Tagged with " letture"
Gen 2, 2012 - libri, libri e libri    6 Comments

Neither A Borrower Nor A Lender Be

libri, prestiti, prestare libri, lettureNon so più in quale puntata di Downton Abbey (bellissima serie, a proposito: l’avete vista?), il conte di Grantham informa il neoassunto autista irlandese con aspirazioni intellettuali che può prendere a prestito i libri che vuole dalla biblioteca, a patto di segnare tutto sull’apposito registro.

Mi par di capire che le cose con l’autista sfuggiranno un tantino al controllo di Lord Grantham, ma il principio di tenere un registro dei prestiti mi sembra molto, molto, molto saggio. Quante volte mi sono ripromessa di fare altrettanto? Innumerevoli. L’ho mai fatto? No – e ne ho pagato le conseguenze, alas.

Forse sarà bene che cominci col dire che a mia volta non sono del tutto senza biasimo. Ho ancora il Baudolino prestatomi dal mio avvocato l’estate scorsa – e non ne ho ancora letto una pagina; sto avanzando con criminale lentezza attraverso un’intera borsa di prestiti da parte di P. – ne ho restituita una parte man mano che leggevo, ma il bulk è ancora qui e comincio a sentirmi una bestiolina); ho ritrovato una grammatica tedesca che non deve essere mia, ma non ho idea di chi me l’abbia prestata: o Prestatore Anonimo e Paziente, se leggi qui, batti un colpo e riavrai la tua grammatica. E, se ti consola, sappi che il karma funziona e son punita.

Una volta, quand’ero una piccola ginnasiale ingenua, prestai Ivanhoe a un compagno di classe che, a differenza della sottoscritta, studiava Inglese. Ci ero affezionata – a parte tutto, era il libro su cui, a dodici anni, avevo tentato il mio primo esperimento di riduzione teatrale*. Non l’ho mai più rivisto. Immagino che il mio compagno di scuola l’abbia perso, perché nel corso degli anni di Liceo glielo richiesi più di una volta, senza esito alcuno. E per di più non doveva essergli servito a granché per l’interrogazione: all’epoca non lo sapevo, ma si trattava di una versione abbreviata e ridotta, circa un quinto rispetto al librone scottiano.

A volte invece c’è il lieto fine. Ero in III Liceo quando, durante una lezione di matematica, ricevetti un bigliettino che diceva così: Cara Chiara, se per caso ti chiedevi dove fossero finite le tue Ultime Lettere di Jacopo Ortis, sappi che le avevo io. So che ti ho detto di no quando me l’hai chiesto, ma ero davvero convinta. Invece le avevo: le ha trovate ieri mio padre riordinando la libreria. Adesso le ho dimentcate a casa, ma domani te le porto. S. Nonostante le premesse poco incoraggianti, riebbi davvero il mio libro – che avevo dato per perso – e, come Miss Prism nel vedersi restituire la borsa da viaggio, fui molto soddisfatta di riaverlo.

Poi c’è la gente che ti chiede in prestito “un libro per il viaggio”. Pericoloso. In questa maniera, un amico dei miei lasciò in un albergo siciliano la mia copia de L’Amico Ritrovato di Uhlman. Me lo ricomprò in una traduzione diversa e che mi piace meno, ma come si fa? Dopodiché dovevamo essere recidivi entrambi: un paio d’anni più tardi, il signore in questione tornò in Sicilia e di nuovo mi chiese di prestargli “un libro per il viaggio.” Per qualche motivo, gli permisi di portare via con sé una raccolta di drammi di Schiller. Indovinate un po’? Anche Schiller rimase in Sicilia, e per di più il prestatario disse di averlo trovato una lettura noiosissima. A titolo di scuse ebbi una scatola di caramelle – poi ricomprai i singoli drammi uno per uno. Il Don Carlos è di seconda mano, un’edizioncina bigia della BUR con un ex libris che lo dichiara scampato a non so più quale alluvione del Ticino.

Questi, devo ammetterlo, sono casi in cui un registro dei prestiti non sarebbe stato di nessun aiuto: so benissimo chi è il colpevole (e la seconda volta ammetto concorso di colpa…). Ben diversa è la faccenda di una delle mie numerose edizioni di Lord Jim, che prestai e dimenticai di avere prestato. Quando mi accorsi della sua mancanza, non ricordavo più chi avessi cercato di evangelizzare… Passarono sei o sette anni e poi una sera, ospite a cena, mi ritrovai a scorrere i titoli nella libreria della padrona di casa, fino a imbattermi in una copia di Lord Jim che aveva qualcosa di famigliare. In un altro momento à la Miss Prism, aprii, rigirai e sfogliai, riconoscendo qua una macchia di limonata, là le mie iniziali incise sulla chiusura… Fu nel bel mezzo di questa agnizione che la padrona di casa piombò su di me. “Quello lì? Non ti fai idea di che libro palloso sia. Non l’ho mica comprato io, me l’hanno prestato, non so più chi. Ho letto due pagine e poi non…” E a questo punto una scintillina di riconoscimento cominciò a balenarle in fondo alle pupille.** “Te l’ho. Prestato. Io,” dissi con un’ombra di gelo. “È. Mio. Lo. Cerco. Da. Anni.” Ammetterete che un registro dei prestiti avrebbe risparmiato patemi e imbarazzi a tutti quanti.

