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Parli Del Diavolo…

Vi ricordate le Serate in Giardino di Casa Andreasi?

Bene, mercoledì scorso Giovanni Pasetti ha aperto le danze con Shakespeare e Marlowe, gemelli diversi – da Faust ad Amleto. Tecnicamente, se vogliamo, non è stata proprio una serata in giardino: c’era un’umidità da nuotarci, e così le signore di Casa Andreasi hanno saggiamente deciso di spostarci tutti nella bellissima sala conferenze… e confesso secondi fini nel dirvelo, casomai, in occasione dei prossimi appuntamenti, foste tentati di lasciarvi scoraggiare dal tempo.

Hamlet-and-the-ghostOra, mercoledì la conferenza è stata gradevolissima e, tra molte altre cose, ha toccato un confronto molto interessante tra le due opere nel titolo – e di conseguenza i rispettivi autori. A partire da diavoli e fantasmi che – ne abbiamo già parlato – per gli Elisabettiani non erano necessariamente due cose diverse.  Ciò che, come ci ha fatto notare il professor Pasetti l’altra sera, consente di far confronti tra l’esperienza di Faust con Mefistofele e quella di Amleto con il Fantasma.

In realtà io trovo che di parallelismo non si possa parlare, se consideriamo che Faust il diavolo va a cercarselo con ogni pervicacia, mentre Amleto l’ectoplasma se lo ritrova tra capo e collo suo malgrado – e non è un ectoplasma qualsiasi, ma uno che sostiene di essere il suo defunto genitore… ma questo non impedisce di osservare la diversità di atteggiamento.

Di fronte al diavolo, l’uomo di Marlowe vuole discutere di teologia (e il diavolo è ben felice di accontentarlo), mentre l’uomo di Shakespeare… Be’, gli uomini di Shakepeare in realtà sono diversi, e incarnano tutti i dubbi Elisabettiani in proposito: Bernardo e Marcello hanno paura, Orazio reagisce con protestantissimo disprezzo mentre Amleto, essendo Amleto, dubita. Dubita se quello che ha di fronte sia un diavolo protestante o un fantasma cattolico. Dubita se dandogli retta ci sia da finire abbrustoliti. E continua a dubitare per un pezzo, e passa un sacco di tempo a cercare conferme di altra natura – ragioni di vendetta che non abbiano troppo a che fare con la terrificante apparizione.

Di fronte al diavolo, Faust chiede Come? Amleto chiede Che cosa?

Faust vuole sapere. Amleto, cui la conoscenza viene sbattuta in faccia, era più tranquillo quando ignorava. mephisto_erscheint_faust

Faust, che il diavolo se l’è cercato per fargli delle domande – e al diavolo le conseguenze – incarna il lato indagatore del Rinascimento. È tutti i matematici, gli esploratori, i pensatori, gli sperimentatori, gli scienziati, i filosofi…  Amleto incarna l’umano tremar di ginocchia davanti a un mondo che sussulta e cambia, la vertigine di fronte agli squarci in quel che si era sempre creduto.

Faust è un cercatore insaziabile, un Ulisse cinquecentesco, un avventuriero della mente. Amleto è, molto più semplicemente, un uomo pieno di dubbi.

Entrambi pagheranno un prezzo molto alto per avere dato retta al diavolo – e, di nuovo, lo studioso di Marlowe paga un prezzo teologico, mentre il principe di Shakespeare paga un prezzo umano.

E d’altra parte, Faust è l’opera di un giovane alquanto tranchant, con più fuoco e teoria che compassione per l’essere umano medio, mentre Amleto è l’opera di un uomo maturo e disilluso…

Due facce della stessa medaglia, a ben vedere – e in una quantità di modi, ad enesima riprova di come quel che si chiama lo Spirito dei Tempi non sia mai una cosa sola. Mai un uomo solo. Mai uno spirito solo.

