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Nov 15, 2015 - musica    Commenti disabilitati su Senz’altre parole

Senz’altre parole

La prima reazione è stata “Oggi niente musica”…

E invece qualcosa c’è. Qualcosa di adatto – quasi di doveroso. Nella versione di Berlioz.

Set 20, 2015 - musica, posti    Commenti disabilitati su L’ultima volta che ho visto Parigi… ♫

L’ultima volta che ho visto Parigi… ♫

ParisbwE dopo Londra, Parigi.

E il primo giorno a Parigi bisogna procurarsi un po’ di pioggia, giusto?

Ciò è ancora per via di F., che – dopo Londra, tengo a far notare – aveva in mente Parigi. E allora Parigi sia, con questa faccenda di gente che ci torna e non trova più la Parigi che ricorda – mais n’importe: quella Parigi è indelebile nei cuori di coloro che la amano…

E sì, tutto ciò è tra il malinconico e il sentimentale. E sinceramente il film da cui viene è molto peggio. Van Johnson, Elizabeth Taylor, polmonite… ricordate? Confesso che il film non lo posso soffrire – però la canzone è deliziosa, e poi la versione che vi propongo è cantata nientemeno che da un Thomas Hampson in gran spolvero:

Ed è da ascoltarsi guardando le immagini di questa bellissima bacheca Pinterest – che prende il titolo da un altro e ben più incantevole film ambientato a Parigi.

E buona domenica parigina.

Ago 25, 2015 - Genius Loci, posti    2 Comments

Genius Loci

Genius lociSto pensando che mi piacerebbe davvero riprendere e portare in giro Scrittori & Città, le conferenze che avevo tenuto due o tre secoli orsono alla UTE di Mantova. L’idea – credit where it’s due – era partita dalla signora Paola Donati, e io avevo contribuito al ciclo con cinque titoli. Bel tema, un sacco di possibilità interessanti, argomento che mi sta a cuore…. La ricordo come una bella esperienza.

E sì – l’argomento mi piace parecchio. Ho sempre creduto all’alchimia fra posti e persone: posti e persone si costruiscono a vicenda, cosa che ho imparato in un’altra vita, quando costruivo case. Oh, d’accordo: tetti di case, ma il concetto non cambia e vale ancora di più per le città.

Tutti noi siamo, almeno in parte, il prodotto dei posti di cui assorbiamo la cultura, il clima sociale (e anche quello meteorologico), le idee e le tradizioni, di cui sfruttiamo le opportunità o subiamo gl’inconvenienti. Lo scrittore, che per sua natura è una combinazione tra una spugna e un frullatore, oltre ad essere un prodotto dei suoi posti può diventare anche l’osservatore, l’interprete e, talvolta, persino l’artefice.

Pensiamo a Emily Brontë e alle brughiere dello Yorkshire. Emily amava le sue brughiere e le ha ritratte, ricreate e Lorna-Doonedrammatizzate nel suo romanzo con tanta efficacia che tutti noi associamo all’idea di brughiera la voce di Cathy che chiama Heatcliff nel vento. Attraverso Cime Tempestose, le brughiere di Emily sono diventate le brughiere di un sacco di gente che ha visto o non ha visto una brughiera per davvero.

Altre volte l’associazione non è solo geografica, ma anche storica. Pensiamo alle varie componenti sociali della Sicilia ottocentesca ritratte nei romanzi di Verga, di Tomasi di Lampedusa e di De Roberto, per esempio. Oppure all’idealizzazione romantica del Sud degli Stati Uniti alla vigilia della Guerra Civile compiuta da Margaret Mitchell in Via Col Vento. Perché non è affatto detto che lo scrittore debba essere obiettivo o scientifico: i romanzi non fanno cronaca, ritraggono un’era, un’atmosfera, un clima… in un posto specifico.

