Set 4, 2008 - scrittura    2 Comments

Dimostrazione Scientifica

Dice Thomas Mann che “Uno scrittore è una persona per cui scrivere è più difficile che per gli altri.”

Quante volte, in occasione del consueto regalo di gruppo al collega che si sposa, vi siete sentiti ingiungere “il biglietto lo scrivi tu!”, con l’implicazione che scrivere meravigliosi, originali, profondi biglietti augurali sia cosa da nulla per lo scrittore (più o meno aspirante) della compagnia?

E poi che succede? Che vi sedete alla scrivania con il dannato biglietto e una penna, fissate il primo e mordete la seconda per tutta la pausa pranzo, cacciate il tutto nella borsa e ci pensate e ripensate, e nulla viene. Poi, nel momento meno opportuno, vi viene in mente qualcosa e lo buttate giù, salvo constatare che non vi piace del tutto e che adesso dovete procurarvi un altro biglietto. Allora cominciate a scrivere in brutta copia su un foglio A4, sostituendo verbi e modificando l’ordine degli elementi della frase, disperandovi a ricordare chi diavolo sia l’autore di quella citazione che potrebbe essere perfetta per l’occasione, cercando il giusto equilibrio tra spirito, affetto e sincerità…

“E allora, hai finito?” chiede ogni tanto qualcuno.

E la risposta è no, e allora comincia la pioggia di battute sulla Divina Commedia, voi v’innervosite, stracciate il foglio A4 in coriandoli molto piccoli e dite agli spiritosi che se lo scrivano loro, il biglietto. Seguono, in ordine sparso, ulteriori frecciatine sul temperamento degli artisti, suppliche e hints al fatto che il matrimonio è tra meno di una settimana.

Allora vi rimettete all’opera, producete tre versioni del biglietto d’auguri e, in un sussulto di buon senso, cassate le due più brillanti perché sono troppo brillanti, troppo letterarie per la vita reale.

Così vi resta quella elegante e semplice e affettuosa, quella che farà piacere agli sposi, quella di cui tutti i vostri co-donatori, nel firmare, penseranno “ero capace anch’io!”

E qualcuno ve lo dirà, anche. Ed è vero: qualcosa del genere lo avrebbero saputo scrivere anche loro, e in un decimo del tempo che ci avete messo voi. Qualcosa del genere; non lo stesso.

 Perché uno scrittore non è chi produce belle parole una dietro l’altra come una gallina d’allevamento scodella uova: lo scrittore cattura, plasma, cesella e intreccia le parole, e tutto senza che la fatica e l’arte siano evidenti nel risultato finale.

Per questo è più difficile.

Ago 28, 2008 - scrittura    1 Comment

Scrittore Nei Paraggi

Il villaggio è di fiera, e io sono stata cooptata nella preparazione della pesca di beneficienza.

Mi sono presentata ieri, col mio portatile sottobraccio, e mi sono ritrovata unica al di sotto dei sessanta in un gruppo di signore che, mancando quest’anno la sovrintendente abituale, giravano un tantino su sé stesse ma con molta buona volontà, seppur non senza divergenze d’opinione.

Il mio compito era di battere al computer una lista dei premi, e non so se abbiate idea della congerie di oggetti che finisce sugli scaffali di una pesca di beneficienza: da una coppia di coniglietti innamorati in resina verde prato, a una favolosa batteria di pentole antiaderenti, con molti, affascinanti passaggi intermedi. Ho contato sei biscottiere di ceramica Anni Settanta, un armadietto per le bambole di bambù intrecciato, trenta (30) scacchiere di vetro, una scatola di ornamenti natalizi di vetro soffiato, uno xilofono proprio di legno, un buono per un maialino (vivo), una tovaglia da ventiquattro fatta all’uncinetto, sette piattini scompagnati di un servizio della vecchia Richard… e poi mi fermo qui, anche se la tentazione di continuare la lista nonsense è forte. Non sembra un esercizio di traduzione dal Tedesco?

La cosa migliore, però, erano le signore organizzatrici, che continuavano a chiedermi cosa ne pensassi di tutto l’ambaradan.

“Ti diverti, vero che ti diverti?”

“Ma cosa vuoi che si diverta? Ci fa un favore…”

“Ma no, che si diverte! Scommetto che ci scrive un libro.”

A questo, ho riso e ho detto che un racconto prima o poi ci scapperà, il che le ha mandate in visibilio.