 

Giu 18, 2014 - elizabethana    Commenti disabilitati su Shakespeare & Marlowe A Casa Andreasi

Shakespeare & Marlowe A Casa Andreasi

CasaAndreasiE cominciamo con il dire che Casa Andreasi è una magnifica dimora quattrocentesca nel bel mezzo di Mantova, con un incantevole giardino rinascimentale – nonché sede dell’attivissima Associazione per i Monumenti Domenicani, una delle realtà culturali più vivaci e interessanti di Mantova.

Ogni estate, l’Associazione organizza le Serate in Giardino, una serie di conferenze nel giardino rinascimentale di cui vi dicevo. Lo vedete in fotografia: bel posto, vero? Immaginatevelo di sera e d’estate, fiorito, illuminato…

Ebbene, quest’anno le Serate sono dedicate a Shakespeare&Marlowe – e tra i relatori ci sono anch’io.

Ma andiamo con ordine.

Si comincia il 25 giugno, mercoledì prossimo, con Giovanni Pasetti che parla di “Shakespeare e Marlowe, Gemelli Diversi – da Faust ad Amleto.”

Il 23 di luglio sarà il mio turno, con “Kit Marlowe: Vita, Morte e Misteri.” E poi di nuovo il 20 di agosto, con “Ai Posteri l’Ardua Sentenza – la fama postuma di Shakespeare e Marlowe.”

Chiuderà il ciclo, il 24 settembre, Rita Severi con “Mantova in Shakespeare: un itinerario.”

Vario e promettente, non vi pare? Tra tutti e tre, cercheremo di esplorare vita, opere, nachleben e questioni irrisolte dei due festeggiati – e lo faremo in un posto davvero perfetto per atmosfera. Personalmente, non vedo l’ora.

Vi ricorderò le mie date più avanti, perché sono spudorata e tutto quanto, ma se siete a Mantova e dintorni e l’argomento v’inuriosisce, credo proprio che valga la pena di seguire tutto il ciclo, a partire da mercoledì prossimo.

Intanto, qui* potete scaricare il programma dell’attività estiva dell’AMD.

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* O almeno spero. Se il link dovesse condurvi di nuovo alla homepage, fate caso ai rettangolini color grano maturo impilati sulla sinistra. Ce n’è uno che recita “Calendario Attività.” Cliccatelo, e vi ritroverete sulla pagina giusta, con un altro rettangolino che vi permette di scaricare il PDF del programma.**

** Nota alla nota: sì, lo so: ci sareste arrivati anche da soli. Però mi si è fatto notare che tendo a dare istruzioni un nonnulla criptiche, così questa volta ho cercato di essere chiara, esplicita ed esauriente. Ecco.

Apr 28, 2014 - Shakeloviana    4 Comments

Shakeloviana: La Propagazione Della Conoscenza

Rudyard Kipling, the famous novelist was a res...Questa è una storia di Kipling, in cui non appaiono né Shakespeare né Marlowe – ma si parla di baconianesimo, ovvero quella teoria secondo cui le opere di Shakespeare in realtà le avrebbe scritte Francis Bacon

The Propagation Of Knowledge, tecnicamente, appartiene alla serie di storie di Stalky & Co. – storie di scuola abbastanza autobiografiche e piuttosto crudeli, ma non si trova nel libro ononimo, bensì nel ben più tardo e amarissimo Debits And Credits. E a dire la verità, la teoria baconiana – relativamente nuova e molto popolare all’epoca in cui è ambientata la storia – è in parte pretesto narrativo e in parte oggetto di satira.

