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Mar 16, 2010 - scrittura, Somnium Hannibalis    Commenti disabilitati su Origami

Origami

mask01.jpgTra una presentazione e l’altra, ieri sera sono riuscita ad assistere alle prove degli Histriones. Non è pronto, si capisce, ma è assolutamente elettrizzante vedere come tutto comincia a prendere forma. Le parole, le intenzioni, i significati, per gradi tutto diventa tridimensionale. E’ come guardare qualcuno di veramente bravo che piega un origami.

Lentamente, molto lentamente, una piega dopo l’altra. Siamo allo stadio in cui ancora non s’intuisce la forma definitiva, ma si formano delle ombre su quella che prima era una superficie piana, e le linee cominciano a gonfiarsi in curve.

E’ fantastico.

C’è qualcosa di straordinariamente appagante nel vedere un gruppo di persone che sperimenta con le mie parole, le mie battute e i miei personaggi. Mi è capitato ancora, ma ogni volta è una sorpresa. Una panacea per quei momenti di frustrazione in cui si vorrebbe tanto poter dare più di una forma alle proprie idee… voglio dire: è un tormento non saper disegnare, o comporre musica, o scolpire, ma devo ammettere che il teatro (il processo di elaborazione del testo, la fabbricazione dell’origami, più ancora della rana di carta finita) è una notevole, notevole consolazione.

Oh, e devo modificare tre battute. No, non c’è fretta: stanotte va benissimo. O anche domattina presto.

Mar 12, 2010 - scrittura    4 Comments

Cataclisma

Siege_constantinople_bnf_fr2691.jpgE così viene il giorno in cui, dopo avere lavorato per tre mesi nel tentativo di rendere fluido il passo di un romanzo scritto secoli fa, devi arrenderti all’idea che proprio non ci riesci. Non se devi tenerlo in qualche ragionevole vicinanza del limite di 90000 parole. Però c’è di buono che, insieme a questa nigerrima rivelazione, viene anche il colpo di fulmine, l’istante di chiarezza cosmica che ti mostra il dannato motivo per cui non ci riesci. Non ci riesci, per la cronaca, perché il supposto romanzo non è un romanzo. No: è due romanzi. Allora siedi sul tappeto in mezzo a un diluvio di pagine stampate, post-it e note di revisione, e hai molta voglia di fare harakiri con una matita, perché con buona parte degli ultimi tre mesi di lavoro, questa sera, puoi accenderci il fuoco.

Tutto questo t’induce a prepararti una tazza di cappuccino fasullo, quello in bustina, e giusto per calcare la mano, c’intingi dentro non uno, non due, ma tre biscotti, quelli americani con tanto burro e tanto cioccolato da stendere una zebra. Ti metti alla finestra in atteggiamento semi-byronesco, guardi senza vederlo il giardino (e dove diavolo è finita la tempesta di neve dell’altro ieri?), mastichi vendicativamente i biscotti, lacrimi sulla schiuma del cappuccino e, ogni tanto, sogghigni di te, dell’arte, del mondo in generale e dei tre mesi che hai sprecato.

Ma.

C’è un dio per gli scrittori: a metà del terzo biscotto, cala su di te un secondo istante di chiarezza cosmica, mostrandoti l’ovvio motivo per cui, forse, puoi smettere di piangere nel cappuccino.

Forse.

Pianti la tazza lì dov’è e torni a precipizio al tuo macello di carte sparse. Fiuti, razzoli, frughi, sottolinei, cancelli, aggiusti, tagli, sposti, mugugni, rifiuti di andare a cena, mugugni ancora, rinunci, riprendi daccapo. Forse…

Alle due del mattino lo studio sembra un campo di battaglia. Tu attacchi alla porta un post-it che dice NON TOCCATE NIENTE!! e barcolli verso il letto. Non sai se funzionerà, ma invece di avere un romanzo da buttare, forse nei hai due scritti a metà. Forse. Mentre sali le scale al buio, cerchi di ricordarti qualche esempio di dilogia (is it even a word?) in letteratura. Deve pur essercene qualcuna. Non te ne viene in mente nessuna, ma per il momento fa lo stesso. Per il momento, l’importante è che il romanzo è vivo.

Diviso in due, ma vivo. Forse.