Fu in seguito a questo incidente che mia nonna mi regalò un bellissimo timbro a secco che permette d’imprimere le mie iniziali in alto a destra sul risguardo. L’idea era ottima, peccato che l’abbia messa in pratica solo in parte. Il fatto è che non mi sono mai saputa indurre a timbrare sistematicamente a secco varie migliaia di volumi… Non più di quanto mi sia saputa indurre ad avviare un registro dei prestiti.

E dunque? Non c’è soluzione per la gente non sistematica? Non saprei. Il mio metodo è quello di essermi fatta più selettiva nei prestiti. Mi piace molto prestare libri, ma se ve ne presto è perché ho piena fiducia in voi***. Per contro, ho smesso di chiedere in prestito**** e accetto i prestiti offerti solo in caso di buona confidenza. Chi lo sa – magari aveva ragione Polonio… and all the same, guardate che fine hanno fatto lui e i suoi figli!

E voi? Siete peggiori come prestatori o prestatari? Avete mai distrutto relazioni pluridecennali over a book? Tenete un registro? Avete ideato metodi alternativi? Non prestate per principio? Raccontate, raccontate…

 

________________________________________

* Ssssì, lo so… Una volta o l’altra ne parleremo.

** No, non eravamo in buoni rapporti. Nemmeno prima dell’incidente LJ. Ripensandoci, non so nemmeno troppo bene perché le avessi prestato il libro. Non era nemmeno una gran lettrice – citava sempre solo Via col Vento e Verdi Colline d’Africa. Li citava solo per titolo. Non sono affatto certa che avesse mai letto altro in vita sua. Non sono affatto certa che avesse letto per intero nemmeno quelli. No, che non porto rancore. Come vi salta in mente una domanda simile?

*** Ciò che mi fa venire in mente: O Tu, cui ho prestato una raccolta di novelle di Stephen Crane in lingua originale (you know who you are), le hai ancora, per caso?

**** Definitivamente, dopo la volta in cui, alla persona che mi cantava con insistenza le lodi di The Woman in Black, dissi “Be’, vuol dire me lo presterai.” Risposta: “No.” Levar di sopracciglia e domanda successiva: “Sei di quelle sagge persone che non prestano mai libri?” Risposta: “No.” Er…

Il Dilemma Del Recensore – Un Esame Di Coscienza

Tutto è cominciato con questo post di Davide Mana sul suo Strategie Evolutive (bel blog di libritudini, intelligente e ironico – da tenere d’occhio, by the way).

I recensori, dice Davide, si son messi a fare i critici e/o gli editor, e invece di offrire al lettore i lumi essenziali di cui il lettore è in cerca per decidere se il libro valga o no i suoi quattrini e il suo tempo, si lanciano in astruse disamine critico/tecniche.

Ma una recensione è un’altra cosa, dice Gene Siskel (riportato da DM): “Io sono un reporter, ed il soggetto del reportage è come io mi sono sentito guardando questo film.”

E qui cominciamo a divergere da Strategie Evolutive. La citazione mi blocca sulla soglia di un esame di coscienza, perché in realtà può darsi benissimo che “io” mi sia sentita colma di furore crociato per la quantità di minute o maiuscole irregolarità tecniche impilate dal regista/scrittore. È del tutto possibile che il recensore che fiammeggia riga dopo riga brandendo una copia corazzata di Strunk&White non faccia altro che prendere un po’ troppo alla lettera la massima di Siskel.

Ed è vero anche che un elenco dei paragrafi in cui l’autore ha detto anziché mostrare non mi è di grande aiuto nel decidere se voglio o non voglio leggere il libro in questione – anche perché nella maggior parte dei casi – e tanto più nella narrativa di genere – davvero non ci tengo a leggere particolari rivelatori sul plight del protagonista a pagina 434, grazie tante.

Mentre scrivevo questo ho avuto, credetemi, la grazia di arrossire – pensando alle mie analisi cruente… però datemi credito di una cosa: ho imparato a premettere le istruzioni per l’uso. Questa non è una recensione, questa è un’analisi: faremo il libro a pezzetti molto piccoli, smonteremo il giocattolo, riveleremo senza misericordia trama, sorprese e finale… Lo dico sempre, nevvero? Ma d’altra parte, e questo mi sembra fondamentale, SEdS è quel genere di blog: i miei lettori sanno che qui si parla di meccanismi narrativi, di tecnica e talvolta anche di editing.

E difatti non si tratta di recensioni.

Le recensioni sono quelle che scrivo, ad esempio, per la HNR – e qui qualche ulteriore scrupolo mi coglie. Per una serie di circostanze, come ho già avuto occasione di lamentare, mi sono ritrovata a recensire negativamente tre libri di seguito – e non è come se non fosse mai capitato prima. Rileggendo le mie doléances numero per numero ritrovo problemi narrativi e, più spesso, magagne stilistiche – più un certo numero d’inaccuratezze storiche. Queste ultime mettiamole pure da parte: scrivo per una rivista specializzata, ed è ovvio che l’accuratezza storica sia un elemento fondamentale su cui richiamare l’attenzione del potenziale lettore. Ma il resto? Sto confondendo recensione e editing? infliggendo al potenziale lettore le mie ubbìe in fatto di goffaggini espositive e dialoghi stentati? Sto soggiacendo alla mia conclamata ossessione per la fabula?

Confesso, arrossendo di nuovo e chinando contrita il capino, che la cosa non è del tutto impossibile.

