Apr 22, 2009 - Senza categoria    Commenti disabilitati su What’s in a Name?

What’s in a Name?

Mi spiace dissentire dal Bardo, ma no: sono sicura che una rosa non avrebbe lo stesso profumo se si chiamasse sanguinaccio.

I nomi importano. Un nome o un altro non sono la stessa cosa.

Ebbene sì, lo confesso: sono di quelli che al cinema restano a fine film per leggere tutti i nomi dei titoli di coda; che leggono le liste elettorali, gli elenchi di classe sui vecchi annuari scolastici altrui, persino i necrologi, in cerca di nomi; di quelli che, quando avevano 16 anni e giocavano a Dungeons & Dragons, impiegavano settimane a scegliere il nome del loro elfo di I livello…

Quando comincio a scrivere qualcosa di nuovo, i nomi sono una priorità. Sono capace di passare ore col naso sulla Lista dei Nomi Propri di un dizionario qualsiasi, cercando “quello giusto”. E non è mai (oh, be’, diciamo ‘quasi mai’, tanto per essere cauti) una questione di significato. Suono, principalmente. Poi, si capisce, con i romanzi storici ci sono questioni di epoca, consuetudine e proprietà sociale, ma in ogni caso il nome deve “suonare” giusto per il personaggio che ho in mente.

La cosa buffa è che non sempre scelgo nomi che mi piacciono. Nomi di battesimo, intendo. Ho chiamato personaggi che adoro con nomi che francamente detesterei portare, e ci sono nomi che mi piacciono tanto, ma non sono mai risultati adatti per nessun personaggio. Paradossalmente, con i cognomi funziona diversamente: il cognome dei miei personaggi non deve solo suonare bene con il nome, deve anche piacermi. Proprio piacermi.

Tutto ciò per dire che sto revisionando una vecchia cosa che voglio cominciare a mandare in giro, e quattro persone diverse mi hanno suggerito di cambiare il nome a uno dei due protagonisti. Due nomi che iniziano per A. Pare essere cattiva politica avere due personaggi il cui nome comincia con la stessa lettera. Il lettore potrebbe confonderli…

Sì, lo so: anch’io mi offenderei se qualcuno implicasse che sono capace di confondere due personaggi diversissimi tra loro solo perché i loro nomi cominciano con la stessa lettera. Ma mi offenderei a torto: se dovessi tornare indietro ogni tre paragrafi per capire chi è chi, lo ammetto, difficilmente supererei le prime dieci pagine. Not good.

Morale? Uno dei miei due nomi, scelti con tanta cura a suo tempo, deve andare. Uno mi piace di per sé; l’altro non mi piace in particolare, ma è perfetto per il personaggio.

Mi piange il cuore. L’unica consolazione è che mi aspettano altre lunghe consultazioni di liste, perché mi serve un nome nuovo.

Apr 9, 2009 - scrittura    Commenti disabilitati su Story Making

Story Making

Devo dire che l’Università della III Età è una continua fonte di sorprese.

Ero preoccupata per questa lezione di scrittura, che comprendeva anche un esercizio pratico. Temevo che i miei studenti si sarebbero chiusi in dubbioso silenzio, mentre io proponevo di abbozzare una struttura in tre atti a partire da tre conflitti scelti a caso. Lo temevo molto.

Invece, quando ho sciorinato la mia lista di conflitti:

* Uomo/Natura

* Sacrificio per Passione

* Trasformazione,

e ho cominciato a suggerire che cercassimo possibili connessioni fra i tre, la classe si è… non c’è altra parola: si è accesa. Domande, suggerimenti e proposte sono fioccati, tutti si sono lasciati prendere dal gioco, tutti hanno partecipato, persino la signora che, in gran segreto, mi aveva chiesto di non essere sollecitata a partecipare perché non se la sentiva.