Stalky, Beetle e M’Turk, adolescenti ed esaminandi, la scoprono per un misto di caso e procrastinazione, e la sperimentano con il loro professore di letteratura, l’irascibile Mr. King. Stratfordiano ortodosso, Mr. King è men che divertito, e distrugge verbalmente la teoria, i suoi sostenitori e il tema in cui M’Turk ha provato a proporla. Non è la prima volta che Mr. King fa uso del suo devastante sarcasmo sui suoi allievi, ma in quest’ultima lavata di capo nostri tre vedono l’occasione per una vendetta con i fiocchi. DebitsAndCredits

Gli esami arrivano, e i ragazzi non solo si fingono baconiani davanti al commissario esterno, ma fingono di essere stati indottrinati in proposito proprio da King. L’idea è quella di far apparire il professore come un propugnatore di teorie strambe, ma si dà il caso che il commissario esterno sia un baconiano convinto, ben lieto di trovare studenti così ferrati in materia… E così la vendetta naufraga – o forse non proprio, perché King riceve un encomio dal commissario, ma lo riceve per la sua apertura nei confronti della teoria baconiana che in realtà disprezza tanto.

E alla fin fine, tanto il baconiano quanto lo stratfordiano sono beffati, in un modo o nell’altro, dai ragazzi cui di chi abbia scritto le opere di Shakespeare non importa un bottone.

As I said, è una storia più o meno shakespeariana, anche se del buon Will non si vede traccia. Incidentalmente, è stato leggendola che ho scoperto l’esistenza della Questione del Vero Autore, ma più che altro Kipling si fa gioco dei fanatici su entrambi i lati della Questione – oltre che della classe insegnante del suo tempo e degli esperti in generale – cosa che rende The Propagation of Knowledge divertente nella maniera mai men che amarognola del Kipling più tardo, e anche la cosa perfetta da citare per diluire l’atmosfera ogni volta che una discussione shakespeariana si fa troppo veemente.

 

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Apr 24, 2014 - anglomaniac, elizabethana    Commenti disabilitati su Piccolo Bollettino Shakespeariano

Piccolo Bollettino Shakespeariano

William ShakespeareE sì, ieri sarebbe stato il 450° compleanno di Shakespeare… E io me ne sono bellamente dimenticata.

Il che forse è solo giusto, visto che un paio di mesi fa sarebbe stato il 450° compleanno di Marlowe, e mi sono dimenticata anche quello – benché in fondo sia in rapporti più stretti con Kit che con Will. Voglio dire, non ho scritto e non continuo a scrivere su Shakespeare come se piovesse*, giusto? E non ho sulla scrivania una scultura che rappresenta Shakespeare, giusto?

Ma non è quello il punto.

Poi però c’è stato chi mi ha ricordato la faccenda e, almeno su Scribblings, ho parzialmente riparato: qui c’è il post con cui partecipo al progetto #happybirthdayshakespeare.

Con un giorno di ritardo, but still.

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* Anche se, in realtà, qualcosa c’è… possibili sviluppi in autunno.

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Apr 7, 2014 - Shakeloviana    4 Comments

Shakeloviana: Racconto d’Inverno

Connie WillisNo, non Shakespeare.

O meglio, ovviamente sì – Shakespeare, e anche Marlowe.

Ma non quel Racconto d’Inverno.

Perché il fatto è che anche Connie Willis ha scritto un Racconto d’Inverno.

E parla di Shakespeare – e anche di Marlowe, in una maniera che…

Ora, il dilemma si è: come posso raccontarvi di questa storia senza rovinarvi la sopresa? Perché una sorpresa c’è, una sorpresa ben costruita e ben preparata – e qualora decideste di procurarvi l’antologia willisiana Impossible Things, che contiene la storia, questa sorpresa non vorrei davvero rovinarvela.

Allora, mettiamola così: la storia si svolge nel 16 a New Place, la casa da gentiluomo che Shakespeare, arricchitosi con il teatro e con il commercio, si è comperato nel villaggio natale di Stratford. New Place è, in buona parte, una piccola comunità femminile, visto che il padrone di casa non ci si è mai visto, e l’unico figlio maschio è morto bambino.ConnieWillis_ImpossibleThings

Ma all’inizio della storia, questo piccolo gineceo è in subbuglio. L’anziana e vedova Mistress Shakespeare, l’acida sorella Joan, Anne Shakespeare la moglie poco meglio che abbandonata, la figlia nubile Judith, la figlia sposata Susanna e la nipotina Bess aspettano in varia agitazione il ritorno del figliol/marito/padre/nonno prodigo…