E tuttavia…

Penso a una collega HNRiana che si limita a raccontare la prima metà della trama. Ho fatto acquisti molto incauti leggendo le sue recensioni. Penso alla volta in cui, lievemente incredula, cercavo recensioni su un libro (pubblicato in Italia) e trovavo soltanto citazioni verbatim della IV di copertina – del tutto inutili perché, a dispetto delle premesse allettantissime, il libro era davvero brutto.

E so benissimo che non è questo che intende Davide Mana. La sua posizione in materia è che le regole sono per gli scrittori e non per i lettori – e condivido in pieno. Il fatto si è che quando parliamo di scrittura, non mi stancherò mai di dirlo, la forma è sostanza. La sostanza non giungerà mai (o almeno non giungerà bene) al lettore se non è in buona, attraente e ragionata forma. Per cui, se è vero che le “regole” sono per gli scrittori, è pur vero che l’effetto delle regole è rilevante dal punto di vista dei lettori. Non vorrò spiegare dettagliatamente al lettore che l’autore X si macchia del gravissimo peccato di dire anche quando dovrebbe mostrare, ma sarà caritatevole da parte mia avvertirlo che il libro non risulta coinvolgente – perché questo al lettore interessa molto.

Pertanto, credo che qualificherò un pochino la massima siskeliana: il soggetto del reportage è come ritengo che si sentirebbe il potenziale lettore leggendo il libro – perché “io” potrei avere il dente avvelenato, l’ossessione della fabula, la deformazione professionale o whatever.

Che ne pensate? Che cosa cercate in una recensione?

Libri Sopravvalutati – A Sequel

Si direbbe che questo post abbia generato un pochino di sensazione – qui su SEdS, su Twitter, su FaceBook e tramite un certo numero di email.

La discussione è stata molto piacevole, e spero che non sia finita – ma quello che mi ha colpita è la quantità di osservazioni, tweet e commenti di questo tenore: “non ho mai osato confessarlo, ma…” oppure “sono cose che si esita a dire…” Qualcuno mi ha addirittura ringraziata per avere introdotto l’argomento. Badate che non mi sto chiamando fuori: ho detto nel post che per anni la mia delusione nei confronti de Il Ritratto di Dorian Gray è stata una faccenda vissuta clandestinamente – ma questo era prima che aprissi un blog e diventassi spudorata.

Il fatto è che tutti esitiamo (almeno un pochino) a confessare di non apprezzare troppo l’uno o l’altro monumento letterario. Genitori, amici, insegnanti, manuali di storia della letteratura e programmi radio ci hanno informati ripetutamente che si tratta di Grandi Libri con la G e la L maiuscole, libri che non si può non leggere, Libri Meravigliosi… O, in alternativa, libri che ci daranno una Coscienza Sociale* (maiuscole anche qui).

E noi abbiamo letto da bravi, ma si direbbe che non basti. Dobbiamo anche apprezzare. Ci si richiede di essere entusiasti, e se ci azzardiamo a non esserlo otteniamo sguardi increduli e severa disapprovazione. In alcuni casi si aggiungono massicce dosi di zelo missionario, ma non è detto. Molti monument-lovers non vedono la necessità di discutere sul perché si debba adorare il loro monumento – atteggiamento già non promettentissimo.

Ora, quando si è adulti si discute appassionatamente con i missionari e si leva un sopracciglio all’indirizzo degli intransigenti. Chi è capace di non andare in brodo di giuggiole per Eco, Joyce o Buzzati può convivere con la severa disapprovazione di chiunque – Alla peggio, si coltiva il suo dissenso in silenzio.

Ma quando si è implumi in via di formazione? Non vi viene da pensare che questo atteggiamento diffuso, combinato con lo snobismo di genere, abbia a che fare con lo scarso interesse dei fanciulli per la lettura? Li si esorta a leggere e poi, invece di spingerli a formarsi opinioni e gusto personali, si dice loro che il tale monumento è bello, il tale altro è imprescindibile, il tale altro ancora è un capolavoro assoluto, e tutta la letteratura di genere (ovvero buona parte di quella divertente) è, nella migliore delle ipotesi, un piacere colpevole e un po’ nocivo come le barrette al caramello. Che cosa ne deduce un implume? Una di due cose, direi – o forse entrambe: che la lettura “vera e propria” è una roba pallosa, e che le opinioni fuori dal coro vanno soffocate in culla. Not good.

Con questo non sto dicendo che se debbano lasciare i fanciulli alla mercé di Geronimo Stilton e della signora Meyer – dininguardi! Dico invece che sarebbe bello e istruttivo abituarli alla gamma di letture più vasta che si può, incuriosirli a sperimentare autori e generi diversi, indurli a tenere duro anche con i libri che non piacciono granché  e, soprattutto, incoraggiarli a capire perché un libro piace o non piace loro. Se devono diventare buoni lettori, non hanno bisogno di sentirsi dire che il Gabbiano JL è un libro meraviglioso: hanno bisogno degli strumenti critici per decidere se lo è no. Hanno bisogno di una mente indipendente. Hanno bisogno di formarsi un gusto, di scegliersi dei criteri, di imparare a difendere le loro opinioni al di là di mi piace/non mi piace.

E come impareranno, se tutto quel che si fa è indottrinarli a credere che l’uno o l’altro libro sia Bello In Assoluto?

Che ne dite?

___________________________________________________

* Questo caso è ancora più subdolo, perché subentra l’ansia da politically correct: se detestate Dan Brown, arrivano gli applausi, se non andate pazzi per Victor Hugo non succede quasi nulla, se non vi piace il Piccolo Principe vi guardano con severa disapprovazione, ma provate ad avanzare dubbi sulla statura letteraria di Tahar Ben Jelloun o Saviano… anatema!