SalammboPoi ci sono autori vagabondi o cosmopoliti, autori che scrivono di molti posti che hanno visto, che non hanno mai visto o che hanno inventato, autori che ricercano sui libri, autori che immaginano, autori cui non importa molto del posto in cui si trovano. Byron ha trascorso molto tempo a Venezia, e la Venezia delle sue opere è deliberatamente una collezione di fondali d’opera, mentre la Grecia di Durrel è ritratta attraverso una spessa lente nonsense. Per contro, i Caraibi di Salgari sono pura fantasia, così come la Russia di Dumas e l’Italia della signora Radcliffe. Oppure c’è un Flaubert, che, prima di scrivere Salammbo, se ne va in Algeria e Tunisia, a caccia di colori e di luci: “…il cielo diventa di un verde pallidissimo e il mare si rischiara sotto questa grande striscia indefinita… ormai ci sono pochissime stelle, molto diradate; tutta la parte sud e ovest di Cartagine è di un biancore brumoso…” Ci si legge l’ansia puntigliosa di ricreare questo posto (una Cartagine ormai morta da venti secoli) quando sarà di nuovo in Francia, seduto alla sua scrivania.Utopia

Ci sono anche autori che inventano i loro posti: Swift e Lilliput, Thomas More e Utopia, Hope e la Ruritania, Cyrano e i Regni della Luna e del Sole. E il discorso appare meno peregrino quando si pensa a come questi posti inventati rispecchino, distorcano, idealizzino, mettano in parodia o in satira dei posti reali.

Infine ci sono autori che finiscono con l’incarnare un luogo perché non solo le rappresentano ripetutamente nella loro opera, ma a loro volta rappresentano tipicamente un’epoca, un modo di vita, una generazione, una corrente intellettuale. Questi legami sono particolarmente evidenti con quelle città che hanno svolto il ruolo di centri intellettuali. In una grande città piena di gente che va a teatro e legge i giornali, che crea e segue le mode, che sperimenta in prima battuta i cambiamenti sociali e le innovazioni, lo scrittore ha una quantità infinita di stimoli, di contatti, di possibilità e di pubblico. Le città, con le corti, le università, le biblioteche, i musei, le cattedrali, i caffè, i mercati, i teatri, l’umanità fitta, varia e affamata di storie e parole, in tutte le epoche attraggono gli scrittori come calamite, li lusingano, li portano alla fama o li relegano nelle soffitte.

DickensLondonE in cambio, ogni tanto, uno scrittore coglie lo spirito di una città, lo assorbe, lo fa suo, gli dà forma e colore e lo consegna alla letteratura. Qualche volta la città diventa un personaggio a pieno titolo, qualche volta una cornice pittoresca, o una quinta teatrale, o un’ispirazione inesauribile, o un simbolo, o un’idea. Una città di carta e inchiostro può essere tanto varia e complessa quanto la sua controparte di mattoni.

Provate a pensare all’amore/odio tra Dickens e la sua Londra fatta di prigioni, botteghine, tribunali, strade sudicie, slums e ponti, immersa nella nebbia, offuscata dal fumo, nera di fuliggine, eppure brulicante di vita. Non è detto che Londra fosse così – eppure la forza della visione di Dickens è tale da condizionare ancora oggi quella dei suoi lettori: a due secoli abbondanti di distanza, tutti andiamo a Londra e cerchiamo Dickens.

Questo è, in definitiva, il sugo del legame tra uno scrittore e una città. È quel che avevo cercato di indagare e raccontare in Scrittori & Città – e adesso mi ritrovo ad averne nostalgia, e mi piacerebbe rispolverare i risultati. Mi metterò in cerca di posti – ma intanto, se a qualcuno da qualche parte interessa sentirmi bagolare di Londra, Parigi, Vienna ed Edinburgo attraverso le opere dei loro numi tutelari letterari, fatemi sapere. C’è un form, qui in fondo alla colonna a destra, chiamato “Domande, idee, dubbi, curiosità?” Contattatemi – e ne discuteremo.

Lug 31, 2015 - elizabethana, Spigolando nella rete, Storia&storie, tecnologia    Commenti disabilitati su Paesaggi Sonori

Paesaggi Sonori

Paris1739Sono stata recentemente introdotta al concetto di paesaggio sonoro*, con questa cosa meravigliosa. Una passeggiata 3D per la Parigi del 1739 – ma questo non sarebbe nulla se il video, realizzato da ricercatori dell’Université Lyon-2, non fosse accompagnato dalla ricostruzione di suoni, voci e rumori vari… E devo dire che per me questo aspetto auditivo fa tutta la differenza possibile.  Non ho nulla contro le ricostruzioni 3D – anzi, mi piacciono molto – ma non sono mai altro che questo: ricostruzioni 3D. Invece la ricostruzione sonora è un viaggio nel tempo molto più convincente e immersivo.

