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Apr 4, 2014 - elizabethana, Shakeloviana    Commenti disabilitati su La Città Dei Teatri

La Città Dei Teatri

Giovedì 10 aprile, alla sala Casoni di Governolo (MN), torno a parlare di Shakespeare&Marlowe – ma non soltanto di loro.

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La Città dei Teatri è tutta un’altra faccenda. È una passeggiata in una città che, dopo le decadi buie dei primi Tudor, sotto Elisabetta si stava espandendo come un piccolo universo. Vivace, affollata, cosmopolita, ruomorsa, sudicia e ricca, Londra era in pieno Rinascimento mentre il resto del regno, per lo più, sonnecchiava ancora beatamente nel Medio Evo.

Ma quello di cui i visitatori stranieri e i diplomatici scrivevano a casa – letteralmente – era il teatro. Gli spettacoli che una manciata di magnifiche compagnie professionali, in feroce rivalità, mettevano in scena cinque pomeriggi la settimana (salvo pioggia forte, peste o quaresima), nei cortili di locanda prima, e poi in bizzarri edifici rotondi costruiti ad hoc.

E a scrivere per questa piccola popolazione di attori – idoli della folla e reietti sociali al tempo stesso – c’erano poeti, mestieranti e scribacchini, intenti a produrre a ritmo forsennato, collaborare e copiarsi a vicenda, aggirare le insidie della censura, attirare le folle, creare uno stile, un linguaggio, un modo di fare teatro. E indovinate un po’ chi erano le stelle di questo pittoresco firmamento?

Quello di Shakespeate e Marlowe era un mondo piccolo, ferocemente creativo, intenso fino all’incandescenza, popolato di gente con più ambizione che buon senso o pazienza… Vi va di farci una visitina?

Vi aspetto giovedì 10 aprile, alle 20,45, presso la Sala Casoni di Governolo.

 

 

 

Mag 24, 2013 - Storia&storie    2 Comments

Il Tesoro Di Attila

Ogni tanto mi capita di lamentare la sconsolante prosaicità dell’immaginario mantovano. Niente folletti, niente fate, una misera manciatina di fantasmi…

Siamo gente quadrata, siamo.

Però ho scoperto di recente una storia notevole proprio nei pressi del mio villaggio. 

Allora, qua attorno, sperduta in mezzo alla campagna, trovavasi un tempo una specie di elevazione del terreno. Un’inesplicabile montagnuola. Un tumulo, se volete – non fosse che non c’è tumulato nessuno. Però, scavandoci attorno, si rinvenivano punte di freccia, monete, ferri di lancia, cocci ed altre archeominutaglie. 

tesoro di attila, forte d'attila, governolo, mauro calzolariE che potevano mai essere, questi relitti – quel che avevamo in luogo di rovine? Ebbene, dovete sapere che, secondo tradizione, a Governolo, nel 452, Papa Leone Magno avrebbe fermato Attila e i suoi Unni. E sì, lo so, non c’è nulla di certo, e né Paolo Diacono né Flavio Biondo possono considerarsi inappellabili, e ci sono altre ipotesi almeno altrettanto valide, e in tutta probabilità non lo sapremo mai – ma vi secca, per il momento, appendere la vostra incredulità? A noi di qui piace tanto dire che è successo nel nostro angolo di mondo, e di sicuro ci credevano fermamente i nostri avi nel Seicento, quando l’inesplicabile montagnuola cominciò ad apparire nelle mappe col nome di Forte d’Attila. attila, tesoro di attila, governolo, storie e leggende, mauro calzolari

Perché, è chiaro come il giorno, distruzione = Unni – e non ci piove.

Oddio, vero è che nulla di unnico è mai emerso, nemmeno per sbaglio, dal supposto forte. Medievalia, sì; romanitudini, anche; roba dell’Età del Ferro, in copia & abbondanza – ma gli Unni… E tuttavia il toponimo è rimasto e vige tutt’ora, e per di più si è portato dietro una storia.

State a sentire.