 

Mar 3, 2010 - Oggi Tecnica    2 Comments

E’ inoltre consigliabile

E’ inoltre consigliabile, scrivendo narrativa ambientata in qualsiasi periodo storico, evitare distorsioni del linguaggio nel tentativo di creare dialogo d’epoca. Se i personaggi della nostra storia non suonavano antiquati ai loro contemporanei, allora non devono suonare antiquati nemmeno a noi. Può benissimo darsi che un giovanotto dicesse al suo benefattore: La vostra benevolenza mi lusinga assai, signore, e son ben conscio della gratitudine che vi spetta”, ma non è così che le sue parole suonavano all’orecchio del benefattore. Quello che il benefattore capiva era: “Grazie, signore, molto gentile.”

E questa era Josephine Tey, nella Nota al suo romanzo The Privateer. Questo significa che, nel 1952, JT anticipava di una buona sessantina d’anni quello che, negli ultimi anni, è diventato il dibattito sul Nuovo Corso del romanzo storico. La faccenda è maturata in ambito anglosassone, quando alcuni autori hanno cominciato a scrivere antichi romani e sovrani Tudor che parlavano un linguaggio decisamente ‘XXI Secolo’. L’idea generale, come la zuppa inglese, ha più di uno strato.

Da una parte c’è la volontà di rendere più facile l’identificazione al lettore. Bisogna ammetterlo, non è sempre facilissimo simpatizzare per cinquecento pagine con gente che procede a forza di “Dei possenti!”, “calami” e “guantiere”. Poi sia chiaro, non si tratta di modernizzare i personaggi: mentalità e atteggiamento restano rigorosamente period, ma il trucco sta nel renderli in un linguaggio tale che il lettore contemporaneo non abbia l’impressione di essere appena sbarcato su Marte.

Ed ecco l’altro lato della questione, che ci riporta al discorso di JT: la maniera cinque, sei o settecentesca, non pareva affatto maniera a chi la usava, e pertanto il romanziere storico dovrebbe produrre l’impressione che i suoi personaggi parlino in modo normale. Quando Riccardo III dice “Zounds!”, non dice nulla di particolarmente esotico o pittoresco, si limita a usare un’imprecazione che è moneta corrente ai suoi tempi. E a quelli di Will Shakespeare, se vogliamo, per cui l’esempio non è del tutto calzante, ma avete capito quello che voglio dire. Supponiamo tuttavia che un romanziere contemporaneo riprenda in mano Richard*, e che lo ritragga in un momento di furore: un’imprecazione contemporanea aiuterebbe il lettore a simpatizzare meglio con la sua rabbia? E glielo farebbe sentire più vicino? Più vero? Più vivo?

Quel che è certo è che un linguaggio troppo desueto produce distacco, intralcia l’identificazione e trascina il lettore fuori dalla storia. Not good. Per rendersene conto (e per vedere che JT non era l’unica precorritrice) basta leggere il primo capitolo dei Promessi Sposi, con il supposto scartafaccio secentesco: fittizio senz’altro, ma ricalcato sullo stile dell’epoca e poco meglio che illeggibile. Per renderlo appetibile al lettore, dice Don Lisander, bisogna rivestire la bella storia di parole diverse, parole che si possano capire a prima vista.

E in realtà oggi sono veramente pochi gli autori che riproducono fedelmente la lingua del loro periodo: per lo più, chi rifiuta l’idea del Nuovo Corso cerca una via di mezzo tra comprensibilità e un certo qual gusto d’epoca, il che risulta in una vasta gamma di linguaggi immaginari, più o meno riusciti, più o meno deliberati, più o meno leggibili**.

E allora? Vexata quaestio… Personalmente, confesso di avere sempre avuto un debole per il linguaggio d’epoca***, per le costruzioni desuete, per i vocaboli astrusi e specialistici, ma devo aggiungere anche che non è la caratteristica della mia scrittura che mi ha procurato più lettori. Da un lato, capisco che se voglio ricreare un’altra epoca, renderla viva per il mio lettore, un linguaggio contemporaneo (purché privo di anacronismi) è di sicuro uno strumento potente. D’altra parte, dove va a finire quella specie di “patina del tempo” che contribuisce tanto al fascino di tutto quello che è antico?

