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Nov 3, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Shakeloviana: William

william1Dopo che, lunedì scorso, ho parlato dell’opera marloviana di Bedford, N. mi ha scritto segnalandomi qualcosa d’altro.

Anche questo post è qualcosa d’altro, visto che William, opera da camera del compositore svedese B. Tommy Andersson, non l’ho vista affatto – né l’ha vista N. Considerate tutto ciò… well, la segnalazione di una segnalazione. Non credo che sarà un post molto lungo.

Cominciamo col dire che siamo molto lontani da Bedford/Courtney: William è del 2006, su libretto originale (in Svedese) di Hakan Lindquist, e l’unica recensione che ho trovato descrive la musica come sostanzialmente post-moderna. Di sicuro la distribuzione, con un soprano, un tenore e ben sei baritoni, è tutt’altro che tradizionale – e mi vien da domandarmi come se la cavino con tutte quelle voci baritonali… Ma non divaghiamo, e concentriamoci sulla storia.william3

Il protagonista, come il titolo lascia intendere, è Shakespeare – ma Marlowe compare con una certa abbondanza. Dalla sinossi non è chiarissimissimo, ma si direbbe che William, non contento di un’amicizia artistica, sia innamorato del coetaneo più audace e più celebre, e lo segua dappertutto… Right, forse non è  proprio così, ma di sicuro il William di Andersson e Lindquist riesce ad essere nella Compagnia dell’Ammiraglio all’epoca di Tamerlano (anche se questo succede offstage), a Flushing – in tempo per assistere all’arresto di Marlowe come falsario – e anche a Deptford, dove succede quel che sappiamo.

Insomma, il meccanismo di fondo del libretto sembra ridursi nel piazzare Will a tutti i punti di svolta della vita di Kit. Se risulti ripetitivo, è difficile a dirsi senza avere letto. Di sicuro diversa dal consueto è l’idea di uno Shakespeare che corteggia Marlowe ai limiti dello stalking. Lo scenario che li vuole amanti è tutt’altro che inedito, ma di solito il corteggiatore/seduttore è Kit.

william2Enfin, l’opera è stata commissionata da Vadstena Akademien, una favolosa istituzione musicale svedese che ha sede in un castello e da un lato incoraggia e coltiva la produzione operistica contemporanea, mentre dall’altro recupera e rappresenta opere (immeritatamente*) dimenticate.

Credo che le fotografie che ho trovato si riferiscano proprio al debutto di William a Vadstena, nell’estate del 2006. Se è così, chapeau alla combinazione di scene minimaliste e bellissimi costumi period. Poi, se davvero si suppone che quello qui sopra sia Sir Francis Walsingham, è possibile che in Svezia si siano lasciati sfuggire qualche minuto, minutissimo particolare** – ma diciamo che son licenze artistiche, o quanto meno sospendiamo il giudizio in attesa di saperne/vederne/sentirne qualcosa di più.

Nel frattempo, thank you, N.

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* La mia teoria sulle opere dimenticate ve l’ho già detta – ma ammetto la possibilità di eccezioni.

** Nel 1592 – l’anno del fracas di Flushing – Sir Francis era, you know, morto da un paio d’anni. Se fosse stato ancora vivo, avrebbe avuto sessant’anni suonati. Se non avesse avuto sessant’anni suonati, è davvero difficile immaginare l’austero e perennemente nerovestito personaggio in questa tenuta elegante, modaiola e vistosetta. Forse le mie fonti confondono Sir Francis con l’assai più giovane cugino Thomas?

Ott 17, 2014 - elizabethana, grilloleggente, libri, libri e libri, teatro    Commenti disabilitati su L’Angolo Elisabettiano

L’Angolo Elisabettiano

Letters and Journals 2Martedì sera, come preannunciato, Ad Alta Voce è tornato – ed è tornato molto bene.

Partecipazione più folta del consueto, un certo numero di facce nuove, una selvaggia varietà di interpretazioni del tema della serata – Lettere & Diari – da Guareschi a Helene Hanff, da Tamaro a Baricco, da Wiesel a Mino Milani, fino alle feroci lettere di Verdi al suo infelice librettista – passando per i diari di un medico di bordo appassionato di lettura e i ricordi di viaggio di una romantica cacciatrice di atmosfere… E abbiamo avuto persino una lettura in Spagnolo.