Questo è successo ieri.

Oggi pomeriggio, nel venirmene via a lista terminata, ho salutato le signore. E due di loro, separatamente, mi hanno presa da parte e chiesto…

“E il racconto, quando possiamo leggerlo?”

 

Ago 26, 2008 - scrittura    5 Comments

Fisse

Once upon a time, si discuteva di libri con un amico (una di quelle anime buone e pazienti che leggevano tutto quello che scrivevo e facevano anche le pulci). Si discuteva di Thomas Bernhard, credo, e io sostenevo che Il Soccombente non è una storia, è un esercizio di stile.

“Non succede un bottone,” dicevo io, “non cambia niente!”

“Tu sei troppo ossessionata dalla fabula,” diceva il mio amico.

Una quindicina di anni più tardi, riflettendoci, posso dire che aveva ragione, almeno in parte: non sono sicura di esserlo troppo, ma di sicuro sono ossessionata dalla fabula. Una storia per me deve avere una trama. Una trama costituita da un arco. Un arco che porta da un punto A ad un punto B, ben definito rispetto al punto A. Sennò che storia è?

All’inizio di una storia deve esserci conflitto. Molto bene.

Anche al centro della storia stessa deve esserci conflitto. E fin qui ci siamo, ma non basta.

Alla fine della storia, qualcosa deve essere cambiato. Qualcunodeve essere cambiato: il protagonista. Deve avere ottenuto quello che voleva, oppure deve avere fallito nel tentativo di ottenerlo, oppure deve avere ottenuto qualcosa di completamente diverso (è contento? è sorpreso? è deluso?). Deve avere imparato qualcosa, oppure deve pagare le conseguenze per non avere saputo imparare, per non essersi saputo adattare a quello che è cambiato intorno a lui.  Sennò, ripeto, dove diamine è la storia?

E quindi sì: sono ossessionata dalla fabula. Mi piacciono gli inizi che aprono molte questioni e i finali che le chiudono tutte in modo soddisfacente; mi piacciono i rapporti di causa ed effetto; mi piace che tutto abbia delle conseguenze; mi piace che ci sia sempre un prezzo da pagare. Mi piacciono le storie.

Che posso farci? Ciascuno ha le sue fisse.

Ago 24, 2008 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Pensando di Traverso

Pensando di Traverso

D’accordo, ho già parlato di questo corso, ma devo assolutamente tornarci sopra.

How To Think Sideways, ovvero “Come Pensare di Traverso”, di Holly Lisle, più che un corso di scrittura classico è un modo di riconsiderare molte idee preconcette.

Di lezione in lezione, sto ricevendo una serie di salutari scrolloni al mio modo di lavorare e scrivere. E’ come un negozio di giocattoli: tecniche affascinanti da usare e non sempre ovvie. Si è spinti a pensare in modo diverso dal consueto, si sperimentano metodi un tantino bizzarri e, più di una volta, mi sono ritrovata a domandarmi come diavolo una tecnica che non capisco potesse darmi dei risultati inaspettatamente buoni. E poi c’è una serie di forum in cui discutere con gli altri studenti, il che è d’aiuto nel confrontare punti di vista e metodi di risoluzione dei problemi.

I risultati fino ad ora sono ottimi: sto imparando modi nuovi di sviluppare idee, sto rinegoziando i miei rapporti ragionamento/intuizione, sto rielaborando vecchi progetti in modo più stimolante e sto pensando parecchio. Di traverso e non.

Insomma, per chi conosce bene l’Inglese e vuole provare a rivoltare un poco il suo metabolismo di scrittore, How To Think Sidewaysè un’avventura affascinante e decisamente inconsueta.

Per chi avesse voglia di sperimentarla (alcuni posti saranno in vendita dal 1° al 9 di settembre), o per chi fosse anche solo curioso, questo è il link:

http://howtothinksideways.com/members/?rid=84

Ago 21, 2008 - Senza categoria    5 Comments

Safari

E quando acchiappi un aggettivo, ammazzalo.

Questo inizio ad effetto è di Mark Twain, che contro gli aggettivi aveva dell’astio personale. Poi prosegue…

No, non dico tutti quanti, ma uccidi la maggior parte–e allora quelli che restano saranno tutti importanti.

E può non essere una cattiva idea, perché gli aggettivi, sapete, gli aggettivi…

Indeboliscono, quando sono troppo fitti. Rafforzano quando sono pochi.