Nattila, tesoro di attila, storie e leggende, mauro calzolariarrasi dunque, che che una volta ogni secolo – o giù di lì – la gente dei paraggi ricevesse la visita di un misterioso sconosciuto dalla barba bianca, in abiti di foggia un nonnulla inconsueta. Costui arrivava a un’osteria, chiedeva del vino, si guardava attorno, poi chiamava da parte l’oste e gli chiedeva l’assistenza di due persone dabbene. Persone di coraggio e d’onestà. Ad essere saldi d’animo e di principi, c’era da diventare ricchi…

Erano pochi gli osti capaci di resistere alla prospettiva e così, sul far della mezzanotte, lo sconosciuto si ritrovava a condurre per i campi bui l’oste e un compagno – in genere qualche ragazzo sveglio del contado. E quale non era la sopresa dei due nel raggiungere il Forte d’Attila e trovarci, invece dell’inesplicabile montagnuola, un gran palazzo, che sembrava splendere nel buio per la dovizia di torce, candele e bracieri con cui era illuminato. attila, tesoro di attila, governolo, storie e leggende, mauro calzolari

Lo sconosciuto conduceva i nostri due per saloni parati a figure mai viste, scaloni di marmo e corridoi lunghissimi, fino a una gran sala sfavillante. Nel centro del pavimento c’era un enorme mucchio d’oro.

“Io sono il tesoriere di Attila,” rivelava allora lo sconosciuto. “Questi sono i tesori che il mio re ha razziato in queste terre e, una volta ogni cento anni, ho licenza di tornare qui per riparare ai miei peccati cercando di restituirne un po’ alle genti del luogo. Tutto quello che dovete fare è camminare lenti lenti intorno al tesoro per dodici volte. Compiuto il dodicesimo giro, e non un istante prima, potrete gettarvi sul mucchio – e tutto l’oro che riuscirete a coprire con il vostro corpo vi apparterrà.”

Pur un nonnulla scombussolati, l’oste e il garzoncello non se lo facevano ripetere e, tenendosi per le falde del vestito, cominciavano a camminare in cerchio. Un giro, due giri… Ciascuno dei due dubitava tra sé, cercando di tenere d’occhio il compagno.

Tre giri, quattro giri… E se questo bel tomo di tesoriere volsse turlupinarci? si domandava l’oste.

Cinque giri… Bisogna che badi a saltare bene, pensava il ragazzo. Se son bravo, sposo la mia Ninetta, e poi faccio la dote a mia sorella, e poi compro quel campicello verso Poletto, e poi una mucca – anzi, no: due mucche…

Sei giri… L’oste già s’immaginava padrone di mezzo paese. Purché non fosse tutto un imbroglio.

Sette giri… E a questo punto uno dei due – in genere il ragazzo – cedeva alla tentazione e, a titolo di assicurazione, tentava di mettersi in tasca una manciatella di quelle monete luccicanti.

E si sa come vanno queste cose. Nell’istante stesso in cui lo scervellato allungava la mano… puf! Le luci si spegnevano e tesoro, salone, palazzo e tutto sparivano nel nulla.

I due compagni si ritrovavano a sbattere gli occhi come due civette frastornate nel buio improvviso.

“Ah,” sospirava la voce disincarnata del tesoriere d’Attila. “Nemmeno questa volta ci sono riuscito. Dovrò riprovarci da qui a cent’anni – sperando di trovar gente più saggia di voi due!”

E questa è la leggenda, e mi domando se non l’avesse in mente almeno un po’ quel Giuseppe Bellini cui, intorno al 1845, un cugino che faceva il meccanico dentista rivelò d’aver trovato il tesoro di Attila. Forse no, dopo tutto – o almeno non ne aveva tratto le giuste conclusioni perché, insieme a un dipendente, si lasciò condurre per i campi di notte fino a un punto segnato con un chiodo in un albero. I tre, accompagnati da un misterioso forestiero, si misero a scavare finché dal terreno emerse una decina di verghe di metallo.

“Oro!” esclamò il cugino dentista. “L’oro di Attila!”

Con la sensazione di essere nel bel mezzo della leggenda, Bellini grattò un truciolo di metallo da una delle verghe e lo diede al cugino, per portarlo a saggiare. Poi nascosero tutto, e l’indomani si precipitarono da un orefice. L’orefice era del tutto in buona fede, ma il cugino dentista, invece di consegnarli il pezzettino di verga, lo sostituì con un frammento di un anello.

“Oro,” sentenziò l’orefice. E Bellini pagò sull’unghia al cugino cento bavare in cambio delle verghe – convinto di aver concluso l’affare della sua vita, e senza domandarsi perché al dentista fosse saltato per il capo di metterlo a parte dell’avventura, invece di tenere il tesoro per sé…

Inutile dire che il responso dell’orefice sulle verghe fu ben diverso: ottone e nient’altro che vilissimo ottone. Raggiunto e interrogato, il cugino dentista si dichiarò in buona fede e imbrogliato a sua volta dal forestiero. Dopodiché le verghe d’ottone scomparvero, il forestiero non si trovò più e, una quindicina d’anni dopo, i due cugini andarono a processo. Il dentista fu condannato per truffa – ma sono certa che Bellini dovette sentirsi non poco stupido, certo non meno del ragazzo che, nella leggenda, si rovinava per aver voluto afferrare il tesoro.