Aneddotino. Secoli fa, per una rappresentazione de L’Uomo del Destino, atto unico napoleonico di G.B. Shaw, avevo fatto fotocopiare dei pezzi di mappa catastale, perché servissero da mappe militari. Nonostante avessi preso la precauzione di procurarmi della carta color avorio (un mestieraccio, trovarne in formato A3!), vedermele in mano mi causò un istante di delusione: non avevano un’aria antica… Ovviamente non dovevano averla! Ovviamente Napoleone aveva mappe nuove con sé, magari un po’ sbrindellate e macchiate dall’uso, ma senz’altro non antiche. E però, da un punto di vista scenografico, non sarebbero parse fuori posto tra le crinoline e le spade e le candele, nell’atmosfera d’epoca creata dalla regia?

Ecco, credo che questo sia un po’ il nocciolo del problema: che cosa si vuole, che cosa si cerca in un romanzo storico? Un senso della sostanziale parentela che ci lega a questi antenati, o uno sguardo agli usi, costumi e pensieri di un mondo che il passare dei secoli ha reso estraneo? Il dibattito è ampiamente aperto.

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* Ipotesi tutt’altro che peregrina: nel mondo anglosassone esiste una folta schiera di romanzi riccardiani. C’è persino una Richard III Society, dedita alla riabilitazione storica del povero Richard.

** Per un gustoso simil-mantovano secentesco, La Pantoffola di Matilda, di Stefano Scansani, vale la pena di un’occhiatina.

*** A dieci anni, giocando “a Medio Evo”, ero solita riprendere i miei amici quando per errore si rivolgevano al re con il lei, anziché il voi, che a me sembrava più period… Me lo rinfacciano ancora.

Mar 2, 2010 - grillopensante, pennivendolerie, Somnium Hannibalis    Commenti disabilitati su Didattica – Teatro 0-0

Didattica – Teatro 0-0

L’ennesima richiesta richiesta di modifiche al testo da parte degli Histriones è degenerata in weekend (lungo) di massiccia riscrittura. Confesso di avere dormito assai poco, da giovedì a questa parte.

E’ andata a finire che ci eravamo lasciati con una pièce funzionale, molto didattica e rigorosamente cronologica, e la notte scorsa alle quattro meno venti ho spedito alla compagnia un testo alquanto modificato: niente più elefanti, niente più Alpi, niente più Capua, niente più Taranto, niente più veterani numidi e colonne d’oro… Il tutto asciugato a una domanda (perché Annibale non ha preso Roma dopo la battaglia di Canne?) e a una risposta che non è storica, ma è poetica.

Stasera, alle prove, sono arrivata in ritardo apposta, e ho trovato gli Histriones schierati attorno al tavolo, che rimuginavano sul testo nuovo e, palesemente, nutrivano propositi omicidi. Be’, la regista no: la regista è entusiasta. Dice che adesso è teatro. Il committente (sì, c’è un committente) non è felice. Dice che sarà anche teatro, ma non è più un’esperienza didattica. Gli attori sono divisi: per lo più preferiscono la stesura nuova, ma mi odiano un pochino perché credevano di dover studiare qualche modifica, non un testo nuovo…

Ora, io so benissimo che il committente ha ragione. Il progetto contemplava fin dal principio una fruizione scolastica, e quindi richiedeva una narrazione della storia di Annibale che fosse cronologica e di facile comprensione. Lo so bene, e lo sapevo anche mentre scrivevo la mia nuova stesura. Lo sapevo al punto che, negli intervalli ho anche preparato le modifiche che mi erano state richieste sulla versione vecchia.

Diciamocelo: la stesura nuova è stata una piccola follia, fatta perché è più bella, perché è come l’avrei voluta dall’inizio. E fatta anche per dimostrare che non era colpa mia se la versione originaria suonava come una versione dal Latino. Se in quaranta minuti devo comprimere una dozzina di scene cum voce narrante, è ovvio che non posso ambire a vette di profondità e scavo psicologico, ma non mi sentivo molto creduta. E allora ho fatto questa cosa con meno scene, meno gente, meno proiezioni alle spalle, meno orpelli in generale, e più Annibale.

Ora non so come andrà a finire: ci siamo lasciati discutendo, e il committente deve interpellare altra gente coinvolta nel progetto, e comunque c’è sempre la versione modificata. Però… Suono molto perfida se dico che sono contenta di avere scritto la nuova stesura, di avere gettato nel panico la compagnia e il committente? Forse non se ne farà nulla, ma ho visto molte occhiate concupiscenti piovere sulla mia stesura scritta di notte. Quella non didattica, quella teatrale. Quella bella.