Un buon esercizio, anzi: un ottimo esercizio consiste nel prendere qualcosa che si è scritto e cancellare tutti gli aggettivi e gli avverbi. Poi si contano i cadaveri e si fanno delle proporzioni rispetto al conto parole totale del pezzo. E in generale a questo punto ci si impressiona: ma davvero ci avevo messo tutti questi aggettivi? Ebbene sì, in genere li si è proprio scritti… scivolano dentro quasi da soli, non ci si fa nemmeno caso. E il peggio è che più sono generici più volano al di sotto del radar. Insipiditudini come grande, bello, vecchio, importante, simpatico, alto, basso… diluiscono la compattezza della scrittura e non aggiungono nulla. Morale: si possono senz’altro sterminare col flit, seguendo alla lettera il suggerimento dello zio Mark. Ci sono altri aggettivi, tuttavia. Dovrebbero essere significativi, dovrebbero illuminare in qualche modo il sostantivo che accompagnano: rafforzarne il senso, oppure modificarlo in modo inaspettato; aumentarne l’efficacia (come una torretta da guerra sul dorso di un elefante), oppure combinarsi in un’immagine inattesa, un ossimoro, una sonorità, un effetto di ritmo… ci sono aggettivi che, se usati al momento giusto, hanno tutti i diritti di vivere.

Agli aggettivi che si risparmiano, tuttavia, non bisogna mai permettere di vivere in branco. Esempio, e cercherò di fare del mio peggio:

Sempronia aveva chiari, limpidi, sinceri occhi azzurri.

Quattro aggettivi su sette parole… ugh! Time for an adjective safari. Supponiamo che “azzurri” ci serva proprio; ma gli altri tre? Considerando che per significato e connotazione si sovrappongono tutti, non possiamo sceglierne uno solo? Quello che serve meglio all’idea che vogliamo rendere? Naturalmente dipende da qual è questa idea. Se vogliamo sottolineare la bellezza nordica di Sempronia, possiamo tenerci “chiari”; se la nostra eroina è più che altro candida (il tipo che si prova un certo piacere nell’uccidere al capitolo 4), va meglio “limpidi”; se Sempronia conduce una vita sana ed ha la franchezza per religione, allora scegliamo senz’altro “sinceri”. Ma potremmo anche tentare di combinare tutte e tre le connotazioni scegliendo un aggettivo ancora diverso:

Sempronia aveva trasparenti occhi azzurri.

Più conciso ed efficace, no?

Personalmente, quello di cui non mi stancherei mai è la varietà delle sfumature che si possono ottenere sostituendo un aggettivo: provate a riscrivere l’esempio usando ogni volta un aggettivo diverso, e badate a come cambia il mood. Ah, le meraviglie del linguaggio!  

Il che ci riporta al punto di partenza: se può fare tutta questa differenza, l’aggettivo va usato con cautela, misura ed accortezza, alla maniera del curry e della polvere da sparo, perché, per chiudere con Mark Twain…

Un’abitudine agli aggettivi […] una volta acquisita, è più difficile da eliminare di qualsiasi altro vizio.

Ago 19, 2008 - Senza categoria    11 Comments

Invisible Ink

Ecco, oggi nella cassetta della posta c’era un pacchettino con il timbro “Royal Mail”. Adoro i pacchetti postali.

Questo l’ho adorato in modo particolare, perché dentro c’era l’antologia di Invisible Ink, pubblicata da Baineth di Londra, con il mio racconto

D’accordo: microeditore, micropremio… ma intanto è il mio primo risultato fuori d’Italia: sono ufficialmente pubblicata oltre la benedetta Manica!

*does small happy dance*

Ago 18, 2008 - Senza categoria    2 Comments

Piste Mentali

Sto seguendo questo corso di scrittura creativa. Corso americano, tenuto online da una scrittrice (pluripubblicata) di nome Holly Lisle.

E un corso curioso, incentrato su quelli che possiamo chiamare aspetti pratici del mestiere. Per il primo mese ci siamo concentrati sui metodi per generare e sviluppare idee, e i risultati variano dal bizzarro al folgorante, dallo spicciolo al favoloso. La cosa che mi piace di più è lo sforzo di bilanciare intuizione e logica, analisi e creatività, emisfero destro ed emisfero sinistro… per dirla con Holly, Musa e Mente Consapevole.