E poi l’Angolo Elisabettiano.

Essendo l’anno che si è,* Ad Alta Voce si è provvisto di un Angolo Elisabettiano. Ogni volta, fino a dicembre, una lettura dedicata al tema visto da uno dei festeggiati – basandosi sull’assunzione che non ci sia nulla, ma nulla che non si trovi in Shakespeare o Marlowe o entrambi. Con la possibile eccezione della fusione fredda – ma non abbiamo nemmeno l’ombra della fusione fredda tra i temi in programma, e quindi il problema non sussiste.

Martedì sera, per Lettere & Diari, ho cominciato con Shakespeare. Sapevo che di lettere in Shakespeare ne compaiono parecchie, lette, spedite, ricevute, intercettate, smarrite, scritte, sottratte, sostituite, dettate, falsificate… Mi si dice che le lettere compaiano in tutti i titoli del canone – tranne cinque – e che in tutto se ne contino 111. book of common prayer

È evidente che Will le considerava un ottimo device per la trama. La falsa lettera di Olivia che precipita l’antipatico e innamorato Malvolio, le lettere di credito così importanti nel Mercante di Venezia, la lettera con cui Rosencrantz e Guilderstern consegnano senza saperlo la propria sentenza di morte, la lettera con cui Edmund mette nei guai il fratellastro Edgar e quella che proverà l’adulterio di Goneril ed Edmund, la lettera che ripristina Perdita da pastorella a principessa, la lettera che, fatalmente, Fra’ Giovanni non consegna a Romeo…

E potrei continuare a lungo, ma non lo faccio.

Martedì sera ho scelto di leggere la lettera di Macbeth alla moglie – missiva trepidante e incerta che ci mostra subito come, pur essendo il primo generale della corona scozzese, il nostro non sia precisamente quello che pensa. A pensare è Lady Macbeth – che tra sé legge le stupefacenti nuove del marito e, per prima e unica reazione, si preoccupa della sua insufficiente perfidia. Oh sì, il giovanotto è ambizioso, ma non vuole sporcarsi le mani… E all’improvviso, viste attraverso gli occhi della lucida e spietata Gruoch,** le sue parole – pronunciate e scritte – acquistano tutto un altro senso.

macb3La lettera così serve a stabilire due personaggi e la relazione che corre tra loro, e a gettare fin da subito delle ombre molto lunghe sul futuro del mittente, della destinataria, del buon Re Duncan e della Scozia tutta.

Mica male, per un pezzettino di carta.

E quindi, tema centrato, in ottima poesia e con interessanti implicazioni. Direi che l’Angolo Elisabettiano ha debuttato a gonfie vele. Next time, la forza della natura – e di nuovo ci sarà soltanto l’imbarazzo della scelta.

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* Sì, lo so – non ne potete più di sentirmelo ripetere. Abbiate pazienza, è passata la metà di ottobre. Ancora un mese e mezzo, e l’anno shakeloviano è finito.

** No, Shakespeare non la nomina mai altro che Lady Macbeth, ma la signora è basata sulla moglie del Macbeth storico – che si chiamava Gruoch ingen Boite.

Ott 6, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Shakeloviana: Inchiostro E Acciaio

Cover of "Ink and Steel: A Novel of the P...Che detto così suona molto come Zaffiro & Acciaio, n’est-ce pas? E invece è tutt’altro. È la prima parte della terza parte (che in realtà, cronologicamente, è la prima-prima parte) delle storie della Promethean Age di Elizabeth Bear.

Hm, mi rendo conto che non suona benissimo – ma il fatto è che è tutto vero. Vediamo un po’. Dopo avere introdotto nel secondo romanzo, Whiskey and Water, un Kit Marlowe reduce dall’inferno e assetato di vendetta, la signora Bear deve averci trovato gusto. Non sarò io a negare che il suo Kit sia un ottimo personaggio, e potete immaginare che sia con una certa soddisfazione che mi sono procurata i due volumi di The Stratford Man. il lungo prequel (orribile, orribile parola!) di ambientazione elisabettiana che ha per protagonisti – indovinate un po’? – Marlowe&Shakespeare.