Dieci Libri Sopravvalutati

In questo post Brian Klems dice che tutti, prima o poi, leggiamo un libro perché amici, famigliari, parenti, stampa and world at large ne parlano con incontenibile entusiasmo. Così leggiamo e… “tutto qui?”

A titolo autobiografico, Klems cita Il Grande Gatsby, cui riconosce a monumental place in the history of American literature – solo che a lui non è piaciuto. Lo giudica inferiore ad altri libri che cita, incluso Il Signore Delle Mosche.

E un po’ più sotto, nei commenti, un lettore confessa di avere avuto un’esperienza simile proprio con Il Signore Delle Mosche: sarà pure un pilastro della letteratura contemporanea, ma a lui non è piaciuto. Dove si vede che il concetto di “libro sopravvalutato” non è meno personale di quello di “brutto libro”. Si può credere di avere treni merci di inoppugnabili ragioni estetiche e tecniche per la propria delusione/disapprovazione, ma ci sarà sempre qualcuno pronto a indignarsi: “ma scherzi? È* un libro bellissimo!”

A parte le disparità di gusto, trovo che intervenga un altro fattore. Chiamatela diffidenza, chiamatelo spirito di contraddizione, chiamatelo scetticismo, ma esiste questo meccanismo di difesa che ci conduce a dubitare – a ragione o a torto – di ciò che ci viene decantato con troppo zelo. L’ultima volta che mi ci sono imbattuta è stato la settimana scorsa, e non si trattava di me. Durante una sessione antelucana di NW cercavo di convincere F. a leggere Lord Jim, e lei mi ha detto che raramente legge qualcosa che le viene suggerito col trasporto che ci stavo mettendo, perché ha imparato che la gente persa come me dietro un libro raramente è obbiettiva nel giudizio. E naturalmente mi sarei morsa la lingua, ma devo ammettere che F. ha ragione e anch’io reagisco come lei: rifiuto pervicacemente e, anche quando cedo, parto così prevenuta che di rado apprezzo – specie se c’è hype mediatica all’opera. E se non c’è hype, ma parto con aspettative troppo alte sulla base del luccichio negli occhi del consigliatore, è ancora peggio. 

Per dire:

1) Il Ritratto Di Dorian Gray. Sì, lo so, è grave – tanto che per anni non ho avuto il coraggio di confessarlo. Ma, giacché ne parliamo, non è che non mi sia piaciuto del tutto, solo che mi aspettavo di esserne impressionata di più. Molto di più. Tipico caso in cui troppe aspettative hanno giocato a sfavore del libro.

2) Siddharta. Letto da giovinetta, cedendo all’entusiasmo delle compagne di liceo. E per fortuna non era il mio primo Hesse, o mi sarei scoraggiata subito, perdendomi romanzi che invece ho amato, come Narciso e Boccadoro, Il Giuoco Delle Perle Di Vetro, L’Ultima Estate Di Klingsor, Demian, Gertrud… Quindi spiegatemi: perché Hesse deve essere identificato automaticamente con una delle sue opere più modeste?

3) Il Vecchio E Il Mare. Non ditemi che non è vero: Hemingway era insuperabile nel costruire romanzi con niente. Niente storia, quasi niente caratterizzazione, niente dialogo, niente ricchezza linguistica… Posso apprezzare the technical feat, ma francamente lo apprezzo di più quando si esaurisce in 6 parole anziché in un libro intero.

4) La Guerra Dei Bottoni. Louis Pérgaud, avete presente? Era uno dei libri prediletti di mio padre, che non ebbe pace finché non riuscì a farmelo leggere. Solo che LGDB a lui ricordava tanto la sua infanzia, e a me no. Noia mortale.

5) Dersu Uzala. Idem come sopra, salvo i ricordi d’infanzia. “È così poetico…” *Yawn*.

6) Barnabo Delle Montagne. E sia ben chiaro: a me Buzzati piace – ma se c’è Il Deserto Dei Tartari, a che serve Barnabo?

7) Il Gabbiano Jonathan Livingstone. Probabilmente I’m even mispelling the name. E non andrò nemmeno a controllare per correggerlo. Gabbianastro. Storia banale fino alle lacrime, grondante saccarina e scritta in modo indifferente. Qualcuno mi spiega perché deve essere considerata una lettura irrinunciabile?

8) Il Piccolo Principe. Chi mi legge da un po’ si stava chiedendo: “e come mai non ci ha ancora messo il PP?” Eccolo qui. Idem come sopra – anche se forse è scritto meglio. Un pochino meglio.

9) Ulisse. I’m of two minds here. Come Klems per Fitzgerald, riconosco lo status di monumento letterario, e in più ammiro la sperimentazione tecnica. Detto questo, non sono riuscita a finirlo, perché mi annoiavo oltre ogni dire. Una volta apprezzata l’originalità, nel giro di una cinquantina di pagine, ero satolla. Non ne volevo più. Non ne potevo più. Credo di aver tirato pagina 100 con le unghie e con i denti, prima di decidere che avevo sparso abbastanza lacrime, sudore e acido gastrico per la causa del flusso di coscienza.

10) Il Pendolo Di Foucault**. Sono certa che Eco si diverte un mondo a scrivere quei ciclopici tomi che traboccano erudizione… ma siamo sinceri: quanti apprezzano davvero Il Pendolo di Foucault? Quanti l’hanno letto davvero tutto senza saltare nemmeno un paragrafo***? E senza chiedersi mai nemmeno una volta quanto ne manca ancora?