Dopo essermi incantata a proposito della Parigi settecentesca, naturalmente mi sono chiesta se non ci fosse nulla del genere a proposito della Londra elisabettiana – e me lo sono chiesto per piacere e per documentazione, perché se la ricostruzione sonora è così efficace, perché non provare a servirmi di un paesaggio sonoro a fini descrittivi?LondonSound

E così mi sono messa a caccia – e quel che ho trovato è Hark! The Acoustic World of Elizabethan England, un meraviglioso documentario radiofonico che fa proprio quel che dice l’etichetta. Quasi un’ora di ricostruzione di quel che un Elisabettiano sentiva ogni giorno della sua vita. Le circostanze sonore così familiari da non badarci nemmeno più. Il paesaggio sonoro dei miei personaggi. È favoloso a sentirsi e, anche se non avete tanto interesse nel periodo da ascoltare tutto quanto, vi consiglio vivamente di fare anche solo un piccolo esperimento – possibilmente con un buon paio di cuffie.

Tra l’altro, all’inizio sentirete esporre l’affascinante idea che tutti i suoni emessi non si spengano affatto, ma seguitino a viaggiare a distanze sempre maggiori – e quindi siano ancora tutti là fuori, da qualche parte… “In teoria, con la giusta tecnologia, potremmo sentire la voce di Shakespeare che recita il fantasma nel suo Amleto…” Non so quanto sia solido dal punto di vista scientifico, ma trovo il concetto assolutamente meraviglioso – sia per la permanenza di tutti i suoni, sia per la teorica possibilità di recuperarli. Nel frattempo, però, in attesa della “giusta tecnologia”, mi piace pensare che l’immaginazione, la ricerca e l’indagine del passato possano fare da ponte, e recuperare almeno l’ombra dei suoni perduti.

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* Grazie, D.

Giu 10, 2015 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Di Libri e di Città

Di Libri e di Città

Ieri sera, alla biblioteca Zamboni, Ad Alta Voce ha chiuso i battenti per la stagione.

Oh well, è una chiusura molto relativa, perché non mi stupirei affatto se finissimo con l’avere un incontro speciale tra libri e telescopi… Ma questo per ora è in grembo agli dei – e ieri sera c’è stata l’ultima serata da programma.

L’argomento era abbastanza vacanziero: Books and the City – la città in letteratura. Come c’era da aspettarsi, quel che ne è uscito è stato un viaggio a tutti gli effetti, salvo quelli strettamente pratici.

triesteAbbiamo cominciato con un caffè a Trieste. Lo sapevate che per avere un caffè a Trieste bisogna chiedere “un nero”? Per avere un macchiato bisogna invece chiedere “un cappuccino”, e per avere un cappuccino, apparentemente, bisogna andare in un’altra città. D’altronde Trieste è una città di cultori del caffè e dei caffè – e sotto questo ed altri aspetti il delizioso Trieste Sottosopra di Mauro Covacich sembra un ottima guida.

Dalla città del vento siamo tornati indietro nello spazio e nel tempo – nella  Mantova desolata e paludosa visitata da Dickens nel 1844 sotto la guida di un bizzarro cicerone locale… Ecco, diciamo che al romanziere i giganti di Giulio Romano non fecero la migliore delle impressioni – ma questo non gli impedì di registrare i suoi ricordi in Mantova e il palazzo Te, pubblicato in seguito insieme ad altre Pictures from Italy.MoldovitaConstantinople

In condizioni ancora più tristi era, se vogliamo, la Costantinopoli del quindicesimo secolo. Alla vigilia della sua caduta, la capitale dorata dei Cesari d’Oriente era ridotta a un pugno di rovine invase dalle rose selvatiche e dagli usignoli, come è raccontato da Sir Steven Runciman ne Gli ultimi giorni di Costantinopoli. E questo, a mio timido avviso, rende ancora più struggente la storia dell’ultima disperata difesa contro l’inarrestabile potenza ottomana – a riprova del fatto che una città è molto di più della somma dei suoi edifici.