 

Feb 26, 2010 - Somnium Hannibalis    Commenti disabilitati su Ma l’Autore No

Ma l’Autore No

Prove con gli Histriones, ieri sera.

Da un lato, è meraviglioso. Avevo dimenticato come fosse questa fase in cui si discute dell’intonazione, dello spessore, del colore di ogni parola, della melodia di ogni arco, e le frasi prendono vita, prendono forma, prendono consistenza: germogliano. E vederlo succedere a qualcosa che io ho scritto è del tutto elettrizzante.

D’altra parte, però… Mi viene spontaneo, qualche volta, dire che no, che Annibale e Antioco non sono affatto amici, anzi. Antioco, forse, lo avrebbe voluto all’inizio, perché ammirava enormemente Annibale, ma poi si è accorto che l’altro voleva usarlo, e allora ogni incontro fra i due è diventato una partita d’astuzia e di crudeltà, e tanto più adesso che Antioco teme di sentirsi chiedere dai Romani la consegna di Annibale…

E la regista dice di no. Dice che la riduzione è un’altra cosa rispetto al libro. Dice che nell’economia della riduzione il legame fra questi due uomini deve essere diverso, una specie di amicizia distaccata e riluttante, se proprio voglio, ma qualcosa di simile all’amicizia.

E lo so che una volta che è scritta e pubblicata, ogni singola parola cessa di essere mia, e che gli Histriones fanno il loro mestiere nell’interpretare il Somnium, nel darne una lettura scenica, dinamica… Lo so bene, tante grazie. Però mi pare che sarebbe tutto più facile se lo facessero da qualche altra parte, non so, a San Giovanni in Persiceto, completamente fuori dal mio controllo. Perché, a differenza di quegli autori che sono placidamente defunti da qualche secolo, la sottoscritta è viva e vegeta, e fatica molto ad adottare il debito distacco.

Io conosco le motivazioni di Annibale, di Antioco, di Himilce, di Maarbale… e che diamine: li ho scritti io! So come pensano, so che voce hanno, so su cosa è verosimile che facciano dell’ironia e che cosa invece prendono maledettamente sul serio. Solo che non sono la regista. E quindi, pur avendo facoltà di dare suggerimenti, non devo aspettarmi che vengano raccolti. E se so, razionalmente, che è giusto così, se sono affascinata dal modo in cui le mie parole (o almeno, le parole che io ho scritto) prendono direzioni inaspettate, comincio però a credere che sarà dannatamente dura restarmene seduta a guardare mentre lo fanno.

Avevo allegramente detto di aspettarmi una sfida stimolante… Credo che non sarò delusa – ma si direbbe che sfida sia la parola operativa, qui.

Feb 19, 2010 - Somnium Hannibalis    11 Comments

Riscritture

Era ancora dicembre quando sono andata al primo incontro del gruppo Hic Sunt Histriones, per l’adattamento teatrale di Somnium Hannibalis. Ci eravamo salutati ripromettendoci collaborazione e contatti frequenti, ma poi si sa come vanno queste cose. Di fatto, non avevo più saputo nulla fino a qualche giorno fa, quando mi sono capitati per le mani alcuni albi della Osprey, con delle illustrazioni che potevano tornare utili per i costumi. “Non avete bisogno di modifiche ai testi?” chiedevo nella mail a cui avevo allegato le immagini.

“Già fatto, grazie!” rispondono allegramente gli Histriones. “Abbiamo tagliato e riscritto un bel po’, e forse non abbiamo ancora finito.”

Riscritto? Riscritto??

Crisi. Quando a dicembre mi avevano chiesto se si potesse eventualmente modificare il testo, avevo risposto di sì senz’altro, ma forse non avevo spiegato abbastanza chiaramente che intendevo farle io, le modifiche… Ora, non dovete pensare che sia irragionevole: ho scritto per il teatro, ho adattato testi, ho recitato, ho diretto. So che le esigenze di scena a volte sono tiranniche, ed ero preparata all’idea di tagli drastici, ma erano le riscritture a fermarmisi di traverso nella trachea.

Così ho chiesto di vedere il testo modificato e l’ho rimodificato a mia volta. Giuro che non ho ripristinato nemmeno uno dei tagli che hanno fatto. Mi sono limitata a riannodare qualche filo logico smarrito e a ricondurre in carreggiata un paio di dialoghi tra Annibale e la moglie che, a detta degli Histriones, non erano abbastanza appassionati… Ci sarebbe un lungo discorso da fare in proposito, ma la versione stringata è questa: il mio Annibale ha una passione bruciante, e non si tratta di sua moglie, ma del suo destino. Annibale non è una creatura sentimentale, e non si può cambiare questo senza stravolgere il personaggio.

