Tagged with " procrastinazione"
Giu 4, 2014 - scribblemania    5 Comments

Tutta Un’Altra Storia

55327_girl-writing_lg-1Perché a volte capita, sapete.

A volte dovreste scrivere qualcosa di specifico, chiamiamolo il Lavoro A. Anzi, è qualcosa di più di “dovreste”… Dovete scrivere A, perché c’è gente che lo aspetta, ci sono scadenze, ci sono tempi, ci sono promesse – magari promesse dissennate, estorte in un momento di debolezza, ma promesse nonetheless.

E poi, se proprio vi avanzasse del tempo, ci sarebbe anche il Lavoro B, che è il frutto di un altro impegno che avete preso contro ogni buon senso, e a volte non capite come vi capiti di ritrovarvi in questo genere di gineprai, e bisognerà che prima o poi impariate a servirvi di quella graziosa paroletta di due lettere, NO, e tuttavia, insomma, c’è anche B, e non se ne andrà per quanto voi possiate mugugnare.

E in mezzo a tutto ciò, proprio quando decidete di piantarla di procrastinare e di mettervi al lavoro come si deve – ecco che fa la sua comparsa l’Altra Storia.

In realtà non è del tutto nuova. Sono mesi che vi ballonzola in mente, ricomparendo a strani intervalli e provando a prendere forme diverse. Però finora non avete fatto altro che annotare qualche appunto sul taccuino… E per dirla proprio tutta, questo non è nemmeno del tutto vero. In realtà avete pagine di appunti in materia, una ragionevole cronologia, un paio di possibili inizi buttati giù in momenti in cui avreste dovuto badare ad altro, e persino un possibile collegamento con… be’, con qualcosa d’altro ancora. Quindi, se vogliamo, c’è qualcosa di più dell’occasionale appunto, ma si può dire con un ragionevole grado di veridicità che, fino a questo momento, l’Altra Storia ha rotto le scatole con una certa circospetta grazia da dilettante.

Ma adesso, proprio adesso tra tutti i momenti possibili, l’Altra Storia decide di promuoversi a un livello professionale, e il salto di qualità consiste nell’irrompere nel vostro cervello e barricarcisi dentro, prendendo in ostaggio tutti i neuroni che ci trova. Le richieste sono semplici: voi scrivetela, e nessuno si farà male.

E se questo fosse un film americano, sarebbe il momento di far intervenire, che so, Denzel Washington, o Russel Crowe, o qualche altro negoziatore tostissimo (e non del tutto sgradevole a contemplarsi), ma questo non è un film americano. Ci siete voi, l’Altra Storia e i Lavori A e B che mordono la vostra coscienza in punti teneri.

E voi date retta ad A e B, che a parte tutto il resto, hanno la precedenza e tutta una collezione di buoni motivi per essere scritti. Buoni motivi che l’Altra Storia non ha affatto. E per di più, voi non trattate con i terroristi, così vi sedete al computer, aprite il file di A e vi mettete al lavoro.

O quanto meno, cercate di mettervi al lavoro.

E fissate lo schermo bianco.

(E cercate di ignorare l’Altra Storia…)

E lo fissate ancora per un po’.

(E vi ritrovate a strologare sulle implicazioni incrociate che si possono intrecciare nell’Altra Storia…)

E ancora per un po’.

E poi vi dite che adesso basta, che diavolo, e buttate furiosamente giù una paginetta. Una paginetta di A.

E poi, non del tutto insoddisfatti di voi stessi, vi fate una tazza di tè.

(E ignorate accuratamente anche il Lavoro B. che tenta di strepitare in sottofondo. Una cosa per volta, grazie tante…)

E quando tornate al computer e rileggete la vostra paginetta, cadete nello sconforto profondo, perché non è proprio del tutto raccapricciante, ma poco ci manca.

E così cancellate tutto.

E scoprite che nel frattempo i vostri neuroni hanno sviluppato un nonnulla di sindrome di Stoccolma nei confronti dell’Altra Storia – altrimenti non si spiegherebbe l’appeal che all’improvviso ha sviluppato la prospettiva di accantonare A e B del pari, e mettervi a lavorare sull’Altra Storia…

E tornate a parlamentare. Non può, per favore, l’Altra Storia pazientare un pochino? Appena archiviata la prima stesura di A, e prima di gettarsi su B…

E c’è poco di consolante nel modo in cui l’Altra Storia lancia una controproposta: è disposta ad accontentarsi di una prima stesura – a patto che sia subito subito subito.