E qui mi dovrei fermare ma non posso fare a meno di infilare di soppiatto un numero: 11) tutto Baricco. Baricco non narra nulla. Affastella periodi turgidi e fioriti, tratta il lettore con condiscendenza e, al tempo stesso, gli strizza l’occhio: non siamo gente raffinata e piena d’immaginazione tu e io, O Lettore? Ecco, no.

Quindi direi che per me si tratta di un misto di aspettative troppo elevate, eccesso di zelo altrui e sinceri dubbi di suggestione collettiva.

E voi? Quali libri vi hanno lasciato a chiedervi “tutto qui?” E soprattutto: perché?

 

______________________________________________

* Renzo, se stai leggendo: sei fiero di me? Tutte le È maiuscole accentate giuste, adesso. Ti sarò grata in eterno.

** E qui francamente potete sostituire a piacere con L’Isola Del Giorno Dopo o Baudolino

*** Questo, in realtà, potrebbe valere anche per Il Nome Della Rosa, che non è davvero sopravvalutato, solo implausibilmente popolare.

Libri Perduti, Libri Ritrovati

betty smith, un albero cresce a brooklyn, libri, lettureNon vi è mai capitato di leggere da qualche parte una pagina di un libro, innamorarvene, volerlo leggere tutto e poi – per un motivo o per l’altro – non riuscirci?

Ne avete trovato una pagina su un’antologia, oppure avete ricevuto un prestito volante, oppure lo avete sfogliato su una bancarella e poi lasciato lì, o ne avete sentito leggere uno scrap alla radio. E dopo… magari avete annotato il titolo e perso il foglietto, oppure ve ne siete semplicemente dimenticati, benché foste certi di non farlo. Può anche darsi che non abbiate mai saputo chi fosse l’autore. Succede.

Però vi resta una curiosità, una nostalgia, un desiderio di leggere o rileggere, di sapere che mai succede a quel personaggio che vi aveva intrigato. Ogni tanto vi torna in mente, qualche volta vi capita persino di chiedere notizie a quell’amico che legge di tutto: “hai presente un libro in cui succede questo, questo e questo? Non so di chi sia. C’è un protagonista così e così, è ambientato nel tal posto, nell’epoca tale…”  O magari provate a consultare qualche libraio, non mancate mai di scrutare le bancarelle di libri usati e ripescate in soffitta le vecchie antologie. Oppure, una delle volte in cui vi torna in mente e capita che siate al computer, vi affidate a Google.

E in un modo o nell’altro, se persistete a sufficienza, finirete col trovarlo. Il libro salterà fuori su una bancarella o su internet, ritroverete il pezzetto di carta con il vostro appunto o l’antologia rilevante…

Ed eccovi lì, con il vostro Libro Ritrovato, e anni di ricordi deformati e aspettative irragionevoli fanno crepitare l’aria tra voi e il bottino. Ed esitate un po’, perché sapete che la lettura non sarà come la ricordate e come ve la aspettate. Dopo tutto può darsi che il libro non vi piaccia nemmeno, o che non sia quello che credevate. Magari il brano che ricordate riguardava un aspetto marginale o un personaggio secondario – per cui state per leggere tutt’altro. betty smith, un albero cresce a brooklyn, libri, letture

Il discorso non è completamente privo di riferimenti a fatti o persone reali: ho appena caricato sul mio Kindle un ritrovamento: A Tree Grows In Brooklyn, di Betty Smith, di cui ricordavo un brano letto su un’antologia venticinque anni fa. S’intitolava Francie e i libri. Me lo ricordo con una certa precisione – la biblioteca dove Francie prendeva in prestito le sue letture, i nasturzi così belli che guardarli le faceva male, il piccolo vaso panciuto per la colla, il nascondiglio per leggere, la coppa di vetro blu incrinata per le caramelle alla menta bianche e rosa, l’assenza del bambino dei vicini che giocava sempre “al funerale” seppellendo insetti nelle scatole da fiammiferi… Francie aveva deciso di leggere tutti i libri della biblioteca, e ne prendeva a prestito uno ogni giorno – due al sabato. E da quando aveva scoperto Amore mio se fossi re, una biografia romanzata di François Villon, lo riprendeva ogni sabato per rileggerlo. Aveva persino cominciato a copiarlo a matita su un quadernetto da 2 cents, ma non era lo stesso. All’epoca avevo persino trovato un nascondiglio per leggere, e le caramelle di menta bianche e rosa da tenere in una coppa di vetro. E so di avere assorbito un modo di dire da quella pagina…

Ecco, adesso ce l’ho, il libro. Il libro che mi ha influenzata senza che lo abbia letto per davvero. Adesso ce l’ho – originale, formato ebook – e sono pronta a leggerlo. Sto per conoscere Francie Nolan per davvero, dopo che, per un quarto di secolo, l’ho ricordata per Villon e le caramelle alla menta. Vi farò sapere.

E già che ci siamo: qualcuno ha idea di che cosa possa essere un lavoro teatrale tradotto dall’Inglese, in cui una giovane donna, dopo la sua morte, ottiene di poter tornare per una giornata con i suoi cari, nonostante le altre anime glielo sconsiglino caldamente? E quando è tornata, scegliendo un giorno di compleanno, è terribile, perché i suoi famigliari lo vivono come era accaduto a suo tempo, senza dare ascolto alla protagonista che li prega di rallentare, di godersi ogni momento, di non dare per scontato la serenità e l’affetto… Avete idea?