Ora, rileggendo quel che avevo dedotto da Whiskey and Water sul passato post-mortem di Kit, posso solo formulare due ipotesi: a) non avevo capito un bottone; b) Elizabeth Bear ha saggiamente deciso di non lasciarsi condizionare troppo da quel che era più che sufficiente come backstory in W&W, ma forse avrebbe potuto soffocare una storia di respiro più ampio. E poi in realtà c’è anche l’ipotesi c), in base alla quale backstory e storia si congiungeranno per bene e annoderanno con il fiocchetto quando avrò letto tutto quanto The Stratford Man.

Per ora sono ferma a Ink and Steel, e mi è piaciuto davvero parecchio.

L’idea di fondo è che il Prometheus Club originario, una sorta di società segreta nata al fine di proteggere l’Inghilterra e la regina Bess con mezzi magici, si sia disgregato per rivalità miste assortite. A pagarne il prezzo sono stati prima Sir Francis Walsingham, che però nel 1593 non è poi così morto come tutti credono, e poi Kit Marlowe, poeta di punta del gruppo, maestro nel genere di magia che si pratica con le parole e il teatro. Ma Kit, invece di morire per davvero, viene rapito dalle fate, rimesso in piedi e cooptato in servizio semi-magico, come ufficiale di collegamento tra la fatata Annwn e Londra, dove però non può mai tornare per più di un paio di giorni se ha intenzione di vivere.

Al posto del non proprio defunto ma ormai inservibile Kit, i Walsingham e Burbage reclutano l’ingenuo William Shakespeare, che ha già un sacco di problemi per conto suo, e che dapprincipio non sa proprio dove mettere le mani – e che farà bene ad imparare in fretta…

Il resto è un’affascinante storia di intrighi, nostalgia, tradimenti, bugie, poesia, amore, amicizia e, naturalmente, magia. Il tutto è scritto assai bene, con dei dialoghi favolosi, ambientazioni costruite con incantevole, dettagliatissima cura, e dei personaggi estremamente convincenti – nel bene e nel male.

Sir Francis, Burbage, Robin Goodfellow, il malvagio e sorridente Baines, la regina Bess, la fata Morgana… ma soprattutto i due protagonisti. Shakespeare ha i suoi guai con una Anne Hathaway – che, finalmente e per una volta, non è né bisbetica né lamentosa e appiccicaticcia – con una salute traballante, con un compito che gli sembra inaffrontabile… almeno finché non ci si ritrova in mezzo. Kit è tormentato e pieno di nostalgia di casa, astuto ma capace di sconcertanti ingenuità, ha un filo di complesso del martire, è assai meno cinico di quanto gli piaccia pensare – e finisce sempre col pagare prezzi altissimi per qualsiasi cosa.

Adesso ci vorrà Hell and Earth – anche perché da qualche parte bisogna pur che ci sia un finale – ma fin qui andiamo più che bene.

Al solito, se siete incuriositi, Ink and Steel si trova su Amazon.

Ott 3, 2014 - elizabethana, teatro    Commenti disabilitati su I Lunedì Del D’Arco 2014: Shakespeare 450

I Lunedì Del D’Arco 2014: Shakespeare 450

WSVi avevo detto, forse nemmeno una volta sola, che i Sonettini erano in arrivo, giusto? La versione piccina de L’Uomo dei Sonetti, quella potata, quella provvisoria in vista della faccenda per intero… Ebbene sì – ottobre torna e i Lunedì rimena, e con i Lunedì arrivano i Sonettini – e, udite-udite, ad arrivare non sono soltanto loro…

Lunedì14E in particolare…

Lunedì14b

E per particolari sull’intera rassegna, potete scaricare qui il pieghevole in pdf.

Set 8, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: La Scuola Della Notte

Shakeloviana: La Scuola Della Notte

School_of_Night_Photo_9The School of Night, di Peter Whelan (classe 1931) è uscito nel 1992: due atti in prosa che mescolano sogni premonitori, commedia dell’arte e intrighi politici in una magione di campagna. Il favore della Regina, spie in abbondanza, Walter Ralegh in disgrazia, una moglie gelosa, uno Shakespeare in incognito, accuse di ateismo, assassini prezzolati… c’è davvero tutto e l’acquaio della cucina, in questo play – forse persino troppo.