E voi però non trattate con i terroristi, giusto? Così tornate ad A, allo schermo bianco, a quel che avevate scritto e cancellato, agli strilli soffocati di B, al tè diventato ormai freddino…

E magari resistete anche per un giorno intero, persino per due, senza combinare un bottone, e poi, come avreste anche potutto aspettarvi fin dall’inizio, cedete. Cedete perché tra non combinare nulla perché state scrivendo qualcos’altro e non combinare nulla mentre vi procurate un travaso di bile fissando lo schermo bianco… be’, secca ammetterlo, ma non c’è competizione.

E così scrivete l’Altra Storia. La prima stesura, perché quelli sono i patti. La buttate giù per intero – cinquemila parole e rotti in due giorni e una notte, che per voi non è un cattivo ritmo. Forse c’impieghereste anche di meno, se non fosse per un paio di colpi a vuoto prima di centrare il tono che volete. Ed è anche un po’ seccante che a questo punto l’Altra Storia abbia il coraggio di avere delle pretese, ma tant’è: il tono che trovate e l’accorgimento narrativo che ci avete strologato attorno vi piacciono più del previsto, e va a finire che ci trovate gusto…

E intanto A e B strepitano inascoltati dallo sgabuzzino dove l’Altra Idea e i suoi ormai fedelissimi neuroni li hanno rinchiusi.

E quando, alla fine dei due giorni e una notte, l’Altra Idea si dichiara soddisfatta della sua prima stesura e leva le tende, e voi andate a liberare A e B dallo sgabuzzino, e tutto sembra essere tornato normale, e potete rimettervi al lavoro… Se dovete essere sinceri, sentite la mancanza dell’Altra Idea e tutta questa normalità vi fa sospirare un nonnulla.

Ma le scadenze sono dietro l’angolo, e non c’è posto per ulteriori deviazioni per i prati, e vi rimettete al lavoro sul serio – e tutto considerato, avete nel cassetto una prima stesura in più, e non è detto che non possiate cavarne qualcosa.

Perché a volta capita, ma in fatto di procrastinazione c’è di peggio, vero?

 

 

Feb 28, 2014 - anglomaniac, considerazioni sparse, teatro    Commenti disabilitati su Murphy Sulla Via Dell’Isoletta

Murphy Sulla Via Dell’Isoletta

55327_girl-writing_lg-1C’era una volta un concorso per atti unici – e il concorso si teneva sull’Isoletta.

C’era anche, quella stessa volta, una Clarina che viveva sul Continente – quella cosa che, dicono gli abitanti dell’Isoletta, resta isolata quando c’è nebbia sulla Manica. Tuttavia, pur abitando al di qua della Manica, la Clarina desiderava molto partecipare al concorso in questione, e aveva pronto un piccolo atto unico che le pareva adatto alla bisogna.

A dirla proprio tutta, la Clarina l’atto unico l’aveva pronto da lunga pezza – in teoria fin dall’edizione precedente del concorso isolano, solo che… Ecco, diciamo che talvolta la Clarina tendeva a… er, distrarsi.

Quella volta che c’era, tuttavia, la Clarina si annotò la scadenza ben in grande e ben in anticipo, diede un’ultima lustratina al play e si sentì a posto con la coscienza.

E ci si sentì fino a una decina di giorni dalla scandenza, quando all’improvviso la sua coscienza si risvegliò e cominciò a strillare cose poco lusinghiere sulla Clarina e sulle Poste&Telegrafi…

Perché, vedete, non solo il concorso si teneva sull’Isoletta, ma era anche uno dei non numerosissimi concorsi dell’Isoletta che richiedono di spedire per terra e per mare una o più copie cartacee. Siccome questa crisi di coscienza si teneva a un’ora talmente avanzata da essere tarda persino per la pur nottambula, nottambulissima Clarina, fu soltanto l’indomani che la nostra sciagurata si mise all’opera.

“E che ci vuole?” si disse l’improvvida, mentre sorseggiava il primo tè del mattino. “Stampo le due copie e la lettera con i miei dati, chiudo tutto in una busta e vado a spedire…”44880_guten_press_lg

Ma naturalmente questa è una storia, e tutti sappiamo che cosa succede a questo punto nelle storie, vero? Quando la Clarina avviò la stampante per stampare il suo piccolo play in due copie, la stampante sussultò una e poi due volte, ingoiò un foglio di carta, lo buttò fuori bianco, sospirò, rantolò e cadde in deliquio.

“Oh…” mormorò la Clarina, in moderato corruccio. Spense la stampante, la riaccese, reimpostò la stampa, avviò… E la tecnologia non rispose.

“Stampante non in linea,” fu la risposta della tecnologia. “Controllare che i cavi siano collegati e che la stampante sia accesa.”