E voi? Non avete qualche Libro Perduto? Il lontano ricordo, o l’impressione, o il pezzetto di un libro che non riuscite a identificare?

_____________________________________________________

Oh, e semmai fosse venuta la curiosità anche a voi…

 

 

Lug 29, 2010 - libri, libri e libri    6 Comments

Di Steampunk E Altre (più o meno) Gradevoli Follie

steampunk-landscape.jpgUltimamente la mia attenzione è stata richiamata sullo Steampunk, un sottogenere letterario che mescola romanzo storico, fantascienza e fantasy. Sottogenere ibrido, pieno di suggestioni, riferimenti e citazioni, si presta a giochi narrativi deliziosi (e a trasposizioni cinematografiche notevoli, almeno dal punto di vista visivo). In genere tende a speculare universi alternativi in cui il periodo tra il Congresso di Vienna e la Prima Guerra Mondiale conosce sviluppi tecnologici immaginari – o meglio, applicazioni immaginarie della tecnologia dell’epoca (le macchine volanti sono un esempio consueto) e spesso un’atmosfera distopica.

Quello che colpisce e diverte è come lo SP sia solo uno dei numerosi sottogeneri di narrativa speculativa a sfondo tecnologico. Vediamo un po’…

Capostipite del genere è la cosiddetta narrativa Cyberpunk, nata all’inizio degli Anni Ottanta per preconizzare cupi futuri distopici, dominati da un’onnipresente e oppressiva tecnologia dell’informazione. L’infodittatura tende ad andare sottobraccio con modifiche invasiva del corpo umano, e gli eroi tendono ad essere emarginati in (vana) lotta contro l’andazzo. Pensate all’allegerrimo Philip K. Dick, per capirci, oppure a Jeanette Winterson, anche se credo che il nonno di tutti gli autori cyberpunk possa considerarsi l’Orwell di 1984.

Il Postcyberpunk è un’evoluzione che abbandona l’elemento distopico. Conserva la rivoluzione tecno-informatica, ma le assegna conseguenze positive, o quanto meno innocue e ricreative. Bruce Sterling e Neal Stephenson sono esempi del genere.

Da questo ceppo si sono dipartite due correnti principali di sottogeneri, una retrofuturistica, l’altra futuristica tout court, cui vanno aggiunti alcuni germogli in fieri.

Sul versante futuristico, il Biopunk sposta la sua attenzione dalla tecnologia dell’informazione alla biogenetica. Le traversie di un’umanità biologicamente modificata si svolgono di nuovo nel quadro di regimi totalitari (statali o corporativi, a scelta), e torniamo agli scenari distopici quando non postapocalittici. Credo che non leggerei volentieri del Biopunk, ma gente che ne capisce mi cita William Gibson come il dio del genere. Ci crediate o no, dal Biopunk si sta evolvendo un ulteriore sottogenere, il Nanopunk, parimenti distopico e incentrato – ça va sans dire – sulle nanotecnologie dopo l’abbandono o la proibizione delle biotecnologie.

Le cose si fanno un po’ meno truci dal lato retrofuturistico, con lo Steampunk di cui si diceva, nato a sua volta distopico, per poi virare su atmosfere più leggere – talvolta anche parodistiche. Una versione particolarmente filosofica della faccenda è la Trilogia delle Materie Oscure di Philip Pullman, anche se forse in Italia la fortuna dello Steampunk si deve principalmente al fumetto di Alan Moore, La Lega degli Uomini Straordinari, con conseguente adattamento cinematografico. E naturalmente non si può non citare il capostipite ignaro dello SP, Jules Verne.Il Clockpunk è quasi un sotto-sottogenere che applica le convenzioni dello SP a qualche epoca preindustriale, con molle e ruote dentate al posto della tecnologia a vapore. Da noi non è particolarmente diffuso, e mi domando se Alessandro Forlani, col suo BaroquePunk, non possa diventarne l’alfiere italiano. Discorso abbastanza simile per il Dieselpunk, che sposta il gioco tra le Due Guerre, e l’Atompunk con il suo repertorio di Guerra Fredda, corsa allo spazio, USA-URSS e compagnia cantante. Un fantasy storico leggermente meno tecnologico, più nostalgico e sempre incentrato su figure rimarchevoli dei primi decenni del Novecento è poi il Gaslight Romance.

E poi ci sono, come dicevo prima, sotto-sottogeneri in fieri, come l’Elfpunk, che trapianta elfi, nani e altre creature fantasy in contesti urbani contemporanei, Mythpunk, che lavora a partire da folklore e mitologia, e Splatterpunk, che sembra distinguersi dall’horror solo perché ancora più grafico e violento nelle sue descrizioni di mutilazioni e carneficine. Ugh. Pare esistere anche una cosa chiamata Nowpunk, apparentemente narrativa di ambientazione contemporanea in cui la tecnologia gioca un ruolo centrale – in pratica Cyberpunk ai giorni nostri, e forse non è un caso che a coniare il termine sia stato Bruce Sterling, prominente autore postcyberpunk.*

Poi, come sempre accade e per fortuna, il confine tra generi e sottogeneri è tutto fuorché solido. Per dire, come definire un arnese come la trilogia Anno Dracula, di Kim Newman, che combina steampunk, gaslight romance, vampiri, ucronia, modificazioni genetiche, una discreta dose di splatter e una rete di riferimenti storici tanto fitta da far girare la testa? Voglio dire, nel secondo volume c’è il Barone Rosso a capo di una squadriglia di ubervampiri volanti, for crying out loud! Classificatelo, se siete capaci.