L’idea di partenza sembra quella di raccogliere a Scadbury, la casa avita di Tom Walsingham, la maggior parte dei personaggi della vita di Kit Marlowe – e siccome siamo avanti nel maggio del 1593, noi sappiamo che la resa dei conti è vicina… Come spesso accade in questo genere di storie, molta della tensione si basa sul fatto che il lettore/spettatore sia consapevole del conto alla rovescia, il che non è un gran problema nel mondo anglosassone, ma devo domandarmi – e non solo a proposito di Whelan: sarebbe altrettanto efficace, questa storia, letta o vista con occhi ignari?School

Oh, well. In realtà, che Kit sia nei guai è evidente fin quasi dall’aprirsi del sipario. Scandalizzatore di professione, esploratore di cose proibite, impaziente e beffardo – ma spaventato. Si credeva più invulnerabile di quanto si scopra, ed è uno shock. La sfrontatezza si rivela presto per una facciata e una tattica difensiva, mentre intorno a lui si infittiscono gli intrighi e le minacce. E al centro di tutto sembra essere l’eponima Scuola della Notte, il gruppo di liberi pensatori, scienziati e stregoni dilettanti che un tempo si riuniva a Durham House sotto l’ala di Sir Walter Raleigh, e i cui membri cominciano a domandarsi con qualche nervosismo se ci si possa fidare davvero di Kit Marlowe…

Shakespeare entra in scena sotto falso nome, come un attore avventizio di molto buon senso e scarsa capigliatura, chiamato Tom Stone. La ragione non è chiarissimissima – e il modo in cui Whelan cerca di girare attorno al fatto che a questo punto in scena ci siano ben tre Thomas/Tom* suona forzatello anzichenò.

Tutto il resto è Kit che si dibatte mentre il passato torna a morderlo, il presente si complica e il futuro si fa viepiù incerto – ma prima deve venire a patti con l’idea che il calcatavole illetterato che non si chiama Tom Stone sia destinato a sorpassarlo in arte e in fama…

SchoolofnightRicordo di avere letto una recensione secondo cui questo dramma non ha le idee chiare – parte teatro e parte dissertazione accademica. Si trattava, detto per inciso, di una recensione americana: le recensioni britanniche ne apprezzano lo spirito brillante, lo humour cinico e la caratterizzazione. Tendo a concordare con i recensori inglesi, con l’eccezione delle caratterizzazioni: Marlowe, spavaldo, diffidente e visionario, è disegnato con cura, ma gli altri personaggi diventano sempre più piatti e generici mano a mano che ci si allontana dal protagonista. Un’altro aspetto bizzarro sono le indicazioni di scena che suggeriscono pensieri, implicazioni e subtesto… Da un punto di vista teatrale è una cosa dannatamente ingombrante – ma non si può negare che dia al testo una certa qualità narrativa, più adatta alla lettura di molti altri lavori teatrali.

E se voleste provarci, e a patto di avere un po’ di pazienza, The School of Night si trova su Amazon.

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* C’è un altro play, di D.E. Lillie – che ancora non sono riuscita a leggere – il cui programma di sala vanta “non meno di tre personaggi di nome Tom”… E in effetti, nella storia di Marlowe c’è una scomoda densità di Tommasi: Thomas Walsingham, Thomas Nashe, Thomas Kyd, Thomas Watson – e sono già quattro. Poi, a voler vedere, ci sarebbero anche Thomas Lodge, Thomas Dekker, Thomas Middleton…

Ago 20, 2014 - elizabethana, Storia&storie    Commenti disabilitati su Casa Andreasi – Di Nuovo

Casa Andreasi – Di Nuovo

Nachleben.

Non mi sentirete spesso ammettere che una parola tedesca è bella, ma Nachleben, dite quel che volete, lo è. La vita dopo. Dopo la morte, si capisce – ma nel senso letterario della fama postuma di un artista. In questo caso di un poeta – anzi, di due.