Come la Parigi sotterranea dei Passages, popolata di botteghe antiquarie e di vecchi caffè – rispecchiata e trasfigurata nella sotto-Parigi favolosa che, ne La Piccola Mercante di Sogni, Maxence Fermine fa luccicare di neve tiepida e popola di querce conversevoli e raffreddate…

O come l’afosa, inquieta, brulicante Città della Notte Spaventosa che Kipling descrive con occhi da insonne, tra musica lontana, dormienti che paiono cadaveri irrequieti e nibbi sornacchianti, sotto la luce di una luna impietosa.*

PragaO, infine, come la Praga notturna, letteraria e tormentata che sembra agitarsi tra i suoi incubi e i suoi fantasmi nel lussureggiante Praga Magica. E a sentire Angelo Maria Ripellino, dalla scrittura opulenta e ipnotica, la Praghesità è qualcosa di ben triste…

E a questo punto, dopo avere girato l’Europa e l’Asia a caccia di quel quid metafisico che fa di un ammasso di case e monumenti una città, pareva bello e giusto concludere con una storia bizzarra di costruttori di città senza nemmeno un mattone. Perché in Pfitz Andrew Crumey racconta una città che non c’è – una città ideale, progettata e popolata per la perfezione, ma capacissima – la natura umana essendo quel che è – di germogliare le sue romanzesche e umanissime imperfezioni, sotto forma di storie. Proprio come una città di pietra e di mattoni, di carne e ossa e secoli, una delle tante che abbiamo esplorato ieri sera, sgranocchiando biscotti attorno a un tavolo di biblioteca.

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* La traduzione che possiedo fa parte di una raccolta chiamata Trentatre Racconti Indiani, che apparentemente non è più in commercio. L’originale potete trovarlo qui.

Apr 8, 2015 - scribblemania    Commenti disabilitati su Francobolli di Viaggio

Francobolli di Viaggio

stampparis“Immagina di tenere un diario,” mi si è detto una volta. “E immagina di avere a disposizione, per ogni giorno, soltanto il retro di un francobollo. Uno di quelli grossi e celebrativi, se vuoi – ma tutto quel che puoi fare è scriverci una frase. Un posto, una persona, un’immagine, un’impressione – non importa. Una singola, vivida cosa che vuoi ricordare per quel giorno.”

L’idea mi è sempre piaciuta, in quella maniera vaga e ariosa, in cui piacciono le idee carine – sapete quello che intendo. E ci ho anche provato, una volta o due, e apprezzato la distillazione, la ricerca di vividezza ed efficacia… Ho provato, ho persistito per qualche giorno, una settimana, una volta persino un mese, e poi ho lasciato perdere.

Per un motivo o per l’altro, mi è tornato in mente giusto un anno fa, la prima sera di una piccola spedizione parigina. L’ho proposto ai miei compagni di viaggio, e insieme abbiamo deciso di adottare il gioco: ogni sera, durante la cena, scambiavamo e discutevamo i nostri francobolli.

A volte erano scorci di paesaggio e fette di città, a volte erano terrine di cozze al Quartier Latin, a volte scampoli di musica inaspettata, a volte una libreria speciale, o la popolazione multietnicissima sul Metro, o il profumo del caffè… Stamp

E l’ho riproposto di nuovo ai compagni di viaggio di Londra, qualche settimana fa, e il risultato è stato lo stesso: dagli acquitrini e canali attorno a Roydon al ritratto di John Donne alla Portrait Gallery, dalle colonne dipinte del Globe al fish&chips al Garrick’s Arms… E se me ne dimenticavo io, era il resto della comitiva, quando ci sedevamo a cena, a ricordarmelo: “E i francobolli?”

È stato divertente, è stato interessante, è stato rivelatore sul modo in cui funzionava ciascun francobollatore. Ci ha indotti a osservare, a cercare e a pensare.

Così comincio a domandarmi se non potrei provarci di nuovo. In viaggio – d’ora in poi sempre – ma non solo. Trovare ogni giorno la Singola Cosa, raccoglierla in una singola frase senza perderne la consistenza, scegliere tra le possibilità… A parte tutto il resto, deve, deve, deve essere un buon esercizio di scrittura, non pensate?

 

Dieci Pillole Parigine

Paris2I. La sezione “De Louis XIV à Napoleon” del Musée de l’Armée, piena di oggetti, uniformi e ritratti di cui si è letto e studiato a non finire, che all’improvviso sono lì davanti – di persona. E gli stendardi appesi nella bianca e sobria St. Louis des Invalides.

II. La deliziosa anziana signora in tailleur che si avvicina ai consultatori di mappe a un angolo di strada chiedendo dove vogliono andare, e offre indicazioni.