E noi, attraverso gli occhi della narratrice Anne, assistiamo alla preparazione del secondo miglior letto, con le lenzuola fresche di spigo su cui salta la piccola Bess, con le domande di Judith, con la durezza apparente di Susanna…

E poi gli ospiti arrivano – tre uomini a cavallo dalla via di Londra, ed è passato tanto tempo che le donne Shakespeare, schierate davanti alla porta, faticano a riconoscere quale dei tre sia William…

E il resto è Connie Willis – e non perché ci sia alcunché di fantascientifico. Consideratela ucronia, se volete, o speculazione. Ricordatevi soltanto che le cose non sono quel che sembrano, nemmeno quando lo sembrano davvero tanto…

E se volete, prometto di non farlo più: in futuro, è molto probabile che Shakeloviana si comporti in modo più spudorato in fatto di trame* – ma questa volta… eh, questa volta non si può. Winter’s Tale – che, prima che me lo chiediate, è in un Inglese del tutto abbordabile, con appena una spolveratina di costruzioni elisabettiane – è un racconto da leggere due volte: una per la sorpresa e una per studiare la finezza con cui Ms. Willis ha preparato il tutto…

E poi basta, davvero: rivelare più di così sarebbe pessimo da parte mia.

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* Lo avete visto la settimana scorsa, giusto? Vi pare che mi sia fatta il benché minimo scrupolo nel rivelare il finalone del play di Clemence Dane? Semmai, per il futuro, metterò qualche avvertimento prima dell’eventuale spoiler.

 

 

 


 

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Mar 31, 2014 - Shakeloviana, teatro    2 Comments

Shakeloviana: Will Shakespeare

Dopo qualche strologamento, ho deciso di iniziare Shakeloviana con un vecchio (1921) play – e no, non è il Marlowe di Josephine Preston Peabody.

In tutta probabilità parleremo anche di quello, benché ne abbia già accennato qua e là, ma per il momento direi che possiamo cominciare con qualcosa che, nonostante il titolo, si occupa di entrambi i nostri festeggiati – e se ne occupa in modo… vogliamo definirlo bizzarro?

Ma sì, diciamo pure bizzarro, e anche ragionevolmente inconsueto. Perché sapete bene che una delle domande senza risposta a proposito del teatro elisabettiano è se Shakespeare e Marlowe si conoscessero e, se non ci sono documenti di sorta a provarlo, le probabilità che si conoscessero sono altine. Voglio dire, colleghi, coetanei e, almeno per un periodo, rivali in un mondo piccolo e denso come la Londra teatrale di un’epoca in qui si viveva gli uni nelle tasche degli altri… Non incomprensibilmente, narratori e autori teatrali hanno sempre abbracciato con entusiasmo l’idea che si conoscessero eccome, perché il gusto di farli interagire fittiziamente non è cosa cui si rinunci con facilità.

English: English novelist and playwright Cleme...Sul tipo di interazione ci sono scuole di pensiero, e Clemence Dane, con il suo Will Shakespeare, an Invention in Four Acts, appartiene a una scuola piccola piccola. Per ora, nel corso delle mie letture, di appartenenti a questa scuola ne ho incontrati soltanto due – ma andiamo con ordine.

Clemence Dane in realtà si chiamava Winifred Ashton, ed era un personaggio piuttosto singolare a sua volta: romanziera, playwright, giallista collaborativa, saggista occasionale, pittrice e scultrice*. Magari qualche volta parleremo di lei, ma per ora limitiamoci a Will Shakespeare, annata 1921, quattro atti scritti in pentametri giambici piuttosto… er, magniloquenti. Il primo atto è ambientato a Stratford, con un giovane Shakespeare irrequieto e visionario e una Anne Hathaway che, all’epoca, sarebbe di sicuro finita al rogo per stregoneria nel giro di tre scene. È un diluvio di inganni, controinganni, ricatti morali, premonizioni e fantasmi… suona gonfio? Lo è – oh, lo è.

