Una volta, anni fa, ero seduta nella sala d’attesa della stazione ferroviaria di Nantes, aspettando una coincidenza particolarmente scomoda, ed ero immersa nella lettura di una biografia di Henri de La Rochejaquelein. Ero tanto presa, in effetti, da impiegare una vita ad accorgermi di qualcuno accovacciato sul pavimento a poca distanza dalle mie ginocchia, intento a frugare in una borsa sportiva. E frugare. E frugare. E frugare…
Alla fine, getto un’occhiatina surrettizia e vedo un ragazzo occhialuto, su per giù mio coetaneo, che finge di frugare nella sua borsa, ma di fatto cerca disperatamente di vedere che cosa la sottoscritta stia leggendo. Allora, con un gran sorriso, sollevo il libro in modo da mostrargli la copertina… lui, colto sul fatto, sobbalza, arrossisce, afferra la sua borsa aperta e scappa via correndo di traverso. Ma prima di scappare, getta uno sguardo al titolo. Dalla mia fila di sedie e da quella di fronte si leva un coro di risatine, e io torno alla mia lettura.
Fine dell’aneddoto.
Però, sapete? Il ragazzo francese non aveva nessun motivo di sobbalzare e scappare: anch’io non posso fare a meno di cercar di vedere che cosa legge il prossimo in treno, in aereoporto, nella sala d’aspetto del veterinario. E’ più forte di me. Mi giro senza parere, fingo di allacciarmi una scarpa, rischio di slogarmi i bulbi oculari, assumo interessanti sfumature di carminio quando vengo presa in castagna… Ieri, sull’aereo da Berlino, il mio vicino di sinistra leggeva un libro illustrato sulla caduta del Muro. E poi c’era una ragazza che leggeva Checov in Tedesco. Visto? Lo faccio tutto il tempo.
Curiosità? Sì e no. La tentazione di inquadrare una persona sulla base di ciò che legge è forte. E so benissimo che un singolo libro non è significativo, meno ancora in una situazione di passaggio… voglio dire, in viaggio a volte si leggono strane cose: i libri che abbiamo comprato per regalarli a qualcun altro, o l’unica cosa decente che abbiamo trovato al Duty Free, o il libriccino piccolo che stava nel bagaglio a mano, o un prestito di un compagno di viaggio… oppure no. Non è detto. Non è significativo. Eppure lo si fa. E si traggono conclusioni: il mio vicino di sinistra, che aveva l’età per ricordare il 1989, era venuto a Berlino per tutt’altre ragioni ma poi, camminando per la città e vedendo le installazioni in Alexanderplatz e le fotografie nei caffè, i ricordi sono riemersi. Vecchi telegiornali, titoloni concitati a cinque colonne, magari qualche telefonata agli amici tedeschi, Rostropovich che suona davanti al Muro… “Sciocchezze!”, si è detto più di una volta. Ma alla fine non ha resistito, e prima di imbarcarsi ha comprato il libro, e durante il viaggio… E via pindareggiando in questo modo.
Io, per la cronaca, stavo leggendo “A Dagger For Two”, un romanzo storico su Christopher Marlowe scritto negli Anni Sessanta. Libro di seconda mano, edizione tascabile un po’ logora… chissà che cosa ne ha dedotto di me. Perché ha guardato che cos’era, oh se ha guardato! E senza parere, ho voltato la copertina in modo che potesse leggere. Anche lui era della stessa tribù, dopo tutto. Come il ragazzo francese a Nantes, tanti anni fa. Quelli Che Guardano I Libri Altrui.
Ott 28, 2009 - considerazioni sparseCommenti disabilitati su Cronache Berlinesi, Parte III
* Mai viaggiare con le scarpe nuove. Non importa quanto siano carine, non importa quanto sembrino comode. Se non sono rodate, non e’ il caso di metterle alla prova sgambando per cittä sconosciute o facendo la coda davanti a un museo. Ouch.
* POtsdamer Platz vent’anni fa era un prato incolto fra le due ex-metä di Berlino. Adesso e’ circondata da grattacieli e schermi giganti, e ha persino una rampa per la neve artificiale… Rimane qualche pezzetto di Muro, dove i turisti si fanno fotografare. E no, non mi sono fatta fotografare.