Oh!” disse la Clarina, un tantino più corrucciata di prima. Controllò i cavi – che erano collegati. Controllò la stampante – che era accesa. Allora spense e riaccese la stampante, just in case, e poi riprovò.

“Stampante non in linea. Controllare che i cavi siano collegati e che la stampante sia accesa.”

E a questo punto potremmo mettere un altro Oh, ma l’incontrovertibile fatto è che la Clarina usò del linguaggio, rifece tutto daccapo e ottenne per la terza volta lo stesso risultato.

Era il tipo di momento in cui c’è soltanto una cosa da fare, e dunque la Clarina si fece una seconda tazza di tè, e sedette sul pavimento davanti alla stampante, maledicendo tra sé il dannato arnese, e pensando all’Isoletta. Il passo successivo fu di trascorrere un’invereconda quantità di tempo a consultare libretti di istruzioni e guide online a caccia di una soluzione – senza cavare dal buco una di quelle orride bestie a otto zampe che fanno le r-tele.

A questo punto, la mattinata avanzava, l’ultimo momento utile per la spedizione in giornata non era più lontanissimo e, considerando tutto quanto, perdere un’altra giornata, non sembrava la migliore delle idee. La Clarina prese una decisione esecutiva: salvò play e carte varie su una chiavetta (ricordandosi per il rotto della cuffia di inserire i numeri di pagina che di solito si dimentica) e si recò dalla vicina D. a supplicare una stampa. D. la Clarina la conosce dall’infanzia, la sa tanto eccentrica quanto disorganizzata, ed è rassegnata a vedersela capitare a orari disparati, disperata e supplicante stampe. D. ha una stampante professionale ed è una specie di angelo. Senza battere ciglio, nel giro di un minuto e mezzo, stampò il play della Clarina e le carte accessorie in duplice copia, e la mandò via felice.

poCosì la Clarina tornò a casa, imbustò il tutto, controllò tre volte l’indirizzo, si premunì di libro e galoppò all’ufficio postale. Ora, sapete tutti che, per una legge di natura, se non ci si porta da leggere all’ufficio postale si è condannati a dover aspettare, aspettare e aspettare. Se ci si porta da leggeere, può darsi di dover aspettare, aspettare e aspettare – oppure no. Per qualche misteriosa forma di compensazione cosmica, quella volta che c’era fu un’occasione in cui oppure no: in dieci minuti la Clarina sbrigò tutto quanto e tornò a casa al piccolo trotto, lieta nella consapevolezza di avere centrato la spedizione in giornata per un pelo – un pelo molto piccolo.

E a dire il vero, fece talmente presto che sua madre, nel vedersela restituita in sì breve tempo, la accolse con disappunto e al grido di “Oh, non sei riuscita a spedire!”

E invece sì, e il play era già in viaggio verso l’Isoletta, e la Clarina brindò con sua madre alla felice riuscita, e tutti vissero felici e contenti in attesa della long list.

E se, o Lettori, volete trarre qualche utilità da questa storia, la morale è questa: vedete di non ridurvi mai a un passo dalla scadenza – perché è allora che la Legge di Murphy ama colpire. E se le poste&telegrafi possono scioperare, se la tecnologia può fallire, se la neve può cadere, se l’influenza può azzannare, se qualcosa, qualunque cosa può succedere – ebbene, è proprio allora che lo farà.

Nov 5, 2013 - scribblemania    3 Comments

PBD

E quindi adesso sarebbe ora di passare al lavoro successivo. Di togliere qualche vecchio contaparole qui a sinistra e di aggiungerne uno nuovo. Di avviare una nuova bacheca su Pinterest…

Oh, d’accordo c’è il Progetto Misterioso – di cui magari vi parlerò più avanti, ma sarebbe davvero ora di cominciare qualcosa di nuovo.

E la tentazione è quella di revisionare una volta per tutte il mio play in tre atti in’Inglese, lucidarlo a cera, trovargli un dannato titolo una buona volta, e poi cominciare a mandarlo Là Fuori in cerca di fortuna…

Però esito e nicchio e titubo perché cominciare con una revisione mi sa di procrastinazione, e non sarebbe meglio mettersi al lavoro su qualcosa di nuovo?

Però non comincio qualcosa di nuovo perché ci sono i tre atti quasi pronti but-not-quite, che siedono in attesa nell’hard disk e si mangiano le unghie…

Ho tanto la sensazione che, se avessi una coda, me la starei mordendo.

 

Lug 20, 2013 - scribblemania    4 Comments

Piccolo Bollettino Furibondo

Non andiamo bene.

Nemmeno un po’. Davvero.