Dopodiché ci si sposta a Londra, e s’incontra Marlowe, che è un caro ragazzo di genio, ben contento, nel tempo sottratto a un’ispirazione torrenziale e a una vita sociale intensa anzichenò, di prendere sotto la sua ala quel simpatico campagnolo così promettente. E dunque i nostri due non solo si conoscono, ma sono grandi amici e writing buddies, in una maniera che pochi altri autori hanno considerato anche solo vagamente plausibile…

Ma non è questo che avevo in mente nel parlare di bizzarria. Perché dovete sapere che l’idillio s’interrompe quando entra in scena la Dama Bruna dei Sonetti – qui una Mary Fitton particolarmente ambiziosa e calcolatrice che, pur apprezzando l’omaggio di Will, nutre molto più interesse per il celebre e fiammeggiante Kit.

Mary Fitton

Mary Fitton

E Marlowe finisce per cedere alla tentazione – pur con molte remore e molti patemi – quando la terribile Mary lo raggiunge a Deptford, vestita da ragazzo e sotto il nome di Francis Frizer – con il quale, prima delle scoperte di Leslie Hotson, si credeva di identificare l’assassino di Marlowe. Ma era tutto un equivoco, ci dice Clemence Dane, perché a vibrare la pugnalata preterintenzionale è uno Shakespeare in crisi di gelosia – salvo pentirsene gravissimamente prima di subito.

Ops…

Per una parvenza di soluzione ci vorrà la regina in persona, maternamente addolorata per la morte di Marlowe, ma ancor più maternamente decisa a proteggere Shakespeare – e a bandire da corte Mary-la-tentatrice-infedele-e-senza-cuore che, come ognuno può vedere, è la causa di tutto.

Segue finale  tanto purpureo quanto il primo atto, con uno Shakespeare incatenato alla sua penna, tormentato da rimpianti e rimorsi che riversa nei fantasmi dei suoi personaggi che lo vengono a visitare… Sipario.

Ebbene sì: Shakespeare uccide Marlowe – però non lo fa del tutto apposta, e gli dispiace dannatamente. Ve l’avevo detto che era bizzarro.

A titolo di conclusione, lasciate che vi dica che Will Shakespeare non è un granché. Verboso, melodrammatico e veemente, popolato di gente che declama anziché parlare, con una bella malvagia senza un briciolo di coscienza e nulla che la redima, mi verrebbe da chiamarlo il prodotto di un’altra epoca, ma in realtà non fu mai molto popolare in teatro – salvo ricomparire di quando in quando alla radio o in televisione. Dalla sua ha, trovo, due cose: uno Shakespeare più convincentemente difettato di come lo ritraessero molti contemporanei di Ms. Dane, e un’interpretazione più originale di altre di quel che si sapeva all’epoca sulla morte di Marlowe. Di lì a una manciata d’anni sarebbe arrivato Hotson a chiarire molte cose, ma nel 1921 c’era molto più posto per qualsiasi quantità di speculazione selvaggia – compreso uno Shakespeare omicida preterintenzionale, anche se non credo che la Clemence facesse molto sul serio in proposito.

Casomai vi pungesse l’uzzolo di dare un’occhiata, trovate il testo su Internet Archive, in una varietà di formati.

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* Tre suoi lavori sono esposti alla National Portrait Gallery. Tra l’altro, due ritratti del suo grande amico Noël Coward.

 

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Feb 7, 2014 - anglomaniac, elizabethana, Storia&storie    Commenti disabilitati su Shakespeare & Marlowe, Poeti

Shakespeare & Marlowe, Poeti

Così cominciamo. Cominciamo con le conferenze shakespearian-marloviane.