* Acquisisci un figlioccio, e all’improvviso hai di nuovo una ragione legittima/impellente per entrare nei negozi di giocattoli. Grazie, Vale!
* Humour berlinese doc: “…E c’era molto, molto vento, quel giorno, cosi’ le autoritä di Berlino Est decisero di evacuare il ristorante girevole in cima alla Torre della Televisione… perche’ se fosse caduta, sarebbe caduta nella parte Ovest, e ciö non era permesso!”
* Accanto alla Komishe Opera c’e’ un magazzino dove vendono vecchi arredi di scena e costumi dismessi. Purtroppo era chiuso.
* A Check Point Charlie ci sono figuranti in uniforme che si fanno fotografare con i turisti. Anche uniformi inglesi e francesi, benche’ nessun Inglese o Francese abbia mai messo piede a CPC.
* L’Ambasciata Russa occupa ancora un intero quartiere, con tanto di scuole e piscina che sfoggia ancora il ritratto di Lenin. Quanto personale puö avere un’ambasciata?
* Se volete fare un esperimento, chiedete a un Berlinese di indicarvi la Gemäldegalerie. E’ una delle pinacoteche piü importanti della cittä, ma qui non sembrano impressionati, e il rischio che vi mandino a smarrire in tutt’altra direyione e’ tutt’altro che limitato.
* A me Van Dyck piace piü di Rubens, e non so cosa farci. E’ cosi’ ed e’ cosi’.
* In una delle mie prossime vite, credo che gestirö un negoyietto di ornamenti natalizi al Nikolai Viertel.
* L’ho giä detto quanto detesto la tastiera QWERTZ?
* Al Rathaus Cafe’ servono un delizioso “Stolzer Heinrich”, che e`un grosso wurstel cotto in una salsa di birra e curry, servito con le patatine fritte. Pare che sia una specialita’ berlinese. Come e quando lo sia diventata, visto che il curry e’ una spezia indiana, e’ oggetto della mia curiosita’.
* In Alexander Platz vent’anni fa c’era folla a tutte le ore del giorno e della notte. Adesso c’e’ ben poca gente che osserva un allestimento commemorativo della Caduta del Muro.
* Berlino mi mancherä.
E adesso, a casa…
Ott 27, 2009 - considerazioni sparseCommenti disabilitati su Cronache Berlinesi – Parte II
*NOTA DI SERVIZIO: martedi’ sarebbe il giorno dello Sbregaverze, lo so. Momentaneamente sospeso per ovvie ragioni. Martedi`prossimo si riprende. FINE NOTA DI SERVIZIO, e torniamo a Berlino*
Giornata di viaggi nel tempo. E di musei.
A partire dal Pergamon Museum, che raccoglie alcune tra le meraviglie archeologiche visibili in Occidente, con una ricchezza che supera persino il British Museum, ed e’ tutto dire. Come l’altare eponimo: si entra in un immenso salone e si resta senza fiato davanti al fianco ovest di una costruzione incredibile, tutta fregi e colonne e statue… l’idea che possa essere stata eretta per celebrare uno scampato attentato non mi convince troppo. Una guerra vinta mi parrebbe piü probabile. Altra emozione, la porta del mercato di Mileto, che vent’anni fa non aveva di fronte parte del Traianeo, ma adesso si. Poi, uno dei miei pezzi preferiti in assoluto: la porta di Ishtar con la via processionale. Un immenso corridoio rivestito di piastrelle blu cobalto, decorate con un fregio di leoni in rilievo che vanno incontro a chi arriva, e in fondo… la porta propriamente detta, incredibilmente blu, incredibilmente vivida con le sue decorayioni a fiori, animali, alberi stilizzati. Immaginate quanto poco colore vedesse in vita sua l’abitante medio della mezzaluna fertile; immaginate di arrivare dal deserto, o da un villaggio di mattoni di fango, o da una cittadina della piü sperduta provincia, o da qualche steppa lontana, e trovarvi di fronte una fortezza blu… Quando saro’ a casa carichero’ qualche fotografia. E poi, le tavolette coperte di scrittura cuneiforme, e i bassorilievi con i carri da guerra assiri, e il sepolcro di Assurbanipal, e le incredibili mura di M´shatta, di pietra lavorata come se fosse un merletto… Non me sarei piü venuta via.