Armata del mio copione rivisto&aggiornato, ieri sera mi sono precipitata alle prove dello spettacolo. Gli Histriones mi hanno accolta con cautela… forse hanno già avuto a che fare con gli autori. Hanno tirato un sospiro di sollievo collettivo quando ho detto che approvo tutti i loro tagli, che così la pièce ha un ritmo molto più sostenuto, che hanno lavorato proprio bene…

“Allora è tutto a posto?” dice la regista. “Vuoi solo assistere?”

E lì ho detto che no, non era tutto a posto. Ho spiegato le mie remore, letto le mie versioni alternative, perorato la mia causa. Insomma, il nome sulle locandine è il mio, questo sarà per molta gente il primo (se non l’unico) impatto con il mio lavoro… posso avere il diritto di veto sulla versione definitiva, se prometto di essere ragionevole?

A quanto pare, posso. Le mie contromodifiche sono state accettate, e mi si è detto che farò meglio a cominciare a frequentare le prove con qualche costanza. Per stasera non ho visto molto, perché tra leggere, spiegare e discutere non c’è stato tempo per una prova vera e propria. Intanto, però, il testo somiglia ancora al mio libro, del che sono molto, molto, molto soddisfatta.

Gen 7, 2010 - scribblemania, scrittura    Commenti disabilitati su Armchair Casting

Armchair Casting

Ieri, essendo l’Epifania, mi sono concessa qualche ora di attività vacanziere. come iniziare a ritagliare le scene della mia personale interpretazione di toy theatre vittoriano, e cercare su Google delle facce adatte ai personaggi del romanzo turco/bizantino su cui sto lavorando. Oltre ad essere divertente (e a darmi l’impressione di fare qualcosa di utile), per me è sempre un esercizio rivelatore. Ho già detto che non sono una persona molto visiva: so che genere di voce hanno e come parlano i miei personaggi, ma molte volte non ho un’idea precisa di come siano fatti, finché non trovo la faccia perfetta.

E’ un gioco che di solito tengo per le giornate di pioggia, per quando sono impantanata e furibonda, per quando voglio fare qualcosa di attinente alla mia storia, purché non sia scrivere. Quel che è certo è che non lo faccio mai troppo all’inizio: devo conoscere bene i miei personaggi, prima di riuscire a riconoscerli con sicurezza in mezzo a una folla di facce.

E quindi, a titolo dimostrativo, ecco parte del mio casting:

Sultano.jpg

Raz Degan nel ruolo del Sultano… (sì, lo so: è vestito da Re di Persia… che posso farci?)

 

 

 

 Alvise.jpg

Paul Bettany as Alvise Zanotto…

 

 Zoe.jpg

Rachel Weisz come Zoe Cantacuzena…

 

 

   Thomas.jpg

… e per finire, quello che mi ha dato più problemi: Ioan Gruffud nel ruolo di Nicholas (o Stephanos, ancora non ho ben deciso) Cantacuzeno.

 

 Badate che la scelta non ha nulla a che fare con le capacità interpretative dei signori in questione. Francamente, alcuni di loro non li ho nemmeno mai visti recitare. E’ che hanno le physique du role, hanno l’aspetto (e l’espressione) che volevo per questa gente e per questa storia quattrocentesca.

Dic 22, 2009 - Somnium Hannibalis    Commenti disabilitati su Ecco gli Attori!

Ecco gli Attori!

Ieri sera, nonostante la neve, prima riunione del gruppo Hic Sunt Hystriones di ostiglia per la preparazione di Somnium Hannibalis. Ebbene sì, un adattamento teatrale del mio romanzo, da presentarsi alle scuole nella primavera del 2010.

Ieri sera si è parlato, ed è sempre affascinante vedere quali impressioni, quali curiosità, quali reazioni suscitino i propri personaggi. Vero è che diversi membri della compagnia avevano letto solo l’adattamento teatrale e non il libro, e questo ha condizionato un po’ la discussione.