Per me, che sono un’iperanalizzatrice ossessionata dal controllo, è ideale anche se, talvolta, un poco spiazzante.

La mia tecnica preferita, fino a questo momento, è il Clustering, o Mind Mapping: un metodo per pescare e raccogliere idee allo stato gassoso. Confesso di avere iniziato da scettica e di non essermi trovata completamente a mio agio dapprima, perché gli stadi provvisori non mi piacciono alla follia. Ho perseverato, e ne è valsa assolutamente la pena: è il miglior metodo di brainstorming in cui mi sia mai imbattuta.

Lasciate che vi spieghi: si prende un foglio A4 e ci si disegna in mezzo un’ellissi, dentro la quale si scrive l’argomento su cui si vuole lavorare. ANALISI DEL PERSONAGGIO X, AMBIENTAZIONE DEL RACCONTO Y, IDEA DI FONDO DEL ROMANZO Z…

Una cosa così:  

812479083.jpeg

 

Fatto questo, si comincia a buttare giù tutto ciò che viene in mente in proposito, quello che si sa già e quello che viene in mente via via, racchiudendo ogni singolo “articolo” in un rettangolo e stabilendo delle connessioni.

Per esempio,

 

1332111035.2.jpegDa queste idee di base, si fanno partire ulteriori diramazioni, senza fermarsi a correggere e senza disperarsi su logica, senso a lungo termine e sintassi: questa è solo una sessione di brainstorming, supponete di essere occupati a catturare le idee col retino; a catalogarle ed ordinarle penserete dopo.
658367468.jpegNon è straleggibile, ma spero che renda l’idea. E poi si prosegue: si specifica l’ambientazione, si caratterizzano i personaggi, si aggiungono punti della trama, concetti e idee che si vogliono utilizzare, eventi storici da inserire… Chi più ne ha… con quel che segue.
E’ sorprendente vedere quante idee saltino fuori, con un minimo di pratica e un po’ di convinzione. Alcune saranno pessime, altre cotte solo a metà, un paio saranno straordinariamente buone… In ogni caso, ci sarà sempre qualcosa da pescare.
Per finire, un paio di mindmapping softwares scaricabili gratuitamente: Cayra è molto bellino a vedersi, con colori gradevoli e una grafica accattivante; io lo trovo un po’ macchinoso, e preferisco usare Freemind: http://freemind.sourceforge.net/wiki/index.php/Download, bruttino ma intuitivo e di uso più semplice.

Ago 9, 2008 - Senza categoria    4 Comments

NDSN

Ovvero, Nulla Dies Sine Linea.

Sanissimo principio: la scrittura, come qualsiasi altra disciplina (intellettuale, artistica, sportiva… fate voi), beneficia di una pratica costante. Scrivere un poco ogni giorno rende più facile scrivere ancora e di più, e meglio, il giorno successivo. Mantiene entro limiti ragionevoli l’ansia da foglio bianco. Abitua a pensare in termini traducibili per iscritto. Permette di acquisire un’abitudine di disciplina. E’ di grande aiuto nel navigare tra gli scogli del Blocco dello Scrittore. Mantiene lubrificati i meccanismi, rotelle, leve ed ingranaggi che invece bisogna rimettere faticosamente in moto se si scrive di quando in quando.

Poi, siccome la vita è quella che è, il tempo non basta mai, è difficile trovare la quiete, la concentrazione, eccetera, eccetera, non bisogna pensare di scrivere ogni giorno un capitolo perfetto del Romanzo Della Vita: porsi degli obiettivi dissennati è il mezzo più sicuro per far naufragare i buoni propositi al secondo giorno– e spesso non recuperarli mai più.

Il trucco è tutto qui: obiettivi ragionevoli. Qualcosa per cui sia davvero possibile trovare il tempo ogni giorno.

Una pagina di diario? Benissimo. Un post sul proprio blog? Altrettanto. Aggiungere almeno 100 parole a qualsiasi cosa si stia scrivendo? Ottima idea. Un esercizio specifico? Assolutamente sì.

Quale genere di esercizio specifico? Personalmente adoro fare Timed Writing, o Free Writing che dir si voglia. D’accordo, forse non è che proprio lo adori: diciamo che non mi diventa intollerabile troppo spesso. Ed è semplicissimo: puntate un timer, o la sveglia del cellulare, su dieci minuti; scegliete un tema e, per quei dieci minuti, scrivete a ruota libera su quel tema. Qualsiasi cosa vi venga in mente, senza preoccuparvi di grammatica, sintassi e stile: badate solo a non fermarvi nemmeno un attimo per quei dieci minuti.