Invece l’ho fatto per andare al Neues Museum. Vent’anni fa era chiuso, credo. Proprio questo mese si sono chiusi i lunghissimi lavori di restauro, e il Neues Museum e’ stato aperto al pubblico. Sono molto felice di essere arrivata al momento giusto per vederlo, perche’ e’ un posto incredibile. A parte le meraviglie che contiene, e’ pensato, allestito e organizzato con un’intelligenza rara. Le collezioni sono disposte su vari piani e in vari modi, valorizzandole al meglio. La collezione egizia, per esempio, e’ organizzata in modo da mostrare anche il percorso dell’egittologia classica tedesca e inglese, con diari di scavo, quadri ottocenteschi a soggetto archeologico e ricostruzione di vecchi metodi conservativi. La collezione dei papiri e’ allestita in tavoli mobili, dove si possono ammirare antichissime ricevute, lettere di lagnanza e liste di materiale da costruzione. E Nefertiti… be’, Nefertiti e’ Nefertiti. L’avevo giä vista all’Altes Museum, dove era in lunga provvisorietä. Adesso la regina ha una sala ottagonale tutta per se’, semibuia e perfetta. E’ li’, antichissima, un po’ crudele e cosi’ vera! Sembra prendersi gioco degli osservatori, dall’alto dei suoi millenni… sembra che debba parlare da un momento all’altro, e quando girate dietro di lei, sembra che lo sguardo dell’immagine riflessa nel vetro della teca cerchi il vostro, vagamente incuriosito e forse áppena malinconico. Pesa, ´l’immortalitä, Nefertiti? Non c’e’ solo lei: c’e’ il tesoro che Schliemann voleva tanto fosse appartenuto a Priamo, c’e’ un incredibile cappello rituale/calendario d’oro dell’etä del Bronzo, c’e’ lo scheletro di un alce preistorico, ´c’e’ una sala di antiche vetrine buie, con i cartellini scritti a mano, come doveva essere il Museo nell’Ottocento… Si esce un po´storditi, sperduti tra i secoli e le terre… e intanto si e’ fatta sera.
Noterella ulteriore: il duomo di Berlino va visto di sera, con le luci accese e un organista che suona Bach, e allora anche la sua imponenza barocca diventa un altro viaggio nel tempo…
Ripeto, un momento o l’altro aggiungerö qualche fotografia. Altre cronache seguiranno.
Ott 26, 2009 - considerazioni sparseCommenti disabilitati su Cronache Berlinesi – Parte I
Dunque, solo qualche annotazione veloce, perche’ sono lessa.
1. La Ryan Air, quando si atterra, lo annuncia con uno squillo di tromba stile passaggio di livello nei videogiochi: “Ta-dah! E anche oggi, signore e signori, siamo arrivati in anticipo!”
2. Avvio di conversazione con la signorina del Tourist Info: “Buongiorno, dovrei andare ad Alexander Platz.” E lei mi guarda per un paio di secondi. Io sollevo un sopracciglio. “Devo andare ad Alexander Platz,” ripeto. E lei, placida: “E vuole sapere come andarci?” Ma certo che no! Mi sembrava bello comunicarlo al primo Tedesco che trovavo!!
3. In albergo, lasciata a se stessa, la televisione si comporta come un caminetto fasullo.
4. Alexander Platz e’ molto cambiata, in vent’anni. Praticemente deserta, in pieni lavori. Sotto l’ex Hotel Stadt Berlin (ora Park Inn), c’e’ un anyiano Berlinese che suona un organetto a manovella. Sulla facciata dell’hotel, uno che si cala giu’ con le corde da alpinismo.
5. Le guide della Lonely Planet non sono assolutamente affidabili per quanto riguarda gli orari dei musei.
6. Avvio di conversayione con una custode dell’Altes Museum: “Buongiorno, dove si comprano i biglietti?” “Per entrare serve il biglietto.” “Si’, lo so. Dove si compra?” “Lei non ha il biglietto?” “No.” “E vuole sapere dove si compra?”
7. Il Nikolaiviertel e’ un quartiere assolutamente deliyioso, con degl’incantevoli negoyi di addobbi natalizi e di giocattoli, e adorabili caffe´.
8. Quando si ordina un caffe’ in Germania, bisogna prepararsi all’idea di poterci nuotare dentro. Tuttavia, a Berlino e’ quasi bevibile.