Quindi sì, qualche leggenda c’è. Ed essendo da queste parti la gente pratica che siamo, c’è stato chi ha pensato di metterla a frutto…

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E se vi pungesse vaghezza di saperne di più sugli strascichi leggendari e tradizionali del passaggio di Attila nel Mantovano, c’è questo bel librino recente di Mauro Calzolari: Papa Leone e Attila al Mincio, il percorso di una tradizione (Sometti, 2013).

 

 

Lug 25, 2011 - grillopensante, guardando la storia    Commenti disabilitati su Brandelli Di Storia

Brandelli Di Storia

Mentre leggete questo post la Bandiera Rukavina è in viaggio. Dopo avere trascorso tre giorni a Governolo, dove era stata conquistata in battaglia il 18 luglio del 1848, fa ritorno al museo dell’Armeria Reale di Torino.

Per tre giorni le abbiamo girato attorno, l’abbiamo ammirata, l’abbiamo ascoltata descrivere, ci siamo ripetuti a vicenda la sua storia, l’abbiamo mostrata con orgoglio ad amici, estranei e generali di Cavalleria, abbiamo commentato, immaginato, strologato, spiegato.

Poi, a tarda sera, quando le luci si erano spente sulla rievocazione, ci siamo ritrovati al museo im una mezza dozzina per impacchettare la nostra bandiera e prepararla per il viaggio a Torino.

Ancora in costume, l’ho ammirata per bene senza il plexiglas di mezzo, e con S. abbiamo ricordato a mezza voce i tessitori viennesi che hanno tessuto il taffeta giallo, il pittore che ha dipinto l’aquila bicipite dagli occhi feroci e tristi, e gli stemmi e le corone, e poi tutti gli alfieri che hanno portato la bandiera, e i soldati che hanno marciato al suo seguito, e quelli che si sono battuti per difenderla e per conquistarla, quelli che l’hanno presa e quelli che l’hanno perduta…

E poi abbiamo impacchettato davvero tutto quanto, e non avrei mai creduto che una faccenda di carta da pacchi e nastro adesivo potesse assumere questo genere di solennità notturna.

Non avete idea di quanto mi dispiaccia vederla partire, questa bandiera. In tutta probabilità non la rivedrò mai più – forse tornerà per il duecentesimo anniversario, quando, ammesso che sia viva, difficilmente sarò in età di scorrazzare per musei – e all’Armeria Reale non è in esposizione. In fondo sono soltanto brandelli di seta sbiadita, sorta di reliquia bifronte di un impero morto da quasi un secolo e del parto faticoso di una nazione. Sono brandelli che hanno conosciuto polvere e sangue e fatica e furia e trionfo e sconfitta, che sono stati contesi e catturati, che sono stati questione di vita e di morte. Brandelli pesanti.

Non vi è mai capitato che un oggetto in una bacheca di museo vi parlasse? Ebbene, a costo di sembrare sentimentale: a tarda sera, nel museo vuoto, a noi che le avevamo fatto corte per tre giorni,  che la vedevamo senza plexiglas, e che parlavamo a mezza voce mentre l’avvolgevamo nella carta da pacchi, la Bandiera Rukavina sussurrava il suo passato e il suo congedo.

Lug 20, 2011 - guardando la storia, teatro    2 Comments

Aninha

Sentivo il mondo muoversi appena oltre la cinta nera delle colline all’orizzonte, come un ruggire anita, garibaldi, teatro, governolo, centocinquantesimo, unità d'italia, laguna, brasilelontano di temporali nella notte. E me ne tornavo a casa piena di una fame senza nome e senza forma. E dietro le mie spalle mormoravano della Aninha selvaggia, la vergogna e il crepacuore di sua madre. Allora gettavo indietro la testa e fingevo che non m’importasse. Ero prigioniera…

 

Perché prima di Anita c’era Aninha, la figlia di un mandriano nelle paludi del Brasile, soffocata in un mondo troppo stretto – finché qualcuno non le diede un nuovo nome e nuovi sogni. La storia della ragazza che divenne Anita Garibaldi.