Cominciamo con entrambi – e sapete una cosa? Nel proporre le mie conversazioni in proposito sono vagamente ma piacevolmente sorpresa di costatare un certo interesse per il fatto che Shakespeare non esistesse isolato e fluttuante in una specie di vacuum. C’è un certo interesse per il suo mondo, per i suoi contemporanei, colleghi e rivali, per la sua Londra, per l’ambiente teatrale in cui e per cui ha scritto. C’è un certo interesse per Marlowe. E allora, giovedì 13 alla Sala Civica di Levata, alle ore 20.45…

Locandina1

Sarà la storia di una rivalità poetica in una città esuberante, rumorosa e affamata di teatro. La storia di quello che se ne sa, di quello che se ne è immaginato e ricostruito nei secoli, di come andò a finire,  e sarà avvincente, drammatica, curiosa e piena di colpi di scena come un lavoro di Shakespeare – o Marlowe.

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Gen 15, 2014 - elizabethana, libri, libri e libri, Poesia    Commenti disabilitati su Il Carteggio Marlowe

Il Carteggio Marlowe

The-Marlowe-Papers-pb-jacketTardissimo – perdonate. E neanche molto lungo. Passerà anche l’influenza…

Ma veniamo a noi. Era un po’ che meditavo su The Marlowe Papers, romanzo in versi della poetessa Ros Barber.

Insomma, un’altra storia neo-marloviana, con il buon Kit che, invece di morire a Deptford, fugge sul Continente e procede a scrivere tutto il canone shakespeariano… A parte tutto il resto, quante volte è già stata scritta? E d’altro canto è ormai risaputo che, quando si tratta di Christopherm Marlowe, la mia capacità di resistere alle tentazioni, anche le più improbabili, è… ridotta. Ma soprattutto, l’idea di un romanzo in versi – in pentametri giambici! – mi attirava da matti, non foss’altro che per pura e semplice improbabilità.

Alla fine a decapitare i miei tentennamenti ci ha pensato Babbo Natale, scodellandomi The Marlowe Papers sotto l’albero… E diamine, ne valeva la pena in tutti i modi possibili.

Perché la signora Barber, o Lettori, Sa Quello Che Fa.

Può darsi che la nuda ossatura della trama si sia già vista decine di volte (vedi § 2), ma qui è sfaccettata in un’infinità di piccole scene, narrate in prima persona poetica da un Marlowe per cui è impossibile non parteggiare. Comincia arrogante, pieno di fuoco, incauto e troppo fiducioso per il suo stesso bene, e un po’ per volta, ogni singolo passo verso la grandezza si rivela un’imprudenza da pagarsi a caro prezzo. E noi, leggendo, ci dimentichiamo della teoria bislacca su cui è costruita la trama, per appassionarci ai tormenti, ai riscatti momentanei, alle speranze condannate del narratore. warning-sign-clip-art_420969

Le poesie sono alla fine fine lettere in versi che, dall’estero o dall’invisibilità precaria di un incognito che rischia di far acqua ad ogni passo, Marlowe scrive senza mai spedirle a Thomas Walsingham – amico, mecenate, salvatore e amante… Lettere non spedite, metà diario e metà testamento per almeno tre quarti del libro.

E, per una volta, persino la trasformazione da Marlowe in Shakespeare è fatta con immaginazione e sottigliezza, intrecciando fatti conosciuti, dubbi, ipotesi, vuoti biografici e cronologie di titoli con molta, molta più finezza di quanta se ne veda di solito in questo genere di operazioni.

Il tutto in pentametri giambici – e se pensate che la forma intralci la narrazione, ebbene lo pensavo anch’io, ma mi sbagliavo. Il linguaggio è una gioia – ricco, vario, con una combinazione perfetta di colore elisabettiano e scioltezza contemporanea. E il ritmo del verso da alla voce di Marlowe una specie di pulsazione, un’urgenza irrequieta che trascina dalla prima all’ultima pagina.

Morale: sono conquistata. No, non nel senso che vo abbracciando tesi neo-marloviane – o anche solo antistratfordiane – ma è di nuovo come per History Play: l’intelligenza e l’ammirevole esecuzione, e la capacità narrativa… Allo scrittore che riesce a travolgermi con le variazioni su una storia che, di per sé, mi manda il latte alle ginocchia, va tutta la mia ammirazione.