9. Marienkirche ha un bellissimo interno di un gotico bianco, luminoso e severo al tempo stesso, contro le cui pareti spiccano piü scure le lastre tombali. Nel pomeriggio funge da mensa dei poveri; alle 6 c’e’ un deprimentissimo serviyio luterano chiuso da un pezzo per organo che, a costo di sembrare irriverente, sembra proprio un flamenco; alle 7 e meyya arrivano gli Anglicani.
10. La Torre della Televisione e’ illuminata a terribili colori cangianti.
11. La tastiera QWERTZ is a pain in the back. Mi spiace per i refusi, ma non ho la forya morale di tornare indietro e correggerli.
12. Ci sono ancora le bancarelle di memorabilia sovietici e della DDR, ma gestiti da orientali.
E per ora e`tutto. Seguiranno altre cronache. Per ora, Viele Grüße aus Berlin.
D’accordo, non è stata la partenza più meditata della mia vita, ma… mentre leggete sono già in viaggio.
Torno a Berlino.
Torno a Berlino a vent’anni dalla caduta del Muro, e a meno di diciannove dal mio primo viaggio in Germania. Quando era successo tutto solo da pochi mesi, e Alexander Platz era piena di gente a ogni ora del giorno e della notte. Quando i Berlinesi andavano dalla zona Est a quella Ovest e viceversa, avanti e indietro, semplicemente perché potevano farlo. Quando i soldati russi passavano la libera uscita seduti in riga sulle panchine nei parchi, perché non avevano i soldi per fare altro, e tentavano di vendere le loro mostrine ai turisti per racimolare qualche Marco. Quando ogni piazza aveva il suo quartetto d’archi e la sua bancarella di pezzi di Muro. Quando era tutto nuovo, ed entusiasmante, e untried. Quando si aveva l’impressione di camminare dietro la Storia.
Torno a Berlino, a vedere che cosa è cambiato in questi vent’anni, a sentire se è rimasto qualcosa di quell’aria che si respirava allora.
Mi si fa notare che ho postato la foto del monumento ad Alan (in realtà sono le statue di Alan e David sullo Stevenson Monument a Corstorphine, Edimburgo), e non ho fatto nulla del genere per D’Artagnan.
Mi si fa notare che la mia spudorata predilezione per Alan non deve interferire con la completezza iconografica della Fenomenologia dello Sbregaverze.
Che posso fare? Arrossisco fino alle orecchie e corro ai ripari. Tanto più che si dà il caso che di statue, D’Artagnan ne abbia più d’una. Per la precisione, ne ha almeno tre:
Il D’Artagnan storico a Maastricht (dove, molto prima di fare trattati, si fece un assedio sanguinoso…)
Un D’Artagnan a scelta a Auch, in Guascogna
E il D’Artagnan del romanzo sul monumento a Dumas, a Parigi.
Ecco, queste sono le statue di D’Artagnan di cui sono a conoscenza. Qualcuno ne conosce altre? Per quanto ne so, sono tutte posteriori alla pubblicazione del romanzo, per cui è legittimo dubitare: qualcuno si sarebbe disturbato ad innalzare statue al moschettiere, se Dumas non lo avesse immortalato (e sbregaverzizzato) nelle sue opere?
Ott 21, 2009 - libri, libri e libriCommenti disabilitati su Promessi Sposi alla UTE
Mi cospargo di cenere il capo: avevo dimenticato di postare, quest’oggi. E’ chiaramente l’età che avanza.
Ad ogni modo, rientro adesso dall’inaugurazione della lettura integrale dei Promessi Sposi, avviata dall’Università della III Età di Mantova. Da qui a Pasqua, ogni mercoledì pomeriggio alle 18.00, commenteremo e leggeremo uno dei primi diciannove capitoli del Romanzo per eccellenza. Al commento ci alterneremo le professoresse Maria Luisa Cefaratti e Bona Boni, colonne dello storico Liceo Virgilio, il professor Mario Artioli, di cui ho già parlato, e io. I lettori verranno in buona parte dai ranghi della gloriosa Campogalliani, ma ci sarà qualche outsider.
Oggi, per cominciare, abbiamo letto noi commentatori, tanto per assumerci fin da subito le nostre responsabilità, eccezionalmente preceduti dal nostro Magnifico Rettore, il professor Rodolfo Signorini.