Dacché sono tornata a casa non faccio altro che procrastinare.

Come diavolo è che al mare scrivevo, scrivevo e scrivevo tutto il giorno, e invece a casa no?

No, dico: l’altra mattina, piuttosto che niente, mi sono messa a riordinare la cartella della posta in entrata. E non ho ancora nemmeno ricominciato sul serio con Pinterest, ma mi rendo conto che è solo questione di tempo prima che il Pozzo delle Ore Perdute finisca con l’inghiottirmi…

Furore tremendo.

Buoni Propositi

duemilatredici, anno nuovo, buoni propositi, procrastinazione, scritturaBuoni propositi per l’anno nuovo…

Sì, d’accordo, oggi è il due, e la giornata giusta sarebbe stata ieri, ma fa nulla. Diciamo di essere ancora in tempo, e facciamo buoni propositi.

1. Quest’anno intendo concentrarmi sulla scrittura. No, sul serio. Quest’anno voglio scrivere parecchio. Prima di tutto, scrivere. Ho un romanzo fermo a metà strada, momentaneamente parcheggiato nella corsia di servizio, ed è più che tempo di rimettercisi d’impegno. Ho due atti in seconda stesura e sto aspettando notizie da un paio di lettori sperimentali, dopodiché sarà ora di sistemarlo una volta per tutte. Ho un atto unico in ultima stesura, quasi – quasi – pronto per essere consegnato. Ho una mezza dozzina di progetti, tra vecchi e nuovi, su cui non vedo l’ora di cimentarmi. Avrete visto dal PBN che ho iniziato un atto unico miniature nuovo, ieri sera, perché non so se sia vero che chi scrive il primo dell’anno scrive tutto l’anno, ma mi è parso che, iniziare il nuovo corso, ci fossero modi peggiori di un inizio nuovo. Essì, forse avrei potuto dedicarmi a qualcosa che avevo già iniziato e che intendo finire, ma va bene lo stesso. Quel che conta è che il nuovo corso è iniziato.

2. Occasioni. Non perderne nemmeno una e, se possibile, crearne. Mai pensarci dopo, mai lasciar correre, mai dire “sarebbe bello ma…”, mai accantonare anche la più remota delle possibilità. Vero: se non ci provo non può andar male, ma non può nemmeno andar bene. Per cui, quest’anno ci si proverà. Si coglieranno tutte le possibilità che si presentano e anche qualcuna che non ha poi tutta quest’aria di volersi presentare, .

3. Corollario inevitabile dei due propositi precedenti: guerra alla procrastinazione. Posso voler scrivere un romanzo e un play dopo l’altro fino al prossimo dicembre, ma è ovvio che non succederà mentre cerco il nome cinquecentesco di un tipo di tessuto che forse – forse – potrebbe servirmi di qui a una decina di capitoli, o cerco su Pinterest il giusto tipo di paesaggio primaverile inglese con le siepi di biancospino. Mi piacerebbe dire che ogni volta in cui sarò tentata di procrastinare in un modo qualsiasi, mi metterò di buzzo buono e scriverò cinquecento parole, ma mi conosco: tutto quel che posso dire è che mi impegnerò seriamente.

E adesso basta così, perché tre buoni propositi sono, in my expercience, un’abbondanza di lavoro per un anno soltanto.

Ne riparliamo di qui a un anno, volete?

E voi? Che buoni propositi avete fatto per il Tredici?

Ott 26, 2012 - elizabethana, scribblemania    5 Comments

PBN

Cinquecentouno.

Nonostante un adorabile attacco di procrastinazione, nel corso del quale ho passato il tempo che avevo riservato ai miei fantasmi spigolando su e giù per TVTropes…

Ugh.

Per cui c’è voluto che accendessi il computer dopo essere tornata da teatro, ad ora già parecchio tarda, per buttare giù cinquecento parole – e quelle cinquecento (e una) non sono nemmeno malaccio, ma cribbio.

Questa storia la volevo scrivere da anni… perché diavolo dev’essere così, adesso?

Parliamo Di Numeri

Avrete notato che i Piccoli Bollettini – notturni, diurni e tutto quanto – si sono diradati.

Che devo dire? Non è come se scrivessi a carrettate, ultimamente. E qui potrei lanciarmi in alti lai sul Blocco dello Scrittore – ma non lo faccio, e invece vi mando a leggere un articolo sull’eterodosso psichiatra junghiano che sblocca gli sceneggiatori holliwoodiani. È improbabile che la lettura vi sblocchi, ma è pittoresca.

Invece vi metto a parte dei rimuginamenti indotti in proposito da un commento lasciato qui su SEdS.