In venti minuti abbiamo costruito una trama in tre atti che, se non era un delirio di originalità, aveva però tutto quello che serviva: personaggi, struttura, conflitto, punti di svolta, azione ascendente e discendente, nonché due finali alternativi. Poi ci abbiamo giocato e l’abbiamo ambientata in cinque o sei posti e periodi storici diversi, e quando proprio non ci è rimasto più nulla da fare (e avevamo ampiamente sforato l’ora di lezione), una signora ha alzato la mano e ha chiesto “Possiamo farlo ancora? Se ci dà altri tre conflitti diversi…”

Ok, a me insegnare non sempre piace. Ma quando vedo che gli allievi trovano gusto in quello che stanno facendo, potrei quasi convincermi che è un’occupazione meravigliosa.

E poi, a titolo di ciliegia sulla torta: “Da quando seguo il suo corso, leggo in modo diverso, con una consapevolezza nuova. Non credo che scriverò mai, ma sto imparando a leggere di nuovo.”

L’ho già detto che adoro l’Università della III Età?

Mar 24, 2009 - pennivendolerie    Commenti disabilitati su Music of the Night

Music of the Night

Non sono sparita, non ho abbandonato di nuovo il mio povero piccolo blog, non sono stata mangiata da un lemure mannaro.

Sto facendo un esperimento.

Scrivo di notte. Per buona parte della notte. In genere comincio verso le 11 e finisco attorno alle 4 del mattino. Presente “The Phantom of the Opera”? Nighttime sharpens, heightens each sensation – Darkness wakes and stirs imagination… Si vede che sono qualche genere di animale notturno, in realtà, perché di notte scrivo di più e meglio. Sarà il silenzio, la mancanza d’interruzioni, la giusta disposizione d’animo, saranno i bioritmi…

La morale si è, tuttavia, che di giorno non sono brillantissima. Tendo a dimenticarmi le cose. Come, per esempio, di postare sul blog. Ma sono problemi che si risolvono. Più caffè, post-it più grandi…

E adesso, a scrivere.

Buona notte.

Mar 11, 2009 - grillopensante, teorie    3 Comments

Non Si Può Avere Tutto

Bella giornata a Modena Book, domenica.
In particolare, lunga conversazione con Loris Ferrari, autore di Damnati ad Metalla, nonché fisico.

Affascinante teoria: i Greci, che sapevano una cosa o due in fatto di narrazione e di storie, dicevano che guerre, carestie, pestilenze e tragedie in generale erano mandate dagli dei perché gli uomini avessero qualcosa da raccontare. E adesso come adesso, dopo sessant’anni di relativa pace e di più o meno indisturbato sviluppo, l’Occidente non ha più molto da raccontare. Tanti libri, sì, tanta gente che scrive, tanti buoni e discreti autori ma… niente capolavori, perché mancano a monte quelle tragedie che trascendono l’esperienza personale e generano storie il cui senso sopravvive alle generazioni.

Ho sempre pensato che la mancanza di guerre plasmi una civiltà, proprio come la plasmano le guerre, anche se ovviamente non allo stesso modo.

Loris Ferrari conclude che sarebbe abbastanza criminale lamentarsi, visto che la controparte della carenza di capolavori sono sessant’anni di pace e sviluppo.

E quindi, tanto per parafrasare Brecht, beato quel popolo che non ha bisogno di capolavori?

Come dicevo, affascinante teoria.

 

***

Domani, “Fumo e Nebbia, La Londra Cupa di Charles Dickens”, all’Università della Terza Età di Gonzaga (MN)

Mar 4, 2009 - libri e fumetti    1 Comment

Anobii

Anobii è una bellissima idea. Anobii è una di quelle cose di cui t’innamori, dove nei primi tempi di passione trascorri sedici ore al dì, dove vorresti tanto parlare di tutti, tutti, tuttissimi i libri che hai letto…

Poi ti accorgi che, per l’appunto, ci passi sedici ore al giorno, invece di fare altre cose che magari saranno meno affascinanti, ma che devi proprio fare. Allora, se hai buon senso ed equilibrio, ti dài una regolata e cominci ad usare Anobii con giudizio e moderazione. In caso contrario, come la sottoscritta, te ne disintossichi con pari rimpianto e rapidità, e vedi di non tornarci mai più.