Perché questa sera torno a Casa Andreasi per una chiacchierata sulla fama postuma di Kit&Will. E ammettiamolo, è una fama postuma intricata come un romanzo… Uno, e non due – perché, nemmeno a farlo apposta, le due fame postume s’intrecciano più di una volta, attraverso quattro secoli di storia letteraria, teatrale, filosofica, imperiale…

Senza considerare il diluvio di bizzarrie, falsificazioni, iniziative dissennate, colpi di teatro, riscritture, dubbi, risse nelle strade, speculazioni selvagge, souvenir di legno di gelso – e qualche sorpresa… Davvero non ci si annoia mai, con questi due. E quindi, se siete nei dintorni, vi aspetto questa sera a casa Andreasi…

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E considerando il meteo in questo periodo, vale la pena di avvisarvi che, in caso di maltempo, bagoleremo al coperto, nella bellissima sala conferenze della dimora.

Ago 4, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: A Plague Of Angels

Shakeloviana: A Plague Of Angels

PLagueChe i Carey Mysteries di P.F. Chisholm mi piacciano tanto non è una novità. Ben costruiti, ben ambientati, ben scritti, provvisti di dialoghi scintillanti e un’irresistibile popolazione di personaggi storici e fittizi, sono una gioia da leggere, e probabilmente la migliore serie di gialli storici in cui mi sia imbattuta da quando ho cominciato a interessarmi al genere.

Dubito che vi stupirete granché se vi dico che, invece di cominciare dal primo volume come fa la maggior parte della gente sensata, sono entrata di lato – dal quarto volume, per l’ottimo motivo che in A Plague of Angels compaiono Marlowe&Shakespeare. Soprattutto Marlowe.

Perché dopo avere investigato omicidi sul Border anglo-scozzese per tre volumi, Sir Robert Carey viene imperiosamente richiamato a Londra da suo padre, il formidabile Lord Hunsdon – Lord Ciambellano e primo cugino (e forse anche fratellastro sub rosa) della Regina Bess. Non è il tipo di convocazione cui si dice di no, soprattutto quando si è ultimogeniti squattrinati in perenne dipendenza dalla borsa paterna…

E così Carey si avvia a sud, e si trascina dietro il suo recalcitrante secondo, il Sergente Henry Dodd – attraverso i cui occhi semi-scozzesi (ma guai a dirglielo!) vediamo la grande, affollata, malsana, malsicura, sconcertante Londra Elisabettiana. I nostri due, che a questo punto sono bene avviati verso tanta spigolosa amicizia quanta ne consente la differenza sociale, si ritrovano a indagare su una faccenda di monete false, alchimia, fratelli scomparsi e giochi di potere – ma a mio timido avviso, per quanto la trama gialla sia davvero molto buona, tre quarti della gioia stanno nella gente storica che attraversa il libro. Carey, il suo irascibile padre, il gobbo e sottile Sir Robert Cecil, Emilia Lanier, l’orribile torturatore Richard Topcliffe, la Regina in persona, l’impossibile Robert Greene e, l’ho già detto, Shakespeare e Marlowe.

A parte Greene – sempre troppo ubriaco per far altro che danno casuale – tutti hanno secondi e terzi fini, tutti sono agenti di qualcun altro, tutti hanno segreti da nascondere. Persino il prudente Shakespeare, che tra un dramma e una tragedia, cerca di inserirsi nel servizio di spionaggio dei Cecil – e forse troppo prudente non è, considerando lo spudorato interesse che mostra per la bella amante di Lord Hunsdon. E Marlowe… be’, siamo a metà 1592, quando le cose per Kit cominciano a prendere l’inconfondibile forma di una pera: Chisholm lo dipinge sul punto di perdere il controllo, talmente preso dai suoi intrighi, talmente doppiogiochista, talmente imprevedibile che nessuno si azzarda a fidarsi di lui. Decisamente il tipo d’uomo destinato a non morire nel suo letto.

L’idea di fondo delle due caratterizzazioni non è originalissima: uno Shakespeare un po’ grigio, ma sempre occupato ad annotare tutto quel che sente per tradurlo in poesia, e un Marlowe fascinoso, fiammeggiante e del tutto inaffidabile, pericoloso per se stesso e per gli altri. Epperò, il modo in cui Chisholm svolge il tema è favoloso e originalissimo – non ultimo per lo stratagemma di mostrarci i due mostri sacri del teatro elisabettiano attraverso gli occhi spassionati e per nulla impressionati del granitico Dodd.