La regista, la bravissima Gabriella Chiodarelli, ha cominciato definendo il mio Annibale un carattere depressivo, il che non sembrerebbe un buon inizio, se non fosse che quella è l’intenzione con cui è stato scritto. E’ seguita una tempesta di domande su quanto ci fosse di di storico e quanto di fittizio nelle motivazioni che ho dato ad Annibale: il peso del giuramento imposto dal padre, la “rinuncia” a prendere Roma dopo Canne, se e quando Annibale si sia reso conto di non poter sconfiggere Roma… Una delle mie teorie predilette su Annibale (ed è una teoria puramente letteraria, perché non c’è nulla di storico a supportarla) è quella di un’identificazione talmente profonda tra l’uomo e il sogno, da fargli guardare con repulsione all’atto effettivo della presa della città. Per tutta la vita Annibale Barca si è visto destinato a prendere Roma, ma che ne sarà di lui, una volta che Roma è presa? Credo che un visionario completamente assorbito nel suo sogno debba provare un certo horror vacui al pensiero del sogno realizzato.

Si è osservato che Annibale non ha un vero e proprio arco del personaggio, perché comincia facendo guerra a Roma e finisce facendo guerra a Roma: l’osservazione veniva da qualcuno che ha letto solo l’adattamento, e pur corrispondendo alla visione tradizionale di Annibale (Tito Livio e Polibio, per intenderci), non si applica del tutto al mio Annibale il quale, esule alla corte di Siria, è molto diverso dal giovane generale partito da Nuova Cartagine. E tuttavia, è vero che Annibale è il perno degli archi degli altri personaggi, da Antioco a Himilce, da Scipione a Lelia, da Sosila a Roma stessa. L’immagine è piaciuta ed è stata annotata.

Dopo di questo siamo passati ad immaginare la possibilità di movimenti coreografici per mettere in evidenza il diverso modo di fare la guerra di Annibale e dei Romani, delle tecniche da usare per richiamare luoghi e fiumi, e per mostrare lo scorrere del tempo. Nonché piccola discussione sul budget costumi.

Quando è cominciato a nevicare sul serio, ci siamo dispersi, ma mentre raccoglievamo sciarpe e cappotti, la regista ha chiesto immagini, suggestioni da elaborare… io ho detto “fuoco”. il Somnium è pieno di fuoco: la fiamma sacrificale sull’altare domestico, le torce di Gades, le pire dei cadaveri dopo le battaglie, i fuochi degli accampamenti, il riverbero del sole a picco, gli sterpi incendiati, il giavellotto infuocato. E le figure retoriche che Annibale usa contemplano spesso fuoco, fiamme, il bruciare, l’ardere, l’accendere. Se questo libro avesse un colore, sarebbero le sfumature delle fiamme.

Adesso non vedo l’ora di sapere che cosa faranno di tutto questo gli Hystriones. Mi hanno proposto di seguire la preparazione, e credo che lo farò: non capita tutti i giorni di vedere il proprio lavoro trasformato attraverso l’interpretazione altrui. Ho già avuto cose mie rappresentate, ma ho sempre curato la regia di persona. Questa volta no: mi aspetto che sia una sfida molto stimolante.

Ott 8, 2009 - grilloleggente    3 Comments

Fenomenologia dello Sbregaverze

300px-Merton_College_library_hall.jpgUna delle meraviglie dello scrivere narrativa a sfondo storico, è andarsi a pescare un personaggio minore, minorissimo, e farne il nostro protagonista. Si può fare tutt’altro, si può incentrare tutto sulla figura di primo piano (Idi di Marzo di Thornton Wilder ha per eroe Giulio Cesare, Memorie di Adriano della Yourcenar e Io, Claudio di Robert Graves hanno titoli autoevidenti, come pure La Regina Margot di Dumas); oppure si può scegliere un personaggio fittizio e piazzarlo in mezzo a eventi e/o personaggi storici (I Promessi Sposi, per citare un esempio eclatante, ma anche Barnaby Rudge di Dickens, Guerra e Pace di Tolstoj, La Guardia Bianca di Bulgakov…). Entrambe le possibilità hanno dato origine a capolavori ed orroretti, entrambe si prestano a variazioni interessanti, ma non divaghiamo.