 

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Set 22, 2010 - bizzarrie letterarie    Commenti disabilitati su Dipende

Dipende

Rgreene.jpgStoria, sacre scritture, agiografie e letteratura sono piene di gente che vive male e poi si pente in punto di morte, con smisurato tripudio in cielo e generale edificazione in terra. Centesime pecore e tutto il resto – fin qui nulla di particolarmente originale.

Robert Greene era una centesima pecora alquanto eccentrica. Dopo avere condotto una vita tale da apparire sregolata persino per gli standard piuttosto laschi della Londra elisabettiana, si pentì in punto di morte e, prima di lasciare le penne in un’indigestione di aringhe sott’aceto e vino del Reno, forse scrisse un libello chiamato Greene’s Groatsworth of Wit Bought With a Million of Repentance.

Un libello singolarmente velenoso, per essere l’ultimo belato di una Centesima Pecora, e francamente non saprei dire quanto si sia gioito in Paradiso: Greene, se davvero ha scritto il Groatsworth, avrebbe usato il suo ultimo inchiostro per esporre e censurare (sotto forma d’invito al pentimento) vizi e difetti di molti suoi contemporanei. Uno degli oggetti del livoroso zelo di Greene era Kit Marlowe, descritto come un ateo, un bestemmiatore e un corruttore di menti, più bisognoso di contrizione e perdono di chiunque altro. Meno pio e più bilioso era un attacco a un arrampicatore presuntuoso, un corvo in piume di pavone, i.e. un attore (gentaglia!) che osava scimmiottare l’arte poetica senza nemmeno possedere una L-A-U-R-E-A!!* Qualora i particolari non fossero stati sufficienti, pensò bene di rendere tutto più esplicito affermando che il Corvo si considerava il solo squassatore delle scene inglesi. Shake-scene, got it?

Non del tutto incomprensibilmente, quando Greene morì e lo stampatore Henry Chettle pubblicò il Groatsworth come opera postuma, Shakespeare non la prese bene. E neppure Marlowe, del resto – o forse no, e qui la cosa si fa interessante.

Pochi mesi dopo l’uscita del libello, Chettle, che era a sua volta un autore e un personaggio equivoco**, nonché fortemente sospettato di essere il vero autore del Groatsworth, si affrettò a spiegare, in una lamentosa e ruffianissima prefazione al suo Kind Heart’s Dream, che uno o due degli autori attaccati dal defunto Greene se l’erano presa con lui – ciò che non gli pareva del tutto giusto, ed era prontissimo a scusarsi con uno dei due, che nel frattempo aveva incontrato e imparato a stimare. L’altro non lo conosceva, né ci teneva a farlo. Sottintendendosi che questo secondo personaggio, se si riteneva offeso, poteva attaccarsi al traghetto sul Tamigi e fischiare in curva.

E qui cominciano i dubbi. Di sicuro a nessuno era piaciuto troppo farsi diffamare dal libellista misterioso, ma chi erano i due che avevano protestato abbastanza rumorosamente da spingere Chettle alle scuse pubbliche?

Marlowe è una risposta plausibile, perché era stato attaccato su un argomento che, se maneggiato con insufficiente cautela, all’epoca poteva condurre alla forca. Inoltre, Kit non era noto per la sua mitezza di carattere e proclività al perdono, e disponeva anche di qualche amico influenti. Shakespeare è meno ovvio. Che il corvo arrampicatore fosse lui è probabile, anche se all’epoca non era ancora un autore particolarmente celebre – certo era molto meno celebre di Marlowe, ma proprio per questo gli si adatta la taccia di parvenu della scena letteraria londinese. Quella di lupo in vesti d’attore (nell’originale Tyger in Player’s Hyde) sembra meno calzante, ma d’altra parte è una citazione dall’Enrico VI, e dobbiamo presumere che sia dov’è per ulteriore identificazione del bersaglio, o per qualche altra ragione più criptica che aveva senso per i lettori dell’epoca.***