III. Passeggiare per la Conciergerie immaginandosi Madame Roland, Robespierre, Lavoisier, André Chenier, i 21 Girondini, Maria Antonietta, ma anche Charles Darnay e Sidney Carton – che in realtà erano a La Force, ma fa nulla.

IV. Shakespeare & Company, sulla Rive Gauche, incantevole piccola tana tappezzata di libri, con le salette di lettura, i divani e il pianoforte al piano di sopra, e i calendari dei gruppi di scrittura, e  la fessura per le monete con il cartello “Feed the Starving Writers.”

V. Entrare in Saint-Germain-des-Prés e trovarci un meraviglioso piccolo coro che prova mottetti rinascimentali nell’atmosfera d’acqua verde. E dopo avere ascoltato, uscire e trovare sul sagrato una deliziosa orchestrina jazz.

VI. Moules marinières e vino bianco al Quartiere Latino, nell’atmosfera di festa del sabato sera. Ma anche la zuppa di cipolle e un bicchiere di Côtes du Rhône a Les Halles non sono mica male.

VII. Passeggiare tra la folla di cappelle neogotiche del cimitero di Montmartre e incontrarci vecchie conoscenze come Berlioz, Stendhal, Madame Recamier, Zola, Dumas figlio, Nijinski, Gautier, il maresciallo Lannes…Paris3

VIII. Caffè e croissants dietro la chiesa di St. Sulpice, sotto la targa – molto Oulipo – di Plac G org s P r c.

IX. Un favoloso pianista che suona un piano verticale dall’aria vissuta davanti all’Opéra. Parigi è piena di musica.

X. Una classe di studenti d’arte distribuita per Notre Dame a copiare scorci di architettura gotica.

Enhanced by ZemantaE sì, a Parigi c’ero già stata, ma mi sono resa conto che non l’avevo mai apprezzata debitamente. Per cui adesso è chiaro che ci dovrò tornare.

Apr 6, 2014 - angurie, musica    Commenti disabilitati su Parigi! ♫

Parigi! ♫

Un po’ perché mi piace tanto Noël Coward, e un po’ (tanto) perché, mentre leggete qui, la vostra affezionatissima Clarina sta gaiamente trotterellando per Parigi…

Et bonne dimanche à tous!

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Feb 3, 2010 - Genius Loci    Commenti disabilitati su Salotti e Teatri: la Parigi Gaia di Alexandre Dumas

Salotti e Teatri: la Parigi Gaia di Alexandre Dumas

cle-19-dumas2delpech.jpgAlexandre Dumas Père arriva a Parigi ventenne, carico di sogni di gloria e pretese d’eleganza. Ne ha abbastanza di fare il giovane di studio per un notaio di provincia, ha testa solo per i drammi e i giornali, e anela alle infinite possibilità della capitale. Nelle sue fluviali Memorie* il Nostro racconta della sua prima serata parigina a teatro, quando alcuni zerbinotti ebbero l’idea di farsi beffe del giovane provinciale.

“Signore, il mio nome è Alexandre Dumas Davy de la Pailleterie**,” comunicò altezzosamente il ragazzo al più rumoroso dei beffeggiatori. “Abito al numero 20 di Rue de la Quintaine, e domattina mi troverete in casa.”

Era la formula della sfida a duello, almeno stando ai romanzi d’appendice. Invece, i Parigini cominciarono a sghignazzare e spintonare, e quando l’offesissimo Alexandre reagì, si ritrovò messo alla porta come disturbatore, furibondo e con le penne alquanto arruffate.

Non vi ricorda l’arrivo a Parigi di qualcun altro? Ma proprio come il suo D’Artagnan, Dumas sarebbe stato presto vendicato dell’infelice accoglienza ricevuta. Nel giro di qualche anno, il piccolo provinciale sarebbe diventato il beniamino di tutta Parigi, dai garzoni di negozio alle duchesse.

margot2.jpgCome per Dickens (ma così diversamente da lui!) il successo passò per il teatro e i giornali: tra il 1829 e il 1832, tre drammi in costume e uno contemporaneo – e un tantino scandaloso – ne fecero l’astro delle scene parigine. Gli attori più celebri del tempo si litigavano i suoi ruoli, e le attrici si gettavano nel suo letto***: Dumas ne mantenne fino a tre per volta, e per comodità aveva adottato il sistema di alloggiarle tutte nello stesso quartiere in cui abitava anche sua madre, così da poterle visitare tutte in poco tempo, mentre trottava tra teatri, caffè, redazioni, ristoranti salotti bene e salotti letterari, dove frequentava la crema del romanticismo letterario francese.