E proprio mentre ascoltavo il Rettore leggere l’inizio del falso scartafaccio secentesco, mi è balenata un’idea. Non meriterebbe almeno un racconto tutto suo, questo immaginario autore del XVII Secolo, con la sua retorica di gusto rozzo insieme e affettato, come dice Manzoni? Di lui non sappiamo granché, se non che era nella sua verde staggione nel 1628 e dintorni, che doveva avere quel tanto d’istruzione che serviva per infiorare la sua opera di citazioni classiche, figure retoriche e qualche eleganza spagnola, ma nessun talento letterario, e che forse aveva sentito raccontare la storia da Renzo in persona… E sappiamo anche che era un buon suddito del Re Cattolico, onesto nel cronacare i fatti, anche se discreto sui nomi, e doveva avere una mente abbastanza aperta da voler narrare per iscritto una historia capitata a gente meccaniche, e di piccol affare: contadini e filatori di seta…
Perché mai? Che cosa lo spingeva a voler scrivere questa s toria? Come conosceva Renzo? Come erano entrati in tanta confidenza, quest’uomo istruito e il filatore di seta?
Volete la prova inconfutabile che D’Artagnan è uno sbregaverze? Guardatelo diciottenne, in viaggio verso Parigi, nel primo capitolo de I Tre Moschettieri:
Don Chisciotte pigliava i mulini a vento per giganti e i montoni per eserciti, D’Artagnan prese ogni sorriso per un insulto e ogni sguardo per una provocazione. E così fu ch’egli ebbe sempre il pugno chiuso da Tarbes a Meung e che dieci volte a giorno portò la mano al pomo della spada; tuttavia il pugno non si abbatté su nessuna mascella e la spada non uscì dal fodero. Non che la vista del malavventurato giallo ronzino non facesse spuntare più di un sorriso sul volto dei passanti; ma siccome sopra la rozza tintinnava una spada di misura rispettabile e al di sopra di questa spada fiammeggiava un occhio più feroce che altero, i passanti reprimevano la loro ilarità o, se l’ilarità aveva il sopravvento sulla prudenza, si sforzavano almeno di ridere da una parte sola, come le maschere antiche. D’Artagnan rimase dunque maestoso e intatto nella propria suscettibilità fino a quella disgraziata città di Meung.*
Visto? C’è proprio tutto: il raffronto con Don Chisciotte, la facilità ad offendersi, la scarsa pecunia**… E anche l’inclinazione a mettersi nei guai: nel paragrafo successivo a quello citato, il nostro giovanotto è già occupato ad accapigliarsi (del tutto per caso) con il malvagio Rochefort; nel corso di una pagina o due è già nei pasticci su vasta scala… e non siamo ancora a metà del I Capitolo.
Quello che succederà dopo lo sappiamo tutti: l’arrivo a Parigi, il colloquio con il signor de Tréville, la triplice sfida a duello… Non è un caso che sia una combinazione di atti di scarsissimo buon senso a procurare a D’Artagnan i suoi tre grandi amici. I quali, a loro volta – ma di questo parliamo poi.
Per ora cominciamo dal fatto che quando Dumas père trovò i settecenteschi Memoirs de D’Artagnan***, il cuore dovette gli fece un triplo salto carpiato con avvitamento. Caspita, dovette dirsi, qui c’è una miniera! Un moschettiere guascone, un secolo pittoresco, una situazione politica tempestosa… che può chiedere di meglio un romanziere? Non molto, in effetti. E l’irrefrenabile Dumas si gettò a pie’ pari nella creazione di una delle più celebri avventure di tutta la letteratura, prendendosi le libertà che servivano per renderla più pittoresca e fiammeggiante che si potesse.
Per esempio, sapete, tutta la faccenda col Cardinale di Richelieu, la storia che tutti noi adoriamo? Be’…no. No davvero.