Come dicevo: per fortuna! Una segmentazione dei generi narrativi a tenuta stagna sarebbe una camicia di forza. Finché tutto resta ragionevolmente fluido, invece, non c’è limite alle strade aperte alla fantasia e alla creatività degli scrittori.

_______________________________________________________________

* E non sarebbe ancora finita, se si considera l’abitudine di coniare definizioni derivate come stonepunk, bronzepunk, sandalpunk, candlepunk, transistorpunk… Non sono davvero altrettanti generi, spesso solo la definizione – più o meno ironica – che un singolo autore dà dei propri libri.  

Lug 3, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Aggiornamento

Aggiornamento

BrF.jpgBe’, forse ho barato un po’ (cominciando a leggerlo ancora in giugno, nel viaggio per e da Pescara), ma intanto Brat Farrar l’ho letto. Che Josephine Tey mi piaccia non è un mistero; che mi piaccia abbastanza da farmi apprezzare anche un giallo che, come giallo, è così così, è una scoperta nuova. In realtà chi sia l’assassino è un po’ foregone conclusion (non foss’altro che per assenza di altri papabili), e se dovessi spiegare il dénouement avrei delle serie difficoltà – per il semplice motivo che non ho proprio capito che cosa Brat abbia scoperto di nuovo rispetto alle indagini compiute otto anni prima…

Detto questo, però, l’ambientazione, i dialoghi e i personaggi sono così buoni che la lettura è stata deliziosa lo stesso. O forse… deliziosa stavolta non è la parola giusta. Bee è adorabile, le gemelle sono bambine perfettamente plausibili, Latchetts è un posto dove mi piacerebbe vivere, condivido in pieno l’opinione di Zio Charles sui cavalli e la vita in un paesino di campagna è colta alla perfezione. Il fatto che per tutto il tempo io abbia infelicemente simpatizzato con Simon è, immagino, più colpa mia che della signora Tey.

Voglio dire: i meccanismi narrativi sono il mio lavoro e la mia passione, e so benissimo che cosa vuol dire quando un autore (specie un autore inglese della generazione* di JT) presenta un personaggio come un affascinante simulatore e dissimulatore che manipola il prossimo. E tuttavia Simon dalle maniere perfette, Simon egocentrico e occasionalmente meschino, Simon disperatamente geloso… Che posso farci? Simon è precisamente il tipo di personaggio dalla cui parte finisco per schierarmi anche se non voglio. E’ anche il tipo di personaggio al quale, se lo scrivessi io**, risereverei qualche tipo di redeeming quality di quelle calcolate per renderlo un pochino più ammirevole – seppure non assolutamente più simpatico, e magari una fine semi-tragica. Non c’è niente da ridere, prego: ciascuno è sentimentale a modo proprio, e questo è il modo in cui sono sentimentale io.

Sul fronte scrittura, per ora ho scritto soltanto la Nota dell’Autore per… Oh, a dire il vero non so se a questo punto posso ancora dare molta pubblicità alla faccenda, per cui limitiamoci a questo: in ottobre ci sarà qualcosa – qualcosa del genere che richiede Note dell’Autore.

________________________________________________________________

* Generazione in senso lato: da questo punto di vista – e anche da diversi altri, probabilmente, ma per ora concentriamoci sull’innata rettitudine del gentiluomo britannico – possiamo considerare la generazione anagrafica di JT una specie di onda lunga del periodo vittoriano.

** Ed è inutile che dica quanto aspiri a scrivere un personaggio antipatico ma col quale sia impossibile non simpatizzare, volenti o nolenti. Sempre aspirato: il mio primogenito, il malcapitato Ned, era già un tentativo di questo genere. Sì: sono una manipolatrice del prossimo, perché?

Giu 30, 2010 - scribblemania    Commenti disabilitati su Luglio

Luglio

Dunque, domani è il 1 Luglio*.

Ho deciso che luglio sarà un mese d’intensa scrittura e lettura.

Non che possa prendermi un mese di ferie, sia ben chiaro, ma ho organizzato le cose (o almeno spero di averle organizzate) in modo da avere del tempo libero, in luglio, così da poter scrivere e leggere parecchio. Un Writing & Reading Month.

Lista di cose da scrivere:

§ Racconto di 7000 parole – argomento storico, elementi inconsueti (per me), doppio punto di vista femminile, nuova tecnica da sperimentare, occhio rivolto a Glimmer Train**. D’ora in poi conosciuto sotto il nome di 7K.

§ Riprendere la revisione della Mela Rossa – e darci dentro sul serio, e al diavolo Balta Oghlu! No, non davvero al diavolo, si capisce, ma adesso si fa come dico io, che diamine! D’ora in poi conosciuto come TRA.

§ Idea Nuova – no, non mi metto a scriverla adesso, anche perché è ben lungi dall’essere pronta e anzi, ne esiste ancora solo metà, ma è lì che luccica e promette, ed è il genere di idee che di solito, con la debita quantità di applicazione, tempo e paglia, mi conduce a scrivere romanzi metaletterari, metastorici o metaqualcosa: per il momento richiederà molte tempeste cerebrali, molti strologamenti e un po’ di finta noncuranza. D’ora in poi indicato come NI.

Ed è molto più che abbastanza, credetemi.