La terza via è quella di cui si diceva prima: personaggio minore. Il personaggio minore ha tutta una serie di pregi, in genere. Si sa che è esistito, si sa che ha avuto un ruolo preciso, magari si sa qualcosa dei suoi spostamenti, contatti, vita, morte e miracoli. Molto più facile da situare di un personaggio fittizio… Perché diciamocelo: mettere un segretario/amico/scudiero/seguace/confessore/domestico/fratello illegittimo fittizio al fianco, diciamo, di Lorenzo de’ Medici, offre senz’altro all’autore un favoloso punto di vista sulla congiura dei Pazzi, ma al tempo stesso stiracchia non poco la sospensione dell’incredulità del lettore. Ma se invece il nostro segretario/amico/scudiero/seguace/confessore/domestico fosse esistito veramente, magari citato di straforo in una fonte o due, se sapessimo di lui soltanto che era al posto giusto in una o due occasioni e che aveva un braccio offeso da una caduta da cavallo, avremmo il nostro personaggio, un abbozzo di carattere e tutto lo spazio di manovra che si può desiderare…

E’ così che sono nati parecchi memorabili personaggi letterari. Sto pensando agli esempi da elencare e, per qualche motivo, tutti quelli che mi vengono in mente ricadono sotto una categoria particolare, una categoria del tutto personale, quella dello Sbregaverze.

Piccola precisazione semantica: sbregaverze, purtroppo, non è Italiano. E’ l’italianizzazione di una parola mantovana, composto del verbo sbregare (dialettale per lacerare, rompere, di origine germanica, dice il Dizionario Treccani) e di… be’, tutti sappiamo cosa sia una verza, credo. Dico “purtroppo” perché trovo che sia una parola meravigliosamente espressiva. Se il senso è affine a “rodomonte”, “spaccamonti”, “sbruffone”, “fanfarone”, o “gradasso”, bisogna però ammettere che l’immagine di qualcuno che, per tutta dimostrazione di possanza, spacca delle verze, è meravigliosa.

Non so se abbiate mai provato ad accoltellare una verza… Io sì: certe volte è più facile, certe volte meno, ma in tutti i casi fa un gran rumore.

Ecco, a casa mia il termine Sbregaverze (con la S rigorosamente maiuscola) è scivolato a indicare una certa categoria di personaggi letterari caratterizzati appena sopra le righe, fiammeggianti, barocchi nella costruzione, nelle avventure, nel modo in cui si presentano e parlano di sé. Di sicuro non è dispregiativo e non implica nulla di male sull’efficacia, sull’appeal o sul carattere morale dei personaggi stessi…

Ne ho in mente un certo numero: D’Artagnan e i suoi amici, Cyrano de Bergerac, Alan Breck Stewart, l’Ammirabile Critonio, Madame Sans-Gène, Henry Morgan… tutti esistiti realmente, tutti figure minori del loro tempo, tutti abbondantemente ritoccati dai loro autori a fini narrativi, tutti flamboyants, almeno nella loro versione letteraria. E ciascuno di loro rappresenta una sfaccettatura particolare del genere Sbregaverze.

Sono personaggini, è vero, gente di non troppo conto al loro tempo, cui qualcuno in un altro secolo ha tentato di regalare, con esiti di varia natura, una fettina d’immortalità per iscritto. Comincio a credere che dedicherò un post a ciascuno di loro… Oh, sì! Una galleria di Sbregaverze a seguire…

Ott 3, 2009 - grilloleggente, grillopensante, scrittura    Commenti disabilitati su Cose che non sapremo mai

Cose che non sapremo mai

In teoria, la fedeltà alle fonti storiche è il primo articolo del mio credo di autrice. Voglio dire: in un mondo perfetto, il mestiere del romanziere storico consisterebbe nel ricreare quello che non sappiamo sulla base ed entro i limiti di ciò che sappiamo.

Il mondo non essendo perfetto, alle volte il confine tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo è un tantino confuso, e anche ciò che sappiamo non è poi così certo.

Il mondo non essendo perfetto, inoltre, i romanzieri storici hanno una certa tendenza a non razzolare tanto bene quanto predicano. O almeno io ce l’ho. Sia chiaro: faccio sempre del mio dannato meglio per non contraddire nessuna fonte certa, per attenermi ai fatti, per essere tanto precisa quanto posso con date, luoghi e persone…

E tuttavia, se esistono versioni differenti, fonti che riportano diversamente lo stesso avvenimento, la stessa battaglia, lo stesso personaggio? Non è colpa mia, giusto? E succede, sapete? Forse non avete idea di quanto spesso succeda… E che cosa può fare in questi casi una povera ragazza? *makes cocker spaniel eyes*

Be’, questa povera ragazza ha raggiunto un compromesso con se stessa e con la Storia: in caso di fonti non uniformi o contrastanti, sceglie sempre la versione che le fa più comodo dal punto di vista narrativo…

Sì, sì, questa ragazza sa perfettamente che esistono gerarchie delle fonti e criteri per stimarne, se non proprio stabilirne, l’affidabilità affidabilità, ma al tempo stesso, ringrazia spesso il Cielo che, per le sue vie e ragioni imperscrutabili, l’ha condotta a scrivere narrativa anziché saggistica.