Nel 1838, Dumas incontrò un professore di Liceo con velleità letterarie frustrate, di nome Maquet: fu l’inizio di uno dei più straordinari team letterari della storia. Basti pensare che il primo parto del matrimonio tra le ricerche storiche di Maquet e l’estro narrativo di Dumas fu il ciclo dei Moschettieri, pubblicato dapprima a puntate con un successo strepitoso. Ormai Dumas era consacrato come autore, e ricevuto dappertutto, compresi i salotti del duca d’Orleans e della principessa Mathilde Bonaparte. E’ proprio lì che ce lo descrive Edmond de Goncourt: “…enorme, sudato, sbuffante, eccessivamente gaio… parla dei suoi romanzi, del suo teatro… di un privilegio teatrale che non può ottenere, poi ancora di un ristorante che vuole aprire agli Champs Elysées. Un personaggio enorme, a misura d’uomo, ma con un’esuberanza infantile.”

Con la sua vitalità instancabile, i suoi romanzi storici, la sua passione politica e i suoi viaggi esotici, Dumas incarna alla perfezione il fermento scintillante della Parigi del XIX Secolo, dove la cultura si faceva nei salotti e nei caffè, dove un dramma storico a teatro era un avvenimento nella storia della letteratura.

petitchatelet.jpgE poi Dumas immortala Parigi, facendone lo sfondo di una buona metà dei suoi romanzi. Ma non aspettatevi denuncia sociale à la Dickens o à la Victor Hugo, non aspettatevi miseria e squallore, perché la Parigi dei romanzi di Dumas è pittoresca e colorata come uno sfondo teatrale, piena di giardini dove si duella o si amoreggia, di ponti per le imboscate, di palazzi illuminati da centinaia di candele, da taverne linde e allegre e, alla peggio, di torrioni medievali adibiti a prigioni. Persino gli omicidi più cruenti, persino le sollevazioni di piazza hanno l’alone romantico di una scena d’opera bene illuminata. A dire la verità, le Parigi di Dumas sono due: da un lato la sua città brillante che fa da sfondo ai lavori contemporanei, come il susseguirsi di foyer di teatro, alberghi eleganti e saloni nella porzione parigina dei Fratelli Còrsi; dall’altro, la Bastiglia di Ange Pitou, lo Chatelet di Ascanio, la Rue Tiquetonne dove alloggiava D’Artagnan, e tutta la parte medievale della città che all’epoca stava scomparendo per fare posto ai boulevards del barone Haussmann****. Entrambe irreali come altrettanti sfondi dipinti.

E Parigi, in cambio?

Oh, Parigi adorava Dumas per il suo successo. Operai e sartine compravano a puntate i suoi feuilletons, mentre borghesia e nobiltà riempivano scaffali interi dei suoi volumi, e tutti si affollavano a teatro per assistere ai suoi drammi. Tutti giudicavano le grand Alexandre brillante, divertente, generoso, ammiravano il suo spirito e lo avevano in gran simpatia, ma… Lui, Alexandre, avrebbe voluto di più: avrebbe voluto essere preso sul serio. Avrebbe voluto un ministero dopo la Rivoluzione di Luglio del 1830, nella quale si era esposto per il duca di Orléans, ma non lo ebbe; avrebbe voluto un seggio all’Académie Française, e non lo ebbe; avrebbe voluto un seggio in Parlamento, e non lo ebbe; non avrebbe disdegnato una moglie del bel mondo, e non la ebbe. Quando si veniva al sodo, Dumas era troppo chiassoso, troppo volubile, troppo inaffidabile: chi poteva dire quale sarebbe stata la sua prossima eccentricità? Vero, quando si trattava di rendere appetibile al pubblico la conquista dell’Algeria, era Dumas che il Governo mandava in crociera spesata sul posto per scriverci un romanzo o un dramma – ma un ministero? A quello scapigliato? Andiamo!! Ce n’est pas serieux!818.jpg

E così, Dumas seguitò per conto suo, fondando giornali che fallivano uno dopo l’altro, sfornando romanzi a dozzine, comprando teatri, mettendo in scena drammi, facendosi costrurire castelli improbabili, ammassando fortune e sperperandole tra amanti, figli illegittimi, amici, approfittatori, cause legali*****, spese folli, sempre generoso, sempre imprudente, sempre stravagante, sempre di corsa dietro un altro sogno più nuovo, più luccicante, più improbabile.