Quanto alle letture, allora…

Il Grande Gioco, Il Mondo Di Ieri, The Infernal World of Branwell Bronte, Brat Farrar, Il Libro Dei Libri Inesistenti, Per Una Stella Da Maresciallo, The Lodger, Novel Writing: Beginnings, Middle Points, And Endings, El Sol De Breda, Dumas Et Les Mousquetaires, che fa già una media di un libro ogni tre giorni, e poi non sono nemmeno sicura che non arrivi qualcos’altro da recensire per la HNR…

Vi terrò aggiornati.

_______________________________________________________________________________________

* Voci dal fondo: “Ma va’?” E invece no, non è mai detto fino in fondo: una volta, nella mia altra vita, sono riuscita a datare una mesata di fatture al 31 giugno, con gran divertimento del commercialista, perplessità di qualche cliente più occhiuto e successiva necessità di ristampare tutto quanto…

** Rivista letteraria americana. Uno dei miei scopi nella vita è di riuscire un giorno a pubblicare qualcosa – qualcosa su Glimmer Train.

Giu 17, 2010 - considerazioni sparse    2 Comments

D’accordo su “Lord Jim”

Benché me lo sia ripromessa più di una volta, ho finora scordato di raccontare che una sera, in palestra… E sì, non sghignazzate: vado in palestra due volte la settimana. Non tutte le settimane, e non sempre due volte, ma faccio qualche sforzo per sciogliere articolazioni e muscoli rattrappiti dal vivere inchiodata al computer.

Detto ciò, qualche tempo fa, in palestra, mi si avvicina F. (un’altra F., completamente diversa da tutti gli altri F. che ho citato in precedenza) e, con un sorriso cospiratoriale, mi dice che è d’accordo con me su Lord Jim.

“L’hai letto?” chiedo (domanda un po’ superflua, lo ammetto). “E ti piace?”

F. dice allora che sì, l’ha letto e le piace molto, e si stupisce leggermente quando le comunico che facciamo parte di un club ristretto. E non so immaginare del tutto perché, ma fra amici e conoscenti conto sulle dita di una mano gli estimatori di LJ. “Deprimente” è uno dei giudizi più comuni, e me lo sono sentito dire spesso, perché questo libro è uno dei pochi argomenti (insieme, credo, alla vicenda delle Fosse di Katyn), in cui lascio libero corso al mio fievole zelo missionario e alla mia – scarsissima – ansia di proselitismo. Quindi presto, consiglio, predico, ma non è che ottenga un granché. Qualcuno ancora mi prende in giro, a decenni di distanza, chiedendomi di quando in quando come sta il Povero Jim

Mi viene in mente un’osservazione di Conrad, contenuta nella sua prefazione a non so più quale edizione successiva alla prima: si era molto stupito di ricevere una lettera da una signora che diceva di ritenere l’intera storia molto morbosa. E si era stupito doppiamente, a quanto pare, perché la signora era italiana. Adesso sto citando a memoria, ma mi pare che Conrad ritenesse gl’Italiani particolarmente atti a comprendere la suscettibilità su un punto d’onore… Evidentemente no.

Comunque io seguito imperterrita e, ogni tanto, raccolgo qualche soddisfazione. D’altra parte, una volta M. mi ha detto che si riterrebbe soddisfatto se nel corso della sua vita riuscisse a indurre dieci persone* a leggere almeno un romanzo di Alfredo Oriani, dal che deduco che in questo genere di opera missionaria non sia il caso di aspettarsi grandi numeri. Io credo di poter contare con certezza quattro lettori al mio attivo, ma temo che uno solo sia convertito…  F. non conta, temo, perché l’aveva già letto di suo, ma è stata una soddisfazione lo stesso.

Ora, se qualcuno di voi avesse finito col leggere LJ perché convinto (o esasperato) dalla sottoscritta, me lo farebbe sapere, vero? E mi comunicherebbe le sue impressioni, nel bene e nel male? Ci terrei tanto.

Lord-Jim-lektury-z-omowieniem-gimnazjum-i-liceum_Joseph-Conrad,images_product,27,978-83-7327-456-3.jpgE  infine non avete idea di quanto sia difficile trovare un’illustrazione che non abbia a che fare col (brutto) film con Peter O’Toole… Questa qui è la copertina di un’edizione polacca, pertinente per più di una ragione. Non so se LJ fosse già stato tradotto in Polacco quando Conrad era ancora vivo, e se sì, mi domando che effetto potesse fargli. Farò qualche ricerca in proposito.

________________________________________________________________________

* Con me c’è riuscito: non sono sicura che Oriani diventerà lo scrittore della mia vita, ma Gelosia mi è davvero piaciuto.

Mag 12, 2010 - scrittura    Commenti disabilitati su Fulminante

Fulminante

“La scrittura del romanzo ha tre regole. Sfortunatamente nessuno sa quali siano.”
(William Somerset Maugham)
E siccome dal 9 al 15 di maggio si tiene la Reading Is Fun Week, la donna che si è lasciata sfuggire la Giornata Mondiale del Libro (due volte) tenta di redimersi segnalando un libro del meraviglioso autore in questione:
La Diva Julia, di W. S. Maugham, Adelphi, 2000, ben tradotto da F. Salvatorelli.
Come la lettura di questo delizioso libro abbia costituito uno dei più grossi shock della mia vita – il genere di colpo che ti stronca sul nascere ogni velleità di scrivere – è una storia che racconterò un’altra volta…
________________________________________________________________
Perché invece oggi l’editor di testo non voglia saperne di spaziarmi i paragrafi è uno di quei misteri che lascio risolvere a gente più sveglia di me.

Pagine:«12345»