 

 

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Ott 11, 2010 - grillopensante, musica    Commenti disabilitati su Genealogia Ideale

Genealogia Ideale

VitaniMontesanti.jpgMagnifico concerto d’organo sabato pomeriggio a Governolo. Per il secondo appuntamento della rassegna La Voce del Montesanti 2010, l’organista Umberto Forni ha proposto un programma concepito per essere una storia. Una storia a più di un livello: una fetta di storia della musica, una storia dello strumento su cui si eseguiva e uno scorcio di Storia.

“Un viaggio che parte dalle Fiandre e attraversa la Germania per giungere in Italia nell’arco di due secoli”, l’ha definito il maestro Forni.

La partenza era il Fiammingo barocco Sweelinck, nato nei Sessanta del Cinquecento, maestro indiretto del pure barocco Buxtehude, che era sì danese, ma suonava e componeva a Lubecca e influenzò Bach, a sua volta maestro di Kellner. Kellner, nato nel 1736, non era più barocco: fondeva rococo, neoclassicismo e stile galante, scriveva deliziosi piccoli preludi che sembrano usciti da un carillon e corali trattati come arie d’opera… L’anello di congiunzione, nella genealogia ideale di Forni, tra la severità dei nordici e lo stile cantabile degl’Italiani che per generazioni, dal secondo Settecento in poi, scrissero musica sacra nello stesso linguaggio che si usava a teatro: Gherardeschi, Padre Davide da Bergamo, Vincenzo Petrali (che, a quanto pare, incantava chiese intere di amanti della musica per concerti lunghi tre giorni).

Il programma è stato pensato per mettere in risalto tutti i colori e tutti i registri dell’organo Vitani-Montesanti, dalle canne seicentesche del Vitani  (ma pare che tra le altre ce ne sia una quattrocentesca) al Clarone e ai Campanelli, gli ultimi registri previsti dai Montesanti per l’organo quando, prima di essere acquistato da Governolo, si trovava nella Chiesa di Sant’Andrea a Mantova. L’idea di uno strumento che si costruisce per gradi, per strati, per innovazioni e per aggiunte nel corso di tre o quattro secoli è affascinante, così come quella di un concerto mirato a mostrare che cosa succedeva musicalmente mentre lo strumento veniva fatto germogliare su sé stesso – uno di quei cantieri perenni che s’innalzano attraverso le generazioni e i secoli, come le grandi cattedrali medievali, a maggior gloria di Dio, o dell’umano ingegno, o di entrambi.

Concerti come quello di sabato, e strumenti come il Vitani-Montesanti, trasmettono un meraviglioso senso di vitalità e continuità dell’arte. La musica, la storia, il pensiero, la pittura, la scienza sono vivi fintanto che conoscono questo continuo moto di studio, elaborazione e innovazione. La vita è nel movimento, sembrava dire il programma del maestro Forni, e questa musica è viva, con i compositori per mente e cuore, gli organari e gli esecutori per arti, e le idee per circolazione sanguigna.

 

Mag 26, 2010 - considerazioni sparse, pennivendolerie    Commenti disabilitati su Battaglia Navale

Battaglia Navale

Questa bella foto è opera di Claudio Gobbetti, e ritrae l’affondamento della flotta viscontea a Governolo nel giorno di S.Agostino del 1398 – ricostruito per il son-et-lumière “La Notabile Fabbrica”: i Viscontei andarono all’assalto del borgo fortificato di Governolo, lungo il fiume Mincio, nell’intenzione di muovere su Mantova, ma – come racconta l’ingegnere seicentesco Gabriele Bertazzolo, “i difensori mandando loro addosso le acque per mezzo della Chiusa, gli affogarono quasi tutti nelle fosse, e la maggior parte de’ principali soldati e capitani […] Ed alla fine il Visconti vi perdé si può dire tutto l’esercito, con 34 pezzi di bombarde, forse 50 galeoni, ed altre barche armate, con tutti i i padiglioni, baliste, catapulte, carriaggi, vettovaglie, ed altri armamenti di guerra, con tanti migliaia d’uomini e soldati a piedi ed a cavallo, poiché anche quelli, che si trovarono in luoghi, ove non arrivarono le acque, furono presi e morti.W%20-%20DSC04511b.jpg

 

Lo spettacolo (di cui ho curato testi e regia) è andato in scena nell’estate del 2008, per celebrare l’inaugurazione del restaurato Manufatto del Bertazzolo-Pitentino.