Questo non significa necessariamente che sia stato lui a protestare: niente di quello che sappiamo di Shakespeare ci fa pensare che fosse un personaggio litigioso, probabilmente nel ’92 non disponeva ancora di connessioni personali con gente abbastanza influente da fare paura a Chettle, e comunque gli strali di Greene avevano colpito vari altri autori e poeti, in particolare l’irascibile Thomas Nashe e l’appena meno fiammeggiante George Peele. Tuttavia, supponiamo pure – come generalmente si fa – che i due protestatori fossero davvero Marlowe e Shakespeare: chi tra i due era meritevole di scuse, e chi il soggetto che Chettle non voleva nemmeno conoscere?

La risposta più diffusa è quella ovvia. Da un lato era prudente da parte di Chettle dissociarsi per quanto possibile da un bestemmiatore ateo; dall’altro, è difficile pensare che qualcuno potesse descrivere Kit come “tanto civile nei modi quanto eccellente nella sua professione”, o che “diverse persone pie” avessero “testimoniato la sua rettitudine”.

Però di recente ho letto una biografia di Marlowe che dava tutta un’altra lettura della spudorata captatio benevolentiae di Chettle: secondo M.J. Trow, quello la cui opinione non contava un bottone era il provinciale illetterato, il nuovo arrivato di nessun conto, l’attore**** che osava aspirare all’empireo dei poeti. Ma come si applica a Marlowe l’altra metà del disclaimer? Secondo Trow, con un misto di pura e semplice verità (l’eccellenza artistica) e abietta capitolazione di fronte alle giuste pressioni: non dimentichiamoci che stiamo parlando del giovanotto per cui, pochi anni prima, il Consiglio Privato della Regina aveva costretto un intero senato accademico a fare un passo indietro. Figurarsi un Chettle! Se traduciamo divers (persons) of worship come “persone degne di reverenza” invece che “persone pie” (e l’Inglese del tempo lo consente), l’interpretazione calza.

Secondo me ci sta bene anche l’ipotesi di un’ombra di sarcasmo: mi è facile immaginare Chettle che, verdino in viso, lacerato tra paura, umiliazione e furia, cerca il giusto tono per le sue scuse e le sue lodi. Meglio non gettarsi da sé dalla padella nella brace, ma l’adulazione insincera può diventare una satira molto sottile, di un genere a cui è difficile replicare senza rendersi lievemente ridicoli…

A parte le mie speculazioni, resta il fatto che l’argomentazione di Trow, per quanto eterodossa, sta in piedi abbastanza bene. La morale è la solita: non c’è (quasi) nulla che, una volta fatto ruotare, inclinato a 45 gradi e tinto di violetto, non possa essere visto in un altro modo. Oh, e magari procurarsi un biografo con una buona vena logica è un solido investimento per il futuro.

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* Greene, manco a dirlo, era laureatissimo. M.A. al St.John College di Cambridge.

** Equivoco è una coperta molto larga all’epoca. Qui nel senso di debitore insolvente e recidivo, inquilino a Marshalsea più di una volta, implicato in una faccenda di libelli politico-religiosi, probabilmente colpevole del Bad Quarto di Romeo e Giulietta… più la faccenda di Greene. Non proprio una cara persona.

*** C’è una teoria, neanche troppo campata in aria, secondo cui il Corvo sarebbe in realtà Ned Alleyn, all’epoca il grand’uomo dei teatri londinesi. Ecco, Ned Alleyn non sarebbe stato tipo da starsene zitto e quieto, ma difficilmente Chettle l’avrebbe degnato di una risposta, meno ancora di pubbliche scuse.

**** Quasi sinonimo di scarafaggio, nel contesto. D’altra parte, Greene era convinto che gli attori in generale (e Alleyn in particolare) lo avessero rovinato prendendosi il frutto dei suoi sforzi.

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