In realtà, di Charles de Batz de Castelmore, conte d’Artagnan, non abbiamo una data di nascita precisa. C’è che lo fa nascere fra il 1611 e il 1615, chi fra il 1615 e il 1618… in ogni caso, arrivare a Parigi nel 1625 e arruolarsi immediatamente nei moschettieri gli sarebbe stato un nonnulla difficile. In realtà, arrivò in qualche punto tra il 1630 e il 1640, con la seconda data resa più probabile dal fatto che nel corpo dei Moschettieri ci entrò nel 1644, (quando Richelieu era già defunto) con l’appoggio e la protezione del Cardinale Mazarino. Ma come? Mazarino? Quel Mazarino? Quello di Vent’Anni Dopo? Solo un po’ meno malvagio e molto più spregevole di Richelieu? Ebbene sì: tutta la carriera del D’Artagnan storico si svolse all’ombra del Cardinale italiano, che gli procurò incarichi di prestigio e lo aiutò a comprare il grado di Capitano**** in cambio di una fedeltà a tutta prova. Delusi? Se lo siete, siete in buona compagnia: anche a Dumas dovette sembrare che questa clientela si addicesse poco a un eroe guascone, e così aggiustò date e fatti a suo gusto, per la gioia di generazioni di lettori.
Ammettiamolo: D’Artagnan ci piacerebbe un po’ meno se fosse ossequioso con uno o più cardinali. Perché un’altra caratteristica dello Sbregaverze è quella di essere sempre in maggiore o minore urto con l’Autorità. Quand’anche non sia un fuorilegge per qualche motivo, è però sempre molto ansioso di mostrare che lui non piega la schiena davanti a nessuno, lui. E se questo è uno stereotipo romantico, tanto peggio. O tanto meglio, per dire la verità, perché a chi non piace una buona dose di stereotipi romantici, non foss’altro che nelle domeniche piovose? E quindi ecco che D’Artagnan si batte a duello nonostante la legge lo proibisca, e infilza un consistente numero di guardie del Cardinale (a cominciare dal celebre duello interrotto al convento dei Carmelitani), e alla fin fine vanifica i perfidi piani di Richelieu, che sarà anche malvagio, ma è pur sempre l’uomo più potente di Francia!
Siamo in pieno territorio sbregaverzesco: l’importante è difendere l’onore della regina e non macchiare il proprio, non cercare favori… Potete star certi che, se avesse ragionato così, Charles de Batz de Castelmore, conte d’Artagnan, non sarebbe mai diventato Capitano dei Moschettieri, governatore di Lilla, Maresciallo di Francia in pectore… Forse allora non sarebbe morto all’assedio di Maastricht, ma allora nessuno si sarebbe preoccupato di scrivere le sue memorie fittizie, e Dumas non avrebbe avuto la base storica del suo personaggio più amato e più celebre. Che ci sia un paradosso, qui? Un paradossino, almeno? Ma non divaghiamo: il fatto è che D’Artagnan fu celebre ai suoi tempi. Una celebrità minore ed effimera, ma sufficiente a giustificare la scena del Cyrano de Bergerac in cui un ormai maturo D’Artagnan onora il giovane Cyrano apprezzando la sua chiassata a teatro. Però non è casuale che l’episodio abbia senso alla luce della cronologia immaginaria di Dumas, e non di quella effettiva: a Rostand interessa il D’Artagnan da romanzo, lo Sbregaverze. Che se ne farebbe l’altrettanto Sbregaverze Cyrano dei complimenti di un buon cortigiano? Gioco di specchi, legittimazione letteraria a doppio senso di marcia, cammeo delizioso, omaggio a un autore ammirato… vedete un po’ voi. In ogni caso, questa è la materia di cui son fatti i sogni di un romanziere storico.
E per finire, vogliamo omettere del tutto i Moschettieri eponimi? Mais non, parbleu! Anche perché sarebbe un peccato, visto che Athos, Porthos e Aramis sono un raro caso di tre sideckicks al prezzo di uno. Athos, l’eroe romantico e tormentato con funzioni di mentore; Porthos, il gigante ottuso e fedele, permaloso e leale, pronto a seguire il suo Sbregaverze nel fuoco; e Aramis, la voce della ragione (politica), ma anche la mente fina quando serve. E sono storici anche loro, sapete? Dal primo all’ultimo, seppure ampiamente ritoccati: Armand de Sillègues d’Athos, Isaac de Portau e Henri d’Aramitz, tutti moschettieri, prima o poi. Caspiterina, meriterebbero quasi un post della Fenomenologia tutto per loro… Staremo a vedere. E non dimentichiamoci il servitore Planchet, il placido, rassegnato Sancio della situazione, ma sveglio quanto basta. Considerando che ogni moschettiere ha il suo servitore accuratamente coordinato alla personalità del padrone, abbiamo una situazione di sideckics multipli alla seconda. ‘Cidenti, signora Durrels!