Alas, niente traduzioni – ma se siete in grado di affrontare un Inglese appena un po’ complesso, la lettura è consigliatissima.

Lug 31, 2014 - Shakeloviana    2 Comments

Piccolo Promemoria Così

Al volo. Vi ricordate di Gonzaga domani sera, vero?

ElizinFrameCirca1589

S&M

Se siete nei dintorni e se v’incuriosisce l’idea di una romanzesca rivalità poetica tra due uomini che più diversi non si può, vi aspetto venerdì I Agosto, alle 21, nel bel chiostro dell’ex Convento di Santa Maria. …

Lug 28, 2014 - Shakeloviana    Commenti disabilitati su Shakeloviana: The Player’s Boy

Shakeloviana: The Player’s Boy

1628599In realtà ci sono almeno due libri con questo titolo, ma oggi parliamo di Antonia Forest, prolifica autrice per ragazzi negli anni Sessanta, con un paio di romanzi storici al suo attivo.

Il primo è questo – e cominciamo dicendo che, a differenza di altri romanzi per fanciulli, lo si legge volentieri anche da adulti. La storia è quella, tutt’altro che inusuale in narrativa, di un ragazzino che fugge di casa e si ritrova in un mondo vasto e inaspettato e scopre la sua vocazione, ma ci sono alcuni particolari a differenziarla dalle centinaia di altre simili.

A undici anni, Nicholas Marlow è un orfano fortunato. Vive con un fratello molto maggiore, agiato e indulgente, e la sua giovane moglie – e studia con profitto, se non con grande soddisfazione, alla grammar school.  I guai cominciano quando, in vista della nascita del primo figlio, fratello e cognata decidono di mandare Nicholas come pensionante presso la scuola. Allontanati da casa a undici anni, ci si sente traditi – e si fanno salti logici non indifferenti: per non volersene stare lontano da Trennels fino a Natale, Nicholas non trova di meglio che fuggirsene a Londra con l’aiuto di un ospite occasionale del fratello – l’affascinante quanto allarmante Kit Marlowe, che si potrebbe ascoltare per ore, che non ha la minima remora a dichiararsi (gasp!) ateo, e che conosce Sir Walter Raleigh.

Perché la grande idea di Nicholas è quella d’imbarcarsi per il Nuovo Mondo, e in quest’epoca di spelling fluido, non sarà difficile farsi passare per un cugino del ben connesso Marlowe… Ma è la fine di maggio del 1593, e tutti sappiamo che succede: Kit viene ucciso a Deptford, e Nicholas si ritrova da solo. Ci vorrà qualche avventura prima di trovarlo installato come apprendista attore presso la Compagnia del Ciambellano, dove un altro poeta, un certo Will Shakespeare, si prende sommaria cura di lui, in parte per buon cuore e in parte perché lo crede cugino del defunto Kit.

Seguono teatro, bugie, cospirazioni cattoliche e avventure miste assortite, tutto molto grazioso a leggersi, ben raccontato e gradevole – ma quel che conta ai fini di Shakeloviana l’abbiamo già visto. Un’era elisabettiana un po’ di fantasia (soprattutto in fatto di disinvolture sociali) e Kit & Will visti attraverso gli occhi di un ragazzino.

Marlowe è affascinante e pericoloso, pieno di ombre e di misteri e alla fin fine irresponsabile, ma capace di simpatizzare con l’infelicità e l’irrequietezza di Nicholas. Probabilmente non è una buona idea aiutare un undicenne a scappare di casa – soprattutto se poi ci si fa uccidere, lasciando l’undicenne in questione in un mare di guai – ma per tutto il libro, quando qualcuno gliene parlerà male, Nicholas continuerà a ripetere che Marlowe è stato buono con lui. Shakespeare, per contro, è affidabile, paziente e gentile, e diventa una presenza rassicurante nella vita di Nicholas, accompagnandolo alla maturazione e sviluppando per lui un affetto quasi paterno, soprattutto dopo la morte di Hamnet.