Oggi, dopo mesi che bado a ‘non tornarci mai più’, mi giunge notizia di un commento ad una mia recensione. Incuriosita, vengo meno ai miei propositi e vado a vedere chi mai abbia commentato i miei rimuginamenti su “Il Gattopardo” e perché.

Ebbene, ci crediate o no, la commentatrice m’ingiunge severamente di indicare che la mia recensione è uno spoiler. For the life of me, I can’t say what I spoiled. A meno che non sia dove definisco la principessina Concetta ‘sconfitta’. Ad ogni modo, resta il commento: devi dire che contiene spoiler.

Secondo voi ci sono speranze che scherzasse?

Feb 19, 2009 - grilloleggente    2 Comments

Finis Austriae

E dunque credevo di essermi liberata dall’Australiana, ma forse non era del tutto vero, e quindi la lezione su Roth alla UTE l’ho passata cercando di non tossire come un aspirapolvere con l’asma. Cercando con modesto successo, dovrei dire.

 

Tra un rantolo e l’altro, a quanto pare, sono riuscita a farmi capire, ed è già qualcosa. Di sicuro hanno capito che Roth mi piace. Bisogna amarlo, uno scrittore, per andare a parlarne in quello stato! E per fortuna che ho deciso di non leggere ad alta voce il finale de “La Cripta dei Cappuccini”, quando Franz Trotta va a rendere l’ultima visita al suo imperatore morto, e grida “Dio conservi” davanti alla porta chiusa…

 

E’ più forte di me: non riesco a leggerlo senza commuovermi, fin dalla prima volta, in Collegio, chiusa di nascosto in un’aula vuota alle tre del mattino.Solo che piangere da soli in un’aula vuota alle tre del mattino è leggermente più sano che scoppiare in singhiozzi all’Università della III Età…

 

Scherzi a parte, quello che più mi piace in Roth è questo senso d’irreparabilità e di declino, di questa corsa verso il precipizio, in bilico tra la lucidità e l’illusione che si negano a vicenda ad ogni pagina, ad ogni frase, ad ogni aggettivo. E tutto in una scrittura dall’apparenza così semplice e trasparente.

Buona traduzione, anche: Laura Terreni per Adelphi, alla fine degli Anni Ottanta.

Anzi, ora che guardo, proprio nell’Ottantanove. La cosa ha una sua poesia: da una parte il Muro che Cade a Berlino, dall’altra forse il più bel romanzo su come cadono gl’Imperi.

 

D’accordo, invece di diventare maudlin, facciamo buoni propositi: un giorno o l’altro, riprenderò a studiare Tedesco sul serio, non foss’altro che per leggere Roth in originale.

Feb 16, 2009 - lostintranslation    5 Comments

Cavalli di un Altro Colore

Mi hanno commissionato una serie di traduzioni dall’Italiano all’Inglese. Tra l’altro, a proposito di colori e del loro significato culturale.

Parte del fascino della faccenda consiste nella quantità e varietà di significati che lo stesso colore può assumere presso diverse culture, ma quello che mi ha fatto pensare di più sono i diversi modi in cui usiamo i colori nel linguaggio.

 

E di conseguenza nella scrittura.

 

Ci sono associazioni logiche, per lo più legate a fenomeni naturali, che restano un po’ le stesse a tutte le latitudini. Tutti, o quasi, associamo il verde alla rinascita e il nero al buio.

 

Poi ci sono associazioni di significato di tipo culturale: il rosso, colore “peccaminoso” in Occidente, diventa il colore della purezza in India (e mi domando se la cosa abbia a che fare con le virtù purificatrici del fuoco…); il giallo significa coraggio in Giappone e codardia nel mondo anglosassone; il bianco è il colore delle spose e degli angeli, ma in Oriente significa lutto e morte. E il nero, il nostro colore del lutto, in Cina è associato ai bambini maschi. E’ chiaro che ognuno di questi significati ha ragioni culturali e antropologiche, qualcuna antica come lil fuoco purificatore, altre recenti come i celebri “sorci verdi”.