Dimentico qualcosa? Ah sì: l’amour. Costanza Bonacieux. Siamo franchi: chi se ne stropiccia di Costanza Bonacieux? Chi si dispiace mai davvero quando muore avvelenata? Risposta: nessuno, e Dumas meno di tutti. Scommetto che l’avvelenamento, oltre a costituire l’ennesima riprova della malvagità di Milady (lei sì che è tosta!) e a dare a D’Artagnan motivi di vendetta personale, è stato un gran sollievo, per l’autore. Costanzina è fuori dai piedi una volta per tutte, et voilà: tre piccioni con una fava! Il che ci porta a identificare ancora un altro elemento caratteristico dello Sbregaverze: l’oggetto del suo amore può essere una donna ideale inseguita (invano) per decenni, un irrilevante plot device, o proprio nessuno. In ogni caso, di rado lo Sbregaverze quaglia in modo significativo. Di certo, nessuno penserebbe che Costanza sia l’influenza fondamentale nella vita di D’Artagnan*****: uno per tutti, tutti per uno, giusto?
Chiudiamo con la fine (la Regina di Cuori sarebbe orgogliosa di me!). In questo, Dumas non si è discostato troppo dalla realtà: dopo una vita da soldato, D’Artagnan muore da soldato, ucciso da una cannonata****** all’assedio di Maastricht. Ma se il vero D’Artagnan morì con il rimpianto di non essere stato creato Maresciallo di Francia, Dumas si prende la libertà di concedere al suo eroe il riconoscimento del Re di Francia. D’Artagnan lo riceve, il prezioso bastone, che va in pezzi sotto la stessa palla di cannone che uccide il fresco Maresciallo: il premio è arrivato, ma è arrivato troppo tardi. Non sia mai che uno Sbregaverze muoia lieto ed appagato, godendo il giusto guiderdone dei suoi servigi: proprio non si fa, che diamine!
* Edizione Oscar Mondadori del 1970; bella traduzione Anni Cinquanta di Antonio Beltramelli.
** Sì, lo Sbregaverze non naviga mai nell’oro. Il D’Artagnan storico, detto per inciso, non se la cavava poi troppo male, ma sono dettagli.
*** Pubblicati nel 1700 a Colonia da Gatien de Courtilz de Sandras. Dumas lo prese in prestito nella biblioteca di Marsiglia e gli piacque tanto che non lo rese più. Ahi, ahi! Alexandre! Non si fa…
**** Niente di strano, niente d’illegale per l’epoca: in molti eserciti, i gradi da ufficiale si compravano e vendevano ancora fino al XIX Secolo. E costavano anche un’ira, se si voleva un reggimento alla moda.
***** Il D’Artagnan storico divorziò nel 1665 dalla moglie che gli aveva dato due figli. Tutt’altro che inaudito, ma nemmeno del tutto comune per l’epoca.
****** Un colpo di moschetto alla gola, alla realtà. Non so se Dumas ignorasse il particolare o se una palla di moschetto gli sembrasse insufficiente per il suo Moschettiere. Inclino per la seconda ipotesi (anche perché bisognava pur distruggere anche il bastone…)
E per finire, il trailer dell’irresistibile versione cinematografica del 1948. Quanto a fedeltà al testo, dubito che sia peggio di tante altre, ma lo spirito è senz’altro quello giusto. Il technicolor, i duelli che sembrano balletti, il Richelieu di Vincent Pryce… Dumas l’avrebbe adorato!
Nei corsi di scrittura americani possono succedere cose bizzarre, a volte. Come per esempio, dover realizzare un video di due minuti che illustri uno specifico problema di scrittura. Cose che capitano. Così come capita, scrivendo, di partire con un’idea, dipartirsene poi per la tangente (o per la tangenziale, come mi disse una volta un muratore) e ritrovarsi… be’, non dove ci si aspettava di arrivare. Il che può essere una piacevole sorpresa oppure un disastro.
Cattiva notizia: è più spesso un disastro che una piacevole sorpresa. Buona notizia: quasi tutto si può sistemare; è a questo che servono revisioni e seconde stesure.
Questo è il mio piccolo video in proposito. Si capisce tanto che mi piacciono i film muti?