Quel che colpisce di questo romanzo, è come il rapporto del fittizio Nicholas con questi due uomini diventi una graziosa metafora del ruolo di entrambi nella creazione del teatro moderno: Marlowe è quello audace e pericoloso, che rompe con i precedenti e dà inizio a un nuovo corso di cose, mentre Shakespeare, una volta “ereditato” Nicholas, lo fa crescere sul piano personale e artistico…

Alla fin fine, non so se come romanzo per fanciulli TP’sB sia invecchiato benissimo – conosco molti fanciulli contemporanei che probabilmente ci si annoierebbero più che un pochino – ma un adulto, a patto di sorvolare sull’occasionale inaccuratezza nella descrizione dei rapporti sociali, può trovarci qualche soddisfazione. Per quanto ne so, non è mai stato tradotto in Italiano, ma il linguaggio è del tutto abbordabile – e la lettura vale la pena.

 

Lug 25, 2014 - teatro, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Sulla Potatura Dei Sonetti

Sulla Potatura Dei Sonetti

Poti i Sonetti? Come sarebbe che poti i Sonetti? E com’è un sonetto potato? Oh, aspetta – lo so: “Dovrò paragonarti a un giorno d’estate? No, e questo è tutto.”

No, d’accordo – siamo seri. Col che non voglio dire che la conversazione qui sopra non sia accaduta veramente – ma c’è di più. C’è il fatto che il mio adattamento teatrale dei Sonetti di Shakespeare andrà in scena. Una versione ridotta a novembre, e poi per intero più avanti.

Però serviva la versione ridotta.

Bonsai-Pruning_2E così mi sono messa al lavoro, partendo da quattordicimila parole e rotte, e arrivando a poco più di ottomila – quel che serve per una serata dei Lunedì del D’Arco. E devo dire che non solo non è stato né lungo né doloroso, ma al contrario, potare è sempre un mestiere molto, molto istruttivo.

Per cominciare, ho ridotto a quattro il numero dei personaggi in scena, eliminando tutti gli interventi della Folla in numerose capacità e una Contessa Madre. Quest’ultima è una cosa che mi sarebbe dispiaciuta da morire, se non sapessi che è solo questione di pazienza e di tempo. In realtà la Contessa ricomparirà, così come la folla, quando L’Uomo dei Sonetti andrà in scena per intero, il che ha tolto, lo ammetto, molto pathos ai tagli.

Ma non bastava, e così ho cominciato a snellire la linea narrativa, a sfrondare tutte quelle che erano deviazioni decorative, a tagliare qualche angolo, a eliminare un liuto. Questo ha richiesto un paio di aggiustamenti qua e là, la modifica di un certo numero di battute per mantenere logico il susseguirsi dei sonetti e del dialogo, e l’aggiunta di alcuni commenti da parte di Will, per riassumere e legare. Adesso suona un pochino di più come se Will stesse raccontando a qualcuno l’intera faccenda – e per gli scopi immediati va bene così.

Come sempre accade in queste circostanze, ho costatato che alcuni tagli donano all’insieme – al punto che li manterrò anche alla versione lunga. Passaggi ingombranti, divagazioncelle, arzigogoli senz’altro scopo che d’infilarci l’uno o l’altro sonetto… Aiuta molto il fatto di riprendere in mano il lavoro dopo mesi, con la relativa obiettività del tempo passato. C’è decisamente un motivo, se tutti consigliano di lasciar passare un serio intervallo tra una stesura e l’altra. E aiuta anche l’aver già accarezzato e annotato qualche ideuzza di taglio in precedenza.

Alla fin fine, nel giro di due giorni e mezzo, la potatura ha prodotto una versione breve e praticabile, e una manciata di buone idee destinate a migliorare considerevolmente la stesura definitiva, rendendola più asciutta ed efficace.

Sono tentata di trarne un’indicazione di metodo da applicarsi anche ad altri testi: rivedere tutto immaginando di dover ridurre il conto-parole di un terzo… poi naturalmente alla fine non deve essere così – ma la possibilità di fare scoperte interessanti è elevata. Ci proverò.

E intanto, a novembre, i Sonettini. Vi saprò dire.

 

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