 

Infine ci sono le associazioni del tutto personali. Per Federico Garcìa Lorca il tramonto ha anche il colore dello zucchero; quando da bambina studiavo pianoforte, mi sono formata la convinzione che l’accordo DO-MI-SOL fosse giallo oro; la nonna di una mia amica diceva che i colori della primavera sono il bianco e il nero, come il petto e il dorso delle rondini.

 

Il che significa che ci sono infiniti modi di usare il colore e i colori per iscritto. Una sfaccettatura in più nella cangianza infinita del linguaggio. Il mare di Omero era color del vino, nel Tamerlano di Marlowe non compaiono altri colori che bianco, rosso, nero e oro; per Dick Heldar, la felicità è vedere l’azzurro nel bianco della neve al chiaro di luna…

 

Per contro, significa anche che ci sono ben pochi modi di sapere quali associazioni il nostro uso dei colori susciterà nel lettore.

Neppure quando scriviamo per lettori della nostra stessa cultura, della nostra stessa lingua, del nostro stesso condominio… Ciascuno, ma proprio ciascuno, ha la sua tavolozza.

Feb 12, 2009 - blog life    Commenti disabilitati su Eppur si muove

Eppur si muove

No, non sono morta.

Ok, al momento ho l’influenza, ma sono viva, vivissima. E tra i miei buoni propositi per il nuovo anno c’è quello di occuparmi di più (molto di più) di questo blog.

Anno nuovo? Ma se siamo quasi a metà febbraio!

I know, I know… Però le buone intenzioni ci sono. Clarina sta per tornare, fidatevi. E’ praticamente già qua.

Ott 8, 2008 - scrittura    3 Comments

Chiamatemi Cristoforo

Sono sbarcata in America!

Terzo posto nello Short Story Contest di Literary Magic, rivista elettronica di linguistica.

Who-hoo!

***

(Per chi ha voglia di leggere la storia, una volta nella Home Page, fate click su Contest Results.)

Ott 4, 2008 - editing    2 Comments

Bucato

Su “Il Giornale” di oggi c’è una doppia pagina dedicata alla figura dell’editor.

Non è la prima volta, e un paio di mesi fa anche Benjamin, la rubrica di libri del TG1, aveva dedicato un servizio alla categoria.

Vogliamo dire che ci si stia accorgendo di noi?

Forse. Non è detto che sia un bene assoluto, però, e la doppia pagina de “Il Giornale” mostra molto bene il perché.

L’articolo principale riporta una serie di brevi interviste ad altrettanti editor di punta di grandi Case italiane, tutti intenti ad assicurare (e rassicurare) che la pratica dell’editing non è, per carità, non è assolutamente sinonimo di omologazione supina al gusto delle masse. “Io non dico mai ai miei autori di riscrivere questo o quello”, e “abbiamo fatto solo un leggero editing”, e cose così.

A questo articolo, ne segue un secondo, molto più breve, a proposito dei grandi editor anglosassoni, gente leggendaria come Gordon Lish e Susannah Clapp. Gente, si capisce bene, che adotta (e ammette) metodi un tantino più truci.

Il sugo della giustapposizione non è che ci sia editing ed editing, a seconda del lato dell’Atlantico su cui ci si trova, ma che il mondo editoriale anglosassone è più maturo, oppure più impudente, a scelta. Nessuno si scandalizza scoprendo che Raymond Carver non sarebbe Raymond Carver senza Lish. O che Ezra Pound faceva l’editor.

Da noi è diverso. L’intervento dell’editor dà all’intera faccenda un che di artigianal-commerciale, appanna la mistica della scrittura-arte, suscita reazioni che vanno dal lieve imbarazzo alla negazione violenta.

O, peggio, al rifiuto.

Per cui, non è davvero il caso di metterci troppo sotto i riflettori. Apprezziamo l’attenzione, ma lasciateci pure lavorare nell’ombra, grazie.