Posso darti un suggerimento stupido? Smettila di contare. Se continui a contare, pensi di più ai numeri che non a quello che devi scrivere…

Ho considerato la questione, perché riconosco l’esistenza del rischio di scrivere come se si fosse a cottimo. Ma, dopo accurata considerazione, sono giunta a concludere che non è così. Che i numeri non sono una distrazione o una forma di paraocchi, ma parte del mio metodo.

E guardate, lo dico con una certa meraviglia perché sono davvero poco portata, e in via generale non riesco a contare nulla con un minimo di precisione. Eppure i numeri fanno parte del mio metodo in almeno due modi.

Da un lato, scoprire la possibilità di misurare ciò che si scrive in parole* è stato non poco liberatorio. Esiste un criterio semplice e convenzionale – per stabilire la lunghezza di pagine, capitoli e storie, e non devo occuparmene io. Eugé.

Sto facendo quel che devo fare all’interno della scena? Sto perdendo troppo tempo in convenevoli? Ho spazio per una piccola deviazione? Mi sono lasciata prendere la mano da una discussione sui massimi sistemi? Una rapida occhiata al contatore e so con ragionevole certezza se sono ancora sul sentiero che mi ero prefissa o sono andata per prati. E i numeri assomigliano a quel che dovrebbero essere, non ho bisogno di fermarmi a chiarire i dubbi. 

Poi è ovvio che le prime stesure sono prime stesure, e ci si allarga, si eccede, si ricama, si arriva alle questioni importanti non in linea retta ma di arabesco in arabesco… In prima stesura non mi sento obbligata ad essere tremendamente rigorosa – dopo tutto, per condensare c’è la revisione. Però a livello tattico avere una vaga idea di quanto si sta bighellonando per iscritto è già qualcosa. O almeno lo è per me.

E poi c’è l’altra questione, quella dei bollettini, del wordometer, dei conteggi serali. Questa è più strategica. Durante la WW mi ero prefissa un certo numero di parole in una settimana ed era importante vedere se stessi tendendo il ritmo. Adesso che non ho più questa scadenza, i numeri sono semmai ancora più utili come metodo anti-procrastinazione.

Se non ho una scadenza, è più facile che, invece di scrivere, mi metta a far lanterne. Se non c’è una scadenza effettiva, posso sempre fissarmene una da sola. Una versione tascabile della scadenza è un wordcount quotidiano, magari piccoletto. Raggiungere il wordcount è di soddisfazione. Superare il wordcount è di soddisfazione maggiore. 

È un fatto: se conto procrastino meno. Non è che smetta miracolosamente di procrastinare da un giorno all’altro, ma le cose migliorano abbastanza perché lo possa considerare un buon metodo.

E tuttavia, lo dicevo, la ragionevolezza di un bollettino quotidiano comincia a sembrarmi un pochino dubbia, per cui… Non so, per ora ho smesso di postare quando non scrivo affatto**. Probabilmente posterò un bollettino la prossima volta in cui scriverò qualcosa – perché, visto come stanno andando le cose, sarà un avvenimento degno di menzione. 

Dopodiché staremo a vedere, ma per contare, si conta.

____________________________________________________________

* Scoperta avvenuta a Cardiff, la prima volta in cui mi è stato richiesto un essay di 2000 parole. E posso anche confessare di avere consegnato il mio primo essay di diritto CEE scritto a mano, contando le parole e annotando i numerini a matita sui margini del foglio. Se avesse potuto, il mio tutor mi avrebbe tirato il collo.

** Come ieri: nemmeno una parola. Però ho fatto due lanterne di cui non sono del tutto insoddisfatta…

Un Quarto Di Romanzo E Dieci Constatazioni A Caldo

E così ho finito.

No, non ho finito, non davvero, ma after a fashion.

Stanotte mi sono fermata appena dopo il traguardo delle 25000 parole – l’avete visto nel bollettino – per puro e semplice sonno.

E mi sono fermata a un terzo scarso della scena finale del I Atto, quella in cui succedono cose atte a precipitare il mio protagonista in problemi che passerà il resto del romanzo a risolvere – o cercare di risolvere, quanto meno.*

Ad ogni modo, ho scritto le mie 25000 parole in una settimana, come mi ero proposta di fare, il che è stato appagante, divertente e anche istruttivo.

Ho constatato una serie di cose, di cui vi metto a parte. Alcune sono più pratiche (e probabilmente più utili) di altre, e tutte sono crude, appena pescate e buttate giù alla rinfusa dopo una settimana di infreddatura, antibiotici e scarse ore di sonno.