C’è chi giura di trovare, in quei dieci minuti di scrittura senza rete, ogni genere di illuminazioni, spunti, soluzioni ed epifanie. Per essere realisti, diciamo che qualche volta capita, più spesso no. In ogni caso, si è scritto qualcosa, ci si è costretti ad essere sciolti, ci si è impedito di rimuginare troppo su ogni singola parola… sono tutti vantaggi. Personalmente, poi, dopo quei dieci minuti ho spesso più voglia di scrivere di quanta ne avessi all’inizio. Diciamo, un esercizio di riscaldamento. Alla peggio, almeno avrò scritto la mia lineaquotidiana, buttato giù un’idea che mi ronzava in mente, sperimentato qualcosa…

 §§§

Un paio di dettagli pratici:

1) Siccome mi seccava salvare ogni giorno un minuscolo file di Word e poi faticare a rintracciarlo semmai ne avessi avuto l’uzzolo, e poi, e poi… (sono pigra, pigerrima: lo confesso senza un’ombra di vergogna), ho scaricato un journaling software, che si occupa delle mie pecorelle. My Simple Friend [http://www.brothersoft.com/my-simple-friend-download-123609.html] ha il vantaggio di essere gratuito e di dimensioni limitate. Non è che abbia molti fronzoli, ma per fare TW non ne servono.

2) Come si sceglie il tema? Le possibilità sono infinite: aprendo un dizionario a caso, preparando delle liste in precedenza, seguendo l’umore del momento, concentrandosi su un aspetto di ciò che si sta scrivendo e che si desidera esplorare un po’, girellando per Internet a caso… per chi sa l’Inglese almeno un po’, c’è sempre la possibilità di digitare “prompts” oppure “writing prompts” in un motore di ricerca qualsiasi, e poi guadare tra milioni di possibilità. Per esempio http://www.oncewritten.com/FreeCreativeWritingPrompts.php, oppure http://www.internetwritingworkshop.org/pwarchive/index.shtml, o ancora http://writingfix.com/… ma ce ne sono a non finire.

Ago 7, 2008 - Senza categoria    3 Comments

Prologo

Al Liceo avevo una prof. di Lettere.

Lo so, tutti hanno una/un/alcuni/numerosi prof. di Lettere al Liceo. La mia ripeteva continuamente che “L’arte è techne“, ovvero tecnica, mestiere, capacità apprese.

Io non le credevo.

A sedici anni, leggevo e scrivevo come una dannata. O meglio: leggevo come una dannata, e volevo tanto scrivere. Buttavo giù racconti tra l’ermetico e il decorativo sulle vecchie agende (chi non l’ha mai fatto, scagli il primo calamaio!), abbozzavo atti unici, tentavo di imitare Buzzati, Tolkien, Conrad, Verga. E intanto sognavo il mio Romanzo (notate la R maiuscola, per favore) e mi dicevo che era tutta questione di talento, passione e del tempo che non avevo.

Altro che techne!

Adesso, quasi vent’anni e una decina di romanzi più tardi, adesso che sono pubblicata in due lingue (o quasi, but more of that later), adesso che di mestiere disseziono gli scritti altrui, confesso di pensarla un nonnulla diversamente.

Credo ancora che talento e passione siano essenziali; credo ancora che si impari scrivendo tanto e leggendo ancor di più; però ho anche capito che cosa intendeva la mia prof.

Signore e signori, ci vuole anche la techne. Perbacco, se ci vuole!

Mi piace pensare che talento & passione siano come l’elettricità: una forza presente in natura, che però, se non è canalizzata per mezzo degli apparecchi giusti, non accenderà nessuna lampadina. E tecniche, mestiere e capacità acquisite sono l’impianto elettrico.

Quindi, questo blog si occuperà di impianti elettrici, per lo più: l’applicazione di teorie, lo studio di principi che uno non crede, e invece fanno tutta la differenza. La differenza tra scrivere e scrivere bene, la maggior parte delle volte.

Noioso? Nemmeno per idea! Just you wait and see…

 

E se a qualcuno andasse di dare un’occhiata al mio sito… www.chimerastudio.it