di distanza dalla gente che non deve sapere il ver? Ah, l’opera…

Dic 9, 2012 - musica, teatro    6 Comments

Lohengrin

In onore dell’apertura della Scala, l’altra sera, un po’ di Wagner, volete? Il meraviglioso preludio del Lohengrin, nell’esecuzione dei Wiener diretti da Kempe.

E non è per rovinare l’atmosfera, ma non so trattenermi dal raccontare questa storia; si narra che una volta, al Metropolitan di New York, la barca-cigno sia scesa dal cielo al momento culminante dell’ultimo atto e poi, per qualche eccesso di zelo dietro le quinte, se ne sia ripartita vuota e in anticipo verso le regioni celesti. Lasciato a piedi, il tenore (credo che fosse Lauritz Melchior) guardò sconsolato la barca che se ne volava via, poi si voltò verso il pubblico e domandò: “A che ora è il prossimo cigno?”

Applausi oceanici – manco a dirlo.

Cercate di non perdere l’ultimo cigno, e buona domenica.

Dic 7, 2011 - musica    Commenti disabilitati su E Torna Il Sette Di Dicembre

E Torna Il Sette Di Dicembre

Siccome l’apertura della Scala non passa mai invano per SEdS, lasciate che vi posti qui l’adorabile Quartetto Cetra in proposito:

La canzone (sì, gennaio e non dicembre – che possiamo farci? Nessuno è pefetto…) viene da un musical chiamato Gran Baraonda, di Garinei, Giovannini e Kramer – che, detto en passant, era mantovano.

In un vecchio palco della Scala
nel gennaio del Novantatre’
spettacolo di gala
signore in decollete’
discese da un romantico coupe’

Quanta e quanta gente nella sala
c’e’ tutta Milano in gran soire’
per ascoltar Tamagno
la Bellincioni Stagno
in un vecchio palco della Scala

Che splendida stagion
che ricco cartellon
che elenco di tenori e di soprani
Manon di Massenet
la Carmen di Bizet
Fra Diavolo, l’Ernani
i Puritani, I Vespri Siciliani
Poi dal vecchio palco della Scala
c’e’ l’appuntamento nel buffet
un sorso di marsala
due tre marrons-glace’
e all’uscita la fioraia della Scala
offre un mazzolino di panse’

Celeste Aida..
Bella figlia dellamor
Amami Alfredo.
Un bel dì vedremo

E passan le stagion
e cambia il cartellon
e guarda quanta musica alla Scala
Fedora, Lorelai
Mascagni Zandonai
E valzer, ecco i valzer
anche i valzer

Ma poi la dallAmerica
arrivò il richiamo dell
Americano a Paris
che Toscanini ci portò
Lui stette solo un giorno
e subito in America tornò.

Ma fra le novita’
ancora vola e va
la musica dei tempi piu’ lontani
Manon di Massenet
la Carmen di Bizet
Fra Diavolo, l’Ernani
i Puritani, I Vespri Siciliani
Lentamente poi il sipario cala
scendono le luci nel foyer
e’ vuota gia’ la sala
e non rimane che
questo vecchio palco della vecchia Scala
del gennaio del Novantrè

E buia ormai la sala
la folla più non cè
resta solo il vecchio palco della Scala
del gennaio del Novantatrè.

E siccome stasera è sera di Don Giovanni, ecco Thomas Hampson e Barbara Bonney che cantano Là Ci Darem La Mano – teatro sbagliato, musica giusta.

Dic 7, 2010 - musica    Commenti disabilitati su Una Sera Alla Scala

Una Sera Alla Scala

Da La Scala di prima, di Raul Radice.

la-scala.jpg“Alla Scala […] si va soltanto in serate che sono vigilia di vacanza, e soltanto se si è accuratamente vestiti. Da casa al teatro il tratto di strada è breve e lop si percorre a piedi, senza affrettarsi (si è usciti per tempo) ma con una tendenza incoercibile ad allungare il passo almeno fino al momento di entrare in Santa Margherita, quasi per timore di trovare la Scala chiusa, non importa per quale ragione.

Che sollievo, oltrepassando il monumento a Carlo Cattaneo, vedere accesi i globi collocati sulla terrazza che sovrasta il portico d’ingresso a livello del ridotto dei palchi. In quella luce calda che invade la strada quanto è lunga pare di cogliere non si sa bene quale saluto, un ‘benearrivato’ di cui più avanti, durante la guerra, si sarebbe avvertita la mancanza.

Dopo quella prima accoglienza si poteva nuovamente rallentare il passo, salire senza troppo affannarsi le scale che non finivano mai, sostare davanti al guardaroba, e finalmente sedere al proprio posto con l’ammonimento di non lasciare cader niente in platea. Del resto la mamma custodiva nella borsetta, insieme al libretto dell’opera (di cui si sarebbe poi letta qualche riga ad alta voce) le caramelle che ScalaInterno520x543.jpgavrebbe elargito una alla volta; e il cannocchiale, quello sì strumento pericoloso, non usciva dalle mani del babbo. Al più qualche volta il babbo lo poneva , a turno, davanti agli occhi dei ragazzi, senza tuttavia abbandonarlo mai. Ma di fatto i ragazzi avevano altro a cui pensare. Essere arrivati con qualche anticipo consentiva di vedere i palchi affollarsi a poco a poco, di osservare da quella altezza vertiginosa come era vestita la gente entrata in platea; quali posti occupavano, uno o due alla volta, gli spettatori accompagnati con tanta premura da inservienti stranamente vestiti; di contare i professori che via via entravano nel recinto dell’orchestra (tutti con la giacca a coda), una parte di esse con in mano strumenti dei quali si udivano per la prima volta i nomi (ce n’era uno buffo, il fagotto); e anche tentare di contare, ma era impresa disperata, quante erano le lampadine appese a grappoli al grande lume centrale. Un lume di proporzioni enormi, che al primo guardarlo incuteva paura suscitando la domanda di che cosa sarebbe accaduto se si fosse improvvisamente staccato dal soffitto, immediatamente seguita da un secondo interrogativo sul ‘come facevano a sostituire le lampadine fulminate’.

Intanto tutti quei suoni che confusamente salivano dall’orchestra diventavano più fitti, crescevano d’attimo in attimo fino a culminare nel momento in cui la sala era resa più splendente da altre luci improvvisamente accese. Ed ecco, all’improvviso, il silenzio che precede l’ingresso del direttore d’orchestra, l’applauso che lo saluta e il buio in sala. Ma là, alla ribalta, altra luce si diffonde sul sipario, trae nuovi riflessi dagli ori e dal rosso del velluto, segna una barriera oltre la quale apparirà scene-from-die-walkure.jpgun mondo magico in cui ogni cosa diventa sorprendente.”

E (stasera) a questo punto, sipario e… Die Walkure, allegerrima storia di adulterio, incesto, gelosia, disobbedienza, second-guessing, cavalcate, castigo e incantesimi – più o meno in quest’ordine – il tutto in meravigliosa musica. E il tutto per preparare il fatto che Sigfried, l’Eroe per eccellenza della Saga dei Nibelunghi, non solo è figlio di due fratelli, ma a un certo punto s’innamorerà di sua zia…

_________________________________________________

Con un pensiero al signor G.G. che, tanti anni fa, mi regalò questo bellissimo libro, pezzo della sua sterminata collezione: Teatro alla Scala – dai laboratori al palcoscenico. La vita del più famoso teatro lirico del mondo, di Raul Radice e Giorgio Lotti.