Gli uomini come lui muoiono in miseria, e così fu anche per Dumas. Almeno non morì solo: il figlio, l’altro Alexandre Dumas, lo accolse presso di sé, rovinato e malato, ed ebbe cura di lui fino alla fine.

“Sai, Alexandre,” disse il padre al figlio una sera, “mi hanno sempre detto che sono uno scialacquatore, ma io non credo. Guarda sulla mensola del camino: c’è un luigi d’oro. La stessa somma con cui arrivai a Parigi, tanti anni fa… lo vedi, che in tanti anni non ho scialacquato un solo centesimo? Il luigi è ancora lì…”

Haussmann.jpgDi lì a pochi giorni morì di apoplessia, lasciando incompiuti gli ultimi volumi delle sue memorie e un colossale dizionario gastronomico. Era il 1870, e Haussmann stava completando le sue ristrutturazioni: la Parigi di Dumas non gli sopravvisse granché.

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* Trentadue volumi trentadue. L’uomo non aveva misura in nulla, eh?

** In realtà il padre di Dumas, generale napoleonico, era figlio illegittimo del marchese de la Pailletterie e di una schiava di Santo Domingo, ma a quanto pare Alexandre non aveva eccessive remore a millantare il nome del nonno marchese.

*** A quanto pare, dopo la seconda, trionfale rappresentazione del suo dramma Christine, Dumas usciva dal teatro e si sentì chiamare da una carrozza. “Ehi, voi! Siete Alexandre Dumas, lo scrittore?” domandò una voce femminile. Alexandre rispose di sì e si avvicinò. “E allora, salite e baciatemi!” ordinò l’occupante della carrozza. Dumas non se lo fece ripetere. L’audace signorina era Marie Dorval, “la più tenera e patetica attrice di Parigi”, che di lì a pochi mesi sarebbe diventata l’amante di Dumas e la protagonista del suo dramma successivo.

**** Mi ha un po’ sconcertata scoprire che il barone Haussmann non era barone affatto. Millantava anche lui, benché non avesse la scusante di avere vent’anni o quella di essere un romanziere. Not good.

***** Nel 1857 Maquet fece causa a Dumas, rivendicando la co-paternità dei Moschettieri e di molti altri romanzi. La giurisprudenza sulla proprietà intellettuale era una disciplina giovane e incerta: la sentenza riconobbe a Maquet un sostanzioso indennizzo, ma non il diritto ad avere il suo nome accanto a quello di Dumas in veste di co-autore.

 

Gen 12, 2010 - Genius Loci    Commenti disabilitati su Genius Loci

Genius Loci

Bene, è giunto il momento di riscuotersi dall’accidia post-vacanziera, dalla tendenza al lamento da Lunedì Mattina Cosmico, dal salterellar di palo in frasca. E’ giunto il momento di concentrarsi su una nuova serie di post a tema.

Perciò, dalla settimana prossima, avrà inizio – rullo di tamburi… – Genius Loci, ovvero scrittori e città.

Questo nasce da una serie di lezioni tenute, nel quadro di un corso in collaborazione, presso la UTE di Mantova, e prevede cinque puntate con un’abbondanza di illustrazioni, letture, aneddoti, storia e letteratura, senza trascurare il minimo indispensabile di geografia. Nell’ordine (o forse no) avremo:

* Londra e Dickens

* Parigi e Dumas père

* Vienna e Joseph (non Philip) Roth

* Londra (di nuovo, sì…) e Virginia Woolf

* Edimburgo e Stevenson.

Considerando un’introduzione generale a mistica e realtà del rapporto scrittori/città, e un congedo per tirare le conclusioni a cose fatte, ciò significa che per sette settimane ci occuperemo di genio dei luoghi, luoghi del genio, luoghi e genio. Sette settimane a partire dalla prossima ci dovrebbero portare, se la matematica e il calendario non sono un’opinione (debatable matters, both of them), agl’inizi di marzo, quando nei prati fioriranno le violette e sbocceranno le margherite. E per allora si vedrà.

E sì, lo so: tre su cinque sono autori britannici… Ma d’altra parte non è una novità: io sono un’anglomane malata e convinta e voi, alla fin fine, ve lo aspettavate, nevvero?