Piccolo esempio illuminante: visitando il palazzo dell’Ajuntament a Barcellona, ci si ritrova a un certo punto nel Salò des Cròniques, dove nel 1929 Josep Maria Sert ha dipinto un ciclo di affreschi che narrano le vicende di Roger de Flor, cavaliere senza macchia e senza paura, che dopo aver generosamente salvato l’Impero Bizantino da qualche tipo di Turchi, viene ricompensato con l’inganno, il tradimento e l’omicidio. Che pessima gente sono questi Bizantini… Ebbene, più guardavo gli affreschi, più mi sembrava che ci fosse qualcosa di strano. Ero certa di avere ricordi in proposito: i nomi erano quelli, il secolo era quello, eppure la storia non quadrava. Poi, folgorazione! Ma certo, Roger de Flor, ex Templare, pirata e capitano della Compagnia Catalana, una delle più costose, pericolose e celebri compagnie mercenarie del XIII secolo! A sentire i bizantinisti anglosassoni (gente come Norwich e Runciman), il suo “generoso aiuto” veniva ad un prezzo astronomico, che comprendeva, tra molte altre cose, la mano di una principessa imperiale), e una volta respinti i Turchi, i Catalani si erano rivelati il classico rimedio peggiore del male, scatenandosi in saccheggi, incendi, stupri e distruzioni miste assortite in giro per l’Impero… E allora i Bizantini, che non andavano tanto per il sottile, avevano adottato la sperimentata tecnica tradimento-assassinio. Quando si dice a mali estremi… con quel che segue.

Rogerelaprincipessa.jpgInsomma, due storie diametralmente opposte. A sentire Norwich, Roger era un pessimo soggetto; i Catalani hanno l’aria di pensarla diversamente. A Barcellona c’è una Calle Roger de Flor. Ci sono monumenti, hotel, istituti intitolati a lui. Ci sono siti web celebrativi… Una rapidissima ricerca su Google rivela almeno una trilogia di romanzi storici che ha Roger e i suoi Catalani, o Almogàvares, per eroi, ma non mi stupirei se ce ne fossero altri.

E tuttavia, se io volessi scrivere un romanzo i cui protagonisti ed eroi fossero gli Imperatori Paleologi, Andronico II e Michele, intenti a salvare il loro impero da quello stormo di cavallette, gli Almogàvares, capitanati dal crudele, esoso ed infingardo Roger? Il bello è che potrei! Anzi, non sono nemmeno certa che qualcuno non l’abbia già fatto – di sicuro le fonti lo consentirebbero senza eccessivi patemi d’animo.

La morale di tutto questo è varia. In primo luogo, un romanziere storico può fare pressoché di tutto anche conservando una coscienza decente; e questo è cosa buona e giusta per la letteratura, se non proprio per il fegato degli storici. In secondo luogo, ma in realtà questo è il punto fondamentale, non da oggi penso che la Storia abbia un quid d’inafferrabilità. I contemporanei la narrano con un’ottica deformata dalla loro posizione al suo interno; i posteri la interpretano da distanze cronologiche e culturali che non possono non essere deformanti a loro volta. Aggiungiamo a questo che i documenti vanno perduti, o sopravvivono in modo parziale, o vengono trascurati, e che il peso relativo dei fattori di valutazione cambia attraverso i secoli… E’ inevitabile: come dice Gianni Granzotto nel suo Annibale, “ci sono cose che non sapremo mai. Cose che non sappiamo più”.

E questo è forse uno degli aspetti più affascinanti della Storia. Per gli storici, sono vuoti da riempire cercando e ricercando, e per i romanzieri è un’iridescenza (o un’opacità, a seconda dei casi) da raccontare ancora e ancora, da ricreare, da immaginare. E non sempre nello stesso modo, anzi.

Alla fin fine, la forza vitale di tutte le cose risiede sempre in ciò che ancora non sappiamo.

 

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