1) Avere passato una buona quantità di tempo nel corso dell’estate a strologare l’ossatura di questa storia è stato fondamentale. Non mi sono tuffata alla cieca. Avevo parecchie pagine di appunti e cogitazioni su posti, personaggi e avvenimenti, e soprattutto un elenco di scene fondamentali. Sapevo dove stavo andando.

2) Come sono arrivata dove stavo andando è un cavallo di colore leggermente diverso. Capitano cose inattese, i personaggi prendono iniziative, delle transizioni germogliano in scene a pieno titolo… Progettare una storia non vuol dire ingabbiarcisi dentro.

3) Alla soglia dei quarant’anni, forse – e dico forse – sto imparando a non editare mentre scrivo e a non accanirmi sui dettagli in prima stesura. Benedetta sia Holly Lisle, che per mesi e mesi, durante How To Think Sideways, ci ha predicato di non preoccuparci della perfezione in prima stesura – quello è il santo graal cui dare la caccia in revisione. E dunque, quando mi sono accorta che sulla casa di un personaggio non ho le idee chiarissime, ma potrei averle consultando un libro che non possiedo ancora, ho scritto [THEY GO TO THE STUDY – MORE TO COME] tra parentesi quadre, e sono passata oltre. Quando di una scena si sono presentate due possibili versioni alternative, le ho annotate entrambe in sufficiente dettaglio, e le ho lasciate lì. Ciascuna delle due ha i suoi meriti, ma in tutta probabilità, quando sarò più avanti, mi ritroverò ad avere buone ragioni per scegliere l’una o l’altra. E quando mi sono accorta di non sapere di preciso quale fosse la locanda di posta di Greenwich, ho messo un punto di domanda tra parentesi quadre e – you guessed it – sono passata oltre. Liberatorio e produttivo.

4) Trovo che un buon metodo per impedirsi di editare mentre si scrive sia il timer. Sempre Holly Lisle: ci si danno dieci minuti e si scrive, scrive, scrive finché il timer non suona. Così non si ha tempo (o quanto meno ci si convince di non avere tempo) per cambiare “rosso” in “vermiglio”, e poi in “scarlatto” e poi di nuovo in “vermiglio”, e perché non “porpora”, dopo tutto… Non è che abbia scritto così, di dieci minuti in dieci minuti per tutta la settimana – ma soprattutto all’inizio e alla fine delle sessioni era di grande aiuto per prendere il ritmo e per non perderlo.

5) Nondimeno, a volte, aprire un libro di riferimento o cercare una fotografia su Google Images è quel che ci vuole per sbloccarsi. Son quelle volte in cui basta un particolare come una frase di un documento d’epoca o il colore di una facciata di mattoni per rimettere in carreggiata il flusso della scena.

6) Poi ci sono intoppi più brigosi. Alzi la mano chi riesce a scrivere alcunché senza impantanarsi, prima o poi, nella fase Orrore-Orrore-Non-Va-Bene-Non-Va-Bene-Affatto-Tutto-Da-Gettare-Alle-Fiamme-Cosa-Credevo-Di-Fare-Perché-Sto-Scrivendo-Questo? Alzi la mano, dicevo, e si abbia la mia invidia. È capitato, mi par di ricordare, alla volta di mercoledì. Ho abbandonato tutto per un pomeriggio, ho fatto un po’ di cime tempestose a beneficio della famiglia, ho preso una quantità invereconda di biscotti con il tè. Poi ho ripreso in mano il computer, ho deciso di andare avanti ancora un po’ e, prima di “ancora un po’” ero di nuovo in corsa. Se stia imparando a gestire questo genere di paturnie o se questo fosse solo un caso lieve, proprio non so dire.

7) Tremilacinquecento parole al dì sono un ritmo che riesco a tenere anche mentre tossisco come una locomotiva, sotto antibiotici e con la febbre tutte le notti. E, potrei dire, anche in languida convalescenza post-antibiotici. Mi piace pensare che, in buona salute, potrei fare di meglio. Detto ciò, tenendo questo ritmo, in tre settimane potrei completare la prima stesura. Neanche male, ad averne il tempo.

8) Tra l’altro non è come se non avessi mai procrastinato. A parte il mercoledì di cui dicevo, ci sono stati momenti in cui il ritmo si è allascato parecchio – e in forme indicibilmente subdole, perché cose come questa, sono capacissime di sembrare una buona idea. O magari sono solo io…

9) Scrivener è un magnifico programma, ma per la prima stesura Q10 resta il mio prediletto. Schermo nero, caratteri color ambra**, formattazione al minimo, conteggio parole, timer interno e poco più. Niente distrazioni – il che per me funziona alla perfezione.

10) Mi mancava scrivere romanzi. La pura e semplice possibilità di spaziare, di entrare nella testa dei personaggi e restarci dentro, di giocare con i tempi e gli spazi senza preoccuparsi di come si potrà rendere tutto quanto in scena… ah. Il respiro è diverso. I ritmi sono diversi. Col che non voglio dire che alle volte non mi capiti di lasciarmi prendere la mano dai dialoghi – specie quando i miei personaggi si mettono a discutere di massimi sistemi – ma anche di questo mi occuperò in revisione. Per adesso, che parlino quanto vogliono. Dopo tutto, fa parte del gioco.

 

_______________________________

* Non posso nemmeno dire che, alla peggio, morirà nel tentativo, perché… be’, non posso. Storia di fantasmi, ricordate?

** Ma mi par di ricordare che ci siano anche altre combinazioni di colori.

Mag 4, 2012 - Digitalia, kindle, tecnologia    4 Comments

Tecnododo

Lo sapete tutti che sabato scorso ero a Librinnovando – e forse siete anche un po’ stufi di sentirvelo ripetere, visto che questo è il terzo post di fila in proposito, but bear with me e vedrete che, pur partendo da lì, andremo a parare altrove.

Allora, immaginatemi seduta nell’auditorium Ennio Morricone della Facoltà di Lettere e Filosofia a Tor Vergata, con un maglioncino di cotone sulle spalle per contrastare la micidiale aria condizionata, il fedele Moleskine in equilibrio su un ginocchio e la fedele penna a gel in mano… 

A un tratto sollevo gli occhi dai miei appunti e, nello spostarli in direzione dello schermo su cui scorre la sezione Twitter della faccenda, lo sguardo mi cade sulle file sotto di me – interamente lastricate di schermi. E quando mi guardo attorno, scopro che sono completamente circondata da iPads, iPhones, netbooks… Torno al mio taccuino nero e mi vien da sorridere. E mi sovviene il sopracciglio levato della studentessa al tavolo della registrazione, quando ho detto che non avevo bisogno di essere accreditata per l’uso del wi-fi… Comincio a sentirmi una bizzarria ornitologica.

Così prendo il mio cellulare viola e cinguetto: Sono a #Librinnovando e sto prendendo appunti a mano… non so se mi sento più marziana o platanicola.

Qualche decina di secondi più tardi il cinguettio passa sullo schermo – e non ci penso più, and I scribble away fino alla fine delle sessioni.

Dopodiché mi concedo qualche giorno di vacanza a Roma e rientro a casa lunedì sera. Accendo l’Innominatino e, per seconda o terza cosa, trovo un buon numero di risposte ai miei cinguettamenti – risposte che ho bellamente ignorato per tre giorni e lasciato cadere, senz’altro motivo che quello di non averle viste.

Tra gli altri quello scherzoso di Marta Traverso, proprio in risposta alla mia battuta sul prendere appunti a mano: Si potrebbe definire atto di boicottaggio tecnologico-culturale 🙂

Già, potrebbe sembrare, vero? Ma per quanto trovi un certo gusto nell’andare per sentierolini miei, questa volta non si tratta di nulla del genere. C’è la questione sentimentale dell’essere affezionata al mio cellulare viola – piccolo, ragionevolmente elegante d’aspetto e perfettamente funzionante dopo sei o sette anni di uso leggero, ma non equipaggiato per interagire davvero con Twitter. Posso cinguettare, ma non vedo le risposte.

E poi c’è The Beastie. The Beastie è il mio netbook e, a dispetto di quel che è, è stato acquistato per non venire mai a contatto con la rete. Mi spiego: in un angolo del mio studio c’è l’Innominatino-cum-Steno, ovvero il computer serio, quello collegato alla rete, quello con la vasta duplice memoria, quello che serve per il lavoro e la comunicazione e le ricerche e la navigazione in genere*.

E poi, come dicevasi in capo al paragrafo precedente, c’è The Beastie, che serve per scrivere. Perché non so voi, ma mi ritrovo (e non da oggi) incapace di scrivere con un qualsiasi grado di continuità a un computer che sia collegato alla rete. E non pretendo che con questo vi facciate una grande idea della mia capacità di concentrazione o di resistenza alle tentazioni, ma è più forte di me: Bridewell? Davvero Thomas Kyd era stato imprigionato a Bridewell? Perchè ho l’impressione di ricordarmi Chelsea, invece? Da qualche parte devo pur averlo letto, ma dove? ‘Spetta ben, che faccio un rapido controllo. Bridewell Prison… Oh guarda: Edmund Campion. Certo, ma Chelsea? Non so nemmeno se fosse davvero una prigione, ma Topcliffe… ‘Spetta ben, che vediamo Richard Topcliffe. Una camera di tortura privata nella sua abitazione di Chelsea… hm, sarà affidabile questo sito? ‘Spetta ben, che cerchiamo qualche conferma altrove. Che cara persona era costui… Rumours. Sì, be’, bound to be, ma Chelsea? Hm… in realtà vado sul sicuro se piazzo Kyd a Bridewell, giusto? ‘Spetta ben, che vediamo se trovo qualche stracciolino di conferma… e perché avevo lasciato aperta questa pagina? Ah sì, Campion. Ma guarda che bella serie di link… ‘Spetta ben, che se mai trovassi qualche notizia aggiuntiva su padre Ballard sarebbe proprio una bella cosa…

E a questo punto, come potete immaginare, è passata un’oretta, non ho scritto una parola, sono perduta per prati che, pur attinenti, non mi ricondurranno al lavoro tanto presto – e stiamo supponendo che mi sia trattenuta dal controllare la posta e che non abbia trovato nulla da cinguettare o da appuntare su Pinterest. E la cosa peggiore è che, mentre lo faccio, mi sento perfettamente a posto, perché non sto perdendo tempo, non sto procrastinando, non sto menando il can per l’aia: sto lavorando sulla documentazione, perbacco! I sensi di colpa, la furia, i numerosi sinonimi di idiota verranno più tardi, quando sarà il cuore della notte, e dovrò proprio cercar di dormire almeno qualche ora prima di andare a scuola e/o a teatro, e avrò scritto 173 parole in tutto…

Per cui capite che devo avere un computer senza nemmeno la possibilità di accedere alla rete, un arnese con cui possa trasferirmi in un’altra stanza senza nulla più che lo stretto indispensabile in fatto di materiale di riferimento e la volontà di scrivere. E allora sì che sono in grado di lavorare, annotando quel che mi manca e le lacune da risolversi tra prima e seconda stesura.

Per cui, se sabato mi sono sentita (e sono parsa) un dodo è perché la mia capacità di resistere alle tentazioni è pari a zilch e, se intendo continuare a scrivere con qualche ombra di risultato, The Beastie non può – ma proprio non può avere nemmeno la remota possibilità di accesso alla rete.**

Spiegato ciò, però, comincio a pensare che forse avrò bisogno di qualche soluzione tecnologica alternativa che mi consenta di non cinguettare alla cieca in casi del genere – e di non apparire una maleducata che avvia conversazioni e poi le tronca. Mi rendo conto che si tratta di un passo pericoloso, perché una volta che avrò la possibilità di connettermi senza dover cercare un Internet point, sarà la fine di quei giorni di vacanza senza rete… ma considerando che sono due anni che non faccio una vacanza, forse il problema non è dei più pressanti. Resta il dubbio del come – o meglio del cosa. Dubito molto che valga la pena di un iPad per questo sporadico tipo di uso – senza contare che il mio Kindle potrebbe essere geloso. Posso accantonare il mio beneamato cellulare viola a favore di uno smartphone di qualche tipo? Esistono soluzioni a forma di chiavetta che mi consentano di rendere The Beastie connettibile just once in a long while?

Studierò il problema, e cercherò di farlo prima del prossimo spostamento, ma intanto raccontatemi: voi come siete organizzati? Quanti devices? E come vi ci destreggiate? Cosa vi serve per fare cosa? Cosa ha rivelato utilità inattese? Cosa è stato deludente?…

______________________________________________

* E tutto considerato, mi vien da domandarmi come diamine non mi sia mai venuto l’uzzolo di dargli un nome più navale. Perché, vedete… ma no, questa è un’altra storia e ne riparleremo.

** E di conseguenza, pesando ben più di un Moleskine, resta a casa in tutti gli spostamenti che non prevedono il tempo e/o la necessità di scrivere.

Nov 18, 2010 - Non Del Tutto Serio, pennivendolerie    Commenti disabilitati su L’Arte della Procrastinazione Secondo Debbie Ohi

L’Arte della Procrastinazione Secondo Debbie Ohi

Debbie Ridpath Ohi è un’autrice freelance, scrittrice e illustratrice, con le idee chiare sul peggior nemico dello scrittore: la procrastinazione.

Col permesso di Debbie, ecco alcune strips tratte dal suo adorabile Will Write For Chocolate, vita quotidiana di cinque coinquilini – tutti scrittori. Traduzione mia.

2008-11-30.jpg
2009-03-05.jpg
2008-10-14-730x379.jpg